E' iniziato tutto con la passione che mi lega alla Divina Commedia, opera sublime, senza età, ricchissima di personaggi, di ambienti, di figure note, veri e propri personaggi della storia, che mi ha portato ad indagare su cosa avessi, tra le mie collezioni, riguardo ad essa e a Dante e ne sono saltate fuori un pò di cartoline, qualche francobollo, altre curiosità... |
LA DIVINA COMMEDIA
Dante Alighieri, o Alighiero, battezzato Durante di Alighiero degli Alighieri e anche noto con il solo nome Dante, della famiglia Alighieri, è stato un poeta, scrittore e politico italiano, nato nel 1265 a Firenze e morto a Ravenna nel settembre 1321.
Sposato a Gemma Donati e con 4 figli.
Considerato il padre della lingua italiana, principalmente per la realizzazione della Comedìa, diventata poi Divina e considerata la più grande opera scritta in lingua italiana e il maggiore capolavoro della letteratura mondiale, rielaborata nella cultura medievale, attraverso il Doce stil novo, la Commedia è anche un'allegoria della salvezza umana.
Dante, dopo aver constatato di persona i drammi dei dannati, le pene a cui vengono sottoposti e le gioie celesti destinate, invece, a chi si è comportato bene nella sua vita, sente di poter offrire a chi lo legge, uno spaccato di spiritualità e di comportamento.
Rilevante linguista, teorico politico e filosofo, Dante segnò in profondità la letteratura successiva, spaziando all'interno dell'apprendimento e della conoscenza degli esseri umani, sovrastando tutti, coevi, precedenti e successivi, sia della cultura occidentale, ma anche oltre, tanto da essere chiamato il "Sommo Poeta". |
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Purtroppo, non ho molte cartoline che illustrano la Divina Commedia di Dante, solo poche, con cui, tuttavia, cercherò di illuminare alcuni punti salienti di questa immortale, unica, sorprendente, splendida - e chi più ne ha, più ne metta - allegoria, irripetibile.
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Quella fra Dante e Beatrice è sicuramente la storia df'amore più famosa della letteratura occidentale. Gran parte della fama di Dante è sicuramente dovuta alla presenza di questa donna sia nella Vita Nova ma, soprattutto, nella Divina Commedia.
Si chiamava Bice Portinari ed era figlia di Folco Portinari, un banchiere originario della Romagna.
Nacque nel 1265 e morì molto giovane, nel 1290, secondo alcuni, dando alla luce il suo primo figlio.
Nulla si sa dei reali rapporti che intercorsero fra i due: probabilmente s'erano incontrati, ma, non era successo nulla tra di loro, vista la grande differenza di ceto che li separava (Beatrice faceva parte dell’aristocrazia, mentre Dante era figlio di mercanti), è difficile che fra i due fosse nato un vero rapporto.
In età medievale, poi, il matrimonio era visto come un mezzo per debellare contrasti politici o stringere alleanze e si contraevano patti matrimoniali quando gli interessati erano ancora bambini.
Infatti, sia Dante che Beatrice si sposarono per motivi politici, legandosi a famiglie prestigiose.
La moglie di Dante si chiamava Gemma e apparteneva alla potente famiglia dei Donati. Le trattative matrimoniali si conclusero con la firma di un atto vincolante il 9 febbraio 1277, anche se il matrimonio venne celebrato qualche anno dopo, tra il 1283 e il 1285. Non si sa quasi nulla della vita matrimoniale di Dante e Gemma, se non che lei gli diede quattro figli, Iacopo, Pietro, Antonia e Giovanni.
Boccaccio ci racconta qualcosa di questo matrimonio, ma è chiaro che le sue affermazioni sono più che altro frutto di fantasia, specie riguardo alle date: secondo l’autore del Decameron, infatti, i parenti di Dante l’avrebbero convinto a sposarsi per consolarlo dalla morte di Beatrice, che in realtà risulta essere morta successivamente.
In ogni caso, Dante mantenne sempre buoni rapporti con la famiglia della moglie, a cui riserverà un buon trattamento anche nella Commedia, nonostante la rivalità politica con Corso Donati.
Tuttavia, può darsi che nel suo cuore, Dante avesse ritagliato uno spazio per la donna che fu per lui fondamentale fonte di ispirazione poetica.
Questo racconto, fittizio o reale che sia stato, segna profondamente la vita poetica di Dante, al cui centro si collocherà da quel momento la figura amata.
Secondo quanto riporta Boccaccio, e in questo caso si tratta sicuramente di invenzione letteraria, i due bambini si sarebbero incontrati ad una festa in occasione del Calendimaggio a casa del padre di Beatrice, Folco Portinari.
In ogni caso, nella Vita Nova, Dante descrive in modo molto intenso il loro primo incontro: prima ancora di vederla, percepisce la presenza fisica di lei, che gli causa un annebbiamento dei sensi. Da quell’istante, l’amata sarà ispirazione e centro della sua poesia.
Beatrice si sposò prima del 1280 con Simone dei Bardi, la cui famiglia è famosa per aver commissionato tra il 1325 e il 1330 gli affreschi della loro cappella in Santa Croce a Giotto.
Quella dei Bardi era una casata illustre, titolare di un'importante compagnia bancaria di Firenze. Simone rivestì prestigiose cariche pubbliche, in qualità di capitano del popolo e podestà, in diverse città toscane.
Con questo matrimonio Beatrice, già appartenente a una famiglia di prestigio, entrò a far parte dell’élite aristocratica di Firenze. I Bardi erano seguaci dei Donati (Simone fece anche parte di una congiura che si proponeva di rovesciare il governo dei Cerchi nel maggio del 1300) e quando essi diventarono Guelfi Neri, continuarono a seguirli.
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Nel 1283, dopo nove anni, Dante vede per la seconda volta Beatrice, che sta passeggiando per Firenze accompagnata da due donne più anziane e, vedendolo, lo saluta. Il saluto provoca un grande sconvolgimento nel poeta, poiché questo era considerato un avvenimento incredibile all’epoca.
Dipinto del 1883 dell'artista Henry Holiday, considerato il dipinto più importante dell'artista, eseguito a olio su tela,
Le donne, sia quelle nubili che quelle sposate, non offrivano facilmente il proprio saluto, quindi quello di Beatrice ha un grande significato per Dante, che data, da quel momento, l’inizio vero e proprio della loro storia d’amore.
Essa, vera o fittizia che sia, si conclude tragicamente l’8 giugno 1290, alla morte della donna. Il triste evento offre a Dante l’occasione di dare vita alla prima opera letteraria che gli diede una certa fama, la Vita Nova, conclusa nel 1295, in cui racconta, mescolando prosa e poesia, la storia del suo amore per Beatrice, che si trasforma da sentimento in cerca di un contraccambio a un amore fine a se stesso.
Ma non solo: la Vita Nova è anche la storia della sua poesia, che si è evoluta da poesia cortese, a poesia stilnovista e, infine, a poesia della lode.
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AMOR MI MOSSE, CHE MI FA' PARLARE!
All’inizio del II canto dell’Inferno, dopo la visione delle tre fiere che simboleggiano la lussuria, l’invidia e l’avarizia e che sbarravano il cammino a Dante, il poeta rimane così atterrito che ormai è deciso a rinunciare ad andare avanti. Si avvicina allora un’ombra, è Virgilio…
A lui Dante rivela tutta la paura che lo aveva assalito e la sua decisione di rinunciare al viaggio nell’aldilà.
Ma Virgilio non fa tardare la sua risposta: “…perché tu ti sollevi da questo timore ti spiegherò perché venni da te e intesi la prima volta che mi preoccupai per te”.
Inizia, quindi, la spiegazione di quello che è successo a Virgilio prima di incontrarsi con Dante. Il poeta dell’Eneide racconta che venne chiamato da una donna beata e bella.
Ella aveva gli occhi più lucenti di una stella e cominciò a rivolgersi a lui con angelica voce, un poco adulandolo, un poco chiedendogli di correre in soccorso di Dante che è impedito nel cammino, tanta è la sua paura per quel luogo, che è già tornato indietro e teme che si sia già smarrito perchè è arrivata troppo tardi a soccorrerlo, dopo che ha udito quello che le hanno detto di lui in cielo.
Lo sprona ancora e gli si rivela come Beatrice...
La sua voce è dolce e penetrante, come una lama che penetra nel profondo dell’anima...
Lucevan li occhi suoi più che la stella;/ e cominciommi a dir soave e piana,/ con angelica voce, in sua favella:/ “O anima cortese mantoana,/di cui la fama ancor nel mondo dura,/e durerà quanto ‘l mondo lontana,/ l’amico mio, e non de la ventura,/ne la diserta piaggia è impedito/sì nel cammin, che vòlt’è per paura;/e temo che non sia già sì smarrito,/ch’io mi sia tardi al soccorso levata,/per quel ch’i’ ho di lui nel cielo udito./
Or movi, e con la tua parola ornata,/e con ciò c’ha mestieri al suo campare,/l’aiuta, sì ch’i’ ne sia consolata./ I’ son Beatrice che ti faccio andare;/vegno del loco ove tornar disio:/amor mi mosse, che mi fa parlare./ Quando sarò dinanzi al segnor mio,/di te mi loderò sovente a lui”.
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Beatrice: persona e personaggio
Beatrice viene definita da Dante "Tanto gentile e tanto onesta pare", come cosa venuta / di cielo in terra a miracol mostrare", persona realmente vissuta, ma, al contempo, creatura celeste, riflesso dell'ansia di ascesa spirituale e di purificazione del poeta.
Beatrice donna, appartiene alla sfera privata della vita di Dante, alla sua giovinezza fiorentina, agli anni della maturazione umana e poetica.
Anche se i riscontri storici sono scarsi, nessuno dubita che Beatrice sia realmente esistita e che sia identificabile con Bice Portinari, sposata a Simone De' Bardi, morta giovanissima l'8 giugno del 1290.
Dante, all'inizio preso da amor cortese, cantò la dolcezza, la bellezza, la grazia, la modestia di Beatrice, ma presto, quell'amore prese un diverso significato, non terreno, ma stimolo ad una profonda introspezione umana e morale.
La Vita Nuova
L'incontro con Beatrice diventa il momento di maturazione umana e poetica di Dante, la cui vita viene, da quel momento, "rinnovata dall'amore". Dante, infatti, racconta del suo primo incontro con Beatrice quand'erano ancora bambini.
Nella Vita Nuova viene delineato il cammino interiore che porta il poeta a comprendere come il fine del suo amore non sia legato alla sfera materiale, neppure al semplice saluto.
Unico fine dell'amore è per il poeta cantare le lodi della sua donna: Beatrice è per Dante uomo, stimolo per introspezione spirituale e per Dante poeta fonte di ispirazione letteraria.
Al termine della Vita Nuova, Dante, che ha compreso la svolta impressa dalla donna alla sua spiritualità, ma è ancora incapace di trasferire nella realtà questo pensiero, promette di non scrivere più di lei se non quando potrà farlo in modo completamente degno.
Nella Vita Nuova Beatrice conserva sempre la sua precisa individualità storica, ma, al tempo stesso, incarna la rivelazione divina.
Tale funzione è, tuttavia, riservata solo a Dante e solo nella Divina Commedia potrà estendersi all'intera umanità.
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LA DIVINA COMMEDIA -
Se si pensa a Beatrice come figura letteraria, è facile associarla al Paradiso, la Cantica in cui effettivamente avrà un ruolo preponderante.
Tuttavia, è importante ricordare che la prima volta che Dante la vede, apppena iniziato il suo viaggio profetico, è proprio nell’Inferno, nel canto II, dove Beatrice compare per inviare a Dante una guida, che da quel momento fino alla fine del Purgatorio sarà Virgilio.
Questa prima apparizione la mostra piuttosto come la gentilissima della Vita Nova e non come la maestra, che sarà per il poeta nell’ultima parte del suo viaggio.
Beatrice, infatti, si preoccupa per Dante, si interroga sulla sua condizione, quando invece, come beata, dovrebbe possedere già la conoscenza di ogni cosa e dichiara di essere scesa nell’Inferno mossa dall’amore, che è sia l’amore per Dio sia il suo amore di donna.
E quando Virgilio si domanda come una beata possa non aver timore di entrare in un luogo così spaventoso come l’Inferno, Beatrice ingenuamente risponde che le uniche cose da temere sono quelle che possono danneggiarci, mentre non dobbiamo in alcun modo temere ciò che non può nuocerci.
I CANTO
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura,
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!
Ed una lupa, che di tutte brame
sembiava carca ne la sua magrezza
e molte genti fé già viver grame...
"A te convien tenere altro viaggio,"
rispuose, poi che lagrimar mi vide,
"se vuoi campar d'esto loco selvaggio..."
La notte del 7 aprile (o forse in altra data) del 1300, Dante si ritrova in una selv buia ed intricata, difficile da descrivere..., egli non sa come vi sia finito, mezzo addormentato com'era, quando ha perso la strada su cui si era incammminato...
E' quasi l'alba e si ritrova ai piedi di un colle, dietro cui sta spuntando il sole. E' primavera e questo gli dona speranza e forza per cercare di scalare la salita; inizia quindi, ma con fatica.
Improvvisamente, gli appaiono 3 animali feroci: una lince, un leone ed una lupa, che simboleggiano la lussuria, l’invidia e l’avarizia, che gli sbarrano il cammino. Tutti e tre sono affamati e lo terrorizzano tentando di distoglierlo dall'andare avanti, tanto che, impaurito, egli ritorna lentamente verso il basso.
Si avvicina allora un’ombra, è Virgilio…
Riconosciutolo, a lui Dante rivela tutta la paura che lo ha appena assalito e la sua decisione di rinunciare al viaggio nell’aldilà. Ma Virgilio lo rincuora e
inizia a spiegargli quello che gli è successo prima di incontrarsi con Dante.
Egli è stato avvicinato da una donna giovane e bella, con occhi luminosi come stelle, che si era rivolta lui con voce dolce, ricordando le sue origini mantovane e la sua fama, chiedendogli di vegliare su Dante che sembava aver avuto paura di intraprendere il viaggio... glielo affida perchè non si smarrisca e compia tutto il suo cammino.
Gli confida il suo nome, Beatrice... "e quando tornerò davanti al mio Signore con lui mi loderò spesso di te.”
"Lucevan li occhi suoi più che la stella;/ e cominciommi a dir soave e piana,/ con angelica voce, in sua favella:/ “O anima cortese mantoana,/di cui la fama ancor nel mondo dura,/e durerà quanto ‘l mondo lontana,/ l’amico mio, e non de la ventura,/ne la diserta piaggia è impedito/sì nel cammin, che vòlt’è per paura;/e temo che non sia già sì smarrito,/ch’io mi sia tardi al soccorso levata,/per quel ch’i’ ho di lui nel cielo udito./
Or movi, e con la tua parola ornata,/e con ciò c’ha mestieri al suo campare,/l’aiuta, sì ch’i’ ne sia consolata./ I’ son Beatrice che ti faccio andare;/vegno del loco ove tornar disio:/amor mi mosse, che mi fa parlare./ Quando sarò dinanzi al segnor mio,/di te mi loderò sovente a lui”.
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INFERNO - II CERCHIO - INCONTRO CON PAOLO E FRANCESCA
Stavvi Minòs, orribilmente, e ringhia:
essamina le colpe ne l'intrata;
giudica e manda secondo ch'avvinghia...
