La folla di pellegrini ormai impedisce il raccoglimento accanto alla Chiesa.
Attorno al lago c’è tutta un geografia della salvezza. Siamo sul battello e il sole sta calando all’orizzonte. Il vento che soffia da ovest verso est, sempre in questa stagione, si chiama Ghibli.
Giovedì, 22 Agosto 2012 - Tiberiade
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- Salmo 133
Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme! E’ come l’olio profumato sul capo, che scende sulla barba di Aronne, che scende sull’orlo della sua veste. E’ come rugiada dell’Ermon, che scende sui monti di Sion. Là il Signore dona la benedizione e la vita per sempre.
- Sulle sponde del Giordano Yardenit – Il Battesimo di Gesù
Appena fuori Tiberiade, ove il Giordano esce dal Lago, ci fermiamo a Yardenit. Questo non è il luogo dove Gesù fu battezzato. La maggior parte delle persone sono d'accordo sul fatto che il Battesimo sia avvenuto più in giù lungo il fiume, ma quel posto è stato a lungo inaccessibile a causa delle tensioni con la Giordania. Pertanto ha preso piede Yardenit che mi pare in stile americano e molto commerciale.
Don Umberto
Il Fiume Giordano è l’unico vero fiume d’Israele e percorre quasi 200 Km. E’ l’unico luogo ove la vegetazione è lussureggiante. Quando ci mettiamo davanti al Giordano siamo chiamati a fare memoria delle benedizioni di Dio nella nostra vita. Per noi Cristiani questo fiume è santo perché l’ha santificato Gesù con il suo Battesimo. C’è l’immagine forte di Gesù che si immerge in quest’acqua e la rende Santa. Durante la veglia Pasquale c’è un’espressione che dice così: il Signore santificò il fiume Giordano immergendosi in esso perché diventasse il segno del Battesimo e quindi la salvezza per ciascun credente.
Battesimo di Gesù (Mc)
“In quei giorni Gesù venne in Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E uscito dall’acqua vide aprirsi i cieli e lo spirito scendere su di Lui come una colomba e si sentì una voce dal cielo “Tu sei figlio mio prediletto in te mi sono compiaciuto.”
Nel momento del Battesimo, Dio rivela l’identità di Gesù dicendo "Questo è mio figlio".
Prima Gesù è stato battezzato e poi ha fatto prodigi intorno al lago, ha predicato, ha chiamato i discepoli, ha guarito, ha scacciato i demoni. Questo perché
con il Battesimo nel Giordano aveva ricevuto una particolare energia, una forza particolare che definise la sua identità di essere Figlio, identità che non perderà per tutta la vita. Gesù non volle essere Padre ma solo Figlio, quindi non essere padrone della sua vita e prima di compiere un’azione importante si affidava al Padre per farsi dire cosa fare.
Nella nostra vita di adulti ci sono molti episodi che ci danno coscienza che non siamo i padroni della nostra esistenza. Generalmente questi episodi ci turbano ci mettono in crisi, ci fanno arrabbiare perché ci comunicano la nostra fragilità.
Figli si rimane per sempre, anche quando si invecchia, la vita appartiene ad un altro che è il Padre. Qui nel Battesimo è avvenuta un mistero che ha segnato tutta la vita di Gesù e da cui Egli ha attinto forza per trasmetterla agli altri, per dar vita agli altri. Gesù è stato in sintesi il grande Figlio della storia che testimonia la sua spoliazione totale.
Tutto è iniziato al Giordano, più a sud rispetto a dove ci troviamo ora, vicino a Gerico, un luogo aperto solo recentemente.
- Il Monte Tabor (Monte della luce) – Il Monte della Trasfigurazione
- Don Umberto
Questo monte non è detto che sia il Monte della Trasfigurazione perché questo avvenimento è avvenuto in un momento della vita in cui Gesù stava risalendo dal lago di Tiberiade verso nord. Aveva guarito un cieco a Betzaida, la propagine nord del lago. Dopo la guarigione del cieco, una guarigione simbolica per dire ai suoi Apostoli: "Aprite gli occhi sulla mia persona", aveva iniziato un lungo itinerario verso nord e a quel punto avviene la Trasfigurazione.
Il Vangelo dice che avviene su un alto monte senza fare nomi. Pertanto noi non possiamo dedurre qual’è il monte.
Allora perché si viene a pregare e ricordare la Trasfigurazione qui sul Monte Tabor? Perché gli scritti dei primi Cristiani dicono che fin dal I secolo, i cristiani venivano in questo luogo a ricordare la Trasfigurazione. Il primo che cita questa cosa è un teologo cristiano del terzo secolo che si chiama Origene.
Origene dice che su questo monte Tabor già dal secondo secolo i cristiani si riunivano in preghiera per ricordare la Trasfigurazione. Quindi si parla di tradizione e non del testo evangelico. Questo posto era venerato per la presenza divina già prima dell’epoca di Gesù perché colpiva molto l’immaginazione per la forma e la maestosità della montagna che si erge in mezzo alla pianura.
I cristiani rimasero in questo luogo fino al VI secolo ed avevano costruito una piccola chiesa proprio dove ora si trova la Basilica della Trasfigurazione, che venne distrutta quando la zona venne invasa dapprima dai persiani e successivamente dagli Arabi, che trasformarono questo luogo in una fortezza che circondava tutto il monte Tabor, per la sua posizione strategica.
Nell'XI sec. i cristiani quando riconquistarono il territorio, stanziandosi sul monte e costruendo uno spazio religioso dove i crociati portarono i benedettini che trasformarono la costruzione in un monastero fortezza, di cui oggi rimangono solo i resti accanto alla basilica. Successivamente, però, dopo la vittoria di Saladino, gli arabi riprendono il sopravvento , distruggendo tutto, compresa la chiesa, lasciando però tre piccole cappelle: una ricordava Gesù, una Mosè ed una Elia, i tre personaggi della Trasfigurazione.
Nel 1600 l'emiro turco Fracheddin concede ai francescani il possesso di questo territorio. I Francescani edificano il convento e un’unica chiesa che comprende le tre cappelle, ricostruita poi nel 1930 da un architetto italiano, Barluzzi. La facciata della chiesa richiama le tre tende di cui parla Pietro nella Trasfigurazione. All’interno un mosaico moderno rappresenta i momenti della vita di Gesù in cui in Lui si rivela la Sua divinità, cioè la Nascita e la Redenzione, Gesù che muore come agnello immolato, l’Eucarestia e l’ultima cena, la Risurrezione.
Don Umberto
- La Trasfigurazione di Gesù Mc 9, 2-10
Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.
Dobbiamo recuperare il percorso che stiamo facendo perché siamo tra coloro che vogliono conoscere Gesù e che sono rimasti colpiti dalla sua persona e hanno deciso di seguirlo e quindi con Lui stanno camminando. Ieri abbiamo detto che l’Apostolo che più di tutti ci interpella per la sua conoscenza con Gesù è Pietro.
Pietro in una sua lettera ha lasciato il ricordo di questo momento della Trasfigurazione nella sua seconda lettera:
(2Pt 1-17)
Egli infatti ricevette onore e gloria da Dio Padre, quando giunse a lui questa voce dalla maestosa gloria: «Questi è il Figlio mio, l'amato, nel quale ho posto il mio compiacimento». Questa voce noi l'abbiamo udita discendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte. E abbiamo anche, solidissima, la parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l'attenzione come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e non sorga nei vostri cuori la stella del mattino. Sappiate anzitutto questo: nessuna scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione, poiché non da volontà umana è mai venuta una profezia, ma mossi da Spirito Santo parlarono alcuni uomini da parte di Dio.
E’ una descrizione della Trasfigurazione molto bella perché dice che "noi lì abbiamo visto la grandezza di Dio e abbiamo avuto conferma che ascoltare la parola del Signore è
come fare riferimento a una lampada che brilla in un luogo oscuro finché non spunti il giorno e la stella del mattino brilli nei nostri cuori".
Il momento della Trasfigurazione è un momento in cui coloro che seguono Gesù vengono confermati sulla bontà della loro scelta. Vengono confermati soltanto quelli che seguono Gesù ed anche Gesù stesso. E’ il Signore stesso che viene confermato da Dio nella sua identità. Quello che a Gesù accade su questo monte è che Dio gli fa comprendere più in profondità la realtà della sua persona e la sua missione. Al termine della Trasfigurazione, Gesù si dirige con più grande forza verso Gerusalemme, verso il compimento della sua missione.
Noi possiamo dire che la Trasfigurazione è stato probabilmente per Gesù il momento più alto di preghiera. Nei momenti di preghiera Gesù prende coscienza di chi veramente è e del senso della sua vita. Questa dinamica della preghiera avviene in modo assolutamente unico nel momento della Trasfigurazione.
E come avviene? Avviene con Gesù che si confronta con Mosè e con Elia. Mosè ed Elia rappresentano il Pentateuco ed i profeti.
Come fa Gesù a confermarsi nelle sue scelte? Si confronta con la scrittura e non solo.
Da un monte alto come questo, si possono contemplare tutte le piane ed i monti attorno che sono luoghi in cui è avvenuto qualche episodio biblico della storia della salvezza.
Adiacente alla chiesa si può vedere la piana di Megiddo, in cui l’esercito di Israele si scontrò contro gli egiziani, oppure i monti Gèlboe dove avvennero gli episodi della vita di Davide e la vittoria del giudice Gedeone, oppure la zona di Sunem dove operò il profeta Eliseo.
Dall’alto Gesù poteva contemplare la terra e la terra gli faceva ricordare tutti gli interventi di Dio nella sua storia.
Tutto questo era accompagnato dal parlare con Mosè ed Elia, quindi dal leggere le scritture ed i profeti. Attraverso questo modo di pregare Gesù è stato confermato nella sua missione. Cioè attraverso la memoria degli interventi di Dio nella storia.
La preghiera è anche questo: fare memoria di come Dio è intervenuto nella nostra storia sapendo che se è intervenuto per farci del bene, ancora interverrà. Questo è il senso della conferma.
Quasi tutta la fede è fatta di memoriale cioè di ricordare qualcosa che Dio ha operato in noi e ricordandolo trovare la forza per affrontare il futuro. A Gesù quel giorno avviene esattamente questo, non solo a livello psicologico ma anche fisico, tant’è che viene trasformato, ma la sua relazione con il Padre era unica e quindi è legittimo pensare che anche la sua realtà fisica fosse totalmente trasformata.
Noi non veniamo
trasformati fisicamente quando la preghiera è vera, ma interiormente anche noi veniamo trasfigurati. Se la preghiera si riduce alla ripetizione di formule, alle semplici devozioni, è normale che non ci trasformerà.
Ma mi sembra strano pensare come un adulto cristiano non abbia mai avuto la possibilità di pregare seriamente. Cioè di fermarsi in silenzio e sentire che quel silenzio vissuto alla presenza di Dio lo trasformava. Se ad uno a quaranta, cinquant’anni non è mai capitato, allora ringrazi il Padre quando gli accade una volta, come oggi, e si impegni a cercare e a trovare esperienze di trasformazione interiore e non continui a considerare la preghiera come una recita di semplici formule.
A Gesù nella Trasfigurazione accade una cosa semplice nella descrizione, ma complessa nella comprensione. Siccome questa cosa accadde a Gesù e gli Apostoli videro questa Trasfigurazione, anche loro furono confermati, ricevendo un chiaro segnale che la scelta che stavano facendo seguendo Gesù era quella giusta.
Noi viviamo in un mondo che continuamente ci mette in crisi, se soltanto uno pensa che il mondo va da tutt’altra parte rispetto a dove va il Signore. La società che ci circonda non dà certezze nè conferme alla nostra fede e alla nostra scelta cristiana. Possiamo trovarle solo stando in compagnia di Gesù, frequentando Gesù e la sua Parola; solo così noi potremo sentirci confermati. Altrimenti ci sentiremo pervasi da una continua crisi così pesante da non potersi sopportare e,alla fine senza accorgercene, penseremo come pensa il mondo, con l’unica differenza che la domenica passiamo tre quarti d’ora in chiesa. Però passare tre quarti d’ora in chiesa e non conoscere il Signore forse è un gioco che non vale la candela.
Quel giorno gli Apostoli furono confermati e Pietro chiese di rimanere là...perché il mondo è pesante. Non la vita quotidiana, ma il ragionare della gente lontana dal Vangelo è pesante e noioso. E poi è difficile da sostenere, a volte arido. La logica del mondo fatta di successo, volontà di imporsi, interessi personali da tutelare ecc. Quando si entra nella logica di Dio e di fronte a Dio ti senti confermato e in pace, vorresti che quel momento durasse per sempre, che quello stato d’animo continuasse.
E’ lo stesso stato d’animo che sentiva Pietro che sapeva di dover tornare giù dal Tabor, a valle, dove Gesù indicava di andare perché quella era la loro missione. Non dico che Pietro abbia ragione, ma dico che lo capisco, sentiva che tornando giù sarebbero ricominciate le difficoltà, le incomprensioni della gente nei confronti di Gesù, le chiacchere nei loro confronti perché seguivano Gesù. Ricominciava tutto.
Se a distanza di anni, quando nell’anzianità Pietro scrive la lettera e si ricorda così della Trasfigurazione, “noi siamo stati testimoni oculari ed abbiamo avuto
conferma e per noi è stato come una lampada che brilla in un luogo scuro” cioè la vita normalmente intesa e “continui a brillare finché la stella del mattino non brilli nei nostri cuori”.
E’ come se Pietro ci dicesse che anche lui ha vissuto le nostre stesse difficoltà, che tante volte attraversare la vita è come attraversare una valle oscura. Ma questa stella del mattino brillerà nei nostri cuori. Adesso tieni accesa questa lampada. Per lui era la memoria di questo momento. Noi abbiamo bisogno continuamente di momenti che ci confermino e ci trasfigurino. Chi non ne ha bisogno?
Oggi ci viene detto che questa Trasfigurazione ci viene data dal conoscere Gesù, dallo stare con lui.
Pensando alla conoscenza intima di Gesù ho fatto fotocopie di un commento di una parte degli esercizi spirituali di Sant’Ignazio.
S. Ignazio ha un capitolo che dedica alla conoscenza interiore del Signore. Lui dice che lo scopo del lavoro spirituale è quello di conoscere Gesù nel Suo cuore. Quel giorno i discepoli hanno avuto una conoscenza interiore del Signore e li sono stati confermati anche loro.
