Rubriche di
Patrizia Fontana Roca

COLLABORAZIONI

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COME LA GINESTRA

 


Premessa

 


Quando era bambino, poi ragazzo… avevo la gioia di trascorre tanti mesi, a casa dei nonni, in estate, a San Sostene (CZ). Qui partecipavo alla vita cittadina ed ecclesiale. Ricordo sempre con gioia, emozione e devozione il gesto che facevano i bambini alla processione del Corpus Domini nel mese di Giugno… e poi alla festa del Sacro Cuore di Gesù: cospargevano i vicoli e le strade del paese di petali di ginestra mista a petali di rose.
Era uno spettacolo… passava il Signore ed allora bisognava mettere il tappeto per l’Ospite gradito. I Santi credo siano un po’ come la ginestra, è il tappeto dell’incontro, attraverso essi passa il Signore! Così sono state le serve di Dio Mariantonia, Rosella, Concetta e Maria Angelica.

Ma prima di inoltrarci nella santità calabrese, ascoltiamo…

San Francesco di Paola

San Cipriano di Calamizzi

San Giovanni Theristi

La Calabria… così scrive, in una lettera, san Bruno il certosino a Rodolfo il Verde:
“Abito un eremo, isolato da ogni parte delle dimore uomini, situato in Calabria, con i miei fratelli religiosi, di cui alcuni sono molto colti.
Che montando ostinatamente la guardia, aspettano il ritorno del loro Signore per aprigli immediatamente quando busserà. Come potrò parlare degnamente della bellezza del luogo e della dolcezza e salubrità dell’aria, o della pianura ampia e ridente che si allunga tra i monti, dove si trovano prati verdeggianti e floridi pascoli? O chi descriverà adeguatamente la vista dei colli che si ergono da ogni parte dolcemente, e i recessi delle valli ombrose, con piacevole abbondanza di fiumi, di rivi e di fonti? Né mancano orti irrigati e alberi da frutta di ogni genere, con la loro utile fecondità.
Ciò che la solitudine e il silenzio dell’eremo danno in fatto di utilità e di letizia divina a coloro che li amano, lo sa solo chi lo ha sperimentato. Qui infatti agli uomini forti è lecito raccogliersi quanto desiderano, e restare con se stessi, e coltivare appassionatamente i germi della virtù e nutrirsi abbondantemente dei frutti del paradiso. Qui si cerca di acquistare quell’occhio, il cui sereno sguardo ferisce lo sposo col suo amore e per mezzo della cui purezza si vede Dio. Qui si praticano un ozio attivo e un’attività ordinata e calma. Qui Dio rende ai suoi atleti, per la fatica della lotta, la ricompensa desiderata, la pace che il mondo ignora e la gioia nello Spirito”.

San Falco di Taverna (Cz)

San Nicodemo Abate

Dall’omelia di mons. Giancarlo Brigantini, vescovo di Gerace-Locri, del 2 maggio 2000:
“Tertulliano diceva che Dio sa fare grande cose con povere cose. Ecco la santità: grandi cose con povere cose. Un po’ di pane diventa il suo Corpo, qualche goccia di vino diventa il suo sangue, questa nostra comunità fragile diventa luogo della sua presenza, una giovane ragazza può diventare modello per tanti altri: questo mistero di oggi, di una parola che usiamo dal punto di vista affettivo, non giuridico, la santità… Dio non è passato invano, ma ha lasciato il suo seme. È entrato nella storia, nel soffio del suo spirito ha ridato vigore ad ogni cosa”.

 

Introduzione


La santità calabrese vede le sue origini nell'apostolo Paolo e con il suo primo discepolo Stefano di Nicea, protovescovo di Reggio e di tutti i Bruzii.
Nei secoli lo Spirito ha conquistato molte anime e le ha plasmate ad immagine di Cristo, vero uomo e vero Dio.
Tra costoro ricordiamo la grande schiera dei martiri di Calabria: dai martiri locresi a Daniele di Belvedere; lo splendore dei monaci italo-greci; e le glorie di terra calabra: Francesco di Paola, Gaetano Catanoso e Umile da Bisignano.

San Ciriaco abate Basiliano

San Gaetano Catanoso

Sant'Umile da Bisignano

Molti altri hanno reso gloria al Padre che è nei cieli, in questa pagina vogliamo soffermarci su alcuni di loro, meno conosciuti, però molto amati ed invocati.

PS. Non tutti i testi sono i miei… a ciascuno il suo… mia solo la ricerca!

