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COLLABORAZIONI
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IL SACCO DI ROMA
ANTEFATTO
L’avvenimento che sto per narrare
si inserisce in un più ampio contesto conflittuale
per la supremazia in Europa, che vide confrontarsi il casato
degli Asburgo e quello dei Valois, ossia FRANCESCO
I° di Valois e CARLO V° d’Asburgo
re di Spagna nonché imperatore del Sacro
Romano Impero. Più precisamente si inserisce nel
secondo conflitto che vide impegnati i due sovrani dal 1526
al 1529.
Carlo V in un dipinto di Rubens
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Scudo di Carlo V
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Carlo d’Asburgo fu eletto imperatore
del sacro Romano Impero nel 1519 col nome di Carlo V°.
Re di Spagna dal 1516 egli si trovò così a
governare oltre che sulla Spagna ed i territori annessi
di Napoli, Sicilia e Sardegna anche sulla terre famigliari
degli Asburgo in Austria ed in Boemia, sulla Fiandra, i
Paesi Bassi e sui territori appartenenti all’impero.
Era dai tempi di Carlo Magno che in Europa un sovrano non
possedeva un dominio così vasto ma con l’aggiunta,
rispetto al suo predecessore, delle immense colonie e davvero
sul suo regno poteva dirsi che il sole non tramontasse mai.
Ma per conquistare la corona imperiale del Sacro Romano
Impero, Carlo aveva dovuto vedersela con un altro candidato
al trono : il re di Francia Francesco I°.
Agli occhi dei principi elettori tedeschi i due candidati
si equivalevano; ambedue, infatti, erano stranieri (Carlo
era nato in Fiandra e Francesco in Francia ) e se il re
di Spagna poteva vantarsi di essere il nipote del defunto
imperatore, il re di Francia aveva dalla sua l’appoggio
di papa Leone X° il quale temeva che
il sovrano spagnolo già padrone dell’Italia
meridionale, acquisisse anche la corona imperiale.
I sette elettori cui spettava la nomina, non sapendo chi
scegliere, decisero di comune accordo e senza ombra di vergogna
di mettere in vendita i loro voti al migliore offerente
che alla fine risultò Carlo, il quale per accaparrarsi
la corona imperiale sborsò una cifra enorme per quei
tempi: un milione di fiorini.
Per il suo successo fu decisivo
l’appoggio finanziario garantitogli dai banchieri
tedeschi Welser e Fugger, che non mancarono successivamente
di beneficiare abbondantemente per tale prestito; in parte
con la restituzione del denaro ed in parte acquisendo l’esclusiva
nel commercio di merci preziose e spezie dall’oriente.
Comunque anche se Carlo ebbe partita vinta, la questione
non finì lì ed il conflitto fra i due Re si
inasprì passando da confronto economico a confronto
militare.
Questa rivalità fra i due lacerò profondamente
l’Europa e lo scontro fra Spagna e Francia divenne
la lotta per l’egemonia in Europa ed il teatro principale
dello scontro fu l’Italia, che in quel tempo era il
paese più ricco, più popolato e più
colto d’Europa.
Il Ducato di Milano aveva per Carlo
V° una importanza strategica fondamentale; infatti il
suo controllo e soprattutto quello dei porti liguri ad esso
soggetti, avrebbe reso possibile la comunicazione della
Spagna con la Germania, i nuclei principali del suo dominio.
Ma se per Carlo V° era di vitale importanza il controllo
del Ducato, era viceversa importante per Francesco I°
che ciò non avvenisse, per evitare che il suo regno
fosse circondato da Paesi dominati dal suo acerrimo rivale.
Da questo scontro di interessi nacque una guerra che si
concluse negativamente per i francesi, con la sconfitta
di Pavia del 1525 e la cattura dello stesso Francesco I°.
L’imperatore vincitore conquistò il Ducato
di Milano e vi pose come vassallo Francesco II°
Sforza.
Francesco I di Valois
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Papa Leone X
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La vittoria di Pavia fu resa possibile
dall’adozione da parte della fanteria spagnola del
“moschetto “ (moschettiere era colui che lo
usava) e tale impiego arrecò molte perdite all’esercito
francese che ancora combatteva con i vecchi metodi ed in
special modo rese quasi inutile l’utilizzo della cavalleria,
che fino ad allora spesso aveva deciso l’esito di
una battaglia.