“Conoscere intimamente il Signore come dice Sant’Ignazio mi pare sia conoscere il Signore di oggi, non si tratta di rappresentarci il Signore di ieri facendo escursioni nella sua vita interiore del passato. Il Signore di oggi, il Signore risorto, è lo stesso Gesù vissuto sulla terra di Israele. L’identità tra i Gesù della storia ed il Cristo della fede sta alla base dell’annuncio della resurrezione. Questo Gesù che voi avete crocifisso il Padre lo ha resuscitato, lo ha innalzato, lo ha fatto Signore e Messia. La storia evangelica ci permette di raggiungere dunque il Cristo di oggi, non nelle azioni e parole di ieri che appartengono alla storia. Il Cristo di oggi non cammina più soltanto sulle rive del mare di Galilea ma è il Signore del cielo e della terra. L’elemento permanente dell’umanità di Cristo oggi non solo soltanto le sue parole, le sue opere, ma il suo cuore. Cuore nel senso della Bibbia non è solo la sede dei sentimenti ma specialmente il luogo della libertà con la quale un uomo dispone della propria vita. Nel nostro linguaggio dovremmo parlare dell’io di Cristo, della sua coscienza.
Il nostro progetto di formazione, e quindi anche il nostro pellegrinaggio, ha avuto come proposito incontrare il Risorto camminando dietro la parola del Signore sulla sua terra ed in mezzo al suo popolo. Il cuore di Gesù è il luogo della condizione figliale del figlio di Dio. Gesù rivela se stesso soprattutto dell’uso che egli fa della sua libertà. Sappiamo bene quanto Sant’Ignazio tenga alla nostra libertà. L’unica cosa che abbiamo di nostro è la libertà, una libertà limitata, condizionata che ci permette di fare si e no una decina di scelte libere nella nostra vita. Ma è questa libertà che Dio ci dona e questa è la libertà che dobbiamo restituirgli. Certo siamo condizionati, ci si presentano tante limitazioni ma proprio da questi condizionamenti ci è permesso di navigare verso il porto finale dirigendoci secondo una rotta o secondo un’altra tale è
l’uso che dobbiamo fare della nostra piccola libertà. Conoscenza intima del Signore allora è cercare di conoscere il modo con cui si muove la libertà di Gesù. Ci vengono offerti dai vangeli fatti e parole che ormai appartengono ad una storia passata. Attraverso questi fatti e queste parole però,…., noi possiamo raggiungere la sua coscienza, la sua libertà, il suo io perché questo è lo stesso di oggi, questo è il risorto in gloria e dunque siamo di fronte al medesimo Signore. In questa libertà ci si rivela l’animo figliale di Gesù che è poi, grazie alla grazia dello Spirito Santo, dobbiamo imitare e a cui dobbiamo conformarci..."
E' necessario dire che quel giorno per i discepoli si realizzò la conoscenza intima di Gesù, cioè la conoscenza del Suo Cuore. E' per questo che possiamo averla anche noi. Non si tratta di imitare i gesti, ma di capire cosa Gesù aveva dentro.
Perché una volta che si capisce questo e si comprende la sua scelta, allora possiamo scegliere anche noi. Decidere di andare verso Gerusalemme, che è l’esito della Trasfigurazione, è la libertà di Gesù che sceglie di andare incontro alla sua missione sapendo (ha già dato l’annuncio della sua Passione) che questo lo porterà alla croce.
Ma se ciò gli permette di rimanere in comunione con Dio, Gesù lo sceglie. Gesù poteva scendere dal Tabor e andare in altri posti dicendo "Io posso comunque fare del bene annunciando a molti il regno. Posso fare del bene a tanti".
Sono ragionamenti fatti con una logica molto mondana ed umana ma di buon senso. Tuttavia, questo non avrebbe permesso a Gesù di rimanere in comunione col Padre. Questo vuol dire guardare la coscienza di Gesù. Gesù per rimanere in comunione con Dio, sceglie delle cose e ne lascia stare delle altre, se pur buone.
Questo Gesù è riproponibile anche per noi oggi? Certo! Il Gesù che si trasfigura e il cui corpo diventa splendente, tutto raggiante è riproponibile oggi? No! Ma non ha nessuna importanza.
A noi non interessano quelli che vedono la Madonna ed il Signore, trasfigurandosi. Non è quell’imitazione di Gesù che a noi sta a cuore, ma quella della sua coscienza, di quella libertà che fa delle scelte e prende decisioni. Quando diciamo di conoscere intimamente il Signore, diciamo delle cose non da poco, perché la fede impostata sulla manifestazione divina straordinaria è sotto gli occhi di tutti. Colpisce di più ma non sono conoscenza intima del Signore., la conoscenza della coscienza di Cristo. Ai discepoli fu concessa, il Signore la conceda anche a noi.
- La Valle del Giordano e Gerico
Lasciamo il mare di Galilea alle nostre spalle e ci dirigiamo verso sud, costeggiando ad est il Giordano ed il confine con la Giordania. Il paesaggio cambia rapidamente. Dalle verdi sponde e dalle rigogliose piantagioni ci inoltriamo in un paesaggio che diventa man mano sempre più arido.
Durante il tragitto facciamo un’imprevista tappa nei Territori Occupati della Palestina ed in particolare ci fermiamo nei pressi di Gerico, un’oasi secolare in mezzo al deserto. E’ un sobborgo con alcuni negozi ed un vecchio cammello. E’ il tributo che dobbiamo al nostro autista Cristiano Palestinese così come può essere definito, contributo alla causa palestinese gli euro che spendiamo nel negozio a fronte di carissime spezie ed altre souvenir da turista.
Attraversiamo la città di Gerico, riusciamo ed arriviamo nella zona in cui ha inizio il Mar Morto. Di lì svolta a ovest. La strada si allarga e pare un’autostrada. La pendenza è veramente significativa. D’altra parte da meno 200 metri saliremo ai circa 700 di Gerusalemme s.l.m.. Tutt’attorno è deserto fino a pochi chilometri da Gerusalemme. Entriamo da Est, zona palestinese, da un ingresso presidiato da ragazzi e ragazze armati di mitra. Un’immagine nuova rispetto alla pace e quiete della Galilea.
- La salita e l’arrivo a Gerusalemme – Monte Scopus
Prima di arrivare a quella che sarà la nostra casa per i prossimi giorni Don Umberto ci porta sul Monte Scopus, proprio di fronte alla città storica. Là, oltre all’università israeliana costruita e mantenuta con le offerte degli ebrei di tutto il monto, i cui nomi sono scolpiti in una sorta di memoriale, possiamo vedere lo skyline della Città Santa con evidenza dei luoghi che saranno meta del nostro pellegrinaggio. Un senso di ansia mi assale. Voglio riprendere immediatamente l’autobus per entrare in città, per calpestare questa città, spiritualmente genitrice.
Salmo 125
Chi confida nel Signore è come il monte di Sion: non vacilla, è stabile per sempre. I monti cingono Gerusalemme: il Signore è intorno al suo popolo ora e sempre. Egli non lascerà pesare lo scettro degli empi sul possesso dei giusti, perché i giusti non stendano le mani a compiere il male. La tua bontà, Signore, sia con i buoni e con i
retti di cuore. Quelli che vanno per i sentieri tortuosi il Signore li accomuni alla sorte dei malvagi. Pace su Israele!
Salmo 134
Ecco, benedite il Signore, voi tutti, servi del Signore; voi che state nella casa del Signore durante le notti. Alzate le mani verso il tempio e benedite il Signore. Da Sion ti benedica il Signore, che ha fatto cielo e terra.
- San Pietro in Gallicantu
Arriviamo a San Pietro. L’ora delle visite è terminata. Non ci sono pellegrini che visitano questo posto che, capirò solo nei giorni successivi, rappresenta uno dei siti Santi della Città. Questo pezzo di collina si trova appena fuori dalle mura, a un centinaio di metri dal monte Sion e dalla porta storica di ingresso alla città da cui prende il nome.
Per arrivarci passiamo dinanzi alla porta dei Leoni, alla porta d’Oro e alla porta del Letame, accanto a quella che era la città di Davide. Ora questo quartiere è abitato da Palestinesi. Le case confinano con la proprietà di San Pietro in Gallicantu. Arrivati con l’autobus scendiamo da una ripida strada. A sinistra vediamo la Basilica, di costruzione recente, la vecchia strada lastricata dell’epoca di Gesù e la struttura che ci ospita. Scendiamo ancora dalle scale e al calar del sole ci appare una scenario incredibile.
Di fronte vediamo la valle del Cedron e poco oltre il Monte degli Ulivi con a destra il grandissimo e secolare cimitero ebraico con le migliaia di tombe e a sinistra le basiliche della santità cristiana. Si possono vedere nitidamente a poca distanza in linea d’aria le cupole della Spianata delle Moschee,una dorata e l’altra un poco più piccola e scura.
Guardiamo all’orizzonte e con nitidezza si staglia nei bagliori della sera il muro eretto dagli israeliani per separare Gerusalemme dai Territori.
Salmo 126
Quando il Signore ricondusse i prigionieri di Sion, ci sembrava di sognare. Allora la nostra bocca si aprì al sorriso, la nostra lingua si sciolse in canti di gioia. Allora si diceva tra i popoli: “Il Signore ha fatto grandi cose per loro”. Grandi cose ha fatto il Signore per noi, ci ha colmati di gioia. Riconduci, Signore, i nostri prigionieri, come i torrenti del Negheb. Chi semina nelle lacrime mieterà con giubilo. Nell’andare , se ne va e piange, portando la semente da gettare, ma nel tornare viene con giubilo, portando i suoi covoni.
Ci troviamo all’esterno delle mura che Solimano ha costruito nel 1534. Al tempo di Gesù, il posto in cui ci troviamo, era all’interno delle mura ove c'era anche il Cenacolo. La di fronte c’è la porta di Sion, fatta a elle per impedire durante gli assedi che entrassero con gli arieti. E’ molto rovinata ai lati dai fori lasciati dai proiettili e colpi di mortaio sparati durante la guerra del 1967 tra arabi e israeliani.
Il cenacolo è una zona venerata anche dagli Ebrei. L’edificio in cui entreremo è a due piani. Sopra c'è la stanza che i cristiani ricordano come Cenacolo e sotto si trova la tomba di Davide con un sarcofago che a detta degli Ebrei conterrebbe il corpo del Re. Questo luogo è identificato dagli Atti degli Apostoli, nei quali è scritto che il giorno della Pentecoste, quando Pietro dopo aver ricevuto il dono dello Spirito, esce dal Cenacolo, comincia a parlare, citando un salmo dell’Antico Testamento:
“Il nostro padre Davide visse e sapete che la tomba è qui presso di noi”.
Proprio perché sotto all’edificio c’è la tomba di Davide, sopra nel Cenacolo è vietato dir Messa (solo il Papa ha potuto celebrarvi durante la sua visita) e sono tollerate letture dei testi evangelici.
Gesù, arrivato a Gerusalemme, mandò avanti i suoi discepoli per preparare la Pasqua, in un luogo di proprietà di qualcuno che Gesù e i discepoli probabilmente conoscevano, forse il padre di Marco l’Evangelista.
Anche dopo, nei primi secoli, il posto è stato venerato e frequentato dai cristiani. I Bizantini vi costruirono una grande Basilica, distrutta dai persiani, trasformata poi in moschea dagli arabi. Ancor oggi nella stanza al piano superiore, è presente una nicchia (Mirab in arabo) rivolta verso La Mecca.
Gli arabi, che riconoscono Davide come Profeta, la cedettero ai francescani alla fine del 1300, ma nel 1500 se ne riappropriarono e ancor oggi ne detengono la proprietà, pur se gli Ebrei successivamente riconquistarono Gerusalemme.
Lo spazio è certamente quello raccontato dai Vangeli. L’edificio è quasi certamente stato ricostruito dai francescani tra il 1300 e 1400.
Nonostante ciò, sostare là è stare nello spazio dove è nata la Chiesa.
- Basilica della Dormizione
La visita alla Basilica della Dormizione si fa quale visita di culto Mariano.
Si trova a poche decine di metri dal Cenacolo. Quasi certamente Maria con gli altri Apostoli era nel Cenacolo e visse qui nella zona del Sion, tant’è che da un punto di
vista simbolico Maria è chiamata figlia di Sion, per indicare che essa è madre della Chiesa.
Essendo vissuta qui è quasi certamente passata al Cielo da qui. I Cattolici venerano questo luogo come il luogo del Transito o della Dormizione di Maria Vergine. Esiste però un testo evangelico non canonico ma apocrifo, il protoVangelo di Giacomo che dice che Maria passò al Cielo nella valle del Cedron. Tant’è che là c’è un’altra chiesa, accanto alla grotta dei Getsemani, che gli Ortodossi venerano come il Transito di Maria. E’ una costruzione recente realizzata a cavallo tra il 1800 e 1900 dai Benedettini provenienti dalla Germania, grazie alla donazione di questo terreno al Kaiser Guglielmo II quando venne in visita in Terra Santa.
Alla fine dell’’800 le grandi potenze di allora misero gli occhi su questa città che era in grado di attrarre migliaia di pellegrini ed ancora oggi vi si trovano luoghi ancora di loro proprietà (Armeni, Francesi, Austriaci ecc.).
La Basilica è composta di due parti: una chiesa a pianta circolare che vuole richiamare l’Edicola del Santo Sepolcro e sotto una cripta contenente un sarcofago in marmo con il volto e il corpo della Vergine, per richiamare il luogo in cui fu deposta prima del transito. Il sarcofago è sormontato da un baldacchino con le raffigurazioni di figure femminili dell'Antico Testamento (Ruth, Ester, Deborah, ecc.).
- La storia di Israele – Museo della città di Davide
Entriamo nel museo collocato in una struttura fortificata all’interno della quale è raccolta tutta la storia di questa terra, le varie traversie, le conquiste da parte di popoli stranieri, le distruzioni e le ricostruzioni che si sono susseguite prima e dopo Cristo fino ai nostri giorni.
Un concentrato di Storia, di cultura, di eventi religiosi e di popoli che hanno influito sull’attuale assetto geopolitoco e religioso di questo Stato, abitato da genti che hanno un’unica matrice storica divisa dagli eventi e dalle influenze anche di altri popoli.
Sono state due ore intense che ci hanno dato alcuni punti di riferimento per capire la complessità di questa città. Durante il percorso abbiamo potuto ammirare anche un
segno dell’arte italiana. Guardando un filmato che all’inizio del percorso museale illustrava le varie epoche, mi era apparso famigliare lo stile: un racconto animato fatto da figure, come burattini.