 

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IL GIGLIO DI STALETTÌ


Come la beata Pierina Morosini (1931-1957), santa Maria Goretti (1890-1902), la beata Carolina Kozka (1898-1914), anche la serva di Dio Concetta Lombardo, deve annoverarsi nella lista delle martiri per la difesa della purezza, di cui più sopra sono ricordate alcune figure, più vicine a noi nel tempo.
Concetta Lombardo nacque a Staletti in provincia di Catanzaro, il 7 luglio 1924, dopo solo sette mesi il padre morì e la madre con grandi sacrifici, dovette crescere da sola, le due figlie Concetta e Angela.
Divenuta adolescente veniva ammirata per la sua avvenenza, ma ancor più stimata per la sua fervida pietà, per il candore del cuore, lo spirito di sacrificio; la sua fede semplice e sincera le dava la forza di dedicarsi con amore alle fatiche domestiche, ai lavori stagionali nei campi e agli impegni di apprezzata sartina.
Partecipava con entusiasmo alle iniziative pastorali della parrocchia, membro attivo dell’Azione Cattolica, svolgeva con zelo il compito di catechista, inoltre aveva professato la Regola del Terz’Ordine Francescano.
Disposta ad una proposta di matrimonio che le era stata fatta, sognava di realizzare la sua femminilità con un amore benedetto dal Sacramento del matrimonio; ma i suoi sogni non si poterono realizzare, a causa della passione di un uomo sposato e con figli, che prese a circuirla in tutti i modi, con la pretesa di portarla a vivere con lui.
Concetta per due anni dovette difendersi con energia da queste insane profferte, finché il 22 agosto 1948, mentre era al lavoro nei campi con una zia, sul colle di Copanello, il pretendente, travolto dalla passione, la raggiunse rinnovandole l’impossibile proposta; al suo fermissimo rifiuto, le sparò un colpo di pistola mortale; poi rivolta l’arma contro sé stesso, si tolse la vita.
Il fatto suscitò grande scalpore e molti considerarono la morte di Concetta, come un vero martirio; il Terz’Ordine Francescano, fece sua l’istanza di valorizzare l’eroico comportamento di questa ragazza di 24 anni, vero modello di fermezza cristiana e di fedeltà evangelica, da additare come esempio luminoso al mondo di oggi.
Con l’assistenza dei Frati Minori Conventuali, fu avviata la causa per la sua beatificazione, poi introdotta dall’arcivescovo di Catanzaro – Squillace, il 30 gennaio 1990.


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LA MISTICA DI PAPASIDERO


Il 4 febbraio 1851 vide la luce, a Papasidero, da Nicola e Gaetana Orofino, Maria Angelica Concetta Filomena Mastroti, che ebbe, tra gli altri, "a sorella Giuseppina e a fratello Francesco", poi arciprete, "nonché un nipote, Nicolino, pure lui sacerdote". Maria Angelica Mastroti (o Mastrioti), piccolissima, era solita fermarsi "dinanzi al quadro della Madonna col Bambino in braccio e chiedeva, alla Madonna, che le porgesse il Bambino e, ogni giorno, rinnovava la richiesta con le parole .
"Una volta la mamma le regalò una moneta, cinque grana, e Maria Angelica, con la moneta e un foglietto che aveva riempito di scarabocchi, si pose in ginocchio dinanzi al quadro della Madonna e "Le" chiese, "paro, paro, che voleva sposare il Bambino perché ormai aveva la dote, appunto, cinque grana"! Un giorno, mentre era in Chiesa, nella Cappella di Santa Maria di Costantinopoli, "dalla statua dell'Ecce Homo" una voce le disse: "Figlia sei stata accontentata". Colpita, a circa sei anni, da una grave malattia, forse tubercolosi polmonare, fu costretta a letto, "in condizioni di sofferenze indicibili", per tredici anni, durante i quali incominciò ad avere le "prime visioni".

