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CROCIFISSI MIRACOLOSI
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IL SANTO TRONCO DI SASSUOLO
https://www.arciconfraternitasscrocifisso.it/storia-e-cultura/il-s-tronco/
Il S. Tronco di Sassuolo, nella chiesa d S. Francesco in Rocca, è un crocifisso in legno.
Il S. Tronco, secondo una leggenda, giunse a Sassuolo, quando Marco III Pio, signore di Carpi e generale, seguì in Turchia l’imperatore Federico III (1440-1493) in una delle sue guerre.
Entrando in una città nemica, da cui stavano fuggendo tutti ed anche lui stava per lasciarla al saccheggio dei soldati, entrato nella casa del governatore, gli venne incontro una ragazza velata, che gli disse che, se avesse risparmiato la sua casa, gli avrebbe fatto un dono inestimabile. Marco, glielo promise e la giovane lo condusse nei sotterranei della casa dove c'era una lampada accesa davanti a un Crocifisso che compariva su un Sacro Tronco.Molto stupito, Marco accettò in dono quella croce ed evitò il saccheggio dell’intera città.
Da quel momento in poi la famiglia dei Pio custodì con gran cura il Crocifisso (o “S.Croce”) e quando il principe Gilberto si trasferì da Carpi a Sassuolo lo portò con sè, sistemandolo in una stanza del Castello, detta poi “camera del crocefisso”.
Nel 1587 il giovane Marco IV Pio, in accordo con lo zio Enea Pio di Savoia, ricostruì la chiesa di S. Francesco, fondando l’Arciconfraternita del SS. Crocefisso, donando ad essa il S.Tronco e la chiesa.
Già allora il crocifisso era ritenuto miracoloso e rapidamente questa fama si consolidò e tutti i forestieri che passavano da Sassuolo, desideravano vederlo, lasciando un segno della propria gratitudine.
Tuttavia, vedere il S.Tronco, all'epoca, non era semplice: esso era collocato su uno degli altari laterali della chiesa e coperto da un dipinto, tenuto abbassato a mò di sipario e solo il giovedì santo o in occasione di grandi solennità, che attiravano grandi folle di fedeli, si poteva vedere.
Ora. il dipinto viene abbassato ed il S. Tronco, mostrato, in occasione di celebrazioni religiose e di suppliche, in favore degli ammalati.
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IL CROCIFISSO DI COMO
Nel 1399 dei pellegrini del nord Europa si radurarono a Parigi per andare a Roma, per il Giubileo del 1400.
Questo gruppo, prima della partenza aveva preso, dalla basilica di san Dionigi, tre immagini sacre, due Crocifissi e un quadro della Vergine, affinchè li proteggessero e li guidassero.
Arrivati a Roma, dopo aver compiuto le loro devozioni, ripresero il cammino per tornare indietro, ma, arrivati a Firenze non potettero entrare in città a causa della peste. Si accamparono, quindi, fuori, assistiti materialmente e spiritualmente dai padri Celestini.
Alla fine del viaggio, in segno di riconoscenza, i pellegrini regalarono alla chiesa di san Pietro da Morone dei Celestini uno dei due Crocifissi, mentre Invece, a Bologna lasciarono nella chiesa di santo Stefano il quadro della Madonna.
Nel 1401, i romei erano ancora di passaggio da Como e la chiesetta dell'Annunciata dei Celestini ricordò loro l'aiuto precedentemente ricevuto dai Padri dello stesso ordine a Firenze e. quindi, lasciarono là, in segno di riconoscenza, il secondo Crocifisso che avevano portato con sè nel viaggio.
Questo è quanto narra la tradizione sull'arrivo del Ss. Crocifisso, ma alcuni studiosi mettono in discussione la reale successione dei fatti, non ritenendo l'opera del simulacro ligneo trecentesca bensì quattrocentesca e quindi differiscono l'arrivo in città negli anni successivi al 1401.
La grande devozione al Crocifisso di Como ('Ul Signuur de Comm', nella tradizione popolare) si diffuse non solo nella provincia ma anche in tutta la Lombardia, in altre regioni e all'estero, in particolare nel Canton Ticino, dovuta al miracolo avvenuto nel 1529.
La sera del Giovedì santo, 25 marzo, solennità dell'Annunciazione a Maria, i Confratelli dell'Annunciata si recarono in processione, come accadeva ogni anno, guidati dal Crocifisso, a visitare le 'sette chiese' dov' era esposto il SS. Sacramento.
Giunti al ponte di san Bartolomeo, diretti alle chiese di santa Chiara e di san Rocco, trovarono la strada sbarrata, per ingiunzione del governatore spagnolo, da due grosse catene sovrapposte, le cui estremità erano attaccate a dei grossi anelli di ferro, impiombate nei muri laterali, che dovevano impedire l'entrata in città alla cavalleria francese stanziata nel milanese.