Alla fine della proiezione è apparso l’autore dei disegni e delle marionette utilizzate: Lele Luzzati, il celebre scenografo ed illustratore, autore di quelle immagini che abbiamo imparato a conoscere a Piacenza durante la mostra allo Spazio Rotative.
- Incontro con Padre Pizzaballa Custode di Terrasanta.
Abbiamo avuto il privilegio di essere ricevuti presso la Custodia di Terrasanta in Gerusalemme da Padre Pizzaballa. Un incontro cordiale nel quale il padre ci ha illustrato alcuni aspetti della vita dei francescani in Israele ed a Gerusalemme in particolare e le difficolta che i Cristiani, minoranza religiosa, vivono quotidianamente e dei cattolici in particolar, minoranza delle minoranze.
Alla fine foto di rito, ma soprattutto un’esilarante domanda di Renzo al Padre concernete la sua parentela con il famoso portiere dell’Atalanta Pizzaballa, figurina introvabile delle note raccolte Panini...
- Don Umberto
I luoghi in cui abbiamo sostato oggi ed il luogo in cui dormiamo, il Cenacolo e San Pietro in Gallicantu, sono importantissimi da un punto di vista cristiano. E se voi ci pensate, in entrambi i luoghi sono accaduti due episodi che si somigliano molto poichè entrambi denotano un segno di crisi nei confronti di Gesù.
Nel Cenacolo il tradimento di Giuda, cioè l’allontanarsi di Giuda dagli altri e qui a S. Pietro in Gallicantu, il rinnegamento da parte di Pietro.
Per questo la giornata di oggi, quando la pensavo mentre ci trovavamo in casa io l’ho intitolata così: “Tra aspettative deluse e tradimenti”.
Perché in questi due luoghi che abbiamo appena visitato emerge il fatto che gli Apostoli, cioè coloro che stavano con Gesù, si erano fatti un’idea di Lui, ma quest’idea non corrispondeva alla verità che il Signore stava testimoniando di se stesso. Quindi accade in Giuda e in Pietro quel che accade ad ogni credente, quando si costruisce una sua personale immagine di Dio e da Lui si aspetta alcune cose precise, un certo modo di comportarsi. Ma Dio si svincola dalla nostre idee, si svincola dalle nostre aspettative, si svincola dai nostri desideri per affermare la Sua verità. Questo avviene in modo abbastanza sistematico e continuativo e di solito la cartina di tornasole di questo ragionamento è l’esperienza del dolore. Perché pensiamo che Dio dovrebbe in qualche modo risparmiarci l'esperienza della sofferenza, mentre in realtà il Dio di Gesù ha condiviso con il Cristo l'esperienza del dolore, Dio non toglie la croce ai suoi fedeli ma li aiuta a portarla.
Quindi i luoghi visitati oggi vanno a toccare e a scuotere alcune delle nostre convinzioni di fede più profonde e ad interpellare quel momento della crisi che ci investe di fronte al perché del male.
Per i discepoli questa crisi si espresse nei confronti del Signore. Adesso dò lettura di quel testo di Marco che racconta l’episodio accaduto proprio qua, del rinnegamento di Pietro e poi leggo altri due testi che in qualche modo preparano l’avvenimento che qui si è vissuto.
Il testo del rinnegamento di Pietro si trova al capitolo 14 di Marco, versetti dal 66 al 72.
“Rinnegamentio di Pietro Mentre Pietro era giù nel cortile, venne una serva del sommo sacerdote e, vedendo Pietro che stava a scaldarsi, lo fissò e gli disse: «Anche
tu eri con il Nazareno, con Gesù». Ma egli negò: «Non so e non capisco quello che vuoi dire». Uscì quindi fuori del cortile e il gallo cantò. E la serva, vedendolo, ricominciò a dire ai presenti: «Costui è di quelli». Ma egli negò di nuovo. Dopo un poco i presenti dissero di nuovo a Pietro: «Tu sei certo di quelli, perché sei Galileo». Ma egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quell'uomo che voi dite». Per la seconda volta un gallo cantò. Allora Pietro si ricordò di quella parola che Gesù gli aveva detto: «Prima che il gallo canti due volte, mi rinnegherai per tre volte». E scoppiò in pianto”
E’ molto facile contestualizzare davvero quest’episodio e sentire vicino a noi questo pianto di Pietro, sentire però anche il suo rinnegamento e chiederci se esso è avvenuto all’improvviso, come un fulmine a ciel seren, oppure è qualcosa che in fondo ci si poteva aspettare. Perché, apparentemente, Pietro dà sempre l’idea dell’Apostolo sicuro, di colui sta conoscendo Gesù sempre meglio e si sta convincendo di aver fatto le cose giuste, anzi Gesù stesso gli ha concesso sul monte Tabor di vivere la sua Trasfigurazione, quindi, un momento in cui lo ha confermato nella sua scelta.
E non solo, Gesù stesso a Cesarea di Filippo ha dato, simbolicamente, a Pietro le chiavi del Regno, cioè gli ha detto: "Su di te Io fonderò la mia Chiesa".
Quindi ciò che noi ci aspetteremmo è un'immagine di Pietro convinta, vincente, fondamentalmente riuscita. Accade poi questo episodio del triplice rinnegamento che Gesù, peraltro, aveva comunque profetizzato. Quindi abbiamo due cose con cui confrontarci.
Da una parte un Pietro che ci sembra convincente, dall’altra parte Gesù che conosce Pietro in profondità, perché la profezia del rinnegamento di Pietro non la dobbiamo leggere come una cosa magica, cioè Gesù che prevede il futuro, ma come conoscenza profonda che Gesù aveva della gente che gli stava intorno. Gesù, conoscendo Pietro, sapeva della sua fragilità e che l'Apostolo in un momento di difficoltà, in un momento cruciale della sua esistenza sarebbe caduto. C’erano state due avvisaglie di questa situazione.
La prima, proprio all’inizio della vita di Pietro con Gesù, nel momento della tempesta, secondo la versione di Matteo:
La tempesta sul lago.
Il testo dice:
“La barca intanto distava già qualche miglio da terra ed era agitata dalle onde, a causa del vento contrario. Verso la fine della notte egli venne verso di loro camminando sul mare. I discepoli, a vederlo camminare sul mare, furono turbati e dissero: «E' un fantasma» e si misero a gridare dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro: «Coraggio, sono io, non abbiate paura». Pietro gli disse: «Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma per la violenza del vento, s'impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù
stese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». Appena saliti sulla barca il vento cessò”.
Siamo all’inizio del rapporto tra Pietro e Gesù e subito si verifica un episodio che è una lampadina che si accende, perché Pietro innanzitutto vedendo Gesù si domanda se sia Lui o meno. “Se sei tu comanda che io venga da te”. Quando si muove sulle acque comincia ad affondare e Gesù motiva l’affondamento di Pietro dicendogli “Tu sei un uomo di poca fede”.
Sapendo leggere con chiarezza questo episodio, come faceva Gesù, si denota che quest’uomo ha qualche limite nella fede, ha qualcosa in sè di irrisolto, qualche nodo da sciogliere. E’ interessante che Gesù questa cosa la legga, mentre Pietro non riesce a leggere se stesso.
Nel rapporto tra Gesù e Pietro, se noi lo leggessimo con attenzione, ci accorgeremmo di una cosa molto interessante: Gesù conosce Pietro, ma Pietro non conosce se stesso. Egli è il classico uomo permeato di una certa superficialità nella comprensione delle proprie emozioni, del proprio io, tant’è che dopo essere scivolato già due volte e adesso leggeremo la seconda, è in grado di dire a Gesù: “Io non ti rinnegherò mai”.
Questa frase che viene dopo la mancanza di fede sul lago e la seconda che adesso vi leggerò, francamente sconcertano. Perché sono proprio le frasi pronunciate da uno che non sa chi è in profondità e non si rende minimamente conto delle sue reali risorse, delle sue reali capacità. Non è mai sceso in se stesso.
Ed è rimasto con il Signore per tre anni, capite!
Ci vorrà qualcosa d’altro dopo per farlo riflettere su se stesso.
Quindi, quella di Pietro che sta con Gesù è un’immagine molto stimolante perché è l’immagine del credente che agisce da cristiano, ma che non lavora mai sulla propria persona.
La seconda di queste "scivolate" che vi confermerà la mia affermazione, è quella che vi leggo ora, accaduta a Cesarea di Filippo.
MC 8, 27-33
Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo (ndr estremo nord quindi) e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: «Chi dice la gente che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti». Ma egli replicò: «E voi chi dite che io sia?» (NDR che è la domanda di questo pellegrinaggio). Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno. E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare. Gesù faceva questo discorso apertamente. Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. Ma
egli, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: «Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».
Questa è una sconfitta totale. Pietro ha un momento di gloria perché è l’unico che dice a Gesù “Tu sei il Cristo”, quasi che in quel momento riuscisse a capirne la verità. Poi, immediatamente dopo, però Pietro oppone resistenza all’annuncio della passione. Non vuole accettare un Dio che passerà attraverso la croce, attraverso il dolore. E, Gesù lo rimprovera aspramente perché gli dice "Questo è il modo di pensare di satana".
Credere in un Dio che sia una specie di idolo, che sempre ti protegge, risparmiandoti la via della croce, questo è il modo di pensare di satana. E’ nel Vangelo che si dice questo, capite. Penso non sia poco. Però se considerate anche questa seconda "scivolata" nella vita di Pietro, allora veramente possiamo riflettere insieme sul fatto che quest’uomo non si conosceva.
La professione di fede che Pietro fa dicendo “Tu sei il Cristo” non proviene assolutamente dalle sue capacità ma da un dono di Dio. Infatti Gesù gli dice: “Beato te, perché non te lo hanno rivelato nè sangue nè la carne” cioè "questo non è frutto della tua capacità o della tua intelligenza, ma di Dio stesso".
Tuttavia, emerge chiaramente, prima sul lago poi a Cesarea di Filippo, che Pietro ha qualche nodo da sciogliere, qualche verità nascosta nel profondo dell'anima che lui abilmente camuffa, ma che ogni tanto fa capolino e gli fa intuire qualcosa, una luce che gli illumina l'anima ma a cui lui non rivolge lo sguardo, a cui non dà peso. Pietro non raccoglie i segnali di crisi che l’esperienza con Gesù gli sta dando. Non li guarda, li rimuove, come se non esistessero. Perché altrimenti non sarebbe in grado di dire a Gesù “Io non ti rinnegherò mai”.
Uno che si ricorda che nei confronti di Gesù ha ragionato in modo demoniaco, che non ha avuto fiducia di Gesù sul lago, che si è preso dei rimproveri seri, non può riuscire a dire “con me metti la mano sul fuoco”, dovrebbe essere più cauto, più realistico, dovrebbe conoscersi meglio ed evidentemente anche più umile. Eppure non lo fa.
Dopo questi due episodi e dopo questa divergenza di lettura del modo in cui Gesù legge Pietro e del modo in cui Pietro legge se stesso, noi siamo in grado di capire un pò più in profondità il rinnegamento che è accaduto qua. Perché, secondo la versione di Marco, Pietro non rinnega Gesù e basta, egli fa un triplice rinnegamento: una volta contro Gesù, una volta contro i discepoli e una volta contro se stesso.
Il testo, ve lo leggo com'è nella traduzione italiana.
La prima volta la serva gli dice “tu eri con il nazareno” e lui, Pietro, risponde “Non capisco”. Cioè non capisco di essere con Gesù. La seconda volta la serva dice ai presenti “Costui (cioè Pietro) è di quelli" (cioè del gruppo, di quelli che seguono Gesù). Pietro nega. Nega cosa? Di essere in relazione con quelli, cioè nega la sua comunità, nega gli altri discepoli, nega il rapporto con i suoi fratelli. Terza volta: la serva che lo insegue, gli dice “Tu sei di quelli perché tu sei galileo” e Pietro dice “Non conosco quell’uomo di cui parlate”. La donna in questa terza affermazione, non fa accenno a Gesù, non gli sta parlando di Gesù, la serva gli dice "tu sei un Galileo" e Lui risponde "Io non conosco quell’uomo galileo di cui parlate".Cioè me stesso.
Pietro in questo momento fa saltare fuori tutte le sue complicazioni interiori, i problemi irrisolti, le ambiguità che negli anni di sequela del Maestro si era portato dentro, pur camuffandoli abilmente con la sua personalità esuberante. Nel momento della prova, in cui sta rischiando la sua vita, qui in questo stesso posto, su questa terra, al momento cruciale, viene fuori la verità di Pietro che non conosceva veramente se stesso e che infatti dice ”Io non mi conosco. Quel galileo di cui tu parli, non so nemmeno chi è”.
Questo triplice rinnegamento è molto interessante e nonostante tutto bello perché discopre una verità di fondo della vita cristiana. Che se uno non conosce Gesù non conosce neanche se stesso. Per noi credenti, è così. Nella nostra fede noi siamo creati figli nel figlio Gesù, Cristo è la nostra immagine. Più si approfondisce il legame con Cristo, più si approfondisce chi noi siamo veramente, come uomini, come donne, come persone. E se un credente non approfondisce questo legame con Cristo, non approfondisce nemmeno la vera conoscenza di sè. Uno non arriva a capire chi è veramente, se non comprende chi è il Signore. Perché è guardando il Signore ed il suo modo di essere persona che noi rileggiamo chi siamo veramente.
Ora, qual è l’esito di questo triplice rinnegamento? Perché se noi ci fermassimo qui, dovremmo associare questo luogo semplicemente ed amaramente ad un momento di sconfitta, ad uno di quei momenti in cui ci siamo ritrovati delusi di noi stessi.. Anche a noi è successo nella vita di abbandonare il Signore o che da noi siano emerse cose che tenevamo accuratamente nascoste e che poi la vita, che non smentisce mai, ha fatto affiorare.
Se ci limitassimo a questo, questo posto spiritualmente non potrebbe che continuamente evocarci un senso di amarezza. In realtà, qui è avvenuto qualcosa di straordinario perché il pianto di Pietro, secondo la versione di Luca, è stato causato da un gesto di Gesù.
Quindi non è stato causato semplicemente dalla constatazione di Pietro, del suo fallimento e della verità su se stesso che non
corrispondeva al suo ideale. Perché questo è accaduto in Pietro. Lui si è visto com'era in realtà e non come l’ideale che si era fatto di sé. Questo percorso non è solo per i giovani. Trovo tanti adulti che quando faccio questi ragionamenti, mi dicono: “Questi sono ragionamenti che si fanno ai giovani, poi uno cresce”.