Una mattina vide entrare nella stanza una Signora di incomparabile bellezza che le disse: "Non temere, io sono Maria di Costantinopoli, tu non morrai, quantunque i tuoi, prevedendo la tua prossima fine, ti abbiano già fatto costruire la cassa, io il sabato santo 16 aprile al tramonto verrò a guarirti". Il 16 aprile, sabato santo, il giorno reclinava: "la famiglia era in preghiera, Angelica guardava il pendolo dell'orologio, era l'ora, ma la Madonna non veniva e, poi, d'un tratto la visione: "Figlia, è l'orologio che non segna bene le ore. Io sono venuta, eccoti guarita, domani andrai a ringraziare al Tempio"!.
Poco dopo la prodigiosa guarigione, altra manifestazione ebbe Maria Angelica il 2 luglio di quello stesso anno e, nella occasione, la Madonna le disse: "Come arma potente contro la tentazione io ti lascio qui sullo sgabello l'impronta del mio piede" e…l'impronta restò! Il pezzo di legno era conservato, gelosamente, nella cappella della famiglia Mastroti a Papasidero. Nel 1871 le capitò un altro malanno: un calcolo in vescica. Durante questa seconda malattia, che si protrasse per due anni, il 14 aprile del 1871 le riapparve la Vergine che, rincuorandola, le disse: "Il prossimo 3 giugno, giorno a me consacrato, alle ore 15, verrò a guarirti. Ti raccomando di avvisarne la famiglia". Il doloroso calcolo, di 56 grammi, come certificò il dott. Domenico Pandolfi in una lunga e dettagliata relazione, fu "espulso d'un sol colpo" e "al di fuori dell'ordine naturale" proprio in quel giorno e a quell'ora! Visioni ed interventi divennero ricorrenti: la giovane faceva il pane e gli angeli l'aiutavano, mangiava in giardino, per penitenza, delle bacche amare, e la Madonna l'ammoniva: "Figlia, che fai? Ti sei avvelenata. Tu non avrai più bisogno di cibo finchè a me piacerà!", la statuetta in legno del Bambino, cadutale un giorno di mano, non si ruppe e Maria Angelica udì "non mi sono fatto niente, non mi sono fatto niente". Secondo la voce popolare, Maria Angelica, a volte, sollecitata dai contadini del posto, intercedeva presso il "bambinello" per far scendere la pioggia, in alcuni periodi di maggior siccità, e…l'acqua veniva giù dal cielo, ma quando la pioggia, non richiesta, riversandosi in abbondanza, rischiava di far andare a male il raccolto, allora la giovane "esponeva" la statua alle intemperie dicendo:"Adesso prova anche tu come si sta sotto l'acqua e regolati di conseguenza"! Maria Angelica era solita distribuire, quasi ogni giorno, sia a Papasidero che a Castelluccio (ove c'è ancora il forno), del pane ai poveri che frequentavano numerosi la sua casa: la porta era sempre aperta a tutti e in ogni ora! Aveva il dono della "premonizione" e, almeno in una occasione, dall'ostensorio verso il quale "era rapita in estasi" "spicciarono goccioline di sangue" provenienti"da un frammento di ostia consacrata rimasto attaccato al cristallo" che, come testimoniò poi, furono "raccolte con una pezzuola dal Rev. P. Fulgenzio, suo confessore"! Nel 1890 Maria Angelica Mastroti si trasferì a Castelluccio con il nipote Nicolino che, in quel centro, doveva seguire i corsi di teologia del canonico-arciprete Don Giuseppe Taranto. A Castelluccio, la famiglia della mamma di Maria Angelica aveva una casa accanto alla Chiesa Parrocchiale e lì la giovane, impaziente di ricevere l'eucarestia, ogni mattina, ebbe più volte somministrata "la comunione da S. Giovanni della Croce staccatosi da un quadro che era nell'abitazione da tanti anni" e, dalla Madonna, "preannunciata la data della morte". Quattro giorni prima annunziò l'evento al curato don Giacinto Donati, che stava per recarsi in Agromonte, al "famiglio" Vincenzo Gioia, al falegname Antonio Rinaldi al quale disse "Tu mi farai la cassa mortuaria" e a Maria Antonia Gazzaneo di Rotonda che era venuta per farle visita e alla quale chiese di restare "perché stanotte devi tener compagnia a mia madre". Il 26 maggio 