Il capitano delle guardie non permetteva ai confratelli il passaggio. Bisognava passare sotto le catene.
Quando la croce si inchinò, la catena superiore si strappò portando via la pesante pietra a cui era infissa.
I testimoni, al processo canonico di riconoscimento del miracolo, dissero: '...cento paia di buoi non avrebbero tratto fuori detto anello...' e ancora '...le pietre ove era infisso l'anello erano murate con calce stabile e ferma...'.
Da da quel momento numerosi fedeli si rivolgono al Crocifisso per invocare la sua protezione e rendergli grazie.
Alla conclusione del processo canonico, negli anni successivi al miracolo, a cui testimoniarono i presenti al prodigioso evento del 25 marzo, il 1 febbraio 1608 il Miracolo delle Catene fu riconosciuto ufficialmente dalla Chiesa e sul luogo venne eretta una piccola cappella, demolita poi nel XVIII secolo.
La virtù prodigiosa del Crocifisso è attestata dai numerosi quadri ex-voto conservati nella Galleria del santuario e dai pellegrinaggi votivi, di gruppi di fedeli o singole persone che si susseguirono nel corso degli anni.
Nei momenti difficili, i comaschi si sono rifugiati sotto le braccia aperte del loro Crocifisso per ottenere protezione, come quello durante le due guerre mondiali 1915-18 e 1940-45. Accanto al Crocefisso arde la fiamma di una lampada che scende verso il presbiterio dalla volta della cupola e quella di un cero votivo collocato presso l'altare.
La città di Como, uscita incolume dalle devastazioni della seconda guerra mondiale, in segno di ringraziamento per lo scampato pericolo realizzò una corona regale che fu posta sul capo del Crocifisso, il 17 giugno 1945 dal Card. Ildefonso Schuster.
La corona reca inciso: 'Cives comenses gratias referunt tibi protegenti - i cittadini comaschi da te protetti ti rendono grazie'.
Ogni anno fedeli, autorità e il Vescovo rinnovano il loro ringraziamento al Crocifisso con la celebrazione della 'Giornata della Riconoscenza' che coincide con la solennità di Cristo Re e, in occasione della Settimana Santa, l'immagine miracolosa viene esposta al bacio dei devoti: il Crocifisso viene innalzato su un piccolo Calvario e la gente, sale lentamente le rampe del palco e con devozione si accosta per il ringraziamento e una supplica.
Il venerdì santo, il SS. Crocifisso, sul quale il Vescovo pronuncia la benedizione, viene portato in processione per le vie della città.
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CROCIFISSO MIRACOLOSO DI SAN DOMENICO A TRAPANI
Secondo la leggenda, il Crocifisso Miracoloso della chiesa di S. Domenico sarebbe stato scolpito da San Nicodemo, il discepolo che assieme a Giuseppe D’Arimatea seppellì il corpo di Gesù Cristo.
Ma sono tante le storie che si narrano su questa antichissima immagine, arrivata a Trapani, secondo tradizione, nel 1200 dalla Palestina con i padri Domenicani...
Si dice che, al suo interno, sotto il costato, ci sarebbe una reliquia della passione di Cristo, conservata proprio in una fessura ricavata nel legno, all'altezza dell'addome che venne indivduata a Torino, quando il Crocifisso venne esposto assieme alla Sindone.
Il Crocifisso Miracoloso custodisce tanti segreti e secoli di storia che, forse proprio dalla Terra Santa, lo hanno portato a Trapani nel periodo in cui la città era crocevia dei crociati.
Nella chiesa di San Domenico c’è una cappella, appunto la cappella dei crociati, con una finestra orientata verso Gerusalemme.
In questa antichissima chiesa, costruita nel punto più alto di Trapani, sono sepolti i sovrani di Navarra, Teobaldo e Isabella, oltre che il figlio di re Federico II, il piccolo Manfredi, morto in città dopo essere caduto da cavallo nel novembre del 1317. Aveva undici anni.
Il sarcofago, dove da settecento anni riposa il bambino, si trova nella parte destra dell’altare centrale.
Tanta storia, quindi e tanta Fede e un grande patrimonio culturale.
Anticamente, nei momenti difficili, i trapanesi andavano a chiedere aiuto proprio a quel Crocifisso in legno che raffigura il Cristo già morto, ma che da sempre è immagine di speranza e di vita e, in caso di pestilenza o carestia, il Crocifisso veniva portato in processione per le vie della città. E accadeva che la pestilenza andava via, come avvenuto nel 1524, quando si narra che cominciò a sanguinare dal costato.