Poscia ch'i' ebbi il mio dottore udito
nomar le donne antiche e' cavalieri,
pietà mi giunse, e fui quasi smarrito...
"... Siede la terra dove nata fui
su la marina dove il Po discende,
per aver pace co' seguaci sui..."
Minosse sta orribilmente sulla soglia e ringhia: esamina le colpe dei dannati che si presentano; li giudica e li destina a seconda di come attorcigli la coda.
Dopo aver sentito il mio maestro nominare le donne antiche e i cavalieri, fui presto da turbamento e quasi mi smarrii.
La terra dove sono nata (Ravenna) sorge alla foce del Po, dove il fiume si getta in mare per trovare pace coi suoi affluenti.
Usciti dal Limbo, Dante e Virgilio entrano nel II Cerchio, più piccolo del precedente e pieno di dolore.
Sulla soglia trovano Minosse, giudice infernale, che ringhia come un animale, ascoltando le confessioni dei dannati, indicando loro a quale Cerchio siano destinate, attorcigliando intorno al corpo la lunghissima coda tante volte quanti sono i Cerchi che i singoli esseeri devono discendere.
Quando vede che Dante è vivo, gli parla duramente, ammonendolo di non fidarsi di Virgilio, poiché uscire dall'Inferno non è così facile come entrare, ma Virgilio lo zittisce ricordandogli che il viaggio di Dante è voluto da Dio.
Superato Minosse, il poeta si ritrova in un luogo buio, dove soffia incessante un terribile vento che trascina i dannati, sbattendoli da un lato all'altro del Cerchio. Essi volano formando una larga schiera come di uccelli in stormo. Altri sembrano volare come delle gru. Dante chiede spiegazioni e Virgilio gli indica alcuni dannati, tutti lussuriosi morti violentemente, tra cui Semiramide, Didone, Cleopatra, Elena (moglie di Menelao), Achille, Paride, Tristano, in compagnia di più di mille altre anime.
Il poeta è colpito da una profonda angoscia e per poco non si smarrisce.
Egli nota che due di queste anime volano accoppiate e vorrebbe parlare con loro, Virgilio acconsente e Dante le chiama.
I due spiriti si staccano dalla schiera di anime, volano verso di lui, come due colombe che vanno verso il nido: si tratta di Paolo e Francesca. Lei gli racconta di essere nata a Ravenna e di essersi legata in vita da un amore indissolubile con l'uomo che ancora le sta accanto. Furono assassinati dal marito di lei e la Caina, la zona del IX Cerchio dove sono puniti i traditori dei parenti, attende il loro uccisore.
Al racconto di Francesca, Dante sviene e resta turbato, silenzioso. Poi si informa da Francesca come sia avvenuto il fatto ed ella racconta che un giorno lei e Paolo leggevano un libro, che parlava di Lancillotto e della regina Ginevra e del bacio che i due protagonisti del libro si scambiarono. Più volte la lettura li aveva indotti a cercarsi con lo sguardo e li aveva fatti impallidire e anch'essi si baciarono, interrompendo la lettura del libro. Mentre Francesca parla, Paolo resta in silenzio e piange; Dante è sopraffatto dal turbamento e sviene.
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INFERNO - CANTO XXIII - INCONTRO CON DUE BOLOGNESI E CON CAIFA
Lo duca mio di subito mi prese,
come la madre ch'al romore è desta
e vede presso a sé le fiamme accese...
E un che 'ntese la parola tosca,
di retro a noi gridò: "Tenete i piedi,
voi che correte sì per l'aura fosca! ..."
Io cominciai: "O frati, i vostri mali...";
ma più non dissi, ch'a l'occhio mi corse
un, crucifisso in terra con tre pali...
Il mio maestro mi afferrò prontamente, come la madre che è svegliata all'improvviso dal rumore e vede il fuoco vicino a sé,
E un dannato, che sentì il mio accento toscano, gridò alle nostre spalle: «Fermate il passo, voi che correte in quest'aria oscura!
Io cominciai a dire: «Fratelli, le vostre pene...»; ma non dissi altro, perché il mio sguardo fu attirato da un dannato (Caifas), crocifisso a terra e legato a tre pali.
Fuga di Dante e Virgilio nella VI Bolgia
Sul fondo della Bolgia trovano dei dannati che procedono con lentamente, piangendo, con aspetto incredibilmente stanco. (Sono gli adulatori - barattieri - falsari - indovini - ladri - ruffiani e seduttori - seminatori di discordie - simoniaci, coloro che, insomma, nascondono altro sotto un'apparenza dorata e sfavillante.
Indossano pesanti cappe con bassi cappucci, della stessa foggia dei monaci cluniacensi, dorate all'esterno e fatte di piombo all'interno, tanto pesanti che quelle di Federico II sembrano paglia al confronto.
Fra di essi Dante pone due frati gaudenti, Catalano dei Malavolti e Loderingo degli Andalò, bolognesi, chiamati da Firenze in carica di podestà dopo la vittoria di Benevento del 1266, per mettere pace tra Guelfi e Ghibellini.
Secondo testimonianze, tra cui quella di Giovanni Villani, essi perseguitarono con condanne e confische molti Ghibellini, facendo abbattere le case degli Uberti presso la torre del Gardingo dove poi sorse il palazzo della Signoria.
È Catalano a notare che Dante è toscano dal suo accento, per cui lo chiama e lo invita ad aspettarli per parlare con loro. Il poeta obbedisce e rivela loro il suo nome, quindi Catalano presenta se stesso e il compagno di pena, rivelando l'ipocrisia dimostrata durante la podesteria a Firenze di cui sono ancora visibili i segni.
Mentre parla con essi, Dante nota un dannato crocifisso al suolo che, vedendolo, si contorce tutto: si tratta di Caifa, il sommo sacerdote che consigliò ai Farisei di far crocifiggere Cristo per aiutare i Giudei; insieme a lui sono condannati, allo stesso modo, il suocero Anna e tutti i membri del concilio. La loro pena consiste nell'essere calpestati a terra da tutti i dannati che percorrono il fondo della Bolgia.
Virgilio osserva Caifa con meraviglia e chiede poi a Catalano di indicargli una via d'uscita dalla Bolgia, ma egli spiega che tutti i ponti che la sovrastavano sono in realtà crollati e si rende conto, irato, che Malacoda lo ha beffato. Ma il diavolo, sottolinea il dannato, è notoriamente bugiardo e padre di menzogna.
I due poeti si volgono a sinistra e procedono insieme ai dannati, ma quelli sono tanto lenti che Dante e Virgilio li superano ad ogni passo.
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INFERNO - CANTO XXXIV - USCITA DALL'INFERNO DOPO LA VISIONE DI LUCIFERO
Com'io divenni allor gelato e fioco,
nol dimandar, lettor, ch'i' non lo scrivo,
però ch'ogne parlar sarebbe poco...
"Quell'anima là sù c'ha maggior pena",
disse 'l maestro, "è Giuda Scariotto,
che 'l capo ha dentro e fuor le gambe mena..."
Non era camminata di palagio
là 'v'eravam, ma natural burella
ch'avea mal suolo e di lume disagio...
Non domandare, lettore, come io in quel momento raggelai e ammutolii: non lo scrivo, poiché ogni parola sarebbe inadeguata.
il Diavolo gli infliggeva di tanto in tanto graffi sulla schiena, Virgilio lo indica come Giuda Iscariota, col capo nella bocca del diavolo e le gambe che scalciano di fuori.
Il punto in cui eravamo non era un percorso agevole come in un palazzo, ma una cavità sotterranea che aveva il suolo impervio e ben poca luce.
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Alla vista di Lucifero, ogni parola è inadeguata: il poeta non morì e non rimase vivo, restando in una specie di stato sospeso.
L'imperatore dell'Inferno esce dal ghiaccio di Cocito dalla cintola in su e incute terrore già guardando quanto sia smisurato. Se Lucifero fu tanto bello quanto adesso è brutto, osserva Dante, e nonostante tutto osò ribellarsi al suo Creatore, allora è giusto che da lui derivi ogni male.
Il poeta è meravigliato nel vedere che Lucifero ha tre facce ma una sola testa: quella al centro è rossa e le altre due si aggiungono ad essa a metà di ogni spalla, unendosi nella parte posteriore del capo. La parte destra è di colore giallastro, la sinistra ha invece il colore scuro degli Africani.
Da sotto ogni faccia escono due ali grandissime, più grandi delle vele di immense navi, proporzionate alle dimensioni del mostro, esse non hanno piume ma somigliano a quelle dei pipistrelli. Lucifero le sbatte creando tre venti gelidi che fanno congelare il lago di Cocito. Egli piange con sei occhi e le sue lacrime gli gocciano sopra i tre menti, mescolati ad una sanguinolenta bava.
Virgilio invita il discepolo ad aggrapparsi intorno al collo eppoi, cogliendo il luogo e il momento opportuno, quando le ali del mostro sono abbastanza aperte, si aggrappa alle costole pelose di Lucifero, scende lungo i suoi fianchi, tra questi e la crosta gelata di Cocito, fino al punto in cui la coscia si congiunge al bacino.
Virgilio, ansimando, si gira e si aggrappa al pelo delle gambe, iniziando a salire verso l'alto, inducendo Dante a credere che stiano tornando all'Inferno, ma avverte il discepolo di tenersi ben stretto a lui, poiché i due devono allontanarsi dal male dell'Inferno percorrendo quella strada. Quindi esce attraverso la spaccatura di una roccia e mette Dante a sedere sull'orlo dell'apertura, raggiungendolo poi con un balzo.
Virgilio spiega la caduta di Lucifero e l'origine dell'Inferno.
Dante alza lo sguardo credendo di vedere Lucifero come l'ha lasciato, invece lo vede capovolto e con le gambe in alto, restando perplesso e non comprendendo come e quale punto della Terra ha appena oltrepassato.
Virgilio esorta Dante ad alzarsi subito, poiché devono ancora percorrere una via lunga e difficoltosa e sono già le sette e mezza del mattino; il percorso è in effetti difficile, attraverso un budello nella roccia che ha il suolo impervio e poca luce.
Dante prega il maestro di risolvere un dubbio, prima di mettersi in cammino: gli chiede dov'è il ghiaccio di Cocito, com'è possibile che Lucifero sia sottosopra rispetto alla posizione precedente e infine come può essere già mattina essendo trascorso così poco tempo.
Virgilio risponde che Dante pensa di essere ancora nell'emisfero boreale, mentre quando hanno oltrepassato il centro della Terra, punto verso il quale tendono i pesi, sono passati nell'emisfero australe, opposto all'altro dove visse e fu crocifisso Gesù.
Dante poggia i piedi sull'altra faccia di una piccola sfera che costituisce la Giudecca: in quel punto è mattina quando nell'altro emisfero è sera, mentre Lucifero è sempre confitto nel ghiaccio come Dante l'ha visto.
Virgilio spiega che il demone precipitò giù dal cielo da qulla parte e la terra si ritrasse per paura del contatto con lui, raccogliendosi nell'emisfero boreale e formando il vuoto della voragine infernale, mentre in quello australe si formò la montagna del Purgatorio.
Dante spiega al lettore che all'estremità della cavità rocciosa (la natural burella), c'è un luogo grandissimo distante da Lucifero tanto che non si può vedere ma da cui si sente il suono di un ruscello che cade verso il basso, nella cavità che ha scavato nella roccia con poca pendenza.
Dante e Virgilio si mettono in cammino lungo quel budello, per tornare alla luce del sole e proseguono senza mai fermarsi, con Virgilio avanti e Dante dietro, facendogli da guida. Finalmente Dante intravvede le stelle del cielo attraverso un piccolo spazio nella crosta terrestre e quindi i due escono, finalmente rivedendole.
Lo duca e io per quel cammino ascoso
intrammo a ritornar nel chiaro mondo;
e sanza cura aver d’alcun riposo,
salimmo sù, el primo e io secondo,
tanto ch’i’ vidi de le cose belle
che porta ’l ciel, per un pertugio tondo.
E quindi uscimmo a riveder le stelle.
l maestro ed io entrammo in quel cammino nascosto per tornare alla luce del sole; e senza prenderci un attimo di riposo salimmo in alto, lui per primo e io dietro, fino a quando vidi gli astri del cielo attraverso un'apertura circolare. E di lì uscimmo per rivedere le stelle.
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PURGATORIO - CANTO II - INCONTRO CON CASELLA, MUSICO E CANTORE TOSCANO
Noi eravamo tutti fissi e attenti
alle sue note: ed ecco il veglio onesto
gridando:Che è ciò, spiriti lenti?)
qual negligenza, quale stare è questo?
Correte al monte a spogliarvi lo scoglio
ch’esser non lascia a voi Dio manifesto»
Noi eravamo tutti intenti alle note, quando ecco che arrivò il vecchio dignitoso (Catone) che gridava: «Che significa questo, spiriti lenti?
quale negligenza, quale indugio è questo? Correte al monte a levarvi la scorza (del peccato) che non vi permette di vedere Dio».
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Ohi ombre vane, fuor che ne l’aspetto!
tre volte dietro a lei le mani avvinsi,
e tante mi tornai con esse al petto.
Di maraviglia, credo, mi dipinsi;
per che l’ombra sorrise e si ritrasse,
e io, seguendo lei, oltre mi pinsi.
Soavemente disse ch’io posasse;
allor conobbi chi era, e pregai
che, per parlarmi, un poco s’arrestasse.
Oh, ombre inconsistenti, tranne che nell'aspetto! tre volte tentai di abbracciarla con le mani, e altrettante le ritrovai vuote al mio petto.
Credo di essermi stupito molto; allora l'ombra sorrise e si tirò in disparte, e io seguendola mi spinsi un po' lontano.
Dolcemente mi disse di fermarmi; allora lo riconobbi e lo pregai di fermarsi un poco a parlarmi.
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Rispuosemi: «Così com’io t’amai
nel mortal corpo, così t’amo sciolta:
però m’arresto; ma tu perché vai?».
«Casella mio, per tornar altra volta
là dov’io son, fo io questo viaggio»,
diss’io; «ma a te com’è tanta ora tolta?».
Ed elli a me: «Nessun m’è fatto oltraggio,
se quei che leva quando e cui li piace,
più volte m’ha negato esto passaggio;
ché di giusto voler lo suo si face:
veramente da tre mesi elli ha tolto
chi ha voluto intrar, con tutta pace.
Allora egli cominciò a cantare «Amor che ne la mente mi ragiona
cominciò elli allor sì dolcemente,
che la dolcezza ancor dentro mi suona
Dolcemente mi disse di fermarmi; allora lo riconobbi e lo pregai di fermarsi un poco a parlarmi.
Mi rispose: «Come ti ho amato nel corpo mortale, così ti amo ora che sono un'anima: per questo mi fermo, ma tu perché sei qui?»
Io dissi: «Casella mio, faccio questo viaggio per tornare nuovamente qui dove mi trovo; ma come mai tu arrivi qui soltanto adesso?»
E lui a me: «Non mi è stato fatto nessun torto, se l'angelo, che prende quando e chi vuole, mi ha negato più volte di portarmi qui;
Infatti il suo volere è conforme a quello divino: tuttavia, da tre mesi egli ha accolto sulla barca tutti coloro che hanno voluto salirci, senza opporsi.
Allora egli cominciò a cantare «Amor che ne la mente mi ragiona» così dolcemente, che la dolcezza di quel canto risuona ancora dentro di me.
