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SAN GIUSEPPE ARTIGIANO: TRA SIMBOLOGIA E QUOTIDIANITA'
La figura di san Giuseppe artigiano, di cui qui si vuol ripercorrere a grandi linee l’iconografia, è stata portatrice di messaggi e valori di particolare importanza e significato.
Per comprenderne la portata e i contenuti, si farà ricorso anche al linguaggio dei simboli, che ci consente di penetrare nell’universo dei segni utilizzati nell’antichità, di cui oggi poco abbiamo cognizione, per cogliere l’insieme di richiami e collegamenti, di cui l’espressione artistica è erede.
Questo percorso essenziale, attraverso l’esame di 10 rappresentazioni figurative, vuole attestare la ricchezza e la valenza concettuale di una tipologia iconografica, relativamente a san Giuseppe, che nel tempo si è caricata di istanze e motivi innovatori, riferibili da un lato all’affermazione del culto, e dall’altro alla rielaborazione in età post-tridentina; si verificò infatti un’azione di recupero di temi di lontana ascendenza, determinando originali invenzioni figurative.
Significativo, nel contesto narrativo qui esaminato, il tema del presagio della Passione, richiamato dalla presenza della Croce, “lavorata” da san Giuseppe, o dall’apprendista Gesù, o comunque presente negli elementi di contorno.
L’intento catechetico dell’arte post-tridentina, infatti, si manifestò in un processo di recupero e rielaborazione di vasta portata, che attingeva al repertorio dei motivi iconografici, evocativi di una molteplicità di fonti e di temi devozionali.
Un patrimonio arcaico, in definitiva, coniugato con istanze “moderne” e programmi iconografici ispirati ai dettami controriformistici, di una religiosità più autentica e interiore.
Questo insieme composito, non alieno dagli spunti di un’arte popolare espressiva di aspetti tratti dalla quotidianità, si riflette nelle scene della bottega di san Giuseppe artigiano, guidando l’osservatore, coinvolto nella lettura prospettica dell’interno, a percepire non solo le occupazioni pratiche dei protagonisti, spesso minuziosamente descritte, ma pure le correlazioni di sguardi, di gesti, di attitudini, densi di messaggi profondi.
E attorno, figurazioni di animali, vegetali, frutti dal preciso valore simbologico, che arricchiscono la scena di richiami emblematici, e sollecitano la devozione.
La figura del santo, così, viene messa pienamente in luce come protagonista della storia biblica, ultimo patriarca a cui è affidata la crescita e la formazione del Figlio, il Messia annunciato dai Profeti.
E’ per questo suo ruolo unico e senza paragoni, che il santo sarà onorato di particolarissime attribuzioni iconografiche, speculari alle raffigurazioni mariane.
Il percorso iconografico che si intende proporre segue un criterio cronologico, a partire da un Evangeliario del V sec. per concludersi con immaginette devozionali dell’Ottocento e Novecento.
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I Vangeli non precisano l’attività di Giuseppe: se ne parla solo in occasione della discussione sulla provenienza del Cristo: “Non è costui il falegname, il figlio di Maria ?”. (1)
Il termine usato dagli evangelisti (téktôn), tradotto con “falegname”, può assumere il significato di “carpentiere” e “fabbro”. L’apologista Giustino nel Dialogo con l’ebreo Trifone, composto intorno al 155, riferisce che Gesù faceva aratri di legno e gioghi. (2) E nell’apocrifo dello Pseudo-Matteo e nella Storia di Giuseppe falegname si dice espressamente che Giuseppe “era ben istruito nella saggezza e nell’arte della falegnameria”. (3) L’iconografia trasmette sporadicamente questo aspetto di san Giuseppe faber lignarius: si segnalano due miniature, del XII-XIII sec., relative alla scena del ritorno di Giuseppe dai cantieri, in cui si evidenzia nella prima una sega (4), e nell’altra un’ascia (5) nelle sue mani.