Uno cresce se sa crescere, se sa fare esperienza, se sa fare tesoro delle esperienze vissute e meditarle, ma se non lo fa non é detto che cresca. Non si cresce perché si passa dai quaranta ai cinquanta anni, non è automatico. Si cresce se si "masticano" le cose.
Allora, Pietro si scontra con se stesso, quello che era il suo ideale non corrisponde al reale. E tutto potrebbe finire così, semplicemente con questa amarezza di Pietro. In realtà, secondo la versione di Luca, dopo il rinnegamento di Pietro, accade questo episodio:
“In quell’istante mentre ancora parlava un gallo cantò, allora il Signore voltatosi guardò Pietro e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto e, uscito all’aperto, pianse amaramente”.
Luca è l’unico che riporta questa scena di un ulteriore incontro tra Pietro e Gesù, avvenuto nel cortile. Di questo incrocio di sguardi.
In tutti e quattro i vangeli quando Gesù incrocia lo sguardo con qualcuno non è mai un rimprovero, ma è sempre uno sguardo d’amore. Quindi noi non possiamo dire che quello sguardo sia stato uno sguardo che dica: “Hai visto, che te lo avevo detto...?.
No, quello sguardo, come tutti gli altri sguardi di Gesù, rinnova l’amore nei confronti di Pietro. E questo è perfettamente nella logica di Gesù perché Egli aveva già capito chi era Pietro e nonostante questo gli aveva detto “Su di te fonderò la mia Chiesa”. Il rinnegamento di Pietro per Gesù non è stato un fulmine a ciel sereno, per Pietro forse sì, per Gesù no. Nonostante egli lo rinneghi, Gesù lo guarda e in quel momento per lui ricomincia un’esistenza nuova.
Sulla scia di meditazioni e di insegnamenti del Cardinale Martini a me piace identificare questo luogo come il luogo in cui Pietro ha avuto una seconda chiamata. Qualche volta con gli adulti in questi anni abbiamo parlato del tema della seconda chiamata, parlando della figura di Mosè. La seconda chiamata corrisponde a quel momento della vita in cui una persona si rimette in gioco sulla sua esistenza, in modo diverso, più purificato, più pulito, e più umile.
A generare la seconda chiamata può essere un episodio traumatico, il sopraggiungere di una malattia, la perdita di un famigliare, una grande sconfitta professionale. Oppure, può essere, ma è più raro, la presa di coscienza progressiva di chi noi siamo veramente. Sta di fatto che l’esito di una seconda chiamata, cioè quello che succede quando una persona sperimenta questa seconda chiamata, come Pietro, è che si prende coscienza delle proprie fragilità ma anche della
propria verità di fronte a Dio.
Quindi finisce tutta la storia in cui uno cerca di nascondere quello che veramente è, facciata, apparenza, immagine. A un certo punto queste cose crollano tutte e viene fuori una verità della persona che, se è fatta di fronte a Dio, è una verità che mette in pace. Fa stare in pace perché uno scopre tutte le sue fragilità ma scopre anche che Dio non lo ha abbandonato.
Un altro esito di questa seconda chiamata è che scoprendo le nostre fragilità si impara a realizzare molte cose della vita che credeva importanti e soprattutto a non giudicare più gli altri alla luce di una nuova maturità. Uno degli esiti della seconda chiamata è che si diventa più clementi, si è più in grado di capire gli altri.
Il terzo e definitivo esito è che si comprende che Dio rimane pur sempre misterioso. Nella prima fase della chiamata si crede di poter essere in grado di riconoscere Dio, immaginandoselo anche come uno che ci protegge sempre e non ci fa accadere niente di male.
Quando accade una seconda chiamata che potrebbe essere motivata appunto da una grande stagione di sofferenza, allora si capisce che Dio diventa sempre più misterioso e che la nostra conoscenza di lui deve andare avanti lentamente, cautamente e che vi si arriva, ma ci vuole tutta una vita per poterla definire.
Penso che tanti di voi questa seconda chiamata l’abbiano già forse sperimentata. Dio gliel’ha già donata ed è iniziata una stagione in cui queste tre cose ci sono tutte. Sia un rapporto con Dio più cauto perché uno capisce che Dio è mistero. Sia un rapporto con gli altri più pacifico e più umile perché una persona sa relativizzare molte cose. E sia una conoscenza di sé più vera perché si è toccato a fondo tutte le proprie fragilità.
Forse in questo tempo di silenzio che abbiamo, ogn’uno può pensare alla sua. La mia è stata venire tra voi. Il Signore mi concede la mente abbastanza lucida per capirlo, nel senso che sono veramente convinto che la seconda chiamata sia stata andar via dalla mia diocesi per venire con voi.
La perdita di persone care per alcuni di voi, le malattie di altri sono tutte cose che assomigliano molto da vicino a quel momento in cui Pietro ha preso coscienza di chi era veramente. Perché una seria malattia ti ridimensiona, la perdita di una persona veramente cara non è mai naturale. La natura è una cosa che ci dà Dio e ce la dà per la vita. Può definirsi naturale, detto da una persona che guarda dall’esterno, ma chi la vive dall’interno lo dice a se stesso per mettersi in pace con la sofferenza che prova, ma poi sente che quella morte cambia molte cose anche se se l'aspettava. Ad esempio smette di essere figlio in un certo modo.
Se muore un papà o una mamma, uno smette di essere figlio in un certo modo, cambiano dei connotati nella vita e cambia anche il modo di guardare Dio. L’ultima volta che sono stato a trovare il Cardinale (Carlo Maria Martini) ho visto che ormai fa una grandissima fatica a parlare, a comunicare, a muoversi. È fermo. Però lui sostiene che questa è la sua seconda vera chiamata perché è nella fragilità totale, nell'abbandono totale che c'è anche una conoscenza molto misteriosa di Dio. Lui (il Cardinale) ha l'abitudine di regalare libri a chi va da lui. Me ne ha fatto dono di uno. E poi, con grande lentezza è riuscito a scrivere una riga che è un pò la sintesi del punto a cui è arrivato.
Ha scritto: “DIO E’ PIU’ GRANDE DI OGNI MIO PENSIERO” che detto da un uomo che ha masticato cose di Dio per ottantacinque anni, che è rimasto immerso nella Parola continuamente, fa capire che è giunto in questa fase della seconda chiamata in cui ci si accorge che Dio è un Mistero totale al quale puoi solo abbandonarti.
Io penso che Pietro quel giorno abbia cominciato a masticare tutte queste cose. A farle sue. In effetti il Pietro che vive negli Atti degli Apostoli è molto diverso dal Pietro di prima del rinnegamento. E’ umanamente e antropologicamente molto diverso. Quando parla, parla soltanto perché c’è lo Spirito che opera in lui. Se no è uno che tende quasi a sparire, che fa respirare una certa umiltà di fondo, che non è remissività, ma deriva dal fatto che ha scoperto ciò che dicevamo oggi. Allora questo luogo (San Pietro in Gallicantu) forse è il luogo in cui far risuonare queste cose.
Alla luce della seconda chiamata domandarsi, "ma io chi sono diventato, che uomo/donna sono? Verso dove mi ha condotto il Signore e attraverso quali episodi, anche traumatici, mi ha portato a ciò che adesso io sono?".
- Salmo 130
Dal profondo a te grido, o Signore; Signore, ascolta la mia voce. Siamo i tuoi orecchi attenti alla voce della mia preghiera. Se consideri le colpe, Signore, Signore, chi potrà sussistere? Ma presso di te è il perdono: e avremo il tuo timore. Io spero nel Signore, l’anima mia spera nella sua parola. L’anima mia attende il Signore più che nelle sentinelle l’aurora. Israele attenda il Signore, perché presso il Signore è la misericordia e grande presso di lui la redenzione. Egli redimerà Israele da tutte le sue colpe.
- Pietra dell’Ascensione
Arriviamo in cima al Monte degli Ulivi, in zona araba/musulmana, all’interno di una proprietà destinata a moschea. Al centro dell’area è situata una costruzione, a forma di piccola cappella, che conserva all’interno una pietra dalla quale la tradizione cristiana dice essere avvenuta Ascensione al cielo di Gesù. L’identificazione di questo luogo deriva da un testo del Nuovo Testamento che dice che al momento dell’Ascensione gli Apostoli si trovavano sul Monte degli Ulivi a distanza da Gerusalemme quanto il cammino permesso di sabato.
Secondo i calcoli che hanno fatto i rabbini dell’epoca, il cammino permesso di sabato era 1900 metri poco più di 1900 passi dall’uscita della città, passando dalla porta d’Oro di Gerusalemme. Ovviamente qui è identificata la zona non la certezza del luogo. Una zona venerata nel primo secolo come luogo dell’Ascensione, in una forma anche eccessiva.
Nel quarto secolo in questo spazio fu edificata una basilica molto importante che era chiamata Basilica della Vetta. Fu una delle Basiliche volute dalla madre di Costantino, Sant’Elena.
Questa basilica fu distrutta dai Persiani. I Crociati riconquistando Gerusalemme edificarono una nuova Basilica su questo spazio che aveva un perimetro ottagonale. Le mura della basilica crociata sono ancora visibili oggi essendo le mura di questo spazio. All’interno della Basilica la Pietra era conservata da una cappelletta ottagonale aperta, con otto colonne, che fu murata tra colonna e colonna e coperta da una volta dai Musulmani che distrussero la Basilica crociata.
- Chiesa del Pater Noster
Scendiamo di alcune centinaia di metri ed entriamo in una proprietà francese fin dalla fine del’800.
Don Umberto
In questo luogo Sant’Elena fece edificare un’altra Basilica Bizantina dal nome Eleona che in greco significa "uliveto" e che fu collegata più di ogni altra allo spazio del Monte degli Ulivi. Dopo i Bizantini la chiesa fu distrutta ed il perimetro è ancora oggi visibile.
Gesù si ritirava molto spesso sul Monte degli Ulivi con i suoi discepoli per istruirli sulla vita spirituale. Esistevano alcune grotte di riferimento. La visita che compiamo è in una grotta che si trova sotto lo spazio presbiterale, che la tradizione cristiana identifica come una di quelle in cui Gesù veniva, perché nel primo secolo vi sono stati trovati dei graffiti.
Siccome Gesù viveva qui con i suoi discepoli un momento di grande intimità, allora i cristiani si sono chiesti, cosa avrebbe potuto insegnare? La risposta è la preghiera per
eccellenza, il Padre Nostro.
Anche questo luogo è comunque da considerare luogo della tradizione e non si ha certezza storico archeologica del sito.
In considerazione del fatto che la tradizione cristiana venerava già dai primi secoli questi luoghi, i crociati dopo aver riconquistato Gerusalemme nell’undicesimo secolo, sulle ceneri della Basilica Bizantina costruirono una nuova chiesa chiamandola del Pater Noster.
I grandi insegnamenti di Gesù ed il discorso della Montagna sono stati fatti sul lago di Tiberiade, però la tradizione cristiana identifica qui l’insegnamento del Padre Nostro. Ecco perché tutto il perimetro è ricoperto da varie lapidi con la preghiera del Padre Nostro scritto in tutte le lingue del mondo, per sottolineare che questa è una preghiera universale. Ce ne sono due in particolare con le scritte in ebraico ed aramaico, quest’ultima la lingua di Gesù.
- Zona Sepolcrale - Dominus Flebit
Scendiamo una ripidissima strada asfaltata che dalla cima conduce alle pendici del Monte degli Ulivi passando di fianco al cimitero ebraico ed al Romitaggio. Ci fermiamo a circa metà discesa.
Don Umberto
La tradizione cristiana colloca in questo luogo la scena biblica di Gesù che piange guardando la città di Gerusalemme che non ha riconosciuto il tempo in cui è stata visitata, non ha colto l’occasione del passaggio del Signore nella sua vita.
Questa è da sempre zona sepolcrale già dai tempi prima di Gesù. Ci sono reperti sepolcrali del IV secolo A.C.. Sono state scoperte tombe e sarcofagi di cui uno la tradizione dice appartenere al sommo sacerdote Anna che era insieme a Caifa quando ci fu il processo di Gesù.
Necropoli in passato ed ancor oggi cimitero, la zona è questa perché legata ad una
profezia del profeta Gioele. Vale a dire IV secolo A.C.
Gioele dice: “...quando il Signore radunerà in Gerusalemme tutte le genti le giudicherà nella valle del Cedron…”.
Per gli ebrei la valle del Cedron è il luogo in cui avverrà il giudizio universale ed anche gli islamici hanno raccolto dall’Antico Testamento questa profezia. Pertanto essere sepolti qui significa avere subito il giudizio di Dio.
E’ per questo che un Emiro nel tredicesimo secolo ha fatto murare una porta di ingresso a Gerusalemme che si trova proprio di fronte al cimitero-necropoli. Ora ci sono due archi murati. Era la porta d’Oro di ingresso principale alla città di Gerusalemme. Sicuramente quella che Gesù ha varcato scendendo dal Monte degli Ulivi.
Siccome la fede islamica legata ai detti di Maometto immagina che al momento del giudizio universale tutte le persone che saranno giudicate saranno fatte passare attraverso quella porta per essere portate sulle Spianate, dove una volta c’era il Tempio e poi pesate-giudicate, allora l’Emiro le fece murare perché solo nel giorno del giudizio universale saranno smurate per far passare le anime.
Un’ultima annotazione. La ragione per cui sulle tombe ebraiche si trovano sassi e pietre è perché la pietra è resistente e dura, così come la memoria del defunto. Una resistenza che manca ad esempio ai fiori recisi che sono invece il simbolo della vita che finisce in breve tempo.
- Orto degli Ulivi - Basilica dell’Agonia
In fondo alla strada si arriva all’Orto degli Ulivi. Un luogo dove sono conservati ulivi millenari che la tradizione cristiana ha immaginato come già presenti all’epoca di Gesù, non ovviamente il pollone che cambia nel tempo, ma le radici degli ulivi.
E’ un piccolo quadrilatero cintato a fianco della Basilica così detta dell’Agonia, che ha la particolarità di tetti ondulati con una facciata a mosaico che rappresenta Gesù in
preghiera nel monte degli ulivi, nel Getsemani.
Appena sopra la Basilica passiamo di fianco al Romitaggio nel quale domenica sera ci recheremo per un mistico momento di preghiera e riflessione.
Don Umberto
Tutta quest’area si chiama Getsemani (luogo in cui si trova il frantoio che pesta le olive), che richiama l’idea di Gesù che viene spremuto dalla sua missione e che produce l’olio. Nella Bibbia questo ha un significato molto importante che indica letizia e pace.