Sconfitto e fatto prigioniero, Francesco I° fu costretto
a firmare il Trattato di Madrid ( 1526
) con il quale in cambio della libertà s’impegnò
a cedere a Carlo V° i territori di Milano e della Borgogna.
Carlo V° trionfava su tutti i fronti e divenne il monarca
più potente di tutto l’occidente.
Ma se pensava con la firma del Trattato di aver risolto
i suoi problemi si sbagliava; infatti tornato in Francia,
Francesco I° non tenne fede a quanto sottoscritto, motivando
questo suo comportamento col fatto che era stato costretto
a firmarlo e di conseguenza non aveva nessuna intenzione
di rispettarlo.
Questo “ tradimento “ mandò su tutte
le furie Carlo V° che arrivò, secondo le usanze
del tempo, a sfidare a duello il re fellone. Francesco I°
consapevole che da solo non avrebbe mai potuto sconfiggere
il suo rivale, decise di dar vita nel 1526 ad un’alleanza
antiasburgica: la LEGA DI COGNAC a cui
aderirono Firenze, Venezia, l’Inghilterra, il ducato
di Milano ed anche il Papa CLEMENTE VII°.
La decisione del pontefice fece incollerire Carlo V°
che decise di infliggergli una sonora punizione, ordinando
a GIORGIO VON FRUNDSBERG, che comandava
circa 12.000 mercenari lanzichenecchi di fede luterana,
di marciare su Roma ed arrestare il Papa.
Papa Clemente VII
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Giorgio von Frundsberg
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I L “ S A C C O “
I lanzichenecchi erano fanti mercenari
al servizio del Sacro Romano Impero; il termine deriva dal
tedesco Land (terra, patria) e Knecht (servitor ) e furono
costituiti nel 1487 dall’imperatore Massimiliano
I°.
L’evento che più li rese famosi
fu proprio quello che sto per narrare; un episodio traumatico,
che di fatto segnò la fine degli splendori papali
dell’epoca rinascimentale.
Essi parteciparono a questa impresa, non solo col desiderio
di accumulare ricchezze ma anche, essendo seguaci di Lutero,
spinti dalla velleità di distruggere Roma che ai
loro occhi rappresentava la sede dell’anticristo.
Appena fu diramato l’ordine da Carlo V°, l’esercito
dei mercenari, radunato nel Tirolo al comando del Frundsberg,
iniziò ad avanzare verso Roma e dovunque avveniva
il passaggio per le popolazioni civili era un susseguirsi
di rapine, saccheggi e distruzioni.
Contro questa masnada carica di odio e di vendetta fu inviato
in Lombardia, con lo scopo illusorio di fermarli, GIOVANNI
DELLE BANDE NERE al comando di 900 cavalieri. Questi,
uno degli ultimi condottieri italiani, era chiamato così
perché da quando era morto il suo grande protettore
Leone X° non aveva smesso di indossare il lutto.
Egli,
dopo aver prudentemente per qualche giorno seguito da lontano
l’esercito lanzichenecco, ne attaccò la retroguardia
presso Governolo, alla confluenza del Mincio col Po, infliggendogli
la perdita di 300 soldati.
Massimiliano I
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Giovanni dalle Bande Nere
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Sfortunatamente la sera del 25 novembre
1526 rimase ferito gravemente ad uno stinco e la ferita
ben presto degenerò in cancrena. A nulla valsero
le cure dei medici ed il taglio della gamba ferita e la
sera del 30 novembre tra atroci dolori rese l’anima
a Dio a soli 28 anni.
Non avendo più nessun nemico che lo potesse contrastare
validamente e rafforzato nel frattempo dall’arrivo
della guarnigione imperiale di Milano, comandata dal conestabile
duca di Borbone, Frundsberg si diresse con tutta questa
schiera verso l’obiettivo prefissato ed i suoi mercenari
ne approfittarono per fare della Lombardia la più
devastata contrada della cristianità.
Nel frattempo, papa Clemente VII° atterrito dalle notizie
che gli giungevano dell’avvicinarsi di questi nemici
furiosi fece appello, senza successo, al viceré di
Napoli perchè tentasse una mediazione per stipulare
un armistizio col Frundsberg.