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Dante e Virgilio sono sulla riva, pensando al cammino che debbono intraprendere, quando al poeta pare di vedere sul mare una luce simile a quella di Marte, muoversi rapidissima, verso la riva e distoglie un attimo lo sguardo per parlare a Virgilio. Quando torna a guardare la luce la vede più splendente e più grande. Ai suoi lati e al di sotto, compare qualcosa del bianco; il maestro resta in silenzio, fino a quando capisce che il primo biancore sono delle ali e allora grida a Dante di inginocchiarsi e di unire le mani in preghiera, perché si avvicina un angelo del Paradiso. L'angelo non usa remi né vele o altri strumenti umani, ma tiene le ali aperte e dritte verso il cielo, fendendo l'aria.
Man mano che l'angelo si avvicina e diventa più visibile a Dante, egli non riesce a sostenerne lo sguardo e volge gli occhi a terra. Egli viene a riva spingendo una barchetta così leggera che non affonda nell'acqua; l'angelo sta a poppa e nella barca ci sono più di cento anime, che intonano a una voce il Salmo In exitu Israel de Aegytpo. Il messaggero fa loro il segno della croce, quindi le anime si gettano sulla spiaggia e il nocchiero riparte velocemente.
La folla delle anime si guarda intorno, inesperta del luogo, mentre il sole è ormai alto e la costellazione di Capricorno sta declinando dalla metà del cielo.
I nuovi arrivati si rivolgono ai due chiedendo di mostrar loro la via per il monte, ma Virgilio li informa che anch'essi sono appena arrivati, attraverso una via talmente aspra che l'ascesa del monte sembrerà uno scherzo.
Le anime si accorgono che Dante respira ed è vivo, impallidiscono per lo stupore: si avvicinano a lui per curiosità, quasi dimenticandosi di accedere al monte per purificarsi dai loro peccati.
Tra la folla, Dante scorge il musico Casella. nato verso il 1250 a Firenze o Pistoia e morto forse poco prima della primavera del 1300, secondo quanto lo stesso Dante dice di lui. Antichi commentatori del poema lo dicono musico molto apprezzato e grande amico del Poeta; in documenti del Vaticano si trova il suo nome in calce a un madrigale di Lemmo da Pistoia, poeta del Duecento, che recita: Casella sonum dedit (lo musicò Casella, il che è coerente con l'episodio dantesco).
Casella riconosce l'amico e si fa avanti per abbracciarlo, mentre Dante tenta di fare altrettanto ma ogni volta le sue braccia afferrano il vuoto, poichè lo spirito è inconsistente.
I due si parlano in un angolo e Casella spiega al poeta, stupito di vederlo lì, che l'angelo raccoglie sulla sua barca chi vuole lui secondo il volere divino, ma da tre mesi (dal Giubileo indetto nell'anno 1300) ha fatto salire tutti coloro che l'hanno chiesto.
Dante poi lo implora affinchè esegua un canto per confortarlo della fatica del viaggio e il musico intona proprio la canzone di Dante "Amor che ne la mente mi ragiona".
La dolcezza del canto rapisce Dante, Virgilio e tutte le altre anime, ma d'improvviso giunge Catone che li rimprovera aspramente, accusandoli di pigrizia ed esortandoli a correre al monte per iniziare a purificarsi dal peccato. Le anime, quindi, corrono via e Casella scompare nel nulla.
Fuga di Dante e Virgilio.
È la mattina di domenica 10 aprile (o 27 marzo) del 1300, all'alba. |
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PURGATORIO - IX CANTO - SANTA LUCIA
«Non aver tema», disse il mio segnore;
«fatti sicur, ché noi semo a buon punto;
non stringer, ma rallarga ogne vigore.
Tu se’ omai al purgatorio giunto:
vedi là il balzo che ‘l chiude dintorno;
vedi l’entrata là ‘ve par digiunto.
Dianzi, ne l’alba che procede al giorno,
quando l’anima tua dentro dormia,
sovra li fiori ond’è là giù addorno
venne una donna, e disse: "I’ son Lucia;
lasciatemi pigliar costui che dorme;
sì l’agevolerò per la sua via".
Il mio maestro disse: «Non aver paura, rassicurati, infatti siamo a buon punto; non frenare, ma anzi rafforza ogni tua energia.
Sei giunto ormai al Purgatorio: vedi là la parete rocciosa che lo cinge tutt'attorno; vedi l'ingresso, nel punto in cui essa sembra spaccata.
Poco fa, sul far dell'alba che precede il giorno, quando eri profondamente addormentato,
una donna venne in quel luogo laggiù adornato di fiori e disse: "Io sono Lucia;
lasciate che io prenda costui che dorme; lo aiuterò a compiere il suo cammino".
Dante si sveglia d'improvviso e impallidisce, raggelato: accanto c'è solo Virgilio, mentre il sole è già alto nel cielo e lo sguardo del poeta è rivolto al mare.
Virgilio si affretta a spiegargli che non ha nulla da temere e deve anzi confortarsi, poiché il viaggio procede bene ed egli è giunto alla porta del Purgatorio, scavata nella parete rocciosa del monte, là dove il maestro gli indica.
Virgilio spiega inoltre che poco prima, sul fare dell'alba, quando Dante dormiva, una donna era arrivata dicendo di essere santa Lucia e di dover prendere il poeta addormentato, per condurlo in alto.
Sordello e gli altri principi della valletta erano rimasti lì e Dante era stato trasportato alla porta del Purgatorio a giorno fatto, seguito da Virgilio.
Lucia aveva deposto Dante in quel punto, ma prima i suoi occhi avevano indicato al maestro l'accesso al monte, quindi la santa se ne era andata, proprio nel momento in cui Dante si stava risvegliando.
Il poeta è riconfortato dalle parole di Virgilio e appena il maestro lo vede risollevato, procede verso la porta, seguito da Dante stesso. |
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PURGATORIO - CANTO XI |
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"...Quest'ultima preghiera, segnor caro,
già non si fa per noi, ché non bisogna,
ma per color che dietro a noi restaro"...
"...Io fui latino e nato d'un gran Tosco:
Guiglielmo Aldobrandesco fu mio padre;
non so se 'l nome suo già mai fu vosco..."
"...Oh vana gloria de l'umane posse!
com' poco verde in su la cima dura,
se non è giunta da l'etati grosse!..."
Quest'ultima preghiera, Signore caro, non la facciamo per noi, che non ne abbiamo bisogno, ma per coloro che abbiamo lasciato tra i vivi».
Così quelle ombre, pregando per noi un buon augurio, andavano sotto il peso (del masso), simile a quello che a volte si sogna,
tormentate in misura diversa, tutte in tondo e prostrate lungo la I Cornice, purgando le tracce dei loro peccati terreni.
Dante, appena entrato nella Cornice, sente che i superbi stanno recitando il Pater noster, invocando Dio: tutti debbono lodare il suo nome, la sua potenza e lo Spirito Santo. I superbi invocano la pace di Dio, che, senza l'aiuto della grazia, essi non possono ottenere. Così, come gli angeli, gli uomini debbono sottomettersi alla volontà di Dio, come fanno gli angeli e chiederGli la manna quotidiana, senza la quale si indietreggia, quanto più si cerca di andare avanti. E così come essi perdonano il male subìto, così Dio perdoni i loro peccati.
Chiedono a Lui di non sottoporli a prove e tentazioni diaboliche, ma di liberarli da esse e quest'ultima preghiera è dedicata ai vivi che sono rimasti sulla Terra.
Queste anime, sono piegate sotto pesanti massi, mentre vanno, in tondo, lungo la Cornice.
Dante riflette che se le anime del Purgatorio sono sempre pronte a pregare per i vivi, anche questi devono fare qualcosa per i morti, per aiutarli a purificarsi dei peccati e arrivare in Paradiso.
Virgilio si rivolge ad essi, augurando loro di riuscire a liberarsi di peccati, chiedendo dove si trovi la scala meno ripida che porta alla Cornice successiva, per aiutare Dante, che essendo ancora mortale, non faccia troppa fatica.
Una delle anime gli risponde, anche se Dante non riesce a vedere chi stia parlando, dicendo che l'accesso percorribile da una persona viva è a destra, per cui i due poeti devono seguirli. L'anima aggiunge che se il macigno che porta sulle spalle, per punire la sua superbia non fosse così pesante da avere il capo sempre chino, alzerebbe gli occhi e guarderebbe quella persona viva per capire se la conosce.
L'anima si racconta: è Omberto Aldobrandeschi, figlio di Guglielmo e in Purgatorio dovrà scontare la pena per tutto il tempo che Dio vorrà, visto che non lo ha fatto quand'era sulla Terra; era diventato un uomo che disprezzava gli altri, dimenticando che siamo tutti figli della stessa madre. Il suo comportamento lo portò alla morte che avvenne a Campagnatico.
Mentre ascolta, Dante china la faccia e un penitente, chino sotto il peso che porta e, guardandolo, lo riconosce chiamandolo per nome, tenendo a fatica lo sguardo fisso sul poeta. Dante lo riconosce e gli chiede se sia Oderisi da Gubbio e maestro dell'arte della miniatura.
Egli risponde che più apprezzati sono i codici miniati di Franco Bolognese, con cui condivide la gloria di quell'arte; in vita non lo avrebbe mai ammesso, dato il grande desiderio di fama che sempre lo animò.
Per questo sta scontando la pena per la sua superbia e per non essersi pentito quand'era ancora in vita. Oderisi critica la gloria effimera degli uomini, citando l'esempio di Cimabue, superato nella pittura da Giotto e di Guido Guinizelli, superato in poesia da Guido Cavalcanti, mentre forse è già nato chi li supererà entrambi.
La fama nel mondo è come un soffio di vento, che soffia ora da una parte e ora dall'altra, sempre pronto a cambiare nome.
Se uno muore piccolo, non avrà fama più grande di uno che muore vecchio, prima che siano trascorsi mille anni: questo tempo è breve se paragonato all'eternità, meno di un batter di ciglia rispetto al movimento del Cielo delle Stelle Fisse (360 secoli).
L'anima che cammina davanti a lui, per esempio, un tempo era famoso in tutta la Toscana, ora, invece, a malapena si sussurra il suo nome a Siena, di cui era signore quando si combattè la battaglia di Montaperti, quando la rabbia fiorentina fu distrutta.
La fama degli uomini è come il colore verde dell'erba, che va e viene ed è cancellato dallo stesso sole che l'ha fatta spuntare dalla terra.
Dante in risposta a Oderisi dice che le sue parole gli ispirano grande umiltà e abbassano il suo orgoglio, poi chiede chi sia l'anima di cui ha parlato prima. Egli spiega che si tratta di Provenzan Salvani, signore e padrone di Siena, che dalla sua morte cammina sotto il peso del masso, scontando la giusta pena per chi osa troppo mentre è in vita.
Dante chiede come sia possibile che Provenzano sia già in Purgatorio, visto che chi attende a pentirsi al momento dellla morte deve poi attendere nell'Antipurgatorio tanto tempo quanto visse, a meno che qualcuno non preghi per lui.
Oderisi gli dice che quando era ancora potente, Provenzano, per riscattare un amico dalla prigionia di Carlo I d'Angiò, andò a Siena a chiedere l'elemosina in piazza del Campo, umiliandosi di fronte ai suoi concittadini. Fu quel gesto ad ammetterlo in Purgatorio. Oderisi, poi, non aggiunge altro, ma fra poco i concittadini di Dante faranno sì che lui stesso possa provare la stessa esperienza.
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PURGATORIO - CANTO IXX - L'ANGELO DELLA SOLLECITUDINE
Quand’ io udi’ «Venite; qui si varca»
parlare in modo soave e benigno,
qual non si sente in questa mortal marca.
Con l’ali aperte, che parean di cigno,
volseci in sù colui che sì parlonne
tra due pareti del duro macigno.
Mosse le penne poi e ventilonne,
‘Qui lugent’ affermando esser beati,
ch’avran di consolar l’anime donne
‘Qui lugent’ affermando esser beati,
ch’avran di consolar l’anime donne.
Quando sentii: «Venite, il passaggio è qui», con una voce tanto dolce e benevola quale non si sente mai in questo mondo mortale.
Colui che ci parlò così, spalancando le ali bianche come quelle di un cigno, ci indirizzò in alto tra le due pareti rocciose del monte.
Poi mosse le penne e fece vento, affermando che sono beati quelli che piangono, poiché avranno le anime posseditrici di consolazione....
Dante si sveglia e segue Virgilio che gli dice di averlo già chiamato più volte, per trovare il passaggio alla Cornice seguente. Il sole nascente gli sta alle spalle (quindi verso occidente).
Il poeta cammina curvo e pensoso, quando sente la voce benevola dell'angelo della sollecitudine, che li esorta a salire, aprendo le sue ali bianche, come un cigno, introducendoli alla scala, stretta tra due pareti rocciose, poi muove le penne e fa vento verso i due, dicendo che sono beati coloro che piangono e che saranno consolati.
Mentre i due iniziano a salire la scala, Virgilio chiede a Dante perché sia così pensieroso, con lo sguardo a terra e lui risponde che poco prima ha fatto un sogno che l'ha reso dubbioso.
Virgilio gli spiega che la femmina che ha sognato rappresenta la cupidigia dei beni materiali, cioè il peccato punito nelle tre Cornici che si trovano di sopra e ha visto il modo con cui l'uomo può liberarsene, con l'aiuto della ragione. Poi dice a Dante di affrettare il passo, di non guardare in basso ma guardare solo ai beni celesti, che devono essere l'unico richiamo per l'uomo.
Dante, si affretta a percorrere la scala fino all'ingresso nella V Cornice, dove sono avari e prodighi, che hanno avuto un eccessivo attaccamento ai beni terreni, sia nel senso della cupidigia sia in quello opposto della prodigalità.
Dante include tra gli avari papa Adriano V e il re di Francia Ugo Capeto e il poeta latino Stazio, fra i prodighi.
La loro pena è identica: essi son legati e stesi sul pavimento roccioso della Cornice, le spalle rivolte al cielo e il volto a terra, così come in vita furono rivolti ai beni materiali, recitando il versetto («la mia anima si è stesa sul pavimento») e durante il giorno illustrano esempi di povertà e liberalità, mentre di notte, con voce più o meno alta a seconda dell'intensità del sentimento che li anima, ne ricordano altri di avarizia punita,
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PURGATORIO - CANTO XXV
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"e vidi spirti per la fiamma andando;
per ch’io guardava a loro e a’ miei passi
compartendo la vista a quando a quando..."
e vidi anime che camminavano entro il fuoco; allora io guardavo verso di loro e ai miei passi, dividendo il mio sguardo tra gli uni e gli altri.
"...Ma perché dentro a tuo voler t'adage,
ecco qui Stazio; e io lui chiamo e prego
che sia or sanator de le tue piage"...
Ma affinché tu possa acquietarti nel tuo desiderio, ecco qui Stazio; e io lo prego che sani le tue piaghe (che ti sciolga ogni dubbio)».
"...Ma come d'animal divegna fante,
non vedi tu ancor: quest'è quel punto,
che più savio di te fé già errante..."
Ma tu ancora non comprendi come si trasformi da animale in essere razionale: questo è il punto che ha già tratto in errore un filosofo più saggio di te (Averroè), al punto che nella sua dottrina separò dall'anima l'intelletto possibile, perché non vide alcun organo adatto a questa funzione.
Quivi la ripa fiamma in fuor balestra,
e la cornice spira fiato in suso
che la reflette e via da lei sequestra...
