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E RITRATTIELLE
‘A festa ‘e Piedigrotta
e la sua storia
In epoca romana, primo secolo a. c., nella
zona chiamata ora Mergellina fu eseguito il traforo della
collina di Posillipo, chiamando la grotta “Cripta
neapolitana”, atta al passaggio dei legionari con
i loro carri carichi, diretti o a Pozzuoli o alla base navale
militare di Miseno, allora molto importante.
Proprio ai piedi di codesta grotta e nel suo antro, per
molti secoli nella notte tra il sette e l’otto settembre,
si sono svolti riti pagani, di natura orgiastica, dedicati
a Priapo dio della fecondità, usanza perpetuata per
molti secoli, sino alla metà del millecinquecento.
Cioè a dire, fino a quando il nuovo vicerè
spagnolo Toledo, spinto dal clero che andava sostituendo
i riti pagani con quelli di fede cristiana, non costruì
su un tempietto del milleduecentosette fatto dai pescatori
del borgo marinaro di “pede grotta” (oggi Mergellina)
un Santuario. La costruzione diede più forza alla
comunità già allora abbastanza numerosa e
molto devota a santa Maria dell’Itria, la Madonna
che schiaccia il serpente a cui qualche secolo prima avevano
eretto un piccolo tempio.
I pescatori, avuto il nuovo Santuario, pur di accontentare
il clero non disdegnarono di dedicare la nuova costruzione
alla “Natività della Vergine Maria” che
ricorreva l’otto settembre, attirando così
quelli che praticavano gli ex riti pagani e dando inizio
ad un nuovo corso.
Da allora la festa di quel luogo incominciò ad acquistare
sempre più risonanza sia dentro che fuori le mura,
ancor di più quando Napoli diventò capitale
del Regno .
Vuoi anche perché da molti paesi vicini o lontani
si preoccupavano di mandare alla “Parata di Piedigrotta”
delegazioni di loro concittadini.
Per cui si può affermare tranquillamente
che sia stata da sempre una manifestazione di grande fede
e di grandi folle, come afferma anche Benedetto Croce parlando
del Santuario e della sua tradizione :“ di gente infinita
che tragge a salutarlo ”. Una festa che ha resistito
al logorio dei secoli e alle tante vicissitudini del luogo,
come ci ricordano nei loro scritti antecedenti anche il
Boccaccio ed il Petrarca.
Napoli, è da sempre conosciuta come la città
dalle numerose feste, forse in contrapposizione ad una esagerata
ricchezza di pochi ed alla miseria di molti da cui è
stata da sempre caratterizzata, pertanto trovava così
i suoi sfoghi.
In quella notte tra il sette e l’otto settembre si
allentavano i freni, cioè governanti e clero permettevano
alla cittadinanza tutta quelle libertà che non avevano
per un anno; per una notte si abbattevano le distanze tra
i ricchi, i nobili, i lazzaroni e i bazzerioti, per cui
tutti potevano approfittare dell’occasione dandosi
alla baldoria con grande gioiosità ed anche con abbondanti
libagioni e con buone quantità di vini rinomati della
stessa Campania Felix, dimenticando così per una
notte i loro problemi; tanto è vero che, già
dal milletrecento vi partecipavano anche i regnanti, in
pompa magna e con i dignitari che, per l’occasione,
confluivano dai loro siti esibendo le loro più belle
carrozze, presenziando a parate anche militari, recandosi
ad assolvere il loro atto di fede verso “la Madonna
di Piedigrotta”. Si può immaginare con quale
grande affluenza di napoletani e forestieri sui percorsi
precedentemente stabiliti.
Tale usanza raggiunse il culmine negli anni dopo il millesettecentotrentaquattro
con Carlo di Borbone e con una città come Napoli
che diventava capitale; pertanto da quel periodo si poterono
vedere squadroni di soldati durante tutto il percorso ed
un numero sempre maggiore di pellegrini venuti da tutto
il Regno, facendo sempre più grande una di già
grande manifestazione.
Ciò è dimostrato dalle tantissime ed ottime
testimonianze, che si conservano ancor oggi nei nostri importantissimi
musei, come disegni, piatti e quadri sia di pittori italiani
che stranieri i quali descrivono minuziosamente le scene
quasi come fotografie di oggi.
Tutti lavori eseguiti con grande professionalità
e gran rispetto, atti proprio a tramandare ai posteri quanti
più particolari potevano e nel migliore dei modi.
Molti segni o usi di questa antica tradizione il cittadino
napoletano di oggi li può ritrovare in molte manifestazioni
sacre ma anche profane di molti paesi dell’interland,
feste popolari ancora oggi dedicate alle brune Madonne nei
maestosi santuari della provincia di Napoli o della Campania
e in alcuni siti dell’ex regno delle due Sicilie.
