Dal 1881, cioè dal momento della sua nascita, Pinocchio è stato
un mattatore della scena letteraria e la sua storia
ha fatto in breve il giro del mondo, tradotta in quasi
tutte le lingue, illustrata dai più insigni
illustratori del suo secolo e del successivo, riscoperta
poi da registi televisivi e dall'industria cinematografica
di Walt Disney, imperversando sulla scena di teatri,
su manifesti, su album di figurine e... via così.
Non entro nemmeno nel merito della storia, fantastica
ed istruttiva, recensita e approfondita da eminenti
scrittori e saggisti che l'hanno studiata a fondo,
in ogni minimo particolare, estraendone il succo vitale,
sezionandola in migliaia di segmenti ed esaminandoli
al microscopio della ragione, della morale, della
Storia...
A parte tutto ciò, a parte la simpatia suscitata
dal personaggio, tenero e testardo, ingenuo e irridente,
sovversivo e a modo suo umile, a me Pinocchio piace
nelle sue varie figurazioni, nell'eclettismo delle
sue rappresentazioni, delle sue trasfigurazioni, ripetitive
o geniali. Proprio per questo continuo, infinito gioco
di trasformazioni, il burattino vive cento vite diverse
nei libri, grazie alle rappresentazioni grafiche che
ne hanno fatto gli illustratori, ognuna ovviamente
diversa e con una spiccata personalità. Ma
non solo, Pinocchio spazia, saltellando da una pagina
all'altra, ma erompe sempre più "vivo" e lo
fanno rivivere ora come orologio, ora come radiolina,
ora come portapenne, scatolina, prendendo dunque forme,
esistenze e finalità ancora più complesse
di quella originale.
E proprio in questo - almeno per me - consiste il
suo fascino ininterrotto, fanciullesco forse, ma ricco
di quella gaia spensieratezza dell'infanzia e dell'innocenza
perduta, che tutti noi adulti inseguiamo attraverso
la ricerca di oggetti che ce le riportino alla memoria.
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