1896, alle ore 18,30, in ginocchio, con il volto rivolto alla Cappella dell'Addolorata, Maria Angelica Mastroti, serena, rese l'anima a Dio, tenendo fra le braccia il Bambinello che tanto aveva amato. Con la madre, in casa, si trovava anche lo zio Angelo Orofino. Il dott. Ignazio Catalano certificò che "la morte era avvenuta per paralisi cerebrale da fulminante apoplessia…mentre stava assorta in preghiera". La salma restò quattro giorni, là dove era spirata, come riportò l'arciprete Don Biagio De Pasquale, che era stato testimone oculare di alcuni eventi inspiegabili, e, al quinto, fu constatato che la rigidità cadaverica era scomparsa e che "si verificava per tutto il corpo", dal quale emanava un odore "sui generis", come scrisse il dott. Pietro Gioia, quasi un profumo, "una grande flessibilità". Incaricato dai parenti di "salassare il cadavere", alle ore 18,30 del 31.5.1896, lo stesso dott. Gioia praticò una piccola puntura su vena cutanea, sotto il mascellare inferiore, dalla quale "uscì sangue vivo frammisto a bollicine gassose" ed il fenomeno durò alcune ore. Anni prima, il 29.2.1828, lo stesso fenomeno era stato registrato sul cadavere di un sacerdote di Lauria, Don Domenico Lentini,oggi Beato, morto nella notte tra il 27 ed il 28 dello stesso mese: flessibilità delle membra, profumo intenso di rose, sangue vivo nelle vene! Il 1 giugno, giorno dei funerali, un fatto inspiegabile sconvolse i castelluccesi e i tantissimi pellegrini venuti da Papasidero. Questi ultimi, dopo aver partecipato alle esequie, si erano fermati in una locanda per rifocillarsi e, prima di intraprendere la via del ritorno, si recarono in chiesa, ove furono testimoni di un evento straordinario: "le pupille della SS. Addolorata di Castelluccio Inferiore si muovevano e da esse sgorgavano lacrime"! L'arciprete Taranto, avvertito di tanto, si recò immediatamente, con altri sacerdoti, in parrocchia ed ebbe modo di constatare, di persona, un tale evento e raccolse "le preziose stille". La luce di quel giorno, secondo il semplice e stupefatto racconto dei testimoni del tempo, "durò più a lungo forse per permettere il ritorno a Papasidero senza paura"! Il Bambinello, appartenuto a Maria Angelica Mastroti, con le sue cose personali, è oggi gelosamente custodito, sotto la guida scrupolosa del parroco, dalle Suore del Preziosissimo Sangue di Castelluccio, che hanno rischiato o rischiano, purtroppo, di chiudere "la loro casa di accoglienza". La piccola icona, ancora con le vesti che le aveva cucito Maria Angelica, "compie", secondo numerose testimonianze …al di sopra di ogni sospetto, "fatti inspiegabili": si afferma, per esempio, che quando deve accadere, a Castelluccio o a Papasidero o in Italia o nel mondo, un evento straordinario e allora, al mattino, si ritrovano, al piede del Bambinello, puntualmente, i lacci della scarpetta…sciolti! Guida spirituale di Maria Angelica Mastroti, per molti anni, proprio a Castelluccio, fu il sac. Biagio Arciprete De Pasquale, originario di Praja d'Ajeta, ove poi rientrò da Parroco, già professore al Seminario di Rotonda. Maria Angelica Mastroti, Serva di Dio, è tumulata nel cimitero di Castelluccio Superiore, in una cappella fatta costruire dal nipote D. Nicolino: vi fiorisce, in ogni stagione, un bel cespuglio di rose e in quel camposanto, ogni anno, nella ricorrenza della morte, il popolo, semplice e devoto, dalla Calabria e dalla Lucania, accorre numeroso a commemorare "quella pia donna", alla quale chiede, ancora e con forza, di intercedere per i suoi tanti e tanti bisogni! Giovanni Celico” Ancora oggi nei paesi del Pollino si raccontano di miracoli ottenuti per intercessione della Beata Mastroti in cui onore il 26 maggio a Castelluccio Superiore (PZ) si celebra una festa con una fiera ed una Messa in suffragio con visita alla Sua tomba con grande partecipazione anche di pellegrini da Papasidero, luogo di nascita della Beata.