Per questa antica tradizione dai vicoli, dall'interland
e dalla regione tutta arrivavano in Napoli grossi carri
bene addobbati con rami di alloro, ginestre ed altro, arricchiti
anche da nastrini vari e sonagli di diverso tipo e quant'altro
poteva servire a rendere il carro più bello degli
altri; così pure si ornavano gli animali che li trainavano,
mentre sopra i carri, le gioiose paranze (gruppi di persone
in numero pari) si accompagnavano con canti e suoni e tradizionali
cibi e vini da consumare in loco.
Ancora oggi in quella data molti fedeli vanno al Santuario
“ della Natività di Maria ” sia per pregare
che per chiedere una qualche grazia, memori delle tante
grazie ricevute dai pescatori in mare e dalle famiglie sulla
terra ferma, era ed è d’obbligo ancora oggi
andare prima al Santuario per omaggiare la “Madre
delle madri” simbolo di fecondità e poi in
villa o negli spazi antistanti per festeggiarla, in quei
luoghi dove non vi erano quei grandi palazzoni e la ferrovia
che vi vediamo adesso.
Dal millenovecentosessantadue la festa è andata perdendosi
e nel millenovecentosessantanove codesta festività
fu ridotta ad una manifestazione circoscritta al solo quartiere
senza carri allegorici e con un minimo di luminarie. Mentre
negli anni precedenti si erano registrati picchi altissimi
di popolarità, derivata dai “Festival della
Canzone di Piedigrotta”,iniziati già dalla
fine dell’Ottocento e che si erano sempre pregiati
della partecipazione dei migliori cantanti del momento,
ottenendo così una risonanza quasi mondiale dall’America
all’Australia, dato che quei testi varcavano gli oceani
ed ancora oggi, in giro per il mondo, si cantano canzonette
come “Fenesta vascia” “Michelemmà”
e molte altre.
Per quanto mi riguarda provo più piacere a parlarvi
della festa atavica che di quella metropolitana e moderna
che pur ho vissuto diverse volte sino alla maggiore età.
Cioè quella fatta di suoni canti e balli “Alla
figliola” il così detto “ballo sul tamburo”
(così caro a Roberto De Simone con i suoi lavori
di ricerca negli anni settanta sul folk campano) che erano
appannaggio dei contadini e del popolino i quali accorrevano
con i loro semplici strumenti “caccavelle”,
“puti pù”, “scetavajasse”,
“triccaballacche” ed altri strumenti di libera
interpretazione che potevano costruirsi da sempre con le
loro mani, usando materiali poveri di facile reperibilità
( legno di limone, arancio amaro o di olivo e piattelli
o cembali di lamierini di vari metalli ). Ogni carro e la
sua paranza, una volta arrivati con i loro canti suoni e
balli, davano il via alla formazione di cerchi di persone
ma sempre con la possibilità di scambiarsi i ruoli
di cantanti, ballerinii o musici dentro il cerchio “
‘o chirchio” dalla grande vitalità; famose
erano le tradizionali sfide tra i cantatori con i canti
alla figliola, che erano capaci di cantare per ore, citando
quanti più strambotti possibili e smettendo solo
quando uno dei contendenti era stanco oppure a corto di
argomenti.
L’uso di chitarre, violini ed altri strumenti musicali
classici promossero le sfide tra poeti, parolieri e cantanti
che con le loro canzoni o canzonette fecero nascere i famosi
“Festival della Canzone di Piedigrotta”.
Musiche e canti che più volte derivavano da villanelle,
arie buffe ed operette, ma anche estrapolati da quei canti
che si andavano sostituendo, cioè i popolari folkloristici,
comunque canti bellissimi molte volte diventati famosi e
cantati per il mondo diventando anche emblemi italiani .
All'estinzione di molte tradizioni napoletane ha contribuito
in buona parte l’avvento dell’auto e della costruzione
dei tanti palazzi che i ricchi si facevano erigere sul lungomare,
facendo perdere molto alla festa di Piedigrotta che aveva
alla base una sua peculiarità di baldoria e permissivismo
che nel bene e nel male si era perpetuata per centinaia
di anni con l’ausilio di spazi molto ampi.
Addirittura nel millenovecentosessantacinque fu abolita
la sfilata dei carri allegorici bellissimi (che avevano
sostituito i vecchi carri addobbati), quasi come quelli
di Viareggio, che hanno colorato quelle manifestazioni per
anni facendo acquisire alla città di Napoli anche
per questo una fama internazionale.
Tutto ciò fece sì che si
circoscrivessero i luoghi della festa ad un pezzo della
villa comunale ed ai dintorni del Santuario, decretando
così un grosso impoverimento di una tradizione che
per secoli è stata la festa di un popolo, anzi di
una nazione.
Su vari giornali di tanto in tanto si scrive che si vorrebbe
ripristinare codesta storica e bellissima manifestazione,
cosa che mi auguro avvenga abbastanza presto almeno per
riviverla prima della mia partenza per la sede fissa.