Fig. 1
Piatto di Evangeliario, avorio, sec. V, Tesoro del Duomo, Milano |
Queste figurazioni, attribuite a maestranze del nord-Italia, non erano frutto del caso; una corrente dottrinale, infatti, ha inteso vedere in lui, che lavora per fabbricare oggetti utili, l’immagine del Padre celeste, artefice di tutte le cose, o anche lo Spirito santo, santificatore. A tal proposito ha scritto, infatti, Massimo il Confessore († 662): “Esercitava il mestiere di carpentiere, esperto nell’arte più di tutti gli altri carpentieri: infatti doveva essere al servizio del vero architetto, il creatore e carpentiere di tutte le creature” (6). Si trattava, in definitiva, di un discorso esegetico che presentava in chiave simbologica (tipo/anti-tipo) il personaggio e il suo mestiere, ponendolo in stretta relazione con la divinità e la sua opera salvifica: Adamo-Eva = Giuseppe-Maria = Cristo-Chiesa; Dio artefice del creato = Giuseppe artigiano di manufatti.
Sul piano testuale, le fonti d’ispirazione nel medioevo furono principalmente due: la Legenda Aurea (7) del domenicano Jacopo da Varazze, opera enciclopedica che raccoglie le Vite dei santi, a cui attinsero ampiamente anche gli artisti, e le Meditationes dello Pseudo-Bonaventura (8), opera mistica di ambito francescano, in cui nel capitolo sulla permanenza in Egitto si legge: “trovano una casetta e vi restano per sette anni… Ho letto da qualche parte che la Signora procurava il necessario alla vita per sé e per suo figlio tessendo e cucendo… In più, c’era quel santo vecchietto di Giuseppe che, come falegname, si dava da fare” (9) .
Nell’arte paleocristiana, la figura di san Giuseppe venne rappresentata con intenti narrativi e didascalici, quale elemento provvidenziale della Redenzione. E per connotarlo visivamente, una sega al suo fianco, come vediamo ad esempio nell’Evangeliario di Milano, del V sec.(10) (fig.1); una figurazione affine compare nel riquadro di seta sargia, appartenente al tesoro del Sancta Sanctorum al Laterano in Roma, risalente al sesto secolo.
Si andava affermando la rappresentazione del faber lignarius, “un tipo carico di realismo, e perciò coerente con lo spirito della società occidentale: la quale, come ad esempio preferì vedere il martire non nella ieratica trascendenza dell’arte orientale, ma nella realtà della sua sofferenza e conseguentemente lo raffigurò con gli strumenti della sua passione, allo stesso modo volle vedere Giuseppe in una dimensione tutta umana, uomo dunque tra gli uomini, non diverso dagli altri solo perché eletto a rendere testimonianza del grande avvenimento dell’incarnazione” (11) .
Nel Medioevo, con la fioritura delle Sacre Rappresentazioni, spettacolo edificante di piazza, san Giuseppe presenta i tratti del padre operoso e accogliente: sistema la paglia, giaciglio di fortuna nella povera stalla, dove il Bambino giace come ostia di splendente candore, nell’oscurità della grotta. Porta fascine, accoglie i pastori offerenti, esprimendosi nel linguaggio umano dei sentimenti.
Il Rinascimento, poi, vede affermarsi nuove figurazioni, ispirate alle Rivelazioni di s. Brigida: san Giuseppe va in cerca di un lume, di fuoco, di cibo. La sua immagine si arricchisce di aspetti, gesti, motivi, tratti dalla quotidianità, assumendo sempre più un profilo realistico, e attualizzato.
Mentre fino al Rinascimento venne raffigurato all’interno del ciclo dell’Incarnazione, e mai isolatamente, l’affermarsi del culto nel corso del XV sec. determinò tipologie innovative, che ne accentuavano il ruolo di padre putativo, educatore, intercessore e patrono.