Padre Marko Rubnick ha recuperato quest’immagine nei mosaici del corridoio che conduce alla cripta della chiesa di San Giovanni Rotondo. In uno di questi è rappresentato Gesù in preghiera nei Getsemani schiacciato tra due pietre.
Dentro la Basilica dell’Agonia, che è sempre in penombra, c’è una grande pietra quadrata che la tradizione identifica quale pietra sulla quale Gesù pregò sudando sangue. Quell’identificazione è data da un passaggio evangelico che dice che Gesù stava in una grotta con i suoi discepoli e si allontanò da loro quanto un tiro di sasso.
Questa grotta, detta dell’Arresto, si trova più in basso, ad un centinaio di metri dalla Basilica. Che fosse quella la grotta dove Gesù si raccoglieva spesso a pregare con i suoi Apostoli lo si deduce da mosaici e graffiti antichissimi. Questo è uno spazio certo della presenza di Gesù. Quando i primi cristiani si radunavano in preghiera si trovavano in due punti: in questa grotta e nella zona attorno alla pietra.
Proprio lì Gesù fu tradito perché il Vangelo di Giovanni dice che Giuda portò le guardie perché conosceva bene quel luogo dove Gesù si ritirava.
In effetti la Grotta si trova appena fuori, poco distante dalla porta di ingresso della Città, detta dei Leoni, proprio alla base del Monte degli Ulivi.
Accanto alla Grotta si trova la Basilica Ortodossa della tomba di Maria che ha la caratteristica di un ingresso e poi una lunga scalinata in discesa che porta a destra all’Edicola della tomba di Maria.
- Ingresso nella città Vecchia dalla Porta dei Leoni – Chiesa Crociata - Piscine di Betesda o delle Pecore
Dal Monte degli Ulivi saliamo e attraversiamo la porta dei Leoni. Chiamata così per i leoni scolpiti sopra per esorcizzare un sogno di un emiro in cui egli veniva sbranato dai leoni.
Appena oltre c’è un edificio con la scritta "Luogo di nascita della Vergine Maria". E’ un edificio tenuto dagli ortodossi i quali fanno riferimento ai Vangeli apocrifi. Questi ultimi raccontano che nei primi anni della sua infanzia Maria aveva servito al Tempio di Gerusalemme, consacrandosi al Signore. Tempio che si trovava proprio a poca distanza da questa zona, oggi spianata delle Moschee, ove logicamente doveva trovarsi l’abitazione della bambina Maria. Ecco perché i Vangeli apocrifi individuano in questa zona la casa dei genitori di Maria (Gioacchino ed Anna) e la casa della nascita di Maria Vergine.
Per questa tradizione fu costruita prima una chiesa Bizantina e poi una Crociata, la chiesa di Sant’Anna. Questa chiesa crociata l’unica in tutta Gerusalemme a non essere stata distrutta, è arrivata fino ai nostri giorni.
Ha la caratteristica di avere un'ottima acustica, prodigio della tecnica dell’epoca crociata.
I Musulmani la trasformarono in Moschea e poi in scuola coranica, come si può notare dalle scritte arabe sulla facciata.
I Vangeli apocrifi dicono che Maria si portò a Nazaret nella sua adolescenza, perché Nazaret prende il nome da Nezer che vuol dire germoglio, gruppo di affiliati che aspettava il Messia. Questi clan erano sia a Gerusalemme che in altre parti della Terra Santa, tra cui a Nazaret.
Ai tempi di Gesù oltre alla casa di Maria c’era un grande bacino per contenere l’acqua piovana, la Piscina di Betesda con cinque portici. Qui è dove Gesù ha guarito il paralitico.
Quest’acqua serviva per essere portata al tempio per i riti di abluzione e per rifornire i soldati stanziati nella fortezza Antonia. Sulla piscina fecero una grande costruzione prima i Bizantini e poi i crociati.
Gesù nella piscina di Siloe, dall’altra parte della città, guarisce un cieco e qui, in quella di Betesda, guarisce un paralitico.
Nel libro del Levitico c’è una regola imposta dal re Davide che dice che nell’area del Tempio non potranno entrare né paralitici né i ciechi, questo perché quando Davide conquistò i Gerusalemme, i Gebusei che erano all’interno, per beffeggiare il conquistatore dissero che bastavano i loro ciechi e storpi per vincere l’esercito di Davide.
Quando Davide conquistò la città disse dunque “mai più ciechi e stolti entreranno nella mia casa e nella casa del Signore”.
Da un punto di vista teologico Gesù guarendo un cieco e un paralitico sta insegnando che non ci sono leggi che possono impedire l’incontro con Dio se la persona vuole liberamente incontrare il Signore.
- La Via Dolorosa –
Cappella della Flagellazione e Cappella della Condanna: da qui parte la Via Crucis perché tutta questa zona al tempo di Gesù era occupata dalla fortezza Antonia, fino al punto ove ora c’è l’arco che attraversa la strada della Via Dolorosa.
La Fortezza dunque occupava l’angolo nord ovest del Tempio ed era il luogo ove viveva Pilato. Per questo si è quasi certi che da qui partì la via dolorosa, perché dopo la flagellazione, Gesù fu caricato della croce. I reperti sono pietre molto antiche, che fanno parte del cortile della Fortezza Antonia, chiamato Litostroto, che ora si possono ammirare nella basilica dell’Ecce Homo, scendendo di cinque-sei metri dal livello strada.
In tale cortile si sono trovate delle incisioni che raffiguravano dei giochi che i soldati romani facevano sul terreno. Uno di questi era "il gioco del re". Veniva fatto con i condannati a morte per prenderli in giro. Sulle pietre sono incise le lettere B S L (Basileus, re in greco) ed anche i simboli della regalità.
Il gioco consisteva nel fare saltellare il condannato ironizzando sulla sua situazione e prenderlo in giro. Pertanto la corona di spine e la tunica rossa fatte indossare a Gesù erano strumenti di una macabra scena di presa in giro dei condannati da parte dei soldati romani.
- La Basilica del Santo Sepolcro
Duemila anni fa la zona si trovava fuori le mura della città, utilizzata come discarica di pietre e terra, ove spuntavano rocce, che potevano raggiungere anche l'altezza di 3 o 4 metri, alternate a terrapieni. Su queste rocce, i romani eseguivano le esecuzioni capitali attraverso le crocifissioni.
La crocefissione di Gesù non fu dunque su un monte ma su uno spuntone di roccia. Calvario era tutto l’insieme di questa zona e non un monte. Il Vangelo non parla di monte o colle ma solo di luogo.
Nel primo secolo questa zona, che non era ancora utilizzata, venne acquistata da alcuni abitanti di Gerusalemme per farne una zona sepolcrale. Per non contaminarsi, i sepolcri erano collocati infatti esternamente alla città.
Giuseppe D’Arimatea aveva nelle sue disponibilità un sepolcro in questa zona. Pertanto la distanza che c’è tra la roccia-spuntone ove era collocato il Calvario e il Sepolcro, che fu dato per la sepoltura del corpo di Gesù, non è superiore a 40 /50 metri.
Nel terzo secolo Sant’Elena identificò questo luogo santo grazie al fatto che Adriano l’aveva coperto di templi pagani (così come gli altri luoghi santi). La breve distanza tra Calvario e Sepolcro permise già all’epoca di edificare un’unica costruzione che inglobasse tutto. Sotto Costantino fu costruita la Basilica la cui facciata dava sul Cardo Massimo romano, oggi il suk della città, mentre l’ingresso attuale era una parete laterale della Basilica. Alcune arcate della storica Basilica di Costantino si trovano ancor oggi all’interno delle proprietà dei russi, accanto al Santo Sepolcro.
Il Calvario si trovava all’aperto, all’interno ed in un angolo del cortile della Basilica. Dopo c'era una piccola basilica circolare che inglobava la tomba venerata già dai primi cristiani. Dopo il cortile iniziava la grande basilica che si affacciava sul Cardo Massimo per contenere i fedeli per le celebrazioni.
Dunque, in origine, la basilica dell’epoca di Costantino non inglobava all’interno né l’Edicola né il Calvario.
Oggi è tutto diverso perché i persiani distrussero la Basilica originale, mentre gli Arabi che vennero dopo conservarono tutta la zona del Calvario e l’Edicola del Santo Sepolcro, permettendo ai cristiani l’ingresso a quest'ultimo.
A partire dal nono-decimo secolo, gli Arabi per dare un segno decisivo della loro supremazia sul luogo, murarono una delle due porte di ingresso. Nel 900 D.C., il califfo Akim molto duro con i cristiani e preso spesso da raptus d’ira mandò a fuoco tutta questa zona. Bruciò l’Edicola del Santo Sepolcro, la tomba venne danneggiata e così pure la zona del Calvario. Questa distruzione provocò molto gli occidentali in Europa e fu uno dei motivi per l’avvio delle Crociate.
I Crociati costruirono un’unica grande Basilica, la struttura odierna,
con l’attuale ingresso, con il coro dei monaci posto in mezzo alla Basilica, tra l’Edicola del Santo Sepolcro ed il Calvario. Prima lo spazio fu dei Benedettini, poi passò ai greci ortodossi.
- Descrizione del Calvario
Arriviamo nel cortile di accesso al Santo Sepolcro lasciando la Via Dolorosa dal Suk, passando da una scalinata che conduce ad un cortile sopra la spogliaa chiesa degli Etiopi.
Scendiamo dall’interno della Chiesa Etiope arrivando nell’ampio cortile, dinanzi all’ingresso della Basilica del Santo Sepolcro. A destra di essa si trova una scala con in cima una porta chiusa che un tempo conduceva direttamente al Calvario. Appena varcata la soglia della basilica ci si imbatte in una lastra di pietra. Di fronte, oltre la pietra, su una delle pareti che delimitano il Coro centrale, si possono ammirare i mosaici che raffigurano la Passione di Gesù.
Don Umberto
A destra una ripida scala di una decina di scalini conduce al Calvario. Sopra ci sono due altari: uno cattolico (altare della spogliazione delle vesti) e l’altro greco ortodosso (altare della morte e crocefissione). Rappresentano la 12° e 13° stazione della Via Crucis.
La pietra dell’Unzione, dinanzi all’ingresso, è molto venerata dagli ortodossi perché la tradizione immagina che su tale pietra fu deposto il corpo di Gesù per essere unto prima della sepoltura.
A 30 passi da qui a sinistra rispetto all’ingresso si trova l’Edicola del Santo Sepolcro, 14° stazione della Via Crucis. Dunque la distanza tra il Calvario e il Santo Sepolcro è di appena 40 metri circa. Questa è la realtà che moltissimi non immaginano. Così come non immaginano la confusione dei pellegrini durante il giorno.
Per stare in raccoglimento e preghiera al Santo Sepolcro è necessario venire all’alba. Diversamente le lunghe file e le attese sono una costante ma soprattutto non permettono di cogliere le emozioni che il luogo trasmette. Proprietari del Santo Sepolcro sono i cattolici latini, i greci ortodossi e gli armeni. “Inquilini” per così dire sono gli etiopi, i siriaci e i copti. All’interno ognuno ha il suo spazio ed il suo tempo ed orari di celebrazione regolati dallo status quo definito dai turchi nel 1854.
Il modo per stare nel Santo Sepolcro quando c’è confusione può essere quello di lasciarsi trasportare, di guardare le persone che pregano, di sostare. Sul Calvario c’è la roccia, ricoperta da una lastra di vetro, un piccolo altare e di sotto un vano che permette di toccare la roccia con le mani. L’entrata all’Edicola è regolata da un
monaco che dopo 10 secondi ti fa uscire.
E’ necessario lavorare molto di fantasia per ripensare a come era questo posto in origine perché la situazione attuale è quella ricostruita dopo l’incendio disposto dal sultano Akim. La lastra all’interno dell’Edicola è quella rimasta dopo la distruzione ed è l’unica parte corrispondente alla zona della sepoltura. Prima della lastra c’è un vano, ricostruito, ed oggi chiamato Cappella dell’Angelo, per richiamare l’Angelo che annuncia la resurrezione alle donne. In origine quando si varcava l’atrio c’erano vari loculi per le tombe.
Quello di Giuseppe D’Arimatea, che era un nobile, doveva avere parecchi loculi. Uno solo di questi loculi è stato conservato perché venerato già a partire dai primi cristiani.
- Il muro del Pianto
Dopo cena, andiamo in visita al Muro del Pianto passando per la porta del Letame. Passiamo i controlli della polizia ed entriamo in una “grande piazza”. A sinistra e di fronte ci sono dei palazzi ristrutturati. Siamo ovviamente nel quartiere ebraico. In fondo, di fronte a noi, la piazza declina verso il basso, verso il Muro del Pianto situato alla nostra destra.
Le pietre del Muro sono l’ultima testimonianza del Tempio. E’ un’imponente parete che sorregge da un lato la Spianata delle Moschee. Ancora una volta è strano come gli spazi anche qui siano ravvicinati e molto diversi dall’immaginazione che noi avevamo. Infatti solo una scala, una sorta di ponteggio di
legno, posta a fianco del Muro permette di raggiungere la Spianata che rappresenta uno degli ingressi esistenti. Sotto dunque gli ebrei e venti metri sopra i musulmani. C’è quindi contiguità tra il Centro spirituale-religioso degli ebrei e uno dei principali degli islamici. E’ veramente incredibile come l’uomo abbia voluto ad ogni costo avere una diversa visione di Dio ma è come se non riuscisse a distaccarsi dalla contiguità dei fratelli.
Ci avviciniamo con rispetto al Muro adattando il nostro comportamento alle leggi ebraiche: donne da una parte, uomini dall’altra, uomini con il copricapo, l’allontanamento dal Muro senza girargli le spalle.
I locali della Sinagoga situata accanto al Muro sono ancora illuminati ed aperti e si intravedono centinaia di Testi.
Don Umberto
Mi sono chiesto quali testi leggere e siccome non li abbiamo letti né al Getsemani né al Calvario, penso a quelli di Marco riferiti alla preghiera di Gesù al Getsemani e alla Sua Crocifissione e Morte.
Anzitutto la preghiera al Getsemani che è al capitolo 14 di Marco, versetti 32-42 e poi la crocifissione di Gesù a partire dalla sua condanna che si trova al capitolo 15, versetti 16- 39.