Da sempre il popolino ha amato addobbare i carri o i carretti
così come si addobbavano ultimamente le auto o i
camion con cui si recavano al pellegrinaggio e con lo stesso
criterio si ornavano il capo con cappelli di varia foggia
( ‘a maresciallo, ‘a bersagliere e tanti altri)
avendo nelle mani “sciosciammocca” o “lengue
di menelicche” “raganelle”, “ castagnette”
o “tammorre” e “tamburelli”. Per
l’occasione si abbigliavano i bambini con vestiti
di carta colorata che scopiazzavano abiti di tutte le epoche.
Negli cinquanta e sessanta, dovete sapere, che noi giovani
per divertirci andavamo a Piedigrotta dai nostri quartieri
a piedi portando con noi un cilindro di cartone largo ottanta
centimetri ed alto un metro e venti “’O cuppolone”,
che tenevamo attaccato ad una lunga canna con uno spago
e che la “chiorma”,il numero di ragazzi che
lo accompagnava anche con grida canti e suoni, faceva silenzio
prima di calare il “cuppolone” in testa a qualcuno
o addirittura, ci infilavamo dentro quasi interamente quelle
persone visibilmente distratte o le fidanzate al braccio
del proprio amato, e non erano importanti i loro lamenti.
Portavamo in testa i famosi “cappielle ‘a bersagliere”
ed avevamo con noi “trombette” e “scopettini”
(una cannuccia con striscioline di carte di tanti colori
poste alla punta) che passavamo scherzando sui volti delle
ragazzine o chiunque capitasse a tiro, sempre al suono di
trombe di latta o di cartone.
Strada facendo incontravamo ragazzi con piccole “palle
di segatura” attaccate ad un elastico che andavano
a tirare dietro le spalle delle ragazze, quelle più
belle o che più piacevano loro, essendo questa festa
un momento favorevole al corteggiamento.
Tanto è vero che molti matrimoni venivano concepiti
in quella occasione, giacché ci si incontrava con
conoscenti, parenti e, volendo, anche con estranei.
Piedigrotta come tutte le feste promuove e promuoveva un
gran commercio con i suoi tanti venditori ambulanti e le
tante bancarelle di copete varie (cioè schiacciate
di mandorle con miele) o torroni dai vari colori e dalle
varie foggie, “cicere e semmente” ( ceci e sementi
di zucca insaporiti dal sale), castagne secche e tante altre
leccornie, da sempre poi si vendevano giocattoli di legno
o di latta come oggi quelli di plastica, trottole, raganelle
“strummoli” ed altro.
Una volta erano famosi i banchetti degli “ostricari”
e dei “cozzicari” con le loro famose zuppe di
cozze, dei “vermicellari” che vendevano piatti
di vermicelli aglio e olio con pepe o al sugo; si vendeva
anche la trippa al sugo detta “’a marescialla”
oppure ‘e “fasule aucchietielle”, fagioli
lessi conditi con poco sale, pepe o limone insieme a vari
tipi di bibite o bevande ed anche l’acqua era particolare,
era di “mummara” acqua dal sapore solfureo che
veniva presa non molto lontano verso il Chiatamone. Tutte
cose che possiamo vedere nelle prime fotografie, questo
a testimonianza che non sono temporalmente molto distanti
da noi e dai nostri tempi.
Vari tipi di “taralli”, famosi quelli “sugna
e pepe” ancora oggi molto apprezzati dai napoletani,
i “bomboloni”, caramelle dai vari colori fatte
con una pasta filata lavorata ad un gancio alla presenza
dei clienti che aspettavano vogliosi e curiosi il prodotto
finito, costituito da piccoli tranci messi a raffreddare.
Alla fine, prima di ritornare alle proprie case si acquistava
l’appesa cioè “ ‘o mazzo e sovère”
“ ‘o mellone” verde e “piennele
‘e pummarulelle” ed altri prodotti come le corone
di peperoncini che ancora oggi vediamo appesi fuori a qualche
balcone napoletano o nelle case dei contadini in provincia.
Con l’avvento della elettricità si ebbero bellissime
luminarie che avevano sempre un tema da sviluppare dalla
porta alta più di trenta metri e larga intorno ai
venti metri, all’illuminazione del Santuario e delle
strade limitrofe per centinaia di metri.
La festa di Piedigrotta ha avuto ospiti famosi pervenuti
da mezzo mondo: poeti, scrittori, e pittori i quali hanno
portato nei loro paesi moltissime testimonianze, oggi reperti.
Tra i tanti ospiti si ricorda anche la presenza di Giuseppe
Garibaldi e delle sue camice rosse che per l’occasione
infiammarono di ardore patriottico la manifestazione del
milleottocentosessanta.
Foto fornite da Cartantica
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