Ciò si deve, innanzitutto, all’azione degli Ordini mendicanti, promotori di una pietà più vicina alla sensibilità dei fedeli: in Italia san Bernardino da Feltre e san Bernardino da Siena contribuirono alla diffusione del culto, sollecitandone la raffigurazione in sembianze di età matura, e non senile come d’uso; il prestigioso teologo francese Giovanni Gerson, poi, ne promosse la devozione, da esprimersi concretamente nella festa dello Sposalizio di Maria e Giuseppe. (12)
L’introduzione ufficiale del culto è legata alla figura di Sisto IV (1471-1484) (13): il testo non ci è pervenuto, ma la sua promulgazione è sicura, poiché il Breviario Romano, pubblicato a Venezia nel 1479, offre per la prima volta, al 19 marzo, la festa del santo.
Gregorio XV, nel 1621, ne decretò la festa, tra quelle comandate (14). A partire da questa data, si registra un impulso particolare della produzione artistica, dovuto soprattutto alla committenza di gruppi laicali: Confraternite, Compagnie d’arti e mestieri, Istituti religiosi, che ne invocavano il patrocinio, e vollero dotarsi di opere d’arte rappresentative. In questo periodo si collocano una molteplicità di opere artistiche: cicli pittorici, pale d’altare destinate alla decorazione di omonime cappelle (15), statue, incisioni, arazzi, reliquiari, medaglie.
Per quanto riguarda, specificamente, l’attività artigianale, la prima scena “di lavoro”, che vede san Giuseppe intento al banco di falegname, è quella riferita al miracolo dell’asse allungata, di derivazione apocrifa: vi si narra come il falegname, trovandosi alle prese con un’asse dalla lunghezza non corrispondente a quanto ordinato, trovasse aiuto nel Bambino Gesù, che prodigiosamente intervenne dicendogli di tirare insieme l’asse, per allungarla poi come occorreva.
Fig. 2.
Evangelica Historia, manoscritto, sec. XIV, Biblioteca Ambrosiana, Milano.
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Narra l’Evangelica Historia, opera trecentesca di ambito lombardo (fig. 2) (16):
“Quando Gesù aveva otto anni, Giuseppe faceva il falegname e lavorava col legno. Un giorno un uomo ricco lo pregò dicendo: Signor Giuseppe, vi prego che mi facciate un letto ottimo e bello, e gli fornì il legno per l’opera. Giuseppe preso il legno cominciò a misurarlo: non andava bene però per fare quel mobile, perché l’aveva tagliato (male). Si angustiava Giuseppe, perché non riusciva a fare come voleva. Il fanciullo Gesù vedendo Giuseppe rattristarsi, gli disse: non angustiarti, ma prendi il legno da un capo e io lo prenderò dall’altro, e lo tirerò quanto possiamo. Fatto questo, Giuseppe si accinse di nuovo a misurare il legno e lo trovò ottimo per quel lavoro. Visto quello che aveva fatto Gesù, Giuseppe lo abbracciò dicendo: Sono felice che Dio mi ha dato un tale fanciullo”.
L’episodio venne a lungo tramandato e diffuso, divenendo parte integrante della tradizione orale. |
La scena di lavoro che si affermò, come vedremo, fu la “Sacra Famiglia nella bottega”, i cui primi esemplari si ebbero all’inizio del XVI sec., nelle note incisioni di A. Dürer (1471-1528); questa iconografia intendeva descrivere la vita quotidiana a Nazareth, secondo il gusto per il naturalismo e lo stile descrittivo invalso nell’arte sacra.
Lo schema figurativo presenta Maria, intenta a cucire o filare (17), san Giuseppe falegname al suo banco da lavoro, alle prese con l’accetta, la sega, o la pialla, contornato dagli attrezzi e dalle travi − generalmente tre −, e Gesù operoso, impegnato nell’apprendistato, o nelle piccole incombenze domestiche.