- Al Getsemani Mc 14,32-42
Giunsero intanto a un podere chiamato Getsemani, ed egli disse ai suoi discepoli: «Sedetevi qui, mentre io prego». Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. Gesù disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate». Poi, andato un pò innanzi, si gettò a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse da lui quell'ora. E diceva: «Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu». Tornato indietro, li trovò addormentati e disse a Pietro: «Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare un'ora sola? Vegliate e pregate per non entrare in tentazione; lo spirito è pronto, ma la carne è debole». Allontanatosi di nuovo, pregava dicendo le medesime parole. Ritornato li trovò addormentati, perché i loro occhi si erano appesantiti, e non sapevano che cosa rispondergli. Venne la terza volta e disse loro: «Dormite ormai e riposatevi! Basta, è venuta l'ora: ecco, il Figlio dell'uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori. Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino».
La corona di spine
Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la coorte. Lo rivestirono di porpora e, dopo aver intrecciato una corona di spine, gliela misero sul capo. Cominciarono poi a salutarlo: «Salve, re dei Giudei!». E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano a lui. Dopo averlo schernito, lo spogliarono della porpora e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo.
La via della croce
Allora costrinsero un tale che passava, un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e Rufo, a portare la croce.
Condussero dunque Gesù al luogo del Golgota, che significa luogo del cranio, e gli offrirono vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese.
La crocifissione
Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse quello che ciascuno dovesse prendere. Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. E l'iscrizione con il motivo della condanna diceva: Il re dei Giudei. Con lui crocifissero anche due ladroni, uno alla sua destra e uno alla sinistra.
Gesù in croce deriso e oltraggiato
I passanti lo insultavano e, scuotendo il capo, esclamavano: «Ehi, tu che distruggi il tempio e lo riedifichi in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce!». Ugualmente anche i sommi sacerdoti con gli scribi, facendosi beffe di lui, dicevano: «Ha salvato altri, non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d'Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo». E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano.
La morte di Gesù
Venuto mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Alle tre Gesù gridò con voce forte: Eloì, Eloì, lemà sabactàni?, che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Alcuni dei presenti, udito ciò, dicevano: «Ecco, chiama Elia!». Uno corse a inzuppare di aceto una spugna e, postala su una canna, gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a toglierlo dalla croce». Ma Gesù, dando un forte grido, spirò. Il velo del tempio si squarciò in due, dall'alto in basso. Allora il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo, disse: «Veramente quest'uomo era Figlio di Dio!».
Penso che per tanti di voi sia la prima volta che sentono proclamare questo Vangelo della Passione del Signore in modo più diretto ed evidente e lasciano risuonare nel proprio cuore con forza i luoghi della Passione che ci stanno di fronte.
Forse il lavoro più bello e più importante da fare sarebbe quello di stare qua in silenzio e di leggere continuamente questi testi guardando il Monte degli Ulivi, pensando al Signore e immaginando di essere li con Lui. La Passione è il momento in cui le incomprensioni tra Lui ed i discepoli diventano più chiare, più evidenti.
Noi stiamo facendo un cammino che è partito da Tiberiade, come gente che osserva dall’esterno Gesù e che sul lago ha cominciato ad interessarsi alla Sua persona perché si è accorto che le cose che Gesù fa sono vere, sono cose che hanno una qualità superiore rispetto alla normalità. Abbiamo deciso dunque di lasciarci attrarre da questa figura così forte, così rilevante. Abbiamo ricevuto da Gesù stesso una conferma sul monte Tabor che le scelte che si stanno facendo sono quelle giuste, sono quelle che vale la pena perseguire. E questa conferma è importante anche per il resto della nostra vita.
Poi, una volta giunti a Gerusalemme abbiamo cominciato a sentire, ad avvertire una discrepanza perché Gesù ha iniziato a parlare di servizio, di passione, di vita che si dona, di semplicità e noi invece che siamo tra questi Apostoli ci aspettavamo tutt’altro. Allora Gerusalemme ci ha rivelato nella figura di Pietro qualcosa che stava dentro di noi e che noi non avevamo ancora chiarito. Ci ha rivelato che forse su Dio abbiamo delle aspettative, delle attese, che non coincidono con la Sua verità.
Questa rivelazione ha portato anche qualcosa di molto straordinario e doloroso, cioè il fatto che sia emerso qualcosa di noi che noi non conoscevamo. In questo rapporto con Gesù che comincia ad essere difficoltoso, è venuta fuori una verità su noi stessi a lungo tenuta accuratamente nascosta, una dimensione della fede che avevamo rimosso, messa a tacere e che invece il Signore ha saputo tirare fuori, non per colpevolizzarci ma per darci una nuova possibilità.
Ci siamo fermati qui ieri quando contemplavamo Pietro e la sua seconda chiamata. Oggi nella Passione del Signore noi siamo di fronte a tutta la nostra fragilità nel seguire Gesù. Perché? Perché giustamente voi avete ascoltato i brani che vi ho letto e vi siete resi conto che una cosa colpisce del Signore e cioè la Sua solitudine. Gesù è totalmente solo nella Sua Passione.
Partiamo dai discepoli, perché noi siamo al posto dei discepoli. Allora, là nel Getsemani, Gesù ha chiesto ai discepoli di rimanere svegli, di vegliare con Lui, di pregare con Lui. E questi non sono minimamente capaci di farlo.
Ma, non solo. Gesù ha confidato loro tutta la Sua tristezza d essi tacciono, cioè i discepoli non pronunciano una parola in tutta la Passione.
C’è un uomo che ti sta molto a cuore, c’è un amico, un fratello, un maestro che ti sta dicendo: "Io sono triste fino a morire" ed essi non aprono bocca. C'è una totale incapacità di empatia affettiva anche solo umana che impressiona come se Lui fosse un estraneo, qualcuno che non si conosce.
Non è sufficiente dire che quando si è di fronte a certe sofferenze non si sa cosa dire. Va bene, a volte anche solo le parole dell’imbarazzo dicono che comunque ci sei.
Ma gli Apostoli non ci sono per niente. Non solo, ripeto, dormono, ma tacciono. Non solo tacciono tutti gli Apostoli, ma tacciono e dormono anche i tre che erano sul monte Tabor.
Allora, Pietro, Giacomo e Giovanni sono i tre che Gesù prese con se sul Monte Tabor. Sono gli stessi tre che porta con sè sulla roccia dell’Agonia, li allontana dalla grotta, li porta con sè sulla roccia dell’Agonia... perché? Perché pensa: "Questi che hanno ricevuto una conferma in più rispetto agli altri, questi che mi hanno visto nella mia dimensione di gloria, questi che hanno capito chi sono veramente, su questi posso contare...". No! Proprio su quelli non riesce a contare.
Io credo che la solitudine del Gesù della Passione sia disperante, è un’immagine fortissima che dice anche: "Se tu hai ricevuto delle esperienze spirituali profonde, paragonabili a quelle della Trasfigurazione,
guarda che non è assolutamente detto che tu non tradisca e non abbandoni il Signore...".
Il fatto che siano le stesse tre persone è per mettere in evidenza l’assoluta solitudine di Gesù e Gesù prova due tipi di sentimenti che sono la paura e l’angoscia. Quest’ultima, termine greco con cui si indica quel tipo di paura che ti paralizza e in cui non sai più che fare.
L’angoscia noi la intuiamo nell’inquietudine di Gesù che fa avanti indietro tre volte per andare a vedere se i suoi ci sono o stanno dormendo.
Io penso che qui la cosa più bella e più importante da fare è entrare nella coscienza di Gesù. Quella pagina di commento degli esercizi di Ignazio che vi ho dato sul Tabor.
Cioè entrate nello spirito di Gesù, di uno che è totalmente angosciato, come quando noi siamo inquieti ma no, questo stato d'animo non è minimamente paragonabile a quelòlo che prova Gesù. Ci spostiamo quasi da un luogo all’altro non sapendo a cosa far riferimento. Gesù ha provato tutto questo. Gesù ha sentito questa assoluta solitudine e questa angoscia che non deriva solo dalla paura di fronte all’eventualità della morte, ma dalla paura che tutto il suo lavoro al servizio del Regno fosse fallito.
Perché se tu muori solo come un cane, come è morto Gesù, non con i tuoi che ti circondano, che ti tengono la mano e ti accompagnano nel momento in cui spiri, ma assolutamente solo, tu dici: "Ma io per che cosa ho speso la mia vita?".
Quella angoscia nasce da questo pensiero e la tentazione di dire "Adesso dico NO e quindi non vado fino in fondo, mi fermo, torno dagli Apostoli e dico loro: andiamo via da Gerusalemme e leviamoci di torno perché qui diamo fastidio". La tentazione di far questo, capite, quanto è forte. Solo che se fai questo, come fai a dire ancora alla gente che tu sei fedele al Padre e che importante è fidarsi di Dio. Dopo che salvi te stesso, come vai a spiegare che non hai salvato tanti altri?. Se nel momento cruciale ti fai i fatti tuoi come fai a dire che sei al servizio ddegli altri?.
Proviamo ad entrare nella coscienza di Gesù. Non vi sto dicendo questo perché ognuno di voi faccia l’esame di coscienza su sè, avete capito che al momento non è questo l'importante. Qua in Terra Santa è importante entrare nella persona di Gesù Cristo.
Di fronte ad un tale avvenimento, si prova un’angoscia terribile e Gesù va incontro alla morte con quest’angoscia, con questa paura, con questa inquietudine profonda nel cuore.
L’Evangelista Marco, che volutamente ho letto, è quello che presenta Gesù con questa maggiore umanità. Abbiamo volutamente letto quasi sempre Marco in questo percorso. Luca scrive diversamente perché ad esempio non dice che Gesù si prostra a terra a pregare. Cioè come totalmente schiacciato. Dice che Gesù si inginocchia,
quasi un gesto liturgico. Se leggete la passione di Luca è quasi liturgica, Gesù si inginocchia, c’è quasi una dignità in quello che fa. In Marco non c’è dignità, c’è veramente disperazione.
Gesù va incontro alla morte in modo dignitoso? No io non avrei molto timore a dire che non va incontro alla morte in modo dignitoso. Ha molta paura di quello che sta succedendo. Suda sangue perché ha il terrore di quello che sta accadendo. Però, dico anche questo: poichè Gesù è morto così, la sua morte redime la morte di tutti.
Se Gesù fosse morto come un super eroe oppure fosse morto non nella sofferenza e non attraverso al Croce, la Sua morte non avrebbe redento la morte di coloro che muoiono come dei disperati, che muoiono soffrendo. Quindi della croce c’era assoluta necessità, come pure della sua disperazione perché tutti quelli che muoiono così, e potremmo un giorno essere noi, trovano Gesù come loro compagno di viaggio. Non fosse morto così non l’avrebbero vicino.
Quando diciamo Redenzione della morte di ogni uomo, diciamo questa cosa, e guardate che è per questo che Marco mette in bocca al centurione “Questo qui era veramente figlio di Dio” perché solo il figlio di Dio può morire così, perché avrebbe potuto fare tutto, non lo fa, muore urlando capite, “emesso un alto grido spirò”. Non è un grido di dolore; primo perché chi muore sulla croce non muore di dolore ma di soffocamento. E’ un grido di disperazione. Il nostro Dio è morto così. Ma siccome è morto così, ciascuno di noi lo può guardare.
E anzi siccome è morto così, Dio lo l’ha resuscitato. La Resurrezione, sulla quale i Vangeli spendono pochissime parole è la conseguenza di questo modo di morire, perché solo morendo così Gesù è stato vicino ad ogni uomo secondo il disegno del Padre. Non fosse morto così ma fosse morto di morte naturale tranquilla, fosse morto come un eroe, fosse morto come Socrate... che senso avrebbe'
Faccio un esempio. A volte nella tradizione cristiana si sono fatti i paragoni tra come morì Socrate e come morì Gesù. Perché alcuni, magari non credenti, magari dettati dal desiderio di ridimensionare la figura di Gesù, dicono "Beh, anche Socrate va incontro alla morte". No, Socrate va incontro alla morte come verso una sorta di liberazione. Per Gesù è una sconfitta. Socrate muore circondato dai suoi discepoli, Gesù muore solo come un cane.
Non c’è paragone tra la morte di Gesù e la morte di Socrate: Socrate muore come un eroe che mentre muore afferma la sua vittoria sulla morte e perché? Perché muore dignitosamente, eroicamente. Gesù non muore dignitosamente, non muore eroicamente e sembra che la morte l’abbia vinta su di Lui.
Ma io dico che questa è la condizione della stragrande maggioranza dell’umanità che ha bisogno di essere
salvata. E siccome muore così, realizza il disegno del Padre e il Padre lo fa risorgere. Perché la Resurrezione è l’azione di Dio sul Suo Figlio Gesù morto, per portarlo alla Resurrezione. Per me, di questa cosa, di questa solitudine di Gesù che è abbandonato dagli Apostoli, non ci si può mai stancare di farne motivo di contemplazione, mai.
Non si parla minimamente di Maria. Consideriamo i Sinottici. Su Giovanni dovremmo impegnarci molto, magari qualche giorno li faremo, l’unico che parla di Maria sotto la croce è l’Evangelista Giovanni. C’è una rielaborazione teologica di una serie di cose.
Tranquilli, prima di dire non è vero, la sua Mamma era lì con lui, calma. L’Apostolo Giovanni era lì, calma. Dico questo perché tre Sinottici non fanno minimamente menzione di questo e i Sinottici sono i più fedeli racconti, storicamente, della vita di Gesù.
Dire che Giovanni intendesse in quel momento che la Chiesa si fa contemplativa, rispetto alla Croce di Gesù, è un insulto? Dire che forse lui non voleva mettere a fuoco precisamente l’episodio storico, ma rielaborare una teologia, è un insulto? Non credo.
Consideriamo i testi Sinottici: c’è la solitudine di Gesù. Eppoi la solitudine evidente di fronte a tutti i passanti, gli scribi, i farisei, i giudei e ciascuno lo insulta. E’ interessante che coloro che lo insultano e che quindi lo hanno lasciato solo, dimostrano che questa solitudine è frutto del fatto di non aver capito la scelta di Gesù.
Perché gli dicono: "Perché non salvi te stesso?". Cioè questa frase del Giudeo che interpella Gesù con questa domanda, è la parola di chi non ha capito il messaggio del Maestro. Ma non l’ha capito neanche prima, ha già lasciato prima il Signore da solo.
Perché se tu hai capito come il Signore ha vissuto fino ad allora, non puoi arrivargli a dire: "Perché non salvi te stesso?". Perché se avesse salvato se stesso, quest’Uomo avrebbe falsificato, reso inutile e vanificato tutto quello fatto prima.