Questi, intanto, era impegnatissimo
nel cercare di mantenere la disciplina fra i suoi uomini
che di disciplina non avevano mai sentito parlare e proprio
durante un litigio con alcuni di loro fu colto da un colpo
apoplettico che lo mise fuori causa.
Il conestabile duca
di Borbone lo sostituì al comando dei mercenari ma
solo formalmente, perché anche lui era ormai in balia
di quell’orda assetata di vendetta e di rapina, che
non obbediva più a nessuno, nemmeno all’imperatore.
Una coltre di paura e di disperazione calò sull’Urbe
come ai tempi di Alarico (410 d.c.) e Genserico (455 d.c.)
autori degli unici due saccheggi che subì Roma e
molti abitanti che erano in grado di poterlo fare, cominciarono
a pensare di abbandonare la città per tentare di
salvare la vita e mettere al sicuro quanti più beni
possibili.
A rendere le cose ancora più fosche contribuì
un bizzarro personaggio chiamato BRANDANO,
un eremita di origine toscana che girava tutto il giorno
per la città, novello Giovanni Battista, invitando
alla penitenza ed alla conversione e profetizzando distruzione
e morte per i suoi abitanti se non avessero dato ascolto
alle sue parole, addossando la responsabilità principale
di questo castigo al Papa ed ai prelati corrotti, che con
la loro cattiva condotta avevano reso possibile tutto ciò.
Saccheggiata la Lombardia, le truppe proseguirono l’avanzata
verso Roma e dopo aver invano tentato di entrare in Firenze
e aver saccheggiato Viterbo e la campagna romana, finalmente
il 5 maggio 1527 giunsero in prossimità delle mura
della Città Eterna e si accamparono in attesa di
sferrare l'assalto finale.
Il 6 maggio1527, favorite da una fitta nebbia mattutina,
le truppe imperiali alla cui testa era il Borbone, iniziarono
l’attacco usando le scale per salire sopra le mura
che erano difese da pochi soldati e proprio dagli spalti
un colpo di archibugio tirato da Benvenuto Cellini, mirabile orafo ed artista, ferì mortalmente il conestabile
Carlo di Borbone.
I soldati senza più un comandante
supremo e pieni di rabbia per il ferimento del loro capo
(che morirà quasi subito), dopo un breve combattimento
riuscirono ad entrare nella Città dalla parte di
Borgo, tra Castel Sant’Angelo ed il Vaticano, incalzando
le truppe del Papa e facendone scempio.
Nel frattempo, protetto dalle guardie svizzere che pagarono
tale protezione con la morte di 147 di loro, Clemente VII°
riuscì con molta difficoltà a rifugiarsi in
Castel Sant’Angelo, attraverso il famoso “Passetto
“.
Il saccheggio di Roma che terminerà solo nel febbraio
1528 era iniziato. Furono nove mesi di violenze incredibili,
di torture, di furti, di rapimenti, di omicidi, di stupri,
di chiese violate e di palazzi saccheggiati ed a volte distrutti;
nulla fu risparmiato: né donne, né bimbi,
né immagini sacre, tanto da far dire a molti storici
che questo saccheggio superò in crudeltà ed
efferatezza persino quello di Alarico!
Chiunque avesse girato per Roma sia di giorno che di notte
non avrebbe visto che strade piene di cadaveri e sentito
pietosi lamenti ed urla laceranti; infatti le persone catturate
(nobili, prelati, cardinali, mercanti) venivano torturate
orribilmente per indurle a confessare il luogo ove avessero
messo i loro beni. Se confessavano avevano salva la vita
(non sempre), altrimenti la loro sorte era segnata.
Mentre Clemente era rinchiuso al sicuro a Castel Sant’Angelo
insieme a cardinali, vescovi, nobili e pochi soldati, il
popolo subiva le più strazianti torture: alcuni venivano
appesi per le braccia al soffitto delle loro case rimanendovi
per diverse ore finchè non avessero rivelato dove
avevano nascosto il loro patrimonio.
Altri venivano legati
per le parti vitali o per un piede alle finestre di casa,
altri alle sponde del Tevere con la minaccia di tagliare
le corde se non avessero confessato quanto volevano i loro
carnefici. Tante erano le sofferenze che non pochi preferirono
darsi la morte da sé per evitare la continuazione
delle torture. E tali torture furono senza limiti come si
evince da alcuni esempi che ora riporterò.