Nel periodo della Controriforma si dedicò particolare attenzione alle immagini, quale tramite per richiamare ideali di operosità; e soprattutto con l’istituzione della festa liturgica nel 1621, il tipo iconografico del santo falegname conobbe una speciale fioritura, e venne arricchito di elementi simbolici, funzionali agli intenti catechetici di cui l’arte doveva farsi interprete. All’interno del contesto narrativo della Sacra Famiglia, intessuto di aspetti leggendari e dottrinali, troverà spazio il tema del presagio della Passione (18), espresso nel motivo iconografico della croce, presente in modo figurato, o in via di realizzazione da parte del falegname Giuseppe, o dell’apprendista Gesù.
Il tema è inoltre rievocato dalla presenza degli strumenti da lavoro, che alludono significativamente agli strumenti della Passione; i tre chiodi, le tenaglie, il martello. Gli strumenti, la croce, i simboli eucaristici, richiamano così alla mente dell’osservatore non solo il mestiere compiuto dal padre e dal Figlio, ma soprattutto il progetto salvifico che, attraverso quegli strumenti, sarebbe stato portato a compimento. E assumevano, in tal modo, una valenza simbolica archetipica, tale da potersi riproporre in altre scene del ciclo santorale, al di fuori del contesto narrativo originario: figurano infatti nelle scene del Sogno di san Giuseppe, così come in altre raffigurazioni riguardanti la Fuga in Egitto, e il Transito del santo, quali attributi dell’attività artigianale.
L’iconografia della Sacra Famiglia nella bottega del falegname, dunque, si fa portatrice di temi e motivi profondi e significativi, soprattutto a partire dal XVII sec., con figurazioni nuove, pur attingendo al repertorio iconografico tradizionale. La spiritualità controriformistica portò infatti all’innovazione dei moduli consueti, determinandone altri che finirono per considerarsi del tutto nuovi. Questo processo è riscontrabile nel percorso che, a titolo esemplificativo, prendiamo ora in esame.
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Fig. 3 -
Sacra Famiglia, sec. XXVII,
Oratorio del Binengo, Sergnano (Cremona)
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Fig. 4 - Sacra Famiglia, olio su tela, sec. XVII, Santuario di Gibilmanna, Cefalù, Palermo
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Consideriamo per prima la raffigurazione dell’Oratorio del Binengo (fig. 3) (19): opera di fattura popolaresca, dall’impianto figurativo essenziale, mostra un originale motivo iconografico sullo sfondo, una torre, simbolo mariologico (20), da cui provengono gli angeli recanti le travi. Mentre san Giuseppe pialla, Maria cuce, e Gesù adolescente spazza. Si legge, nella Mistica Città di Dio di Suor Maria de Agreda, come nella vita familiare Maria e Gesù spazzano l’ambiente di lavoro (21).
Nel santuario di Gibilmanna è custodita una Sacra Famiglia (fig.4) in cui ricorrono gli stessi elementi compositivi; qui, la figura di Dio Padre campeggia al di sopra del gruppo familiare, e sollecita l’osservatore a riconoscere nelle tre figure della Sacra Famiglia, la triade della “Trinità terrena”, che in seguito avrà larga fortuna nelle immagini devozionali della Sacra Famiglia. |
Fig. 5 - Sacra Famiglia, miniatura, sec. XVII, Fondazione Querini Stampalia, Venezia
Più ricercata si rivela l’impostazione della Sacra Famiglia (fig.5) attribuita a G. Clovio (1498-1598 (22); qui, un fitto pergolato sovrasta la scena, in cui campeggia il Bambino, in candida veste, che trattiene un fiore allusivo alla futura Passione. San Giuseppe lavora al bancone, mentre gli angeli dispongono il legno, in piccoli pezzi. Nel cesto di Maria, si distingue la veste azzurra che richiama la divinità, la natura divina del Cristo.