Qui (nella VII Cornice) la parete spinge in fuori una fiamma mentre la Cornice soffia un vento verso l'alto che la fa ripiegare, allontanandola dall'orlo;
Il mio maestro diceva che in quel luogo bisognava concentrare lo sguardo sui passi da fare, perché si sarebbe facilmente potuto mettere un piede in fallo.
Dentro la grande fiamma qualcuno cantava 'O Signore di somma clemenza', il che mi portò a voltarmi
e vidi anime che camminavano entro il fuoco. Guardava, nello stesso tempo, verso di loro e ai suoi passi...
Il Canto è dedicato per lo più alla complessa spiegazione che Stazio dà circa la generazione dell'anima e la formazione dei corpi dopo la morte, per chiarire il dubbio di Dante sulla fisicità della pena dei golosi che in lui ha destato grande curiosità.
Virgilio intanto, si limita a indicare l'esempio, concreto, di un corpo che si consuma per cause esterne (quello di Meleagro) e quello dello specchio che indica come il corpo aereo rifletta la sofferenza dell'anima, per quanto la spiegazione sia insufficiente da un punto di vista dottrinale: Virgilio invita allora Stazio, anima ormai salva e destinata al Paradiso, a completare il suo discorso.
Stazio spiega a Dante la complessa procedura con cui si forma l'anima umana dopo il concepimento, seguendo strettamente la trattazione in materia di san Tommaso d'Aquino: Dante ribadisce che l'anima dell'uomo ha tre potenze, due delle quali sono comuni alle piante (quella vegetativa) e agli animali (quella sensitiva o sensibile), mentre la terza (quella razionale o intellettiva) è infusa nell'uomo direttamente da Dio.
Ciò distingue l'uomo dalle creature inferiori e la spiegazione di Stazio prende in modo sensibile le distanze dalla dottrina di Averroè, che nel suo commento alla filosofia aristotelica aveva affermato che l'anima era un'entità separata dall'intelletto: Aristotele, infatti, nel De anima aveva distinto tra intelletto possibile e intelletto attivo, affermando che il secondo agisce sul primo, trasformando in atto le verità che nell'intelletto possibile sono solo potenziali, come la luce trasforma in atto i colori che al buio sono in potenza.
Averroè non aveva invece chiarito se l'intelletto attivo è nell'uomo, in Dio o in entrambi, per cui vennero a galla molti dubbi di filosofi medievali e la teoria averroistica secondo la quale l'intelletto possibile è separato dall'anima, di cui si negava l'immortalità. Questa teoria modificava la dottrina araba in materia, per cui Averroè era stato condannato dagli stessi musulmani.
Stazio spiega invece che la facoltà intellettiva è infusa da Dio nell'uomo e legata indivisibilmente alla potenza vegetativa e sensibile, formando un'unica sostanza come il vino prodotto dalla vite (elemento materiale), ma anche dalla luce e dal calore del sole (elemento immateriale), negando quindi decisamente le implicazioni della teoria averroistica, giudicate pericolose sul piano teologico.
Stazio illustra poi il processo per cui l'anima, separata dal corpo dopo la morte, produce un corpo d'aria agendo su di esso con la stessa «virtù informativa» che aveva agito sul corpo materiale, per cui questo corpo aereo non solo acquista lo stesso aspetto fisico dell'individuo quand'era in vita, ma prova le stesse sensazioni fisiche del corpo terreno e può gioire, soffrire, ridere e piangere come Dante ha visto fare nell'Inferno e nel Purgatorio.
Questa spiegazione si discosta almeno in parte dalla dottrina tomistica e giustifica l'esigenza narrativa e poetica di rappresentare le anime nella loro fisicità e materialità, pur se Dante a volte non si attiene coerentemente a tale principio, obbedendo principalmente alla sua fantasia creativa.
La spiegazione di Stazio prende spunto dalla pena dei golosi, legata anche a quella dei lussuriosi bruciati dal muro di fiamme della VII Cornice ed è non meno fisica e materiale, tanto che Dante stesso ne farà esperienza diretta attraversando il fuoco nel Canto XXVII: nel finale del Canto XXV illustra proprio la pena degli spiriti che camminano nel fuoco e alternano il canto dell'inno alla dichiarazione degli esempi di castità, tratti dalla tradizione cristiana (la verginità di Maria che partorirà Gesù) e da quella classica (la castità di Diana e delle ninfe boscherecce), con un ultimo esempio generico (le mogli e i mariti che si attengono al vincolo matrimoniale) che è l'unico caso oltre a quello del Purgatorio XIII, relativo alla massima evangelica dell'amare i propri nemici.
La curiosità di Dante che osserva le anime nel fuoco e bada a non mettere il piede in fallo cadendo nel vuoto, anticipa l'ulteriore descrizione dei penitenti che occuperà buona parte del Canto seguente, in cui ci sarà l'incontro con Guinizelli e il proseguimento del discorso intorno alla letteratura amorosa già intrapreso con Bonagiunta.
Dante descrive le anime dei primi due regni dell'Oltretomba come materiali e dall'aspetto umano, nude, in grado di sopportare pene fisiche tanto all'Inferno che in Purgatorio, cosa che può suscitare dubbi in quanto l'anima è una sostanza inconsistente e come tale non dovrebbe avere né aspetto esteriore né sensibilità al dolore fisico.
Il tema provocò perplessità fra gli stessi teologi cristiani, che erano per lo più inclini a negare tale materialità all'anima: san Tommaso affermava che l'anima separata dal corpo non ha un corpo vero e proprio, salvo poi precisare che l'anima conservava la potenza sensitiva e poteva essere tormentata dal fuoco.
La dottrina rilevava la contraddizione tra l'inconsistenza delle anime e la necessità di rappresentare le pene infernali e purgatoriali come qualcosa di fisico, soprattutto per agire sulla fantasia dei fedeli e operare una sorta di linea di condotta che evitasse di commettere i peccati, minacciando punizioni che fossero facilmente comprensibili a delle menti semplici.
Anche la letteratura classica descriveva le anime dei morti come ombre evanescenti ma dall'aspetto umano, senza contare che la dottrina cristiana affermava che il Giorno del Giudizio le anime si sarebbero riappropriate del loro corpo mortale e, dopo la gran sentenza, avrebbero sofferto insieme ad esso le pene infernali o goduto della pace celeste.
Dante nella Commedia si attiene per lo più a questo criterio e descrive quindi le pene inflitte alle anime come qualcosa di fisico, fornendo anche una sorta di spiegazione dottrinale del fenomeno: Ad es., Virgilio spiega a Dante che il corpo mortale nel quale faceva ombra giace sulla Terra, mentre quello che ha attualmente è d'ombra, fatto d'aria, pur conservando la capacità di provare sensazioni fisiche.
Di fronte poi alla pena dei golosi, che patiscono la fame e sono consumati dalla magrezza, lo stupore di Dante verrà attenuato dalla spiegazione di Stazio che, illustra la creazione dopo la morte di un corpo aereo che circonda l'anima, conservando la potenza vegetativa e sensibile, per cui l'anima può provare tutte le sensazioni di un corpo umano, incluso il dolore.
Dante non si attiene in modo sempre coerente a questa spiegazione, descrivendo le anime dei trapassati ora come corpi inconsistenti, ora come corpi veri e propri dotati di fisicità. Nell'Inferno, lui e Virgilio camminano sulle anime dei golosi e nel Purgatorio il poeta tenta inutilmente di abbracciare l'amico Casella ritrovandosi le braccia al petto.
Non mancano tuttavia esempi opposti, specie nella I Cantica dell'Inferno dove Virgilio respinge Filippo Argenti che tenta di trascinare Dante dalla barca di Flegiàs nella palude stigia, mentre nel Canto XXXII, Dante afferra Bocca degli Abati (fra i traditori della patria) per i capelli della nuca e gliene strappa addirittura una ciocca, nel tentativo di costringerlo a rivelare il proprio nome.
Qualcosa di simile avviene anche in Paradiso, dove le anime dei beati conservano una parziale umanità nel I Cielo, dove appaiono come immagini evanescenti riflesse sull'acqua e nel II Cielo, dove sono sagome a malapena distinguibili nella luce che le avvolge, mentre più avanti saranno pure luci senza alcuna fisicità.
Nelle scelte stilistiche di Dante c'è soprattutto l'esigenza narrativa di rappresentare la realtà ultraterrena in modo comprensibile a chi legge, il che porta apparenti incongruenze in materia: Beatrice spiega a Dante perché i beati si mostrino a lui nei vari Cieli anziché nell'Empireo, affermando che attribuendo tratti fisici a Dio e agli angeli è necessario per farsi capire dai fedeli con immagini visive facilmente comprensibili.
In quest'ottica perdono di interesse le discussioni dei dantisti sulla presunta incoerenza di Dante in materia dottrinale, relativamente ai corpi delle anime, specie quando si rammenti che la Commedia è un'opera poetica e non un trattato di teologia, anche se l'elemento dottrinale fa parte integrante del poema e ne costituirà l'essenza soprattutto in alcune Cantiche.
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PURGATORIO XXX CANTO - INCONTRO CON BEATRICE
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Ma Virgilio n'avea lasciati scemi
di sé, Virgilio, dolcissimo patre,
Virgilio a cui per mia salute die'mi...
"Guardaci ben! Ben son, ben son Beatrice!
Come degnasti d'accedere al monte?
non sapei tu che qui è l'uom felice?"...
"...Tanto giù cadde, che tutti argomenti
a la salute sua eran già corti,
fuor che mostrarli le perdute genti..."
Ma Virgilio ci aveva lasciati privi di sé, Virgilio, dolcissimo padre, Virgilio, al quale mi affidai per la mia salvezza;
«Guarda bene qui! Sì, sono proprio io, sono proprio Beatrice! Come hai osato accedere al Paradiso Terrestre? Non sapevi che questa è la sede dell'uomo felice?»
Gli occhi mi caddero giù nelle acque chiare del fiume; ma vedendo la mia immagine riflessa, li volsi all'erba perché una grande vergogna mi fece chinare la fronte.
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Beatrice compare nel canto XXX del Purgatorio vestita dei colori delle virtù teologali, il rosso, il verde e il bianco e per prima cosa rivolge aspri rimproveri al poeta: che, dopo la sua morte, ha lasciato che false immagini di bene lo distraessero.
Dante prova profonda vergogna e si prepara a purificarsi dalle sue colpe terrene, così da potersi ripresentare alla donna, che lo obbliga a guardarla negli occhi e, sconcertato dalla sua bellezza, egli sviene e, quando torna in sé, lo stanno già tirando fuori dalle acque purificatrici del Lete. A lui viene concessa la grazia del sorriso di Beatrice, così bello da non potersi descrivere a parole.
Il Purgatorio si conclude con una profezia politica di Beatrice, dopodiché inizia il Paradiso. |
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PARADISO -
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Dopo essere stato guidato attraverso l’Inferno e il Purgatorio da Virgilio, Dante sarà accompagnato nel Paradiso da Beatrice, fino al momento in cui essa lo lascerà nelle mani di San Bernardo per vedere Dio e arrivare alla fine del suo viaggio.
Nella terza Cantica, Beatrice sarà guida di Dante e farà da intermediaria fra il poeta e i beati, diventando il suo lume morale in opposizione alla corruzione e alla superbia umane.
Quella raccontata nel Paradiso non è una storia d’amore: Beatrice diventa il simbolo della Teologia, della Grazia della Verità rivelata, realizzando il mito proprio del Medioevo, caratteristico di Dante, della donna come mezzo per raggiungere Dio.
Dante sviene. |
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I dieci cieli del Paradiso
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I beati del Paradiso dantesco
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Il Cielo delle Stelle fisse, la Candida rosa, l’Empireo
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Struttura del Paradiso di Dante
Dante e Beatrice ascendono al Paradiso. Dubbi di Dante e spiegazione di Beatrice circa l'ordine dell'Universo.
Dante dichiara di essere stato nel Cielo del Paradiso (l'Empireo), pieno di luce, dove ha visto cose difficili da tradurre in parole, perchè la mente umana non riesce a ricordare ciò che ha visto dopo aver veduto Dio.
Egli tenta, quindi, nella III Cantica di descrivere il regno di Dio invocando l'assistenza di Apollo, perchè le Muse non possono aiutarlo.
Il dio pagano lo ispirerà col suo canto, così come fece quando vinse il satiro Marsia, permettendogli di riuscire a spiegare la natura e la struttura del Paradiso, meritando la gloria poetica. Apollo sarà lieto che qualcuno lo desideri, perchè non succede spesso, di quei tempi e si augura che il suo esempio venga seguito da altri poeti che gli succederanno.
Il sole sorge all'orizzonte in diversi punti, ma quando è nell'equinozio di primavera si trova in congiunzione con la costellazione dell'Ariete, quando i raggi del sole sono più benefici. Quel punto dell'orizzonte divide l'emisfero nord, dove è già notte, da quello sud, in cui è giorno pieno e proprio allora Dante vede Beatrice che fissa il sole come un'aquila; anch'egli la imita e il poeta fissa il sole più di quanto farebbe sulla Terra. In quel luogo, le facoltà umane sono accresciute e Dante può vedere la luce aumentare attorno a sè, come se fosse spuntato un secondo sole.
Il poeta osserva ancora Beatrice, che fissa il Cielo e si perde a rimirarla, impossibilitato a dire di più e a descriverla, perchè non ci sono parole, Dante non sa dire se, in quel momento, è ancora in possesso del suo corpo oppure sia soltanto anima, ma il suo sguardo è fisso nei Cieli che girano armoniosamente, mentre sembra che la luce del sole abbia acceso tutto intorno, in modo straordinario.
Dante vorrebbe capire l'origine del suono e della luce, perciò Beatrice, che legge ogni suo pensiero, gli spiega che egli immagina cose sbagliate, perchè non è più sulla Terra, ma sta salendo verso il Paradiso e nessun fulmine, cadendo dalla sfera del fuoco verso il basso, potrebber essere tanto rapido quanto lui a tornare al Paradiso.
CIELI DEL PARADISO
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Pur avendo una sua precisa collocazione spaziale, è rappresentato da Dante quasi in modo astratto, rarefatto, con una descrizione sempre più sottile, man mano che ci si avvicina a Dio. Dante rinuncia alle immagini preconcette, alla descrizione degli angeli dalle ali bianchissime o dei santi attorno al trono dove è seduto Dio.
I beati hanno ancora un aspetto umano solo nel I Cielo, dove sembrano a Dante figure inconsistenti, immagini riflesse nell'acqua, mentre già nel II Cielo sono figure avvolte dalla luce, quasi non percepibili all'occhio; poi gli spiriti saranno pura luce, sempre più splendenti che vogliono parlare col nuovo arrivato.
A partire dal IV Cielo i beati formeranno figure geometriche simboleggiando la schiera a cui appartengono, come gli spiriti sapienti che formano due corone che circondano Dante e Beatrice e danzano, seguendo una musica melodiosa. Oppure quelli combattenti che formano una croce; gli spiriti giusti del Cielo di Giove disegnano, invece, una scritta che esorta i re della Terra ad amare la giustizia, eppoi creeranno un'aquila simbolo di autorità imperiale, mentre gli spiriti contemplativi daranno vita ad una scala d'oro altissima che rappresenta l'ascesi spirituale.
Nell'Empireo, infine, tutti i beati formeranno una candida rosa descritta come un fiume-lago di luce, le cui posizioni sono definite da Beatrice.