 

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LA “CONSOLAZIONE” DI SANT'ANDREA JONIO

 

Mariantonia Samà nacque il 2 marzo 1875 in Sant'Andrea Ionio, piccolo paese in provincia di Catanzaro e visse in condizioni di estrema povertà, in una cameretta simile ad una cella.
All'età di dodici anni, seguendo la madre in campagna, fu invasa dallo spirito "maligno", dopo aver bevuto dell'acqua corrente tra i sassi.
Viste le inutili benedizioni impartitele anche dai frati del convento del vicino comune di Badolato, si ricorse all'esorcismo presso la Certosa di Serra San Bruno (ora in provincia di Vibo Valentia).
Dopo alcuni tentativi del Padre certosino, Mariantonia fu liberata dal "maligno", ma si narra che lo stesso pronunciò la frase: "La lascio viva, ma storpia".
Trascorsi un paio di anni, Mariantonia -- non si sa se per "vendetta" di Satana... -- rimase immobile a letto, fino alla morte e, quindi, per oltre sessant'anni, in posizione supina, con le ginocchia sempre alzate e contratte.
Iniziò per lei un lungo e doloroso calvario che sopportò con la forza dell'amore, con lo sguardo sempre rivolto al Crocifisso appeso alla parete di fronte al letto.

Guidata dallo Spirito Santo nella comprensione del "mistero della Croce", considerò, quindi, un dono la sua malattia, accettando con serena rassegnazione la definitiva immobilità, che offriva a Dio per la conversione dei peccatori, in riparazione delle loro offese e per ottenere risposta alle richieste di coloro che cercavano conforto presso di lei.
Il suo piccolo letto divenne un altare di offerta e di partecipazione alla Passione ed alla Croce di Gesù: "non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me" (Paolo - Gal.2,20).
Fu sempre assistita da volontarie, sotto il costante controllo delle Suore Riparatrici del Sacro Cuore, che curarono anche la sua preparazione spirituale, trasmettendole una sentita devozione verso lo Spirito Santo ed il Sacro Cuore di Gesù, al quale Mariantonia si rivolse per tutta la vita con spirito di "riparazione eucaristica".
Le Suore decisero di aggregarla alla loro Congregazione e, dopo i voti, Mariantonia divenne per tutti la "Monachella di San Bruno".
Le virtù che hanno caratterizzato la sua vita sono numerose:
la semplicità d'animo; l'umiltà; la modestia; la serenità, che traspariva dal suo volto anche nei momenti di maggior sofferenza; la disponibilità; la generosità ed un'immensa fiducia nella Divina Provvidenza.
Lei, che poteva vivere solo di offerte, divideva con gli altri bisognosi del paese tutto quanto riceveva, sicura che il giorno successivo vi avrebbe comunque provveduto il buon Dio e dimostrando, così, la verità delle parole di San Paolo: "Si è più felici nel dare che nel ricevere" (At. 20,35).
La virtù esercitata da Mariantonia in maniera estremamente eroica è stata senz'altro la pazienza che le impedì non solo di ribellarsi alla sua infermità, ma anche di lamentarsi quando i dolori lancinanti, specie durante la Quaresima, da lei sempre sofferta in condivisione con Cristo, martoriavano il suo esile corpo.
Viceversa, il suo spirito era forte, perché lo alimentava quotidianamente con la preghiera e con l'ostia che le portava puntualmente il suo confessore e dalla quale attingeva sostegno per sopportare la sofferenza, per lottare contro il male e per vivere in perenne amicizia con il Signore.
La sua cameretta, con le pareti tappezzate da molte immagini sacre, sembrava un piccolo "tempio", soprattutto quando, per ben tre volte al giorno, vi era la recita comunitaria del Santo Rosario, essendo Mariantonia "calamita" di preghiere.
Già durante la vita, la sua fama di santità si era diffusa tra gli abitanti del paese, molti dei quali avevano sperimentato i suoi doni della profezia e della guarigione.
Ma oltre a questi, tanti altri sono stati i carismi concessi a lei dallo Spirito Santo: il dono dell'estasi; dell'introspezione; della bilocazione; dell'apparizione; del profumo, sempre presente nella sua camera; della condivisione delle sofferenze di Gesù durante la Quaresima e la Passione e, infine, il dono dell'immunità da piaghe da decubito, anche questo scientificamente inspiegabile, benché fenomeno oggettivo e visibile a tutti.
Mariantonia esalò l'ultimo respiro la mattina del 27 maggio 1953.
Le esequie si svolsero nel pomeriggio dello stesso giorno e l'Arciprete, don Andrea Samà, in considerazione della fama di santità, ordinò che la salma, deposta nella bara aperta, per consentire l'ultimo saluto dei compaesani, venisse accompagnata in processione per alcune vie del paese, prima di raggiungere il Cimitero.
Qui rimase esposta ai fedeli fino al mattino del 29 maggio e molti attestano di aver visto, nel baciarla, che le sue palpebre si alzavano ed abbassavano e di aver sentito un delizioso profumo di rose, non proveniente da fiori...
Attualmente, i sacri resti della Serva di Dio Mariantonia Samà, assieme alla sua inseparabile corona del Rosario, si trovano nella Chiesa Parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo, dove sono stati traslati il 3 agosto 2003.
Il 5 agosto 2007 è stato aperto il processo di beatificazione e canonizzazione presso l’Arcidiocesi di Catanzaro-Squillace.

 

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IL FIORE MISTICO DI ANTONIMINA


Rosella Stàltari si può senz'altro definire figlia del suo tempo e dell'ambiente meridionale in cui nata e vissuta.
In una località aspra ed impervia, denominata infatti "Cacciagrande", in contrada Antonimina (RC), si schiude e passa come un soffio la vita di questa tenera fanciulla. Proprio a Cacciagrande, meritevole per questo di uno sguardo di ammirazione, il 3 maggio 1951 nasce terzogenita, da Antonio e Maria Reale, la nostra Rosella.

A distanza di pochi mesi, per, a causa di un'alluvione abbattutasi sul territorio, la famiglia Staltari, già duramente colpita dalla povertà, costretta a scappare e trova rifugio in Via Marrapodi prima e successivamente in Via Littorio ad Antonimina (RC). Rosella, a soli due anni e cinque mesi, perde tragicamente la mamma per una banale caduta.