Vari dettagli simbolici richiamano la nostra attenzione: i legni tra le mani dell’angelo chinato, dall’apparenza di canne spezzate, sono tre, come quelli nel cestino, di cui uno, ricurvo, descrive una croce. La canna qui raffigurata, sembra rievocare le battiture inflitte al Cristo nel Pretorio, così come l’uva del pergolato allude al sangue versato per la Redenzione degli uomini. Ancora, i tre vasi di fiori in secondo piano si differenziano per il loro contenuto: quello accanto a san Giuseppe è spoglio, mentre quello più vicino al Bambino è fiorito e rigoglioso; in lontananza, il giardino circoscritto da mura richiama il tema dell’Hortus conclusus di derivazione scritturistica (23), assunto quale titolo mariano, e qui ripreso in forma descrittiva.
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Fig. 6 - Sacra Famiglia, olio su tela, sec. XVII,
Santa Maria della Steccata, Parma
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Il tema del sacrificio eucaristico è ancor più esplicito ne La Sacra Famiglia di G. Soens (24)del 1607 (fig.6), in cui campeggia una vite avviluppata al tronco centrale, il cui frutto maturo viene offerto da un angelo che si fa incontro all’osservatore.
Il Bambino prende per mano san Giuseppe, per volgerlo verso Maria intenta a cucire la veste della Passione (25).
Una linea ideale congiunge il volto di Maria, alla figurazione dell’uccellino, che simbolizza il Paradiso, lungo l’asse della tettoia di paglia.
E un’altra linea ideale sembra riconnettere lo sguardo della Madre, prima al Figlio, e successivamente alla mano operosa del falegname.
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Fig. 7 - La bottega di S. Giuseppe, olio su tela, sec. XVII,
Santa Maria Assunta, Serrone (Foligno) |
Fig. 7a - Particolare |
Il gioco di sguardi è emblematico ne “La bottega di san Giuseppe” del Maestro di Serrone (fig.7) (26), pittore caravaggesco, in cui il Bambino, dall’espressione intensa, sta annodando due legnetti incrociati, con un filo che si dipana da un gomitolo, significativamente posato su un libro, che allude alla Scrittura. E accanto, il drappo azzurro che simbolizza il divino. |
Fig. 8 - La bottega di s. Giuseppe, sec. XVII,
Arciconfraternita di S. Giuseppe dei Falegnami in Roma, collezione privata
Una incisione dell’Arciconfraternita dei Falegnami (fig. 8), eretta in S. Giuseppe dei falegnami al Foro Romano (27), presenta l’impianto iconografico tipico del genere della “Sacra Famiglia nella bottega”:
L
le due figure simmetriche di Giuseppe e Maria, equidistanti dal centro compositivo della scena, sovrastata dalla figurazione dello Spirito Santo, fissano intensamente il Bambino Gesù, intento a osservare l’asse sul banco da lavoro, che con la destra addita, mentre con la sinistra trattiene una piccola croce.
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L’insieme dei temi e motivi sin qui esposti hanno riscontro anche nelle immaginette sacre, in un processo di continuità che attesta, ad di là dei limiti spazio-temporali, la persistenza di moduli figurativi di molto anteriori, e la cui lettura, e decifrazione, apre la via a cognizioni di sorprendente valenza culturale (28).
All’interno della vasta produzione di immaginette devozionali, che a partire dal XVII secolo vennero prodotte e diffuse da calcografi, incisori, stampatori, attivi in Italia (29) e in Europa, si è selezionato due immaginette del XIX e XX sec., che illustrano l’attività artigianale di san Giuseppe con semplicità didascalica, e vena narrativa.
Fig. 9 - Sacra Famiglia, sec. XIX, collezione privata
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La prima (fig. 9), di produzione francese, mostra il falegname che guida il Figlio al lavoro, e si erge sul gruppo con autorevolezza; Gesù, appoggiato a un basamento simile a quello dell’immagine precedente, sta inchiodando due assi. La sua mano incrocia la mano di Giuseppe, che, con gesto di protezione, lo guida nell’esecuzione del lavoro.