Ed è così grande questa solitudine che anche il Padre tace, anche Dio tace. Perché in questo modo sono redenti anche quelli che quando muoiono non sentono Dio.
Allora, immaginiamo una scena diversa. Immaginiamo che mentre muore "Perché mi hai abbandonato...?" si aprirono i cieli come per il Battesimo e si udì una voce dal cielo: "Non ti ho abbandonato e non ti abbandonerò mai, tu sarai sempre con me...". Un bel lieto fine.
E tutti quelli che questa cosa non la sentono quando crepano (scusate), che fine fanno? Sono redenti o non sono redenti dal Signore? Invece il Padre non parla, ma è in questo modo che il Figlio porta a compimento la missione, quello che il Padre fa, lo fa quando il Figlio ha bevuto il calice fino alla fine. Perché ogni uomo possa anche lui fidarsi nel bere il suo calice fino alla fine.
Allora noi possiamo affermare per certo che il Padre non ha abbandonato il Figlio e la Resurrezione è la parola di non abbandono, pur se in quel momento il Padre non ha parlato.
Gesù arriva a dire “Nelle tue mani affido il mio Spirito”. Ci arriva Lui, come sua donazione, ma non perché in quel momento ha dal
Padre una conferma. Ci arriva perché va fino in fondo. Perché nelle mani del Padre ha affidato il suo Spirito sempre, perché è stato Figlio fino alla fine. Non ha smesso di essere Figlio.
Allora in mezzo alla tanta confusione di oggi, Dio ci conceda questo tempo e anche un po’ di tempo domani sera perché queste cose ci risuonino dentro, contemplando il Signore che decide di morire così, che redime quindi la nostra vita e la nostra morte, perché se tu salvi la morte di una persona, in fondo ne salvi anche la vita.
La solitudine di Dio Padre, il Padre che sembra tacere, è il contenuto di una breve riflessione-meditazione, che qualche anno fa, proprio in questi luoghi, fece il Cardinale Carlo Maria Martini, poi la cosa è stata raccolta e pubblicata sotto forma di esercizi. Io l’ho fotocopiata ed adesso la leggiamo insieme.
Il Padre sembra tacere
“ Ci sono tuttavia momenti nei quali Dio sembra tacere. Nei Vangeli il momento più drammatico in cui si vedono le conseguenze del silenzio di Dio è rappresentato plasticamente nell’episodio dei Getsemani che corrisponde specularmente a quello della Trasfigurazione. Come ho sottolineato all’inizio degli esercizi, noi facciamo meno fatica a contemplare il santo tanto volto dolente e sofferente di Gesù che il volto luminoso sul Tabor . La sofferenza infatti è un’esperienza più congeniale a noi, più vicina alla quotidianità.
Lascio a voi di leggere l’episodio del Getsemani Marco 14, 32-40.
Insieme vogliamo contemplare innanzi tutto i sentimenti negativi di Gesù:” Prese con se Pietro Giacomo e Giovanni, i tre discepoli della Trasfigurazione, e cominciò a sentire paure e angoscia”. E’ una descrizione terribile. Il Figlio di Dio sperimenta la paura, la paura che avevano provato i discepoli entrando nella nube. Qui la paura è assai più dolorosa, drammatica e dirompente, perché carica di angoscia. Mentre la paura nasce dalla prospettiva di un male imminente e inevitabile l’angoscia è la ristrettezza del respiro propria di chi ha la percezione di una tragedia da cui non sa come uscire. Manca il respiro, si è come stritolati dagli eventi. Gesù vive questi sentimenti e le sue parole, durissime, ci stupiscono e ci smarriscono. Disse loro: “la mia anima è triste fino alla morte”. Mi stupisco sempre DI QUESTO “fino alla morte”, cioè fino ad essere schiacciato dalla tristezza. Immaginiamo allora il volto di Gesù, che nella Trasfigurazione era luminoso come il sole e qui appare triste, sconsolato, tremante. E’ il volto di un uomo che sperimenta una terribile desolazione. E il Padre non parla, tace, non interviene a rassicurarlo, a confortarlo. Gesù invece prostrato a terra si rivolge quasi disperatamente a Dio, cerca il colloquio con Lui ripetendo a lungo, forse per
un’ora o due, la parola che, nella formula più tenera, recitava nelle sue preghiere:” Abbà, papà mio!”;e continua “ Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio ma ciò che vuoi tu”. Grida verso il padre, invoca, chiede di essere liberato da questo calice, ma non riceve risposta. Nemmeno lo confortano i tre discepoli, che si sono addormentati: “ Simone dormi? Non sei riuscito a vegliare un’ora sola? Dunque la desolazione di Gesù è totale.
Sant’Ignazio negli Esercizi spirituali presenta puntualmente questi stati di desolazione che prima o poi segnano il nostro cammino:” Chiamo desolazione tutto ciò che si oppone a quanto detto in precedenza sulla consolazione, ad esempio l’oscurità dell’anima, il suo turbamento (nervosismo, inquietudine, agitazione di passioni) l’inclinazione alle cose basse e terrene, (tentazioni impure, fantasie, sensualità, golosità) l’inquietudine dovuta a vari tipi di agitazioni e tentazioni”. Sono tutti moti interiori che portano l’anima, dice Sant’Ignazio, a essere sfiduciata, senza speranza, senza amore. E la persona si trova tutta pigra, tiepida, triste e come separata dal suo Creatore e Signore.
Pensiamo a Santa Teresa di Gesù Bambino, che riferendosi all’ultimo anno e mezzo della sua vita, scriveva: non vedo più il cielo sopra di me. Sono entrate in un tunnel, come se Dio non esistesse. E aggiungeva: mangio alla tavola degli increduli, sento in me le tentazioni del mondo contro la fede, mi pare tutto sia illusione. Gesù ha provato per noi questa desolazione, sapendo che inevitabilmente ci avrebbe toccato. Il Padre, tacendo, ha lasciato che il Figlio, per amore nostro, fosse avvolto da un tunnel oscuro. Riprendendo il testo di Sant’Ignazio: ” Come la consolazione è contraria alla desolazione, così i pensieri che nascono dalla consolazione sono opposti ai pensieri che nascono dalla desolazione”. pensieri disfattistici, cinici, irritati, amari. Chi è nella desolazione ha l’impressione, se prega, se celebra la Messa o vi partecipa, di ingannare se stesso e gli altri.
La vita spirituale è dunque intessuta di luci e di ombre di consolazione e di desolazione. Dalla consolazione sorgono allegria, serenità, scioltezza, spontaneità, dalla desolazione amarezza, pesantezza, non voglia, stanchezza, nevrosi, forme di blocco. Eppure la desolazione è un passaggio provvidenziale per la purificazione della nostra fede e per la nostra trasformazione in Cristo, nella misura in cui resistiamo. Viene in mente la regola quinta di Sant’Ignazio: “In tempo di desolazione non si facciano mai mutamenti, ma si resti saldi e costanti nei propositi e nelle decisioni che sia avevano il giorno precedente a tale desolazione o nella decisione che si aveva nella precedente consolazione. Perché, mentre nella consolazione ci guida e consiglia di più il buono spirito, nella desolazione ci guida quello cattivo, con i consigli del quale non possiamo imbroccare nessuna strada giusta”. Ci sia di esempio Gesù nel suo mirabile
continuare a parlare, anche dalla croce, con un Padre che tace. Allora buon tempo di preghiera. Il Signore vi conceda di sperimentare se già non l’ha fatto ..in questi giorni una grande consolazione.
Ci mettiamo in fila di buon mattino dopo aver oltrepassato la porta di ingresso alla città. Passiamo di fianco al sito archeologico della città di Davide, appena sotto le mura che sorreggono la Spianata.
Arriviamo in cima dopo aver passato un meticoloso controllo da parte delle forze di sicurezza. Sulla porta ci “accoglie” un ragazzo, credo della sicurezza, che verifica l’abbigliamento dei visitatori occidentali. Siamo all’interno di un grandissimo spazio, delimitato da mura di cinta da una parte e da costruzioni dall’altra, lo spazio interno è moschea. Ci sono i due edifici moschea e spazi lastricati ed attrezzati per la preghiera con ombrelloni e tende per riparare dal sole i fedeli.
La moschea dalla cupola d’oro è edificata su uno spazio della roccia rialzato rispetto al resto dell’area. L’accesso agli edifici della moschea è vietato ai cristiani. Il primo impatto è quello di percepire un senso di pace e tranquillità, ben diversa dalla situazione caotica e confusionaria che regna nel resto della città.
Don Umberto
La prima moschea ad essere stata edificata nel 680, da un sultano discendente di Oman a cui è dedicata. è quella con la cupola dorata. La vera moschea di Oman è quella che si trova accanto al Santo Sepolcro, proprio di fronte all’ingresso. E’ in questa moschea che Oman sostò in preghiera quando entrò in Gerusalemme.
Nel 710-715 fu eretta la seconda moschea cosi detta Al Aska (la lontana) a cui si fa riferimento nel Corano.
Questa moschea la troviamo così come la videro i crociati al loro ingresso in Gerusalemme nel 1099. La trasformarono in chiesa perché per imponenza e per l’aspetto mistico pensarono che fosse il Tempio di Salomone. La chiamarono Templum Salomonis, da cui poi deriva la definizione dei Templari. La cripta di questa moschea, se venisse scavata, conserverebbe ancora molte memorie della permanenza dei Templari che qui avevano depositi di armi, scuderie e palestre di formazione.
All’interno ha cinque navate, è bianchissima, piena di luce, con presenza di marmi di Carrara, utilizzati in sede di ristrutturazione e donati da Mussolini nel 1939 per garantirsi i buoni rapporti con il Gran Mufti di Gerusalemme.
Nell’angolo verso la valle del Cedron si trova il Pinnacolo del Tempio, rievocato dal Vangelo nell’episodio della tentazione del diavolo che spinge Gesù a gettarsi di sotto. La fontana posta tra le due moschee è stata costruita nel 1500 e voluta da Solimano, usata per le abluzioni che vogliono esprimere la purificazione prima di recarsi in Moschea. L’uso dell’acqua per i musulmani ha un significato diverso rispetto alla nostra acqua santa che rappresenta, invece, la memoria del Battesimo.
Anche per i musulmani, oltre che per gli ebrei, la valle del Cedron o Giosafat è il luogo del giudizio universale. Come già ricordato in precedenza in occasione della visita sul Monte degli Ulivi, per gli isamici e per gli ebrei le anime, al momento della resurrezion, saranno giudicate nel luogo ove si trovava il Tempio, cioè l’attuale Spianata. Le anime saranno pesate su delle bilance su cui si porranno le azioni buone e quelle malvagie. Le bilance saranno appese alle arcate della porta d’oro e le anime condannate saranno gettate in un fosso che si trova esattamente sotto la Moschea d’oro.
Questa Moschea contiene una grande pietra su cui si dice venne legato Isacco per essere sottoposto al sacrificio dedicato a Dio da parte di Abramo; poi si scende nel pozzo delle anime. Le anime salvate avranno accesso al paradiso islamico.
La moschea ha forma ottagonale. Il numero otto è un numero che ha un’infinità di significati simbolici, tra cui quello della perfezione assoluta dovuta all'unione di due cerchi perfetti. Per noi cristiani, invece, l’ottavo giorno rappresenta l’inizio di qualcosa di nuovo.
La moschea è decorata all’esterno con maioliche molto belle che utilizzano colori Apotropaici, l’azzurro, il verde, il giallo, che allontanano il male, Nel tamburo che sta sotto la cupola c’è una scritta contro i cristiani: “Sono da condannare gli stolti, coloro che ritengono che un uomo vissuto sulla terra possa essere il figlio di Dio e che Dio possa avere figli.”
Questo fatto si associa anche al luogo ove è stata costruita la moschea. Infatti, dal Monte degli Ulivi la cupola d’oro oscura la visuale del Santo Sepolcro. Di fianco alla moschea si trova una piccola Edicola detta "del tesoro", in cui venivano raccolte le offerte dei fedeli islamici utilizzate per i bisognosi o per abbellire la moschea.
- Il Romitaggio del Monte degli Ulivi Domenica sera.
Dopo la Messa della domenica iniziata a San Pietro in Gallicantu ed interrotta dalle letture-lectio e dopo una riflessione personale, scendiamo in silenzio dal monte Sion fino alla valle del Cedron, per proseguire sulla stretta via che conduce alla cima del Monte degli Ulivi. Appena sopra la basilica dell’Agonia entriamo nel giardino di proprietà della Custodia, nel buio e nel silenzio, a riflettere sui giorni trascorsi in Terra Santa.
E’ una forte emozione stare al buio, guardando dinanzi a noi la città vecchia illuminata e ammirando in uno scenario incredibile in cui compaiono tutti i luoghi visitati nei giorni precedenti.
Ci accoglie all’ingresso un frate francescano, uno dei custodi di questo luogo e ci dice citando il Vangelo di Giovanni: “ … Ed entrarono in un podere chiamato Getsemani e Giuda li raggiunse perché conosceva quel luogo e là spesso Gesù vi si ritirava".
Noi siamo in un luogo in cui Dio si è reso famigliare, il luogo in cui Dio è venuto in cerca di noi. La prima domanda che Dio fa nel giardino dell’Eden è “Dove sei"?”.
E Gesù è venuto in cerca di noi. E’ importante perché è Lui che fa il primo passo. E’ il Padre innamorato che ci racconta il suo bene dicendo “Io ti amo da morire”, non più a parole ma nei fatti.
Io vi auguro di incontrare proprio questo volto che viene in cerca di voi. Dio è il volto che guarda verso di te con benevolenza e che ti dice il suo amore. Non abbiate paura di consegnare le vostre morti perché Lui è venuto proprio per questo. Il Signore è venuto per prendere le cose che noi non riusciamo a risolvere.”
Dopo le riflessioni personali, Don Umberto ha ripreso la S. Messa con la recita da parte di ognuno di noi di una preghiera dei fedeli, frutto delle riflessioni personali nel buio del giardino.
(Mc 16,1-8)
Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù. Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, vennero al sepolcro al levar del sole. Esse dicevano tra loro: «Chi ci rotolerà via il masso dall'ingresso del sepolcro?». Ma, guardando, videro che il masso era già stato rotolato via, benché fosse molto grande. Entrando nel sepolcro, videro un giova-ne, seduto sulla destra, vestito d'una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano deposto. Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto». Ed esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di spavento. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura.