Estremamente stilizzata e astratta anche la descrizione della mente di Dio che Dante osserva alla fine della Cantica, con i tre cerchi che nascono l'uno dall'altro (il mistero della Trinità) e l'effigie umana che si distingue su un fondo dello stesso colore (incarnazione del divino).
Dante sottolinea più volte l'estrema difficoltà dei mezzi umani per dare una precisa descrizione del regno santo che rappresenta una dimensione sovrumana, va oltre le normali capacità terrene e che nasce soprattutto dal fragile ricordo che della visione è rimasto nella sua memoria, a causa dell'inadeguatezza tra le capacità del suo intelletto e la grandezza delle cose vedute e poi dal problema di esprimere a parole ciò che è quasi impossibile da descrivere.
Dante spesso dice che, pur facendo ricorso a tutta la sua capacità poetica e a tutta la sua ispirazione umana, non può che dare una piccola traccia di ciò a cui ha assistito più volte, per cercare di far capire o solo rendere un'idea delle cose descritte e, quindi, è costretto a usare delle similitudini mitologiche, che in natura non sono reali...
Questa poetica dell'inesprimibile, cercò di descrivere pienamente la bellezza della donna-angelo: Dante l'aveva già fatto nella Vita nuova, nella descrizione del suo amore mistico per Beatrice, che qui viene usata per dar corpo alla visione del Paradiso, depurata da ogni ambiguità che ancora presentava nelle sue composizioni giovanili, ispirate allo Stilnovo.
Insomma, la poesia del Paradiso, come di tutto il poema, è ispirata da Dio, poiché Dante si considera autore umano di un'opera a cui è stato chiamato in virtù di un eccezionale privilegio e a cui, come riconferma hanno posto mano cielo e terra e quindi essa è stata scritta sotto la diretta ispirazione dello Spirito Santo.
Dante si rende conto di aver affrontato nuovi temi e nuovi stili, afferma e rivendica per se stesso varie volte, con orgoglio, questo primato, in quanto poeta che solca con la nave del suo ingegno un mare che non è stato mai percorso da nessun altro.
Poi descrive la visione del proprio viaggio nell'oltretomba: il Paradiso è diviso in cieli, nove, che ricalcano il sistema cosmologico aristotelico-tomistico: i primi sete infatti corrispondono ciascuno a un pianeta del Sistema solare.
I beati si trovano all'Empireo ma a essi la Grazia divina ha concesso di dividersi anche nel cieli inferiori, incontrare Dante a seconda del loro operare terreno e delle loro inclinazioni.
La disposizione delle anime nel Paradiso è spiegata nei canti III e I, mentre la corrispondenza con le gerarchie angeliche è spiegata nel canto XXVIII.
Dal Paradiso terrestre, Dante e Beatrice ascendono al Paradiso vero e proprio, attraverso la Sfera del fuoco, che separa il mondo contingente da quello incorruttibile ed eterno.
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PRIMO CIELO DELLA LUNA
Dante nel Cielo della Luna - Spiriti mancanti ai voti
Piccarda Donati
Monito di Dante ai lettori. Ascesa di Dante e Beatrice nel I Cielo della Luna. Beatrice ribatte l'opinione di Dante circa le macchie lunari e ne spiega la vera origine.
Nel I Cielo della Luna. Apparizione degli spiriti difettivi: colloquio con Piccarda Donati. che spiega i gradi di beatitudine e l'indadempienza del voto. Viene mostrata l'anima dell'imperatrice Costanza.
Ancora nel I Cielo della Luna. Beati
ce risolve due dubbi di Dante, circa la sede dei beati e l'inadempienza del voto. Volontà assoluta e relativa. Nuovo dubbio di Dante: le opere buone possono sostituire i voti pronunciati?
I Cielo della Luna. Beatrice spiega a Dante il valore del voto e la possibilità di permutarne la materia. Ammonimento agli uomini. Ascesa al II Cielo di Mercurio: incontro con gli spiriti operanti per la gloria terrena, tra cui Giustiniano.
Il primo cielo è quello della Luna,nel Medioevo considerato ancora pianeta, dove domina l'incostanza, l'arrendevolezza, la cedevolezza.
Qui risiedono, infatti, le anime di coloro che mancarono ai propri voti, non per scelta ma a causa di costrizione altrui, contro cui essi non seppero opporsi con sufficiente fermezza.
Queste anime appaiono a Dante come immagini sfocate, come riflesse da vetri trasparenti e tersi o da acque lucenti e tranquille, Le intelligenze angeliche che muovono questo cielo sono gli angeli della prima schiera angelica.
Sono qui beati: Piccarda Donati e Costanza d'Altavilla.
Teoria di Dante sulle macchie lunari .
Dante dice a Beatrice di essere grato a Dio che lo ha voluto visitatore del Paradiso, poi le domanda quale sia l'origine delle macchie lunari che sulla Terra è origine di varie leggende. Beatrice sorride, dicendo che l'opinione degli uomini deriva dai loro sensi troppo limitati, che non possono fornirci una spiegazione adeguata. Il poeta non dovrebbe stupirsi poiché sa che la ragione non può sempre basarsi sull'esperienza sensibile. Poi, la donna lo invita a esprimere la sua opinione circa le macchie lunari che il poeta attribuisce al fenomeno della maggiore o minore densità della sfera celeste. Beatrice gli darà una spiegazione che confuterà l'errata teoria di Dante.
Beatrice spiega a Dante, che nel Cielo delle Stelle Fisse vi sono tanti astri, che sembrano diversi per qualità e dimensione, poichè le stelle possiedono virtù diverse, dovute a cause diverse, mentre ne avrebbero una sola se il ragionamento di Dante fosse veritiero. Inoltre, se la Luna fosse più e meno densa, vorrebbe dire che essa ha dei buchi che la traversano da parte a parte, oppure che la sua massa è distribuita in modo non uniforme.
Nella prima ipotesi, durante le eclissi solari, la luce del sole traverserebbe la luna ma ciò non avviene; bisogna quindi verificare la seconda ipotesi e se anche questa fosse confutata, tutto il ragionamento di Dante non avrebbe senso.
Beatrice spiega che, se la minore densità della luna non si estende per tutto lo spessore dell'astro, ci deve essere un punto in cui la massa è densa e non lascia passare i raggi del sole. In quel punto i raggi sono solo riflessi, come da uno specchio.
Poi, prevedendo la possibile obiezione di Dante, secondo cui nei punti di minor densità i raggi si riflettono da più lontano, facendo sembrare la superficie lunare più scura, Beatrice consiglia un esperimento: sistemare, cioè, due specchi alla stessa distanza dall'osservatore ed un terzo più lontano, guardandoli con la luce alle spalle: lo specchio più lontano rifletterà la luce con minore dimensione, ma sempre con la stessa intensità, quindi la teoria di Dante è sbagliata.
Ora che la mente di Dante è libera da false convinzioni, Beatrice può illuminarla con maggior luce, spiegando che entro l'Empireo ruota il Primo Mobile, nella cui virtù è contenuta la vita dell'intero Universo, mentre il Cielo delle Stelle Fisse distribuisce quella virtù nei vari astri che sono in esso.
I Cieli sotto ricevono tale virtù distinta e la predispongono a vari fini, dal più alto al più basso, mentre il loro movimento è ordinato dalle varie intelligenze angeliche, così come il Cielo delle Stelle Fisse riceve l'impronta dai Cherubini.
Come l'anima umana è formata da diverse membra del corpo, ognuna con una sua finalità, così l'intelligenza dei Cherubini si distende tra i vari astri: la virtù divina si lega in modo diverso con la materia del corpo stellare e risplende attraverso di essa come la gioia splende nella pupilla dell'occhio.
La differenza dello splendore dipende dalla maggiore o minore gioia dell'intelligenza che si manifesta nelle varie stelle e nelle parti di uno stesso astro, come la Luna e questa è l'origine delle macchie scure su di essa, non maggiore o minore densità.
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SECONDO CIELO - MERCURIO-
- Spiriti attivi per la gloria
Il secondo cielo, caratterizzato dall'amore per la gloria e la fama terrena, è il Cielo di Mercurio, di cui sono intelligenze motrici gli Arcangeli, che appartengono alla seconda schiera angelica.
Le anime che lo abitano sono quelle che si attivarono a questo fine. Esse sembrano al poeta come splendori fiammeggianti che danzano e cantano. Tra gli spiriti, qui incontra Romeo di Villanova, uomo di molti pregi che ebbe parte importante nelle vicende politiche e militari di Francia e Italia e infine, Giustiniano, ultimo imperatore bizantino.
Dante e Beatrice salgono rapidamente come una freccia che giunge al bersaglio prima che la corda dell'arco smetta di vibrare. Al loro ingresso la donna diventa sempre più bella ed il pianeta sembra diventare più lucente.
Dante descrive questo Cielo come "la spera / che si vela ai mortai con altrui raggi", alludendo al fatto che Mercurio ruota molto vicino al Sole ed è offuscato dai suoi raggi, mentre più avanti Giustiniano definirà Mercurio come " picciola stella", poiché questo pianeta è il più piccolo del sistema solare.
Dopo l'incontro con Giustiniano e le spiegazioni di Beatrice sulla crocifissione di Cristo come punizione per il peccato originale e la corruttibilità dei corpi, lei e Dante ascendono al Cielo successivo.
In questo cielo, vengono affrontate le questioni teologiche riguardanti:
1 - La morte di Cristo
2 - perché Dio abbia redento il genere umano con il sacrificio di Cristo;
3 . la corruttibilità e l'incorruttibilità delle creature e la resurrezione dei corpi.
È la sera di mercoledì 13 aprile (o 30 marzo) del 1300.
Ancora nel II Cielo di Mercurio. Giustiniano si presenta a Dante. Digressione sulla storia dell'Impero romano. Invettiva contro i Guelfi e i Ghibellini. Condizione degli spiriti operanti per la gloria terrena. Presentazione di Romeo di Villanova.
II Cielo di Mercurio. Canto e allontanamento degli spiriti operanti per la gloria terrena. Beatrice spiega a Dante perché Dio ha punito la crocifissione di Cristo e perché ha scelto questo modo per redimere l'umanità. Ulteriore spiegazione circa la corruttibilità degli elementi.
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TERZO CIELO - VENERE
- Spiriti amanti
Ascesa al III Cielo di Venere. Incontro con gli spiriti amanti. Colloquio con l'anima di Carlo Martello. Spiegazione sulle diverse inclinazioni degli uomini volute dalla Provvidenza.
III Cielo di Venere. Profezia di Carlo Martello sulla sua discendenza. Incontro con Cunizza da Romano e sue profezie. Incontro con Folchetto di Marsiglia, che indica a Dante l'anima di Raab. Folchetto condanna l'avarizia dei religiosi.
Il terzo cielo, di Venere, è caratterizzato dall'amore e vi risiedono le anime di coloro che amarono.
Esse rifulgono come splendori e si muovono in circolo, molto sveltamente.
È il terzo Cielo del Paradiso a partire dalla Terra e corrisponde al pianeta Venere, governato dai Principati, dove il poeta incontra gli spiriti amanti, tra cui Carlo Martello, Cunizza da Romano e Folchetto di Marsiglia ed è descritto nei Canti VIII, IX e X della III Cantica.
Venere diffonde sulla Terra l'influsso ad amare, non però il folle amore, l'amore sensuale e peccaminoso che gli antichi credevano governato da Venere, a cui tributavano riti e sacrifici. Qui si tratta di un amore puro e celeste, volto unicamente ad adorare Dio.
Già nel Convivio Dante aveva precisato tale concetto e nel Trattato dell'opera, Dante commenta proprio la canzone "Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete", citata nel Canto VIII da Carlo Martello.
In questo cielo vengono affrontate le seguenti questioni teologiche:
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le ragioni delle diverse indoli umane.
Le intelligenze motrici di questo cielo appartengono alla terza gerarchia e sono i Principati.
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QUARTO CIELO - SOLE
- Spiriti sapienti
Il quarto, il Cielo del Sole, è contraddistinto dalla sapienza: sono beati in questo cielo, le anime dei sapienti e dei Dottori della Chiesa che appaiono disposte in corone concentriche luminose, che cantano e danzano in giro.
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l'ordine della creazione e le sue conseguenze;
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la corruzione dell'Ordine dei Domenicani;
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la corruzione dell'Ordine dei Francescani;
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la sapienza di Adamo e di Cristo e quella di Salomone;
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la fallacia dei giudizi umani;
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lo splendore delle anime beate dopo la resurrezione dei corpi.
Le intelligenze motrici di questo cielo appartengono alla quarta schiera angelica e sono le potestà.
Son qui beati: S. Tomaso d'Aquino, Alberto Magno, Francesco Graziano, Pietro Lombardo, Salomone, Dionigi l'Areopagita, Paolo Orosio, Anicio Manlio Torquato Severino Boezio, Isidoro di Siviglia, Beda il Venerabile, Riccardo di San Vittore, Sigieri di Brabante, san Bonaventura da Bagnoregio, Illuminato da Rieti, Agostino di Assisi, Ugo da San Vittore, Pietro Mangiadore, papa Giovanni XXI, Natan, Giovanni Crisostomo, Anselmo d'Aosta, Elio Donato, Raba Mauro, Gioacchino da Fiore.
È il quarto Cielo del Paradiso, partendo dalla Terra, corrispondente al Sole e governato dalle Potestà: Dante vi incontra molti spiriti sapienti e non si accorge di star salendo, poi improvvisamente ne prende coscienza come colto da un pensiero improvviso; il Sole si trova nel punto in cui si intersecano l'Equatore celeste e l'eclittica (se è il 13 aprile 1300, siamo poco oltre l'equinozio primaverile).
Il poeta rimarca l'estrema luminosità del corpo celeste, anche se le luci dei beati che compaiono in esso superano tale fulgore.
È la notte tra mercoledì 13 aprile (o 30 marzo) e giovedì 14 aprile (o 31 marzo) del 1300.
Dopo l'incontro con gli spiriti sapienti, Dante si accorge di salire al Cielo successivo per il cambiamento del colore della luce, che diventa rosseggiante.
IV Cielo del Sole. Dubbi di Dante circa le parole di san Tommaso d'Aquino. Panegirico di san Francesco d'Assisi e biasimo dei difetti dell'Ordine domenicano.
I due campioni della Chiesa: Francesco e Domenico (28-42)
Tommaso spiega che la Provvidenza, che governa il mondo con l'infinita saggezza di Dio, al fine di rendere più salda e sicura la Chiesa, dispose la nascita di due principi che la guidassero e le stessero al fianco.
Di questi, uno (san Franceco) fu pieno di ardore mistico come i Serafini, l'altro (san Domenico) fu talmente sapiente da risplendere della luce dei Cherubini. Tommaso parlerà solo di Francesco, poiché le loro opere ebbero un unico fine e quindi, lodando qualunque di essi, si lodano entrambi.
Di questa costa, là dov’ella frange
più sua rattezza, nacque al mondo un sole,
come fa questo tal volta di Gange.
Però chi d’esso loco fa parole,
non dica Ascesi, ché direbbe corto,
ma Oriente, se proprio dir vuole.
Non era ancor molto lontan da l’orto,
ch’el cominciò a far sentir la terra
de la sua gran virtute alcun conforto;
Da questa costiera, nel punto in cui essa diventa meno ripida (ad Assisi), nacque un Sole per il mondo (Francesco) come questo (il Sole vero e proprio) talvolta nasce dal Gange.