L’immaginetta successiva infine rispecchia una ambientazione domestica (fig. 10): il Bambino Gesù ha una croce della sua stessa altezza, e un martello, a indicare l’opera appena compiuta. Qui, il richiamo visivo alla Croce della Passione è ancora più esplicito.
San Giuseppe, impegnato a lavorare con un segaccio, è in abiti da lavoro, come invalso alla fine dell’Ottocento. In questo periodo, infatti, a seguito dell’istituzione della festa del santo quale patrono del lavoratori, decretata da Leone XIII nel 1889 (30), il santo esibisce, tanto nell’arte colta che devozionale, l’abito da operaio, non più il saio o l’abito confraternale, di cui era precedentemente rivestito (31).
Gli artisti hanno continuato a raffigurare san Giuseppe artigiano, con ricchezza di stili e modalità esecutiva; in questa parrocchia di San Giuseppe Artigiano, si ammira “La Famiglia di Nazaret”, realizzata dal pittore Rodolfo Romano (32) nel 1990.
Qui san Giuseppe è il protagonista; lavora una croce, dinanzi a una tavola su cui si nota una brocca, del pane, una mela e dell’uva. La stella davidica, distinguibile nella decorazione a parete, richiama la stirpe; il fuoco manifesta lo Spirito. Sul pavimento, la luce della finestra proietta un’ombra a forma di croce.
L’insieme delle notazioni qui espresse, traccia un percorso che conduce, dall’umiltà del lavoro artigianale del legno, alla visione della Croce e del disegno di salvezza, proposti alla meditazione del cristiano per la preghiera e l’arricchimento spirituale.
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Sacra Famiglia, immaginetta devozionale a stampa, inizi '900, collezione privata |
Note
1) Mt 13, 55; Mc 6, 3; Lc 4, 22.
2) Giustino, Dialogus cum Tryphonem, 88, 18.
3) II,2.
4)Codice Vat. gr. 1162 (f. 164v).
5) Staatliche Bibl. Berlino.
6) Vita di Maria, 17; Testi Mariani del Primo Millennio, a c. di G. Gharib - E. Toniolo - L. Gambero - G. Di Nola, 2. Padri e altri autori bizantini (VI-XI sec.), Roma 1989, II, 196.
7) Jacopo da Varazze, Legenda Aurea, Firenze 1953.
8) G. GASCA - QUEIRAZZA, San Giuseppe nelle Meditationes Vitae Christi dello Pseudo-Bonaventura. Loro diffusione nei secoli XV-XVI. Confronto con altri testi in ambito italiano, in San Giuseppe, 1976, 435-45.
9) Anonimo francescano del ‘300, Meditazioni sulla vita di Cristo, (a c. di S. Cola), Roma Città Nuova, 1982, 48-49.
10) Milano, Tesoro del Duomo, Copertura di evangeliario, avorio, V sec.
11) P. Testini, Alle origini dell’iconografia di Giuseppe di Nazareth, in Rivista di Archeologia Cristiana 48 (1972), pp. 271-347.
12) vd P. Payan, Joseph. Une image de la paternité dans l’Occident mèdièval, Aubier 2006, p.147 sgg
13) Associazione Biblica Italiana, Documenti pontifici su san Giuseppe, Roma 1965, p.11 sgg.
14) Ibidem, p.25-6.
15) Le Confraternite disponevano di un altare per l’officiatura, nella chiesa del luogo, e dedicavano al santo l’altare preposto, incaricandosi di decorarlo.
16) Evangelica Historia. Disegni trecenteschi del Ms.L.58.SUP. della Biblioteca Ambrosiana, Milano 1978, fol. 15b.
17) Maria filatrice è una figurazione di derivazione apocrifa; i Vangeli dell’infanzia, ai cap.VIII e IX, riferiscono che “la fanciulla filava la porpora nel Tempio”.