Dobbiamo veramente dire che il Vangelo di Marco è sorprendente perché non esiste in esso un lieto fine. Tutti quanti gli studiosi,ad una sola voce, sono concordi ormai nel dire e sostenere che questo brano che abbiamo sentito è la conclusione del Vangelo di Marco.
Quindi esso non finisce con l’incontro tra Gesù e gli Apostoli, non finisce con l’Assunzione, non finisce con la missione degli Apostoli, ma con la paura delle donne. E’ un Vangelo che ha un finale aperto, perché chi lo legge, alla fine si domanda se queste donne poi avranno o meno recato l’Annunzio della Resurrezione. Ed in fondo l’Evangelista vuole interpellare il lettore di ogni secolo - e quindi anche noi - mettendoci al posto delle donne, dicendo: "Dopo tutto l’incontro con Gesù che hai avuto, dopo la conoscenza di questo maestro, dopo aver contemplato il modo in cui è morto sulla Croce, cosa ti senti di fare?"
Quindi il finale, è il più coinvolgente che ci sia. Non è una storia che ha un inizio ed una fine che noi possiamo imparare ma è una storia che ha un inizio e non ha mai una fine, perché la vicenda di Gesù continua nella nostra storia.
A me questo modo di terminare il Vangelo di Marco piace veramente tanto perché mi fa sentire sempre coinvolto e mi interpella nel profondo. E’ chiaro che oggi la domanda è rivolta a persone che hanno fatto un pellegrinaggio in Terra Santa e a ciascuno di voi questo Vangelo dice: "Tornando a casa cosa ti senti di fare?".
E’ un Vangelo idoneo al momento che stiamo vivendo, per fare un bilancio diquesti sette giorni, perché se avete ascoltato, l’Angelo dice
alle donne di riferire agli Apostoli di tornare in Galilea per incontrare Gesù. Per noi tornare in Galilea oggi ha un significato esplicito e concreto, vuol dire rimettersi in viaggio, quel viaggio che ci ha condotto da Tel Aviv a Tiberiade, vuol dire rimettersi sulle sponde del lago, ripensare a Cafarnao, a Tabga, al Tabor. E ciò significa tornare in Galilea ed incontrare Gesù, facendo un personale, spirituale bilancio.
Ieri sera ci siamo confrontati tra noi ma il tempo personale di un bilancio non è mai abbastanza. Questo Vangelo ci invita a farlo. E invita soprattutto Pietro a farlo e questo è molto significativo perché avete udito le parole dell’Angelo, dice letteralmente ”Andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che Egli vi precede in Galilea".
Perché questo riferimento esplicito alla figura di Pietro? Perché è colui che più di tutti per il suo itinerario, per il percorso che ha compiuto e che anche noi abbiamo compiuto, ha bisogno di tornare a vedere il Signore.
Ora, il ritorno a casa, il ritorno alla nostra Galilea, cioè alla nostra quotidianità, non è affatto scontato perché in sé questo racconto evangelico, questo modo di chiudere il Vangelo da parte di Marco, lascia profondamente sorpresi perché l'Evangelista costruisce questo episodio con una logica molto precisa: tutto avviene al levar del sole quindi al momento dell’inizio di un nuovo giorno perché con la Resurrezione di Gesù inizia qualcosa di nuovo. E per chi ritorna dalla Terra Santa inizia sempre qualcosa di nuovo. Non è detto che questa novità diventi palese, diventi manifesta o improvvisa conversione.
Può essere anche semplicemente una novità nella conoscenza. Però ogni pellegrinaggio in Terra Santa non può non provocare una novità.
Ora, anche per le donne, quel giorno ha segnato qualcosa di nuovo ma a questa novità esse non erano assolutamente pronte. Si stavano recando al sepolcro con l’idea di incontrare un certo tipo di Signore, cioè un corpo da imbalsamare. Non lo incontrano, qui il personaggio principale è un assente, ma incontrano degli Angeli che danno un annuncio. La loro visione del Signore è messa di fronte a qualcosa di diverso, di inaspettato, di inatteso.
Allora, se voi avete colto tutto l’itinerario del Vangelo che abbiamo sviluppato in questi giorni, comprenderete perfettamente che le donne adesso devono iniziare il cammino che gli Apostoli avevano già intrapreso. Devono lasciarsi educare ad un altro volto di Dio.
Gli Apostoli l’hanno già fatto, le donne cominciano adesso, perché si aspettavano un Gesù di un certo tipo, per imbalsamarlo ed ungerlo con gli olii e preservarlo dalla corruzione. Invece non è questo che avverrà, perché vien detto loro che Egli è vivente.
La reazione delle donne non è positiva, sembrano non accogliere questa novità, e il Vangelo finisce così, mettendo in guardia il credente, avvertendolo che non è semplice lasciarsi educare ad un altro volto del Signore. Le donne non accolgono questa novità per paura.
L’intervento di qualcuno di voi di ieri sera, calzava veramente a pennello per commentare questo brano. Quando Gesù si rivela nella sua novità, quando tu fai un’esperienza vera del Signore, poi nasce nel cuore anche la paura che cambino veramente alcune cose nella vita e che il Signore ti chieda qualcosa di diverso e di difficile.
La paura in queste donne è totalmente paralizzante ed esse non accolgono questa novità sorprendente, non sanno interpretare il segno della tomba vuota, perché com’è la logica di Gesù dal momento della sua Assunzione, non c’è più la Sua Persona ma ci sono i segni della Sua Persona e soprattutto, esse non sanno accogliere l'Angelo che offre loro una chiave di lettura e di discernimento di quel segno e che vuole aiutarle a comprenderlo. Esse, pur vedendo il segno, non lo sanno interpretare e ne hanno paura, paura che le paralizza tanto che non accolgono nemmeno l’interpretazione che l’Angelo fa di quel segno. Perché potrebbe comportare per loro uno sconvolgimento radicale.
Ci sorprende questo modo di reagire perché noi ci immagineremmo una reazione di grande gioia, di esultanza: "Evviva evviva, pensavamo che era morto... e invece è risorto...", che è la nostra celebrazione Pasquale.
Per me, è una visione personale, ha un difetto anche la veglia Pasquale che non mette mai l’accento sullo sconcerto che questa cosa deve provocare in un cristiano. Perché quando tu passi da una visione di Dio ad un’altra, questo ti spiazza. La modalità con cui noi viviamo la Pasqua è relativa ad un raccontino del lieto fine di film americano. Ah era morto, no è vivo, evviva, siamo tutti felici.
Ma, la Pasqua ha provocato uno sconcerto serio tra gli Apostoli, tant’è che ci è voluto l’intervento della Pentecoste, cioè dello Spirito, affinché cominciassero a capire cosa fossero quei segni..
E naturalmente lo stesso sconcerto provoca ogni credente. Se ti si dice che Gesù è il vivente, che la sua Parola è la Parola viva, vuol dire che tutte le altre parole che tu senti pronunciare e che tu stesso pronunci sono parole morte. E questo non può non inquietare, capite, perché ci si dice: "Se io do retta a mille altre parole, se io pronuncio mille altre parole, mi incammino verso qualcosa che è vuoto, che non ha pienezza di significato".
Se sviluppassimo solo queste riflessioni, noi alla fine dovremmo legittimamente chiederci dove sia il lieto annuncio in tutta questa storia Dov’è la bellezza di tutto ciò? Beh, il lieto annuncio e la bellezza stanno nel più grande simbolo della Resurrezione che è la pietra che avrebbe dovuto essere sul sepolcro e che invece non c’è.
Una cosa certa, una cosa reale è che a volte tutto ciò che noi vediamo come grande, insormontabile ostacolo al nostro cambiamento, alla nostra fede, ad un nostro
miglioramento, ad un nostro incontro con il Signore, se vogliamo Dio può renderlo semplice, può spianarci la strada, può togliere quella pietra dal nostro sepolcro.
Ma, se si rimane immersi nella paura, nel dubbio, se non si esce dai propri schemi che impediscono di vedere i segni di Dio, non ce se ne accorge nemmeno.
E’ strano come in tutto questo brano non ci sia un minimo di esultanza da parte delle donne, quando vedono che il masso è stato rotolato via. Esse stanno andando al sepolcro, percorrono una lunga strada, immaginiamo da Sion, perché è il luogo dove stavano i discepoli con Gesù al Sepolcro.
Le donne pensavano una cosa sola: abbiamo un ostacolo, come facciamo con il sasso, così pesante, come faremo a rotolarlo via? Sarà lì davanti a noi, ci impedirà di incontrare il Signore.
Quando arrivano a questo incontro tanto desiderato, non trovano l'ostacolo perché il Signore ha già operato per loro, ma poichè tutto ciò sconvolge il loro modo di vedere le cose, non hanno nemmeno il tempo, la possibilità e la capacità di esultare dell'assenza di quell’ostacolo già eliminato.
Allora, tutti noi, ciascuno singolarmente preso, siamo di fronte a un bivio. Ritornare a casa come nulla fosse accaduto, se non un viaggio emozionante, come tanti altri che si possono intraprendere, o ritornare a casa con il desiderio di rinnovare il nostro incontro con il Signore, con il cuore aperto e disponibile alla Sua azione nella vita di ciascuno di noi. Se questa disponibilità c’è, se questa disponibilità è reale, Dio opera togliendo le pietre che impediscono l’incontro.
Tuttavia, questo non renderà il cammino più semplice, facile, perché paure, paralisi, chiusure mentali faranno sempre capolino per ostacolare il nostro cammino di fede.
Se ci poniamo questa sera idealmente di fronte a questo bivio, dobbiamo affidarci alla preghiera, è nella preghiera che dobbiamo e possiamo chiedere al Signore la disponibilità a lasciarci plasmare da Lui, così che possa agire dentro di noi anche quando torneremo a casa.
La Galilea vedete non è solo il luogo che noi abbiamo visitato ma, lo dicevo prima, il luogo della quotidianità perché non in Gerusalemme, ma in Galilea, gli Apostoli facevano il loro mestiere. Quando l'Angelo dice di tornare in Galilea non dice solo di ripercorrere tutto l’itinerario di incontro con Cristo, ma dice agli Apostoli di tornare alle loro mansioni quotidiane.
Torneremo alle nostre mansioni quotidiane, là dove il Signore annuncia: "Mi vedrete, se avrete la disponibilità, allora sarò io a togliere pietre che voi ritenete troppo ingombranti e impossibili da scansare, ma starà a voi non farvi paralizzare dalla paura, dallo scetticismo e allora l’incontro sarà possibile.
Io credo che il tempo di silenzio che ora stiamo prendendoci, possa essere vissuto così: il tempo qui (a San Pietro in Gallicantu) come momento di rilettura spirituale del proprio quaderno di appunti, per chi l’ha tenuto aggiornato o dei contenuti spirituali vissuti in ogni luogo. Qualcuno di voi l’ha già fatto ieri, ma ora si tratta proprio di ricavare quasi un messaggio spirituale, interiore, evangelico per ogni luogo.
Quindi, prima la preghiera per tornare in Galilea, nel senso di ripercorrere il pellegrinaggio, poi, il cammino a piedi da qui al Getsemani, che potrebbe essere animato nella preghiera dai pensieri che ci turbano. Non bisogna aver paura di dare a questo cammino lo stesso senso che aveva il cammino delle donne che pensavano alla pietra che stava dinanzi al sepolcro.
La preghiera silenziosa che faremo al Romitaggio sia, invece, impregnata da un’invocazione continua al Signore perché apra il nostro cuore e ci renda disponibili alla Sua azione.
In fondo il Getsemani è stato il luogo dove più di ogni altro Gesù ha pronunziato le parole: "Si compia la tua volontà". Quindi è il luogo dove la disponibilità di Gesù è diventata totale e ha dato senso a tutta la Sua vita. Al Getsemani si possono dare molto significati, a volte si sta in preghiera al Getsemani pensando alle sofferenze, pensando ai patimenti di ciascuno, alle persone che soffrono.
Io suggerisco questa modalità perché mi sembra molto calzante con quanto abbiamo fatto: una prima parte qui che è una rilettura di "tornare in Galilea", una seconda parte mentre si cammina, chiedendoci "Qual’è per me la pietra che chiude la mia vita, che soffoca la mia esperienza, anche la mia pietra umana...". Preoccupazioni... ciascuno di noi torna a casa con la sua preoccupazione che da domani sera comincerà a diventare carne. Ciascuno ha la sua pietra qua, come le donne l’avevano.
Invece al Getsemani faremo una preghiera semplice, guardando Gerusalemme avvolta dalle luci serali, offrendosi al Signore.
Ignazio diceva in una sua bellissima preghiera alla fine degli esercizi: “Prendi Signore e ricevi tutta la mia libertà, tutta la mia volontà, tutto il mio sentimento, Tu me lo hai dato, a Te lo restituisco”.
E’ la preghiera che termina gli esercizi spirituali di Sant’Ignazio. Fu veramente la preghiera di Gesù nell’orto dei Getsemani.
Sia anche la nostra preghiera questa sera al romitaggio. Ciascuno ci va con i tempi che ritiene opportuni, con il passo che ritiene opportuno…..
Segue la discesa di tutti i partecipanti al pellegrinaggio dal monte Sion alla valle del Cedron, per risalire al romitaggio del Getsemani custodito dai Francescani e completare la celebrazione eucaristica dopo aver, nel buio e nel silenzio, pregato ed invocato la benevolenza del Signore.
Lunedì, è tempo di rientrare in Italia.
Un gruppo di noi all’alba si reca al Santo Sepolcro per cogliere in tranquillità intense emozioni spirituali e per poter visitare l'interno dell’Edicola del Santo Sepolcro e cogliere l’essenza del nostro pellegrinaggio.
Arrivati, al Calvario abbiamo potuto toccare, inginocchiarci, pregare e sentire l’emozione della roccia su cui fu posta la Croce.
Avvicinatisi all’Edicola siamo stati fermati da una transenna e dalla celebrazione eucaristica che inaspettatamente era già in corso. Infatti è possibile, prenotando a tempo debito, celebrare all’interno del Santo Sepolcro e in questa mattinata ci sono, purtroppo per noi, Sante Messe.
A fronte di questo stato di cose, alcuni di noi sono comunque riusciti, quasi furtivamente, ad entrare, sostare un attimo e pregare sulla lastra della tomba.
Personalmente questa modalità di rendere testimonianza a questo luogo non mi è parsa, in quel momento, adatta al mio stato d’animo. Ho preferito dunque non entrare, pregare all’esterno ed avere forse una “scusa” per ritornare e completare il pellegrinaggio...