Rimasta orfana, la bambina trova accoglienza presso l'Istituto "Scannapieco" di Locri (RC), dove resta fino all'età di 14 anni. Nel corso di questa dimessa esposizione, saranno citati (nella forma originale, per non sciuparne il fascino, il profumo e la freschezza) alcuni passi dell'epistolario e del suo diario spirituale.
Gli anni della crescita e dell' adolescenza di Rosella sono caratterizzati da sofferenze e privazioni e da una terribile carenza d'affetto. Tutto ci incide profondamente nell'animo della ragazza e la rende ipersensibile e probabilmente mina anche la sua salute. Simile tempratura, ricevuta nella prima infanzia, la matura precocemente. Eccone subito la conferma da una rievocazione del suo passato, fatta da Rosella all'età di 16 anni:

"Ero ancora bambina e mi sembrava d'aver vissuto abbastanza, mi sembrava di esser più grande da non aver bisogno d'alcuno; ma non mi accorgevo, che il dolore mi accresceva l'età".
Conseguita a Locri (RC) la licenza media, Rosella viene trasferita a Reggio Calabria, dove operano le Figlie di Maria SS. Corredentrice, che gestiscono una Casa-Famiglia in cui vengono accolte ragazze assistite da Enti vari perché orfane, bisognose o con situazioni familiari difficili.
L'ingresso nel nuovo Istituto, avvenuto in data 15 ottobre 1965, sprona Rosella a recuperare luce, ordine e un deciso orientamento ai genuini valori nascosti nel suo profondo come perle preziose. L si troverà accanto un Sacerdote santo, Padre Vittorio Dante Forno, Fondatore della Congregazione religiosa, dal cuore di padre, ed una Direttrice, sig.na Maria Salemi, collaboratrice al Progetto di Fondazione e colma di maternità, i quali la guideranno sapientemente nel suo cammino ascetico - mistico.
Nel nuovo ambiente, gratificante ed accogliente, ben diverso da quello in cui era vissuta precedentemente, Rosella completa il suo Corso di Studi, conseguendo prima il Diploma di Segretaria d'Azienda e successivamente quello di Maestra di Scuola Materna.
Rosella non appare diversa dalle altre, svolge la sua vita con le difficoltà comuni alle compagne della sua età, ritiene di avere un carattere difficile e si definisce "selvaggia". Interiormente, per, ella diversa dalle altre: rivela una tempra eccezionale, una capacità di autocontrollo e di dimenticanza di s non comuni ed una instancabile disponibilità al sacrificio. Non ama attirare su di s l'attenzione altrui, come emerge da un anelito della sua adolescenza, rinvenuto nel diario:
"Fa o mio Dio che io passi sulla terra senza che si badi a me".
Frase simbolica per la sua vita spirituale. Padre Graziano Pesenti, dell'Ordine dei Carmelitani, d una sua connotazione: "Sorriso, serenità di volto, graziosità di tratto segnavano una delicata percettività d'animo"
Rosella mantiene una fitta corrispondenza con i suoi Superiori dell'Istituto, poiché ella stessa afferma che a causa del suo "pessimo" carattere non riesce ad esprimersi a voce e ricorre allo scritto per farsi aiutare nella vita spirituale.
Due brevissimi pensieri motivano tale scelta: il primo tratto da una lettera a Padre Forno nel 1968, all'età di 17 anni:
"Padre carissimo, vorrei che Lei diventi il mio Direttore Spirituale, affinché venendo a conoscenza della mia anima, possa Lei strappare qualsiasi cosa che possa minimamente farla distrarre o allontanare dalla vera Luce che è Gesù"
Successivamente, nello stesso anno, scrive alla Direttrice:
"Vorrei affidarmi a Lei, vorrei che Lei mi insegnasse ad amare Gesù, a seguirlo e ad essere tutta Sua".
Amore - Luce: coordinate di base, nel linguaggio di Rosella, che s'intersecano e si rincorrono, senza pausa, sino a raggiungere proporzioni sconfinate e prorompenti.
Da uno studio condotto sulla spiritualità di Rosella, la nota scrittrice Maria Papasoli cos si esprime circa la corrispondenza:
" Tale corrispondenza sarà per noi il filo conduttore per seguire il cammino di una piccola vita, non di un'anima piccola, di una vita fatta di nulla sotto il profilo esterno, se non del monotono quotidiano ripetersi di atti e abitudini, che, però, destavano in lei una risonanza viva e profonda, come qualunque grande evento avrebbe potuto fare"
Sono esemplari i sentimenti di fiducia, di rispetto, di totale sottomissione e di sincera benevolenza che Rosella nutre verso i Superiori: le lettere a loro rivolte sono dettate da estrema semplicità, da una confidenza umile e filiale: Ella si aggancia docilmente ai loro sentimenti, traducendoli senza esitazione in fatti concreti, dimostrando di credere alle parole di Gesù nel Vangelo di Luca (cap. 10, 16): "Chi ascolta voi, ascolta me".
Rosella fin dalla fanciullezza ha una devozione sincera e robusta verso la Madonna; ogni ricorrenza mariana da lei vissuta con visibile e straordinario zelo. Ogni lettera o pagina di diario porta scritto il saluto "Ave Maria" . Ecco una delle sue innumerevoli invocazioni:
"Dammi tanto amore Vergine SS., Amore puro che lascia nell'anima l'impronta del Tuo Gesù".
La configurazione a Cristo nel dolore costante nella vita di Rosella. E' lei stessa lo afferma:
" Il mio dolore nascosto, nessuno lo vede, ma ugualmente mi tormenta".
La sofferenza pi acuta tempra e purifica lo spirito di Rosella e lo dispone verso scalate sempre pi ripide e scoscese. Ecco l'intensità del suo travaglio interiore:
"Dove sei, o Gesù, quando mi sento terribilmente e tremendamente sola? Perché ti nascondi?".
Rosella sempre proiettata verso i valori soprannaturali, verso una continua elevazione, e matura nel suo cuore il desiderio di abbracciare la vita religiosa.
Padre Carlo Cremona sigla con questi termini l'intento di Rosella:
"Rosella camminava tracciandosi un sentiero sui rovi e nella sua "selvaggia" sensibilità, si era innamorata di Gesù come una mistica".
Percorsi a grandi passi i tempi prestabiliti, il 2 luglio 1973, Rosella fa prorompere vigoroso e solenne dal suo spirito il canto del giubilo perché, con la Professione religiosa può finalmente pronunciare a Gesù il suo SI con tali accenti e dimensioni:
"Questo SI quello che mi legherà a Te per sempre e quindi voglio pronunciarlo grande, generoso, illimitato e amante soprattutto di Te e della Tua Croce".
Rosella s'innesta speditamente nella spiritualità delle Figlie di Maria SS. Corredentrice che ha come scopo quello di "Formare anime che si offrano Ostie per il Sacerdozio, nell'atteggiamento della Vergine Corredentrice, ciò nel nascondimento, nel silenzio, nella contemplazione, nel lavoro, nella immolazione alla volontà di Dio conosciuta, amata ed accettata".
Rosella crede fermamente che per seguire Cristo in maniera radicale bisogna spogliarsi di tutti e di tutto e con toni sapienziali, con la maturità tipica di una donna ormai addentrata nelle Vie dello Spirito, impronta un testamento spirituale, a soli 22 anni, pochi mesi prima della morte:
Rosella se ti sei data tutta a Gesù devi saper trovare tutto in Gesù, ciò che troverai lontano da Gesù sarà niente. Rosella devi trovare tutto in Comunità perché altrimenti la tua anima cadrà infallibilmente in tutto senza trovare niente. Rosella fai di tutto per essere religiosa di nome e di fatto altrimenti sarai niente. Per evitare ciò Rosella devi sempre trovarti a dare ed Amare Gesù in tutto. Da un intreccio di pensieri, elevazioni, colloqui, disposti quasi a mosaico, emergono, in maniera chiara ed inconfondibile, l'audacia di Rosella nell'amor di Dio, il suo desiderio che la propria volontà "si spezzi" a quella di Dio, quindi la corsa sempre pi ardita verso nuovi orizzonti, lo stato di unione intima e trasformante che ormai la separano solo per poco dall'unione eterna con lo Sposo Divino.
Presumibilmente nell'anno 1970, in una lettera ai Superiori, Rosella afferma che sente il bisogno di trafficare i talenti ricevuti perché "il giorno in cui il Re arriva si fa sempre pi vicino". A quale giorno allude? Ancora dal binomio "Anch'io se voglio posso", scaturisce la volontà risoluta e ferrea a coronamento della sua vita spirituale. Altra richiesta di notevole valore rivolta ai Superiori:
"Beneditemi ed aiutatemi ad abbreviare la breve distanza che mi separa da Gesù". A pochi mesi dalla sua morte, in data 9 ottobre 1973: "Io però, Gesù, voglio essere Tua e non ti darò pace, finché non mi vedrò accanto a Te". L'alternanza quasi cadenzata delle sue elevazioni fa vibrare il nostro spirito e ci avvia verso altre ancora pi travolgenti. Dall'ultima lettera ai Superiori (24 dicembre 1973): "Ho bisogno che voi stessi mi guidiate verso la Strada della vera Luce, quella Luce che non ha ombre di nessun genere". Sempre nella medesima lettera: "Mi dispiace il non essermi ancora incontrata con la Direttrice. Tu sai, Gesù come e quanto desidero saperle dire o riuscire almeno a farle capire ciò che sento in fondo alla mia anima, dove io m'incontro a faccia a faccia con Te o mio Gesù". Sembra opportuno inserire una brevissima spiegazione che d il Dottore della Chiesa San Giovanni della Croce, Frate Carmelitano, nell'Opera "Notte Oscura", Libro II, Cap. 19-20.
La scala dell'Amore divino, attraverso la quale l'anima sale gradatamente a Dio, ha dieci gradini. L'ultimo gradino rende l'anima simile a Dio, per la visione che, ormai libera dal corpo, ha lei faccia a faccia. L'ultima affermazione fa capire che Rosella ha percorso tutti i gradini fino all'ultimo, allorquando spicca il volo verso lo Sposo Divino. Giorno 4 gennaio 1974, il mistero che ha avvolto la vita di Rosella in parte svelato. Alle ore sette del mattino, Rosella trovata dalla sua consorella immobile nel suo letto, con una statuina della Madonna stretta tra le mani e il Crocifisso della Professione pendente dal collo: nel viso impressa una struggente bellezza, senza alcuna risposta alle domande ed agli scuotimenti. La constatazione di simile trapasso a soli 22 anni, non forse l'appagamento dell'anelito espresso nell'adolescenza? "Fa’ o mio Dio che io passi sulla terra senza che si badi a me". Sembra compiersi in lei il gemito del profeta Geremia: "Mi hai sedotto, Signore, ed io mi sono lasciata sedurre; mi hai fatto forza ed hai prevalso". La Congregazione delle Figlie di Maria SS. Corredentrice, col capo chino, contempla, stupefatta, le meraviglie operate dallo Spirito di Rosella e offre a noi tutti questo Fiore mistico di Antonimina (RC), perché, dopo essersi dischiuso nell'ombra e nel silenzio. possa adesso irradiare il nostro cammino: ultimo scritto su un calendarietto del 1974: "Luce di fede: cammino di pace incontro a Gesù".