18) O. Ferrari, Sul tema del presagio della Passione e su altri connessi, principalmente nell’età della “Riforma cattolica”, “Storia dell’arte”, 61, 1987.
19) L’Oratorio del Binengo è ubicato a Sergnano (CR).
20) Nelle Litanie della B.Vergine Maria ricorrono i titoli mariani tra cui “Turris davidica” e “Turris eburnea”.
21) Maria De Agreda, Istoria divina e Vita della Vergine Madre di Dio, Anversa, 1717, cap.XXV.
22) Il quadro, una pergamena dipinta, si conserva presso la Fondazione Querini-Stampalia, a Venezia.
23) “Giardino chiuso tu sei, sorella mia sposa, giardino chiuso, fontana sigillata” (Cantico dei Cantici 4,12).
24) S. Maria della Steccata, Santuario mariano di Parma, conserva nella Sacrestia la tela del Soens; pittore di origini fiamminghe, giunse in Italia nel 1575, e dopo un attivo soggiorno romano, venne chiamato a Parma dal duca Ranuccio Farnese, e qui operò a lungo.
25) La figurazione di Maria cucitrice è da ricollegare al motivo della “veste inconsutile”: cfr Maria De Agreda, Istoria divina, op.cit. cap.XXIX.
26) Sita originariamente in S. Maria Assunta a Serrone (Foligno), è ora esposta nel Museo Diocesano di Foligno; cfr. B. Toscano, Pittura del Seicento. Ricerche in Umbria, Perugia 1989, p. 165-170; id. .
27) Sulle origini dell’Arciconfraternita dei Falegnami a Roma, cfr G.Milone, Origine e primi sviluppi dell’Arciconfraternita di San Giuseppe dei falegnami in Roma, in San Giuseppe nel Rinascimento (1450-1600), Atti del primo Simposio internazionale, Roma 1977, pp 691-749, e successivamente dello stesso A., L’Arciconfraternita di San Giuseppe dei Falegnami in Roma nel Seicento, in San Giuseppe nel Seicento, Atti del secondo Simposio internazionale, Roma 1981, pp 693-769.
28) A.Vecchi, Il culto delle immagini nelle stampe popolari, Firenze, 1968; E.Gulli Grigioni Materiali e tecniche nell’immaginetta spirituale manufatta, in Con mano devota, Padova 1985.
29) A.Bertarelli, Le stampe popolari italiane, Milano 1974 ; P.Toschi, Stampe popolari italiane dal XV al XX secolo, Milano 1964.
30) Con l’Enciclica Quamquam pluries, del 16 agosto 1889,
31)Come si nota, ad esempio, nella “Sacra Famiglia nella bottega” a Todi, Acireale, Cagli, Gibilmanna.
32) Il pittore ne ha spiegato dettagliatamente l’impianto compositivo, e gli elementi figurativi, in occasione dalla Giornata di studi, promossa dalla parrocchia romana di S.Giuseppe Artigiano il 19 maggio 2008; vd pagina successiva
Bibliografia
- Elisabetta Gulli Grigioni - Vittorio Pranzini - SANTINI, Piccole immagini devozionali manufatte a stampa dal XVII al XX secolo. Editore Essegi, ravenna, 1990.
- dolores Sella - Santioni ed immagini devozionali in europa dal secolo XVI al XX. Editore Maria Pacini Fazzi, Pisa, 1997.
- Cataloghi delle mostre tenutesi a Campofilone (AP) - Editore Cooperativa Confronto e Rinnovamento 1984-1990
Rivista bimestrale Santini et Similia, Editore Barbieri, Manduria (Ta), dal 1990
Circolare informativa dell'A.I.C.I.S. (Associazione Italiana cultori immaginette sacre (Roma) dal 1983.
* La Prof.ssa Stefania Colafranceschi è membro dell' A.I.C.I.S.
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