Dunque, chi parla di questo luogo, non lo chiami "Assisi", poiché direbbe poca cosa, ma lo chiami "Oriente", se proprio vuole parlarne.
Non era ancora molto lontano dalla sua nascita, quando Francesco cominciò a riflettere in Terra la sua luminosa virtù;
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Dante osserva che i ragionamenti degli uomini sono fallaci e li inducono a volgersi alle cose terrene, per cui alcuni si dedicano agli studi giuridici, altri alle scienze mediche, altri alle cariche ecclesiastiche, altri ancora al governo temporale, ai furti, agli affari politici, al piacere carnale e all'ozio: invece il poeta è libero da tutte queste cose, accolto insieme a Beatrice nell'alto dei Cieli.
I dodici spiriti sapienti della prima corona si fermano, dopo essere tornati nel punto da cui erano partiti, e il beato che aveva parlato prima (san Tommaso d'Aquino) riprende la parola aumentando il proprio splendore. Tommaso dichiara che, leggendo nella mente di Dio, conosce i pensieri di Dante e sa che il poeta dubita riguardo a due sue affermazioni, quando aveva parlato del proprio Ordine e di Salomone, l'uomo più saggio mai vissuto, per cui è necessaria una spiegazione.
È la notte tra mercoledì 13 aprile (o 30 marzo) e giovedì 14 aprile (o 31 marzo) del 1300.
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IV Cielo del Sole. Canto e danza delle due corone di spiriti sapienti. San Tommaso spiega in cosa consiste la sapienza di Salomone; monito a non emettere giudizi precipitosi.
IV Cielo del Sole. Salomone risolve il dubbio di Dante sulla resurrezione dei corpi; apparizione di altre anime. Ascesa di Dante e Beatrice al V Cielo di Marte; la croce luminosa degli spiriti combattenti per la fede.
Ascesa di Dante e Beatrice al V Cielo di Marte; la croce luminosa degli spiriti combattenti per la fede.
È il primo mattino di giovedì 14 aprile (o 31 marzo) del 1300.
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QUINTO CIELO - MARTE
- Spiriti combattenti per la fede
V Cielo di Marte. Apparizione dell'avo Cacciaguida, che saluta Dante e si racconta parlando dell'antica Firenze e della sua vita E parla della sua partecipazione alla seconda crociata.
Ancora nel V Cielo di Marte. Colloquio tra Dante e l'avo Cacciaguida: il suo anno di nascita, gli antenati, la popolazione della 'antica Firenze, le principali famiglie fiorentine. Cause della decadenza della città.
Ancora nel V Cielo di Marte. Dante chiede all'avo Cacciaguida notizie sulla sua vita futura: profezia dell'esilio da Firenze e delle gesta di Cangrande Della Scala. Dubbi di Dante e dichiarazione della sua missione poetica.
Ancora nel V Cielo di Marte. Conforto di Beatrice; Cacciaguida mostra a Dante alcuni degli spiriti combattenti per la fede. Ascesa al VI Cielo di Giove: gli spiriti giusti formano alcune figure di lettere e poi dell'aquila. Invettiva di Dante contro i papi corrotti e Giovanni XXII.
Il quinto cielo, o Cielo di Marte, dio della guerra, è pieno delle anime di chi era morto e aveva combattuto per la Fede.
Esse sono splendori vivissimi, rosseggianti e cantano, muovendosi in modo da formare una croce greca al centro della quale brilla Cristo, colui che morì per dare Fede all'umanità.
Le intelligenze motrici di questo cielo sono le Virtù, che appartengono alla quinta schiera angelica.
Dante trova qui beati: Cacciaguida, Giosuè, Giuda Maccabeo, Carlo Magno, Orlando, Goffredo di Buglione e Roberto il Guiscardo.
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SESTO CIELO - GIOVE
- Spiriti giusti
Il sesto Cielo, quello di Giove, giusto per eccellenza, accoglie le anime di principi saggi e giusti che appaiono a Dante come luci che volano e cantano, creando luminose lettere che dicono: «Diligite iustitiam qui iudicatis terram» (cioè "Amate la giustizia voi che giudicate il mondo"); dopo le lettere i beati, a partire dall'ultima m (prima lettera della parola "Monarchia"), danno anche forma all'immagine di un'aquila, allegoria dell'Impero.
Le questioni filosofiche e teologiche affrontate in questo cielo sono:
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l'imperscrutabilità della giustizia divina: perché sono condannati coloro che non poterono conoscere Cristo;
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Questo cielo è ancora mosso da intelligenze angeliche della seconda gerarchia, cioè dalle Dominazioni.
Sono qui beati: David, Marco Ulpio Nerva Traiano, Ezechia, Gaio Flavio Valerio Aurelio Costantino, Guglielmo II di Sicilia e Rifeo.
VI Cielo di Giove. L'aquila risolve un vecchio dubbio di Dante circa l'imperscrutabilità della giustizia divina. Il problema della salvezza. Rassegna dei principi cristiani corrotti.
Canto XX
VI Cielo di Giove. Gli spiriti giusti che formano l'occhio dell'aquila: Rifeo e Traiano. La salvezza dei pagani; la predestinazione.
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SETTIMO CIELO - SATURNO
- Spiriti contemplantivi
Il settimo cielo è quello di Saturno, contraddistinto dalla meditazione: vi si trovano le anime di coloro che fecero vita contemplativa, che appaiono come splendori che salgono e scendono sui gradini di una «scala celeste» luminosa, come oro splendente, altissima, che non ha fine. E' l'allegoria della sapienza.
La questione filosofica e teologica qui affrontata è:
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l'insondabilità del volere divino.
Le intelligenze motrici di questo cielo appartengono alla prima gerarchia e sono i Troni.
Sono qui beati: san Pier Damiani, san Benedetto da Norcia, san Macario, san Romualdo e diversi frati dell'Ordine di San Benedetto.
Ascesa di Dante e Beatrice al VII Cielo di Saturno. Lo scaleo d'oro; apparizione degli spiriti contemplanti. Incontro con Pier Damiani. Discorso sulla predestinazione; il beato parla di se stesso. Invettiva contro il lusso dei prelati.
VI Cielo di Saturno. Beatrice spiega la ragione del grido degli spiriti contemplanti; incontro con san Benedetto da Norcia. Rampogna contro i Benedettini degeneri. Ascesa al Cielo delle Stelle Fisse e invocazione alla costellazione dei Gemelli. Dante guarda il cammino percorso.
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OTTAVO CIELO - STELLE FISSE -
Trionfo di Cristo e Maria
Nell'ottavo Cielo delle Stelle fisse: si trovano le anime trionfanti, che come innumerevoli lucerne sono illuminate dai raggi che fa piovere la grande luce di Cristo.
Vi si trova, inoltre, Maria, un altro degli splendori che qui trionfano, attorno a cui volteggia cantando l'Arcangelo Gabriele.
Una volta asceso all'VIII Cielo, Dante viene invitato da Beatrice ad osservare in basso il cammino percorso e il poeta vede i sette pianeti che ruotano intorno alla Terra, piccolissima, poi assiste al trionfo di tutti i beati che appaiono insieme a Cristo, la cui luce è tale da abbagliare la sua vista. Dante riesce comunque a scorgere la figura umana di Cristo e più tardi, nuovamente il sorriso di Beatrice senza rischiare di essere folgorato: in seguito egli assiste al trionfo di Maria, circondata dalla luce dell'arcangelo Gabriele che le ruota intorno, finché Maria non segue Cristo verso l'Empireo e le anime dei beati si protendono verso l'alto.
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Ancora nell'VIII Cielo delle Stelle Fisse. Il trionfo di Cristo e la schiera di tutti i beati. Dante può sostenere il sorriso di Beatrice. Trionfo di Maria e apparizione dell'arcangelo Gabriele. Ascesa di Cristo e Maria all'Empireo.
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Vi si trovano alcuni dei Dei greci, Diana, Giove, Saturno, Marte, eppoi i Santi Pietro, Paolo, gli altri Apostoli, Davide, Isaia, san Giovanni Evangelista, san Lino, sant'Anacleto, san Sisto, san Pio, Callisto I, Urbano I,, ecc., ma soprattutto Cristo, la Madonna con l'Arcangelo Gabriele.
'VIII Cielo delle Stelle Fisse. Beatrice si rivolge agli Apostoli e a san Pietro; questi esamina Dante sul possesso della fede. il suo contenuto la sua origine e prove della sua verità. Approvazione e benedizione di san Pietro.
Ancora nell'VIII Cielo delle Stelle Fisse. Apparizione di san Giacomo, che esamina Dante sulla speranza. san Giacomo Maggiore interroga Dante sulla Speranza: che cosa è, da dove ha avuto origine, quale sia il suo oggetto. Apparizione di san Giovanni Evangelista; Dante resta abbagliato. San Giovanni sfata la leggenda circa il suo corpo.
VIII Cielo delle Stelle Fisse. San Giovanni esamina Dante sulla carità; oggetto dell'amore e ragioni che lo suscitano e lo indirizzano. Beatrice restituisce al poeta la vista. Apparizione di Adamo: le quattro domande di Dante e la risposta del primo padre.
E cominciai: «O pomo che maturo
solo prodotto fosti, o padre antico
a cui ciascuna sposa è figlia e nuro,
Divoto quanto posso a te supplìco
perché mi parli: tu vedi mia voglia,
e per udirti tosto non la dico».
E iniziai a dire: «O frutto che, unico, fosti prodotto già maturo (poiché non nascesti), o antico padre al quale ogni donna è figlia e nuora, con tutta la devozione che posso ti supplico di parlarmi: tu vedi il mio desiderio e per udirti presto non te lo manifesto».
Beatrice obbliga Dante a guardarla negli occhi: sconcertato da tanta bellezza, il poeta sviene e quando torna in sé lo stanno già tirando fuori dalle acque purificatrici del Lete. Ormai purificato, a Dante viene concessa la grazia del sorriso della donna, così bello da non poter essere descritto a parole.
Quella raccontata nel Paradiso non è una storia d’amore: Beatrice diventa il simbolo della Teologia, della Grazia e della Verità rivelata, realizzando il mito proprio del Medioevo, e soprattutto caratteristico di Dante, della donna come mezzo per raggiungere Dio.
‘Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo’,
cominciò, ‘gloria!’, tutto ’l paradiso,
sì che m’inebriava il dolce canto.
Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso
de l’universo; per che mia ebbrezza
intrava per l’udire e per lo viso.
Oh gioia! oh ineffabile allegrezza!
oh vita intègra d’amore e di pace!
oh sanza brama sicura ricchezza!
Tutto il Paradiso cominciò a inneggiare 'Gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo!', in modo tale che il dolce canto mi inebriava.
Quello che io vedevo mi sembrava il sorriso dell'Universo, per cui l'ebbrezza penetrava in me attraverso l'udito e la vista.
Che gioia! che letizia indescrivibile! Che vita completa d'amore e di pace! Che ricchezza sicura, in grado di appagare ogni desiderio!
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NONO CIELO (PRIMO MOBILE) - Trionfo degli angeli
Ancora nell'VIII Cielo delle Stelle Fisse. Riprende la parola san Pietro che rivolge una dura invettiva contro la Chiesa e i papi corrotti, in seguito alla quale il Cielo si tinge di rosso come la luce del beato e come quella di tutti gli altri spiriti, inclusa Beatrice.
Profezia di un futuro intervento divino
Dopo che i beati sono risaliti verso l'Empireo, Beatrice invita nuovamente Dante a osservare la Terra, quindi lo fa allontanare dalla costellazione dei Gemelli e lo spinge al Primo Mobile, il cielo velocissimo. Ascesa di Dante e Beatrice al Primo Mobile. Invettiva di Beatrice contro la cupidigia degli uomini.
È il tardo pomeriggio di giovedì 14 aprile (o 31 marzo) del 1300.
Ancora nel IX Cielo (Primo Mobile). Dante vede un punto luminosissimo, circondato da nove cerchi luminosi. Beatrice enumera e spiega le gerarchie celesti. Distinzione fra l'angelologia di Dionigi Areopagita e Gregorio Magno.
IX Cielo (Primo Mobile). Beatrice parla della creazione degli angeli, degli angeli ribelli, delle facoltà angeliche, del numero degli angeli. Condanna dei vani predicatori.
Il nono e ultimo cielo è il Cielo cristallino, chiamato anche Primo mobile in quanto è appunto il primo a muoversi, ricevendo tale movimento da Dio e trasmettendolo ai cieli concentrici sottostanti.
ll movimento del Primo Mobile, spiega ancora Beatrice, non può essere misurato ma, anzi, esso è unità di misura per tutti gli altri movimenti e persino il tempo trae origine da questo Cielo.
Dopo una dura invettiva di Beatrice sulla vana cupidigia degli uomini, Dante (XXVIII) scorge un punto luminosissimo circondato da nove cerchi lucenti e rotanti: gli spiega, ancora, che si tratta di Dio e delle gerarchie angeliche, che successivamente delineerà più dettagliatamente, seguendo l'angelologia di Dionigi Areopagita e non quella un pò diversa di san Gregorio Magno, che rise del suo errore una volta in Paradiso.
Più tardi, insieme a Lucifero, di quelli che restarono fedeli e delle virtù angeliche (la guida del poeta sfata diverse errate teorie che circolano sulla Terra riguardo l'angelologia, criticando aspramente i vani predicatori che diffondono falsità e distorcono le Sacre Scritture).
La donna conclude la sua digressione indicando che il numero degli angeli è indefinito per quanto è alto e la luce di Dio si diffonde su questa moltitudine che la riceve in maniera diversa, a seconda dell'intelligenza posseduta; in seguito il punto luminoso e i nove cerchi lucenti svaniscono poco a poco e l'accresciuta bellezza di Beatrice indica a Dante che sono ormai ascesi al Cielo successivo, l'Empireo.
Scomparsa dei cori angelici e accresciuta bellezza di Beatrice. Ascesa al X Cielo (Empireo): il fiume di luce e la candida rosa dei beati. Il seggio di Arrigo VII di Lussemburgo.
X Cielo (Empireo). Dante osserva stupito la rosa dei beati. Apparizione di san Bernardo: commosso ringraziamento a Beatrice, tornata nel suo seggio. Glorificazione di Maria Vergine.
X Cielo (Empireo). San Bernardo spiega la disposizione dei beati nella rosa; salvezza dei fanciulli. Gloria di Maria; l'arcangelo Gabriele. Le anime eccelse della rosa celeste. San Bernardo si prepara a pregare la Vergine.
Ancora nel X Cielo (Empireo). Preghiera di san Bernardo alla Vergne e intercessione di Maria. Dante fissa lo sguardo nella mente di Dio: visione dell'unità dell'Universo. I misteri della Trinità e dell'Incarnazione. Folgorazione e supremo appagamento di Dante.
Sopra i nove cieli vi è l'Empireo, immobile, dove ha sede Dio, gli angeli e i beati, che qui risiedono normalmente (salvo spostarsi liberamente nei cieli sottostanti).
Esso, in quanto perfetto (nella teologia medievale il movimento non era conciliabile con la perfezione, in quanto implicava cambiamento): la potenza divina che ha sede nell'Empireo, centro dell'universo, imprime ai cieli sottostanti un movimento rotatorio, rapidissimo nel Primo mobile e poi via via sempre più lento fino alla Terra.
Nell'Empireo risiedono le gerarchie angeliche, che appaiono ripartite in nove cerchi di fuoco che ruotano attorno a un punto piccolissimo ma luminosissimo, cioè Dio.