Un giorno venne catturato il cardinale Araceli che, dopo
essere stato picchiato e deposto in una bara, venne portato
per Roma accompagnato da un canto funebre e infine venne
condotto in una chiesa dove venne recitata per lui l’orazione
funebre.
Quindi i suoi carcerieri lo riportarono a casa
e presi dalla sua cantina i migliori vini si ubriacarono,
bevendo nei calici d’oro rubati nelle chiese.
Un altro giorno fu visto per Roma un asino vestito dei paramenti
sacri ed un sacerdote ucciso ai piedi dell’animale;
il prete era stato ucciso perchè si era rifiutato
di dare il SS. Sacramento al somaro.
Era usuale vedere passeggiare
per le vie della città i mercenari in compagnia delle
loro concubine, ricoperti di drappi preziosi, di gioielli
e con in mano coppe piene di vino, ridendo sguaiatamente,
per recarsi poi nelle osterie o in bordelli improvvisati.
Si può immaginare quel che toccasse alle donne, monache
comprese e le violenze carnali anche di gruppo si contarono
a centinaia.
Il bottino che fecero fu incalcolabile: gioielli,
monete d’oro, drappi preziosi, oggetti di culto di
gran pregio, ma per fortuna reputarono di nessun valore
i quadri e le opere d’arte, così che molte
di queste furono fortunatamente risparmiate per le future
generazioni.
I ricchi venivano usati come schiavi e adibiti alle più
basse fatiche domestiche, compresa la pulitura dei cavalli
e la vuotatura delle loro feci.
Il Principe d’Orange,
succeduto al Borbone, dopo tre giorni ordinò di cessare
il saccheggio ma ormai nulla e nessuno poteva fermare quel
branco di scellerati.
Osservando l’immane catastrofe
della città, il Pontefice prigioniero nella fortezza,
per aver salva la vita fu costretto a subire la resa ed
il 5 giugno 1527 accettò le pesanti condizioni richieste,
quali l’abbandono delle fortezze di Ostia, Civitavecchia,
Civita Castellana e la consegna delle città di Modena,
Parma e Piacenza, oltre al pagamento di 400.000 ducati e
l’obbligo di rimanere a Castel Sant’Angelo come
prigioniero.
Ma per la città di Roma la resa del Papa non significò
affatto la fine del saccheggio e l’allontanamento
dei predoni, che continuarono a rimanere in città
a rapinare ed uccidere coloro che tentavano di ostacolarli.
La liberazione di Roma da questa ignobile soldataglia giunse
soltanto grazie ad un nemico ancora peggiore: la peste.
Scoppiata nell’afosa estate del 1527, percorse la
Penisola da Nord a Sud e giunta a Roma fece strage, non
solo fra la popolazione ma anche fra i lanzichenecchi ancora
presenti in città e costringendo quelli ancora non
colpiti dal morbo a fuggire in gran quantità. Però
solo il 17 febbraio 1528 le ultime truppe imperiali lasciarono
definitivamente la città ormai ridotta in uno stato
pietoso e pressoché distrutta.
Il Papa che nel dicembre 1527, corrompendo ufficiali imperiali,
era riuscito a lasciare Castel Sant’Angelo raggiungendo
con difficoltà Orvieto, solo il 6 ottobre 1528 rientrava
in una Roma distrutta, priva dell’80% dei suoi abitanti
originari, spogliata di tutto ed in preda alle malattie
ed alla fame.
Le vittime, secondo la maggior parte degli
storici, superarono le 20.000 unità solo tra gli
abitanti romani ed a queste vanno aggiunte quelle dei soldati
imperiali, (oltre 5.000) morti per lo più a causa
della peste.
Con il Sacco di Roma finì la stagione del Papato
- Impero e del Papa – Imperatore e finì anche
la stagione artistica e culturale del primo Cinquecento.
Anche se Roma in soli dieci anni riuscì a rifiorire
completamente, ci volle più tempo perché le
ferite spirituali si rimarginassero. Nel frattempo il mondo
era cambiato notevolmente: l’unità della cristianità
definitivamente spezzata, il potere saldamente nelle mani
di Carlo V° e dei suoi successori.
Foto fornite da Cartantica
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