 

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Bibliografia e fonti

- P. Ghedda e F. Polimeri, Rosella Stàltari: una contemplativa alle soglie del Duemila, Ed. Rubettino
- G. Mongiardo, Mariantonia Samà “la monachella di San Bruno” (1875 – 1953) – 60 anni di Amore – Crocifisso, Ed. Parrocchia Santi Pietro e Paolo in S. Andrea s/Jonio
- Diocesi di Catanzaro - Squillace, Concetta Lombardo, Ed. Dehoniane Napoli
- G. Celico, L’originale storia di una mistica Calabro-Lucana, in L’Eco di Basilicata Campania e Calabria del 15 marzo 2006.
- Film: “La Monachella di San Bruno”, regia Enzo Samà e Gualtiero Manozzi (Luglio 2004).
- Dora Samà, La vita nascosta in Cristo – La Monachella di San Bruno, Sud Grafica Marina di Davoli (2006)

Conclusione…

“A molti sembra che i Santi siano lontani. Ma essi sono lontani da coloro che si sono allontanati, e sono invece vicinissimi a chi osserva i comandamenti di Cristo e possiede la grazia dello Spirito santo. Nei cieli tutto vive e si muove per mezzo dello Spirito Santo. Ma anche sulla terra c’è lo Spirito Santo. Vive nella nostra Chiesa, opera nei sacramenti, ispira la sacra Scrittura, vive nelle anime dei fedeli. Lo Spirito Santo unisce tutti gli uomini, per questo i santi sono vicini a noi. E quando noi li preghiamo essi, nello Spirito Santo, ascoltano le nostre preghiere, e le nostre anime percepiscono la loro intercessione per noi. Così fortunati e beati siamo noi, Cristiani, perché il Signore ci ha donato la vita nello Spirito Santo…
Signore Misericordioso insegna a tutti noi, per mezzo dello Spirito Santo, a vivere secondo la tua volontà, così che tutti nella tua luce conosciamo te vero Dio, perché senza la tua luce non possiamo capire la pienezza del tuo amore. Illuminaci con la tua grazia ed essa riscalderà i nostri cuori affinché noi Ti amiamo”.
(san Silvano del Monte Athos)

da: Quaderno 23 – Santità calabrese (2006)

 

 

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