Governato dai Serafini e origine di tutti gli influssi astrali dei Cieli sottostanti: è detto anche Cristallino e la sua esistenza, non prevista dalla filosofia aristotelica che considerava il Cielo delle Stelle Fisse come il più esterno, venne postulata da Tolomeo e in seguito dalla teologia medievale come spiegazione al movimento proprio dell'VIII Cielo, ipotizzando che il IX Cielo fosse il primo a imprimere il movimento a tutti gli altri e a ruotare velocissimo, pur essendo invisibile poichè trasparente. Dante lo descrive nei Canti XXVII, XXVIII e XXIX del Paradiso e lo indica appunto come real manto di tutti i volumi / del mondo, cioè una sorta di involucro che avvolge tutti gli altri Cieli e dunque l'intera materia dell'Universo: lo sguardo virtuoso di Beatrice stacca il poeta dalla costellazione dei Gemelli nel Cielo delle Stelle Fisse e lo spinge nel ciel velocissimo (XXVII), dove la donna spiega che ogni movimento trae origine da questo luogo e il IX Cielo riceve l'impulso a diffondere l'amore e tutti gli influssi astrali dalla mente divina, cui corrisponde il X Cielo (Empireo) che non ha un'esistenza fisica.
Le questioni filosofiche e teologiche qui affrontate sono:
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la costruzione e il moto del Primo mobile;
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la corrispondenza tra i nove cieli e i nove ordini delle Intelligenze motrici (gli angeli);
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la creazione degli angeli: le loro facoltà e il loro numero.
Le intelligenze motrici di questo cielo appartengono alla prima gerarchia e sono i Serafini.
Si sostiene che la forma geometrica che maggiormente descrive il paradiso di Dante è l'ipersfera e in particolare la 3-sfera, cioè la sfera a quattro dimensioni. Questa ipotesi è avvalorata anche dal fatto che, una volta superato il Primo Mobile, Dante raggiunga nello stesso tempo il confine e il centro del Paradiso. L'unica figura geometrica nella quale il centro coincide con tutti i punti della superficie è infatti la 3-sfera.
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UN SANTINO DI DANTE ALIGHIERI
Ovunque, in Italia e all’estero, in questo anno 2021, si celebrano i 700 anni della morte del nostro sommo poeta Dante Alighieri, avvenuta a Ravenna nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321.
Diverse e tutte magnifiche sono le manifestazioni che sono state allestiste e che, covid permettendo, ognuno potrà visitare a cominciare dalla sua città natale, l’odiosa-amata Firenze, alla stessa Ravenna, dove Dante visse gli ultimi anni della sua vita e dove si trova la sua tomba.
Certamente sono tutte iniziative di grande importanza per celebrare il Padre della lingua italiana e l’autore della Divina Commedia.
Non è però di uno di questi eventi contemporanei che qui voglio recensire. La mia intenzione, infatti, è richiamare l’attenzione dei filiconici su alcune iniziative editoriali che vennero realizzate un secolo fa in occasione del sesto centenario della morte di Dante.
Non mi soffermo molto sulla prima, una ricercata serie di “splendide cartoline, di gran pregio artistico ed estremamente rare” che, agli inizi del secolo scorso, vennero pubblicate dallo stampatore fiorentino EGISTO SBORGI.
Mi basti qui senalare al lettore interessato che di recente queste “splendide cartoline” sono state oggetto di un interessante e dettagliato articolo di LUIGI NEGLIA, Il “Divino” dantesco: una lettura attraverso le immagini, sull’ultimo numero “Santini et similia” (Anno XXVI, n. 102, pp. 13-23), al quale rinvio.
La seconda iniziativa, che ritengo più interessante per noi collezionisti di immaginette sacre, è un santino fustellato “Dante e la Vergine”, cartaceo, in bianco e nero, mm. 117x66 ca, qui riprodotto, che venne edito – come si evince dalle note tipografiche riportate nel retro – nel 1921, esattamente un secolo fa, a Ravenna dall’Agenzia Ecclesiastica diretta da don ANDREA DE STEFANI (1868-1947), rettore anche della Basilica di Sant’Apollinare Nuovo.
Vi si legge, sempre nel retro: “Dante, il sommo Poeta cattolico, di cui si celebra quest’anno il VI centenario della morte, fu un grande devoto della vergine. Egli affermò di invocare sempre, mattina e sera, il nome di Lei: Il nome del bel fior che io sempre invoco / E mane e sera… (Par., XXIII, vv. 88-89)”.
L’ideatore dell’immaginetta (forse lo stesso don Andrea De Stefani) ha voluto raffigurare l’atto finale del viaggio ultraterreno di Dante, come descritto nel canto XXXIII del Paradiso. Il poeta, accompagnato da San Bernardo di Chiaravalle (1091-1153), sta in devota contemplazione della Vergine Maria, davanti alla quale si è genuflesso e alla quale fa rivolgere, dallo stesso Bernardo, la sublime e famosa preghiera
“Vergine Madre, Figlia del tuo Figlio / Umile ed alta più che creatura / termine fisso d’etterno consiglio…” (il testo, vv. 1-21, è integralmente riportato nel retro del santino), per poter contemplare, libero da ogni legame terreno, Dio (“l’amore che muove il sole e l’altre stelle”, Par., XXXIII, v.145).
E grazie a questa intercessione, di fronte agli occhi del Poeta – e, ovviamente, di chi guarda il santino – si palesano Dio, la Trinità e l’Incarnazione. A destra dell’immagine sono raffigurati altri due Santi: San Francesco d’Assisi (1181/82-1226), fondatore dell’Ordine Francescano, e San Domenico di Guzmán (1170-1221), fondatore dell’Ordine dei Predicatori, per un duplice motivo:
il primo perché Dante – si legge in basso –, nel suo Paradiso “esalta in modo speciale i due Santi fondatori di ordini religiosi”;
il secondo perché, in quello stesso anno, il ventunesimo del secolo, insieme al Centenario Dantesco, ricorreva anche il Centenario della fondazione del Terzo Ordine Francescano e il Centenario della morte di San Domenico (l’apertura del Giubileo Domenicano, dal 6 gennaio 2021 al 6 gennaio 2022, è stata ricordata nel primo numero, pubblicato ad inizio anno, del nostro Notiziario da Padre Giovanni Calcara).
Concludo, segnalando, per chi volesse iniziare una nuova tematica, che esistono altri santini “danteschi”: mi è capitato, infatti, di trovare sulle bancarelle dei mercatini (ed ora su quelli online) delle immaginette – ovviamente di più recente produzione – che si ispirano alla Divina Commedia di Dante Alighieri, riportando citazioni dei suoi versetti ma anche illustrazioni e/o miniature tratte dal Paradiso.
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FIGURINE LIEBIG
SERIE DI FIGURINE LIEBIG DEDICATE ALLA VITA DI DANTE
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Dante nacque a Firenze, l'8 maggio 1265 da Alighiero di Bellincione e da Donna Bella. La famiglia era di modestissime condizioni, ma vantava origini nobili: Cacciaguida, trisavolo di Dante era morto cavaliere crociato in Terra Santa.
L'infanzia di Dante non fu certamente lieta: la madre morì presto e il padre si risposò ed ebbe altri figli.
Sembra che i primi studi li abbia fatti presso i francescani di S. Croce e poi sia stato discepolo di Brunetto Latini.
Beatrice, più giovane di lui, conosciuta da bambina ad una festa, andò sposa e morì giovanissima nel 1290 a 24 anni. Dante l'aveva inconrata ancora fanciulla ad una festa in casa del padre Folco Portinari; essa rimase per lui la donna dei sogni: ne cantò l'amore nella "Vita nuova", in vita e in morte di lei; l'amore per lei gli ispirò liriche mirabilli, valse pure a ritrarlo per la dolcezza e la profondità dei ricordi, dal traviamento in cui cadde ad un certo punto della vita e lo mosse, infine, a scrivere la Divina Comedia.
Dante sposò però un'altra donna, Gemma di Manetto Donati e ne ebbe vari figli (Giovanni, Piero, Jacopo ed Antonia che si fece suora col nome di Beatrice.
Dal suo innato senso dellla poesia si narra un aneddoto: "Un giorno Dante per le vie di Firenze, sentì declamare alcuni suoi versi: era un vasaio. Dante stupito ed orripilato dal modo con cui egli declamava, ruppe uno dei vasi dell'uomo dicendo: "Hai maltattato la mia roba. Mi è costato caro scrivere quei versi, mi vendico maltrattando la tua". Anche fra i suoi amici scelse poeti e letterati: Guido Cavalcanti, Cino da Pistoia e Lapo Gianni che gli furono anche compagni d'allegria, durante la giovnezza. |
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Dante nella sua vita, fu un acceso appartenente ai Guelfi, contro il partito dei Ghibellini. Erano i Guelfi sostenitori della monarchia papale, contro i Ghibellini sostenitori di quella imperiale. Dopo aver cacciato gli Aretini di parte Ghibellina, nel 1289, con la battaglia di Campaldino, dove egli stesso combattè, nel 1300 Dante divenne uno dei Priori di Firenze, la più alta magistratura del tempo. I Guelfi, vincitori dopo le battaglie si divisero in Firenze, in Bianchi e Neri. I Bianchi si ribellavano alla volontà di dominio di Bonifacio VIII: per mantenere la pace nella città straziata tra le fazioni, dei Bianchi e Neri, Dante fece allontare gli animi più accesi di passione politica e il provvedimento colpì anche il suo caro amico Guido Cavalcanti. Fallita un'ambasceria presso il Pontefice, per stornare la minaccia dell'ingresso in Firenze di Carlo de Valois, fedele al Papa, cominciò nel 1301 il predominio dei neri, (fautori dell'ingerenza di Bonifacio VIII nelle cose di Firenze ed iniziarono le vendette contro i Bianchi e anche contro Dante, Guelfo di parte bianca.
Costretto dalla sentenza del 27 gennaio 1302, che lo accusava genericamente di baratteria, ad abbanonare la propria città e famiglia, ne rimase lontano per tutta la vita. Sperò sempre di poter rientrare in Patria, con tentativi a a mano armata fatti con altri fuoriusciti o per merito di Arrigo VII, Imperatore, quando questi discese in Italia, ma le sue speranze furono vane. Nel "De Monarchia", scritto nel 1313, Dante sostiene la necessità dell'ordinamento monarchico e la separazione dell'autorità temporale da quella spirituale, mantenendo per altro verso quest'ultima un sentimento di devozionne e riverenza.
Egli considera l'impero universale stabilito direttamente da Dio e non dal Pontefice. |
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Dopo essere stato cacciato dalla sua città, Dante comincia a pelegrinare per tutta l'Italia, ospite, volta a volta, nelle Corti dell'Italia Settentrionale, arrivando forse anche a Parigi. Fu presso gli Scaligeri a Verona, gli Ordelaffi a Forlì, i Malaspina in Lunigiana, di nuovo dagli Scaligeri e i Polentani a Ravenna. Cercò più di una volta, con i suoi compagni di esilio, specialmente nei primi due anni, di rientrare nell'"amata Fiorenza". Reso vano ogni tentativo, si allontanò dagli amici e il suo esilio fu inquieto e dolorosissimo. Da questo eslio viene allo spirito di Dante una maturazione di fede e di meditazione, un'esperienza più varia.
Presso gli Scaligeri di Verona, dove Cangrande gli offrì amicizia, ebbe per la terza volta la conferma della sua condanna; nel 1315, il figlio, il giovane Piero Alighieri era insieme con lui quando rifiutò le condizioni che gli permettessero di rientrare: "presentarsi pro-forma alle carceri, essere condotti processionalmente in S. Giovanni per essere offerti al Santo, una grave multa di fiorini d'oro, tutto ciò pro forma". Ma Dante rifiuta per non umiliare il suo orgoglio di fronte al figlio, che lo vedrebbe in abito da penitente come un malfattore e un ladro. E così Dante risponde alla lettera inviatagli dal cognato Guido Manetto Donati: "Questo dunque merita un'innocenza a ciascuno evidente? Questo il sudore e la fatica di uno studio indefesso? Tolga il cielo che un uomo il quale sempre si fece sostenitor di giustizia, paghi il suo denaro come a uomini benemeriti a coloro che di ingiustizia lo oppressero". |
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Fu in esilio, durante i momenti più dolorosi che Dante pensò di costruire il suo capolavoro, giunto a noi col titolo di "Comedia", in seguito ribattezzata "Divina". Fu in realtà un costruire invece di scrivere, non solo per lo schema dato al Poema, come un edificio altissimo, dapprima sprofondato sotto terra, in 9 gironi, risuonanti dei gemiti dei condannati dell'Inferno, poi innalzato per 7 piani sulla montagna del Purgatorio; ed infine slanciato nei 9 cieli del Paradiso, ma anche perchè in esso si trovano mirabilmente fuse quelle che furono le componenti del pensieeo e della cultura di questo Poeta unico.
Infatti, dal I canto dell'Inferno fino al Paradiso è tutto un alternarsi di canti politici, di canti d'amore, di cultura letteraria. I canti, che sono 100, suddivisi in 3 Cantiche (la prima di 34 e le ultime due di 33), furono composti dal Poeta dal 1307 fino agli ultimi anni della sua vita. Il Poeta la chiamò "Comedia" perchè scritto in volgare, in stile mezzano (non aulico o latino come richiederebbe, invece, la Tragedia. I posteri, poi, la chiamarono "Divina" e tale epiteto compare per la prima volta nell'edizione del Giolito del 1555. La visione Dantesca del viaggio ultraterreno si immagine iniziata nel'aprile del 1300, venerdì santo e durata 7 giorni. La forma è quella della "visione"+ popolare e comune del MedioEvo, come pure la descrizione ell'Oltretomba ma portata ad una nuova altezza senza precedenti. Dante vi trasforma, infatti, la sua dottrina filosofica e teologica, il suo ideale politico, la sua Fede in Dio, le sue passioni di cittadino e l'amara esperienza eell'esilio, l'elevatezza della sua coscienza morale, il suo infallibile sentimento della giustizia e quello di una missione profetica.,
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Le Opere di Dante si suddividono in tre gruppi: I) Le Opere Politiche, scritte nellll'entusiasmo delle sue convinzioni etiche, politiche, sociali, nel tentativo di rendere chiaro ai governanti di allora il suo operato e al sua propaganda politica. Nel 1313 scrisse le "Epistole" e il "De Monarchia", dove si fa entusiastico sostenitore della candidatura di Arrigo VII del Lussemburgo a Imperatore del Sacro Romano Impero. Arrigo VII eletto imperatore nel 1308, scese in Italia nel 1310, suscitando in Dante la speranza di una monarchia universale che ristabilisse le sorti tristi dell'Italia divisa in Fazioni. Malauguratamente Arrigo morì a Buonconvento (Siena) nel 1313.
2) le opere del "Dolce Stil Novo": la "Vita nova" narrazione del suo amore per Beatrice, specie di autobiografia dei suoi anni giovanili in prosa e in versi. "Le rime o"Canzoniere" comprende poesie in parte didattiche, in parte amorose, in parte realistiche, 3) "Le Opere di Erudizione: "IL convivio", specchio della sua cultura filosofica tipica del Medio Evo; Dante infatti tratta qui di lingua politica e di Sociologia. Il "De vulgari Eloquentia" in latino, dove il Poeta tratta dell'origine dell'Italiano e va alla ricerca del volgare illustre "Donde nascono tutti i dialetti italiani", che devono trarre il meglio delle parlate italiane, creando così il linguaggio letterario della Nazione. Ci sono poi opere minori come le 13 "Epistole", le 2 "Egloghe" e la "Questio de aqua et Terra"", dove Dante parla delle sue convinzioni sulla struttura terrestre. Rimane capitolo a se stante la "Divina Commedia" dove Dante traccia un sublime itinerario dell'anima umana sino a Dio. Dante era uomo di infaticabile studio e di prodigiosa memoria, dotato di innate virtù letterarie come la grazia della poesia e il senso della perfezione della lingua. Fu anche uoo di grande erudizione. Si racconta che un giorno, seduto sulla riva dell'Arno, con un nuovo libro in mano, non levò gli occhi dal libro altro che quando l'imbrunire gli impedì di leggere oltre. Per di più, poco dopo, seppe che intorno a lui, durante il giorno, si era svolta la festa del quartiere con balli e giochi di ogni genere. Egli era rimasto tanto assorto nella lettura che non si era accorto di nulla.
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Mentre egli stava in Ravenna, ospite dei Polentani, giunsero i suoi figli, Jacopo e Beatrice, che attendevano il ritorno del padre a Firenze, dopo la lettera di Messer Donati. Piero, l'altro figlio era con lui e i tre giovani tra di loro si rattristavano dell'impossibilità di ricondurlo dignitosamente a Firenze; gli odii politici non erano ancora attenuati e la repulsa sdegnosa di Dante aveva riacceso il livore contro di lui. Beatrice, figura di donna sensibile e dolce, cerca di consolare il padre parlandogli del ritratto fattogli da Giotto in vista ancora in Palazzo Vecchio; Dante stupito le dice: "Non gli hanno dato il bianco, i miei buoni cittadini?"- "No, Padre, - risponde Beatrice - "molti vanno a vedere il poeta della "Vita Nova" e della "Comedia".
Mentre i figli erano presso di lui, a Dante venne offerta la carica di Ambasciatore da parte del Duca di Ravenna presso la Republica di Venezia. Pareva che un nuovo soffio di vita riempisse il cuore del vecchio poeta.
Dal Poeta Giovanni del Virgilio, grammatico dello studio di Bologna, gli viene offerta la corona di alloro di virgiliana memoria. A Ravenna, ospite del Duca Guido Novello da Polenta, di ritorno dall'ambasceria della Serenissima, circondato dei famigliari, il divino poeta moriva il 4 settembre 1321. Rivestito, per suo desiderio dell'abito del Poverello, fu sepolto nel convento di S.. Francesco. Dal XVII secolo riposa nell'umile e augusto tempietto del Moriggia e Pietro Lombardo ne esegì il bassorilievo. E' vegliato da una lampada perennemente accesa. |
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FIGURINE LIEBIG DEDICATE AL PARADISO DI DANTE
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PICCARDA DONATI
Dante e Beatrice ascendono verso i cieli. Beatrice rivolge gli occhi al sole, mentre Dante fissa i suoi sul volto di lei; si opera così una transumanazione che permette al poeta di poter infine rivolgersi all'eterno moto dei cieli attraverso la perfezione dello sguardo di Beatrice.
La prima salita è quella al cielo della Luna, le cui intelligenze motrici sono gli Angeli (i cieli sono infatti immaginati come cerchi concentrici ruotanti intorno a Dio, mossi dagli Angeli, dagli Arcangeli e così via, fino ai Serafini...).
Nel cielo della Luna stanno gli spiriti Mancanti che appaiono diafani ed evanescenti come immagini riflesse da vetri trasparenti.
Tra questi Beati, Dante ravvisa Piccarda Donati che insieme ad altri spiriti si rivolge desiderosa di parlare al Poeta,
Essa narra la storia della sua vita in convento dove entrò votandosi alla castità ma ne venne rapita da uomini "più che al mal che al Ben usi". E' questa l'anima di Piccarda Donati, sorella di Forese e Corso fattasi suora di S. Chiara, rapita dal chiostro dai frateli che per ragioni politiche la diedero in moglie a Rossellino della Tosa.
Intonando l'"Ave aria", Piccarda si allontana poco a poco e Dante rivolge di nuovo gli occhi in quelli di Beatrice e insieme salgono nel Cielo di Mercurio, dove stano gli spiriti attivi.
Le intellligenze motrici di questo cielo sono gli Arcangeli; i Beati appaiono come splendori fiammeggianti e danzano e cantano.
Uno di questi spiriti, l'Imperatore Giustiniano (527 dC), narra a Dante la storia dell'aquila romana da Enea fino a Carlo Magno, vincitore dei Longobardi. |
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CARLO MARTELLO
Giustiniano, finito il suo discorso, si allontana con gli altri Beati danzanti come velocissime favillle, intonando un inno di lode al Dio degli eserciti.
Beatrice e Dante salgono nel cielo di Venere dove stanno gli spiriti amanti.
Le intelligenze motrici sono i Principati e le anime appaiono come splendori che si muovono in giro più o meno rapidamente...
Uno di questi Beati si rivolge a Dante che con voce improntata di affetto gli domanda chi sia.
Lo spirito dice di essere Carlo Martello, Re di Ungheria nel 1294 e signore di Provenza e di Napoli.
Dante incontrò Carlo Martello a Firenze nel 1994 e fra i due vi fu un affettuoso e profondo legame spirituale.
Dopo aver parlato con Dante, Carlo Martello si alllontana cantando.
Dante e Beatrice salgono così al Cielo del Sole dove stanno gli spiriti sapienti, disposti in tre corone concentriche di vivi fulgori che danzano e cantano. Le intelligenze motrici sono le Potestà.
I Beati di questo cielo sono di fronte alla visione del Mistero della Trinità per volere di Dio e Beatrice esorta Dante a ringraziare Dio per essere salito a questo pianeta.
Fra queste anime Dante trova S. Tommaso, che gli si fà incontro desideroso di appagare la sua voglia di conoscere e gli indica i dodici Beati della corona.
Appena S. Tommaso ha terminato di parlare, gli spiriti riprendono la danza e il canto.
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SAN DOMENICO E SAN FRANCESCO
E' dalle labbra di S. Tommaso che Dante ode l'elogio di s. Francesco, questo Santo del Cristianesimo.
Egli fu fondatore dell'Ordine dei francescani votati alla più spinta povertà. Visse tra il 1170 e il 1230 ca. Sua Sposa fu la Povertà che morendo, affidò ai suoi discepoli.
La seconda corona degli Spiriti Sapienti che danzano, si fa intorno a Dante e, capeggiata da S. Bonaventura, che tesse l'elogio di S. Domenico: fu questi un ardente amatore e difensore della Fede Cristiana.
Nacque in Spagna a Calaroga, alla fine del 1100. L'anima sua, appena creata, fu ripiena di ispirazione celeste.
Egli si fece campione dell'Ordine dei Domenicani, votati al servizio della chiesa, per rafforzare la Fede e convertire gli infedeli.
Indi, le due Corone riprendono la loro danza circolare offrendo al Poeta uno spettacolo veramnete perfetto.
Dante e Beatrice passano quindi al Cielo di Marte dove stanno gli Spiriti Militanti, splendori vivissimi che muovendosi, formano una Croce greca in cui lampeggia Cristo. Ne sono intelligenze motrici le Virtù.
Qui Dante incontra Cacciaguida, suo antenato.
E' la volta quindi del cielo di Giove dove stanno gli Spiriti giusti, splendori che volano cantando e formano una sentenza biblica (Diligite justiatiam qui judicatis eram"), eppoi la figura di un'aquila.
Ne sono inteligenze motrici le Dominazioni. Questi spiriti intonano un canto che Dante non può ricordare, ma che gli ispira una ardente apostrofe allo Spirito Santo.
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ANIME CONTEMPLANTI
Dante e Beatrice riprendono la salita dei cieli e giungono al pianeta Saturno dove stanno gli spiriti Contemplanti, che appaiono come spendori che salgono e scendono e ruotano lungo i gradini di una scala celeste; questa scala ha color d'oro fulgido ed è così alta che non se ne scorge la sommità.
Uno di questi spiriti, fermatosi vicino a Dante, si fa così luminoso che il Poeta comprende quanto egli desideri parlargli.
E' questo San Pier Damiano che spiega a Dante come nel cielo di Saturno non vi siano più canti ma silenzio contemplante, per volontà di Dio.
San Pier Damiano (1700-1072), è uno dei più famosi Dottori della Chiesa, di famiglia romagnola. Dante lo interroga sulla predestinazione, ma il santo lo invita a desistere per l'umiltà alll'imperscrutabile volere di Dio. Parla, piuttoso, della sua vita umile e santa, e biasima il lusso dei prelati del suo tempo.
Alle sue parole, improvvisamente i Beati lanciano un grido spaventoso, come di terrore. Beatrice rassicura Dante e lo invita a considerare come tutto nel Pardiso sia effetto di carità: se Dante avesse inteso le parole di quel grido, conoscerebbe la vendetta divina che coglie sempre nel momento opportuno.
Dopo di ciò Dante parla con San Bendetto che e biasima la decadenza degli Ordino monastici, in particola dell'Ordine Benedetttino.
Beatrice esorta quindi Dante a salire per la scala ed entare così nel Cielo delle Stelle fisse, dove stanno le schiere del trionfo di Cristo: esse appaiono come una moltitudne di luci che un sole splendido, in cui traspare la figura di Cristo, accende dall'alto. Ne sono intelligenze motrici i Cherubini.
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ADAMO E IL PECCATO ORIGINALE
Dopo un breve tempo, Beatrice, col volto acceso e gli occhi pieni di gioia, mentre il cielo si fà sempre più chiaro, addita a Dante le schiere del trionfo di Cristo e il suo sguardo si illumina di un sorriso così paradisiaco che Dante non può spiegare. Nelle schiere del trionfo di Cristo, Beatrice esorta Dante a guardare la Vergine e gli Apostoli: Maria coronata di una luce è circondata dagli Angeli, mentre l'Arcangelo Gabriele, danzando intorno a Lei, intona un canto e i Beati fanno coro.
Indi, la Vergine, accompagnata dall'Arcangelo, si innalza verso l'Empireo seguendo il Figlio, mentre i Beati intonano l'antifona Regina Coeli".
Lo spirito di S. Pietro, fattosi avanti più luminoso, interroga Dante intorno alla Fede e, soddisfatto delle risposte di Dante, lo benedice in segno di approvazione.
E' invece S. Jacopo che interroga Dante intorno alla Speranza e, mentre lui risponde, i Beati intonano il canto "Sperent in te".
Dopo un'apparizione di S. Giovannii che interoga Dante intorno alla Carità, e che rende chiara una falsa leggenda che diceva essere il suo corpo asceso al cielo, i Beati intonano un dolcissimo canto di lode "Santo, santo, santo..."
E un quarto lume si fa avanti con i 3 Apostoli: è quello di Adamo che parla a Dante del tempo dellla creazione e della sua dimora nel Paradiso Terrestre. Tratta pure del peccato originale e del linguaggio usato in vita.
Adamo insiste nel dire che l'aver mangiato il frutto proibito, cadendo per la tentazione del serpente, fu pe lui e per Eva "peccato di disobbedienza e di superbia e non di gola". |
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IL TRIONFO DI MARIA
Appena Adamo ha finito di parlare, i Beati intorno intonano il "Gloria Patri" con molta dolcezza e dopo un'invettiva di S. Pietro contro la corruzione dei pontefici, i Beati tuttti insieme si levano in alto verso l'Empireo.
Beatrice, dopo aver invitato Dante a volgere lo sguardo verso la terra per rendersi conto di quanto tratto di cielo abbia percorso, sale insieme a lui nel Cielo Cristallino o Primo Mobile, il cielo più veloce di tutti, nel quale sono intelligenze motrici i Serafini.
Vi stanno le gerarchie angeliche che appaiono come 9 cerchi di fuoco, che girano intorno ad un punto piccolissimo e luminosissimo: Dio.
Beatrice spiega a Dante che tutto l'universo, girando intorno alla Terra, prende moto da quel cielo, che ha sede nella mente di Dio. Spiega inoltre, che il punto luminoso è Dio da cui dipendono il cielo e la Natura.
Dopo che Beatrice ha finito di parlare, i 9 cerchi sfavillano come "Massa di ferro incandescente" e cominciano a cantare "Osanna". Spiega Beatrice che a ciascuno di questi cerchi è attribuita una gerarchia Angelica, dagli Angeli ai Serafini.
Passa inoltre a parlare della creazione degli Angeli, "Materia" e "Forma" e degli Angeli che si divisero in fedeli e ribelli; il loro numero è così grande da non potersi dire. Ciascuno di loro, in varia misura, riceve la luce di Dio, proporzionalmente alla sua visione.
Beatrice diventa ancor più bella e luminosa e annuncia che stanno uscendo dal I Mobile per giungere nell'Empireo, cielo di luce pura dove si disegna di fiori e di faville una rosa celeste di Angeli e Beati. Dante, pieno di stupore, chiede chiarimenti a Beatrice ma essa è improvvisamente scomparsa mentre gli fà da guida S: Bernardo che invita Dante a guardare il Paadiso.
In un trionfo di Angeli sta Maria, accompagnata dall'Arcangelo Gariele; intorno a Lei schiere di Beati del Vecchio e del Nuovo Testamenrto, disposti gli uni di fronte agli altri nella rosa celeste. Nel culmine del Paradiso, per intercessione di Maria, ha la visione della S.ma Trinità, dell'Incarnazione e di Dio stesso, misteri e dogma inspiegabili.
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PUBBLICITA'
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CALENDARIETTO
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MARCHE NAZIONALISTE |
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7° CENTENARIO DANTE ALIGHIERI 40 lire Quartina 4 Francobolli 1965 POSTE ITALIANE
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CENTENARIO DANTE ALIGHIERI 500 lire Quartina 4 Francobolli 1965 POSTE ITALIANE
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7° CENTENARIO DANTE ALIGHIERI 130 lire QUARTINA, 1965 POSTE ITALIANE MNH
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18 - maggio 1965 - 7° CENTENARIO DANTE ALIGHIERI 40 lire - Quartina 4 Francobolli 1965 POSTE ITALIANE
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1965 -Vaticano - Dante Alighieri 4v. |
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Emissione di tre francobolli commemorativi di Dante Alighieri nel VII centenario della scomparsa
L' inferno di Dante secondo il pittore Corrado Veneziano.
immagine del francobollo emesso che l' Italia dedica alla Divina Commedia per celebrare i 700 anni della morte del Poeta, avvenuta nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321 a Ravenna. |
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23 novembre 1972 - 5º centenario delle prime tre edizioni della Divina Commedia
50 L. - Edizione di Foligno della Divina Commedia - 180 L. - Edizione di Jesi della Divina Commedia
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Troppo ci sarebbe da dire, da mostrare, da presentare... ma il campo è vasto... mi sono qui limitata a far vedere quello che avevo, poca roba ma interessante... ma su Dante e la Divina Commedia non basterebbe un'intera Biblioteca... |
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Consultati:
https://balbruno.altervista.org/index-27.html
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
https://www.hoperaperta.com/ha-mag-2-beatrice -
https://it.wikipedia.org/wiki/Henry_Holiday
https://divinacommedia.weebly.com/
Canti del Paradiso presi da: https://divinacommedia.weebly.com/guida-paradiso.html
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