O che inaspettatamente arrivava il frumento, come durante la carestia del 1672 che in Sicilia uccise centomila persone. A Trapani, mentre il Crocifisso era in processione, entrarono in porto due navi cariche di frumento che sfamarono la popolazione, ormai allo stremo.
Qualche decennio prima, nel 1624, accadde pure che una donna cieca riacacquistò la vista dopo essersi passata negli occhi un fazzoletto unto con l’olio che alimentava la lampada del Crocifisso.
Ma l’episodio più famoso, quello per cui è conosciuto come Crocifisso Miracoloso, è quello del bambino Rocco, attestata da un notaio e dal vescovo di Mazara (allora la Diocesi di Trapani non esisteva). Era il 1641.
La storia narra di un bambino, che avendo molta fame, chiese del pane a sua madre, ma la donna, non avendo nulla per sfamarlo, gli disse di andare a chiedere del pane al Crocifisso che stava nella chiesa di San Domenico.
Così fece Rocco, che dopo essersi inginocchiato, ricevette il pane proprio dalla mano di Gesù.
Tornato a casa e mostrato quel pane profumato alla madre, subito si parlò di miracolo e in città si sparse subito la voce di quel prodigio.
Entrati a San Domenico, le persone accorse in chiesa si accorsero che il braccio destro di Gesù era schiodato dalla Croce, con la mano rivolta verso il basso. E si gridò al miracolo.
Da allora il Crocifisso rimase con l’appellativo di “miracoloso”. |
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CROCIFISSO IN SANTA MARIA DEL CARMINE - NAPOLI
Il racconto del miracolo del Crocifisso è stato esposto da P. Filocalo Caputo nel volume “Il Monte Carmelo”, Napoli 1683, desunto da una pergamena antica, conservata nell’Archivio del Convento (citato anche da altri Frati nell’Istoria delle Miracolose Immagini della Gran Vergine Madre Maria del Carmine e del Santissimo Crocifisso, Napoli, 1769).
Nella seconda metà del 1700, questa pergamena, venne ricopiata e oggi la si conserva ancora, pur se piuttosto danneggiata.
Del Miracoloso Santissimo Crocifisso, della chiesa di S. Maria del Carmine di Napoli si dice che il Crocfisso in questione, è una stupenda scultura in legno o forse gesso o stucco, proporzionato, perfetto e delicato nelle membra e nella faccia, che ispira timore e devozione.
I suoi capelli non sono scolpiti, ma di seta, dorati, com'era in uso "alla Nazarena usanza"; il corpo ben composto, ed estenuato, che rappresenta i numerosissimi tormenti subiti durante la Passione, con in capo un Diadema, sotto cui compare la corona di spine, in cui si ritrova il vero ritratto di Cristo Crocifisso.
Il Crocifisso prima di essere ritenuto miracoloso, stava nel simulacro situato in mezzo alla Chiesa e per la grande devozione e, a furor di popolo, per volere del Re Ferdinando d’Aragona Rè e, altre nobilissime persone, per divina ispirazione, fu posto dove è ora, dopo aver ricevuto da vari Pontefici grandissime indulgenze, dall’anno del Signore 1480 nel giorno 18 di Maggio.
Nell’anno 1439, mentre Alfonso Rè d’Aragona s'era accampato nelle palude di Napoli assediandola, disponendo le armi per battere la Città, tra cui una grossissima chiamata la Messinese, presso la Mandra vecchia, vicino la Chiesa di S. Angelo all’Arena ed al Convento di S. Maria del Carmine; avvenne, che Giovedì 17 Ottobre, i bombardamenti furono effettuati contro le mura della Città e della Chiesa, distruggendole, facendo cadere in terra la corona di spine della sacra Imagine del Crocifisso, assieme ad alcuni dei suoi capelli.
In quello stesso momento, però, la statua miracolosamente chinò il capo e la rotonda pietra della bombarda, rimase conficcata sopra la porta della Chiesa, rompendo il muro e fermandosi sopra un tavolato.
I frati presenti, guardando ciò che era accaduto, misero a guardia del Monastero molte persone che vigilassero e che, subito accorse, si resero conto di quanto era accaduto e diedero ordine che il Crocifisso venisse rimosso, ma essendo molto pesante, ciò non avvenne nè quel giovedì, mentre nel Venerdì vi fu un altro assalto delle truppe nemiche, capitanate dall'Infante, contro la chiesa.
Il giovane, però, venne ucciso e la notizia di tale morte e mezza della sua testa mozzata, portata al Rè Alfonso, che ascoltava la Messa nella Chiesa di S. Maria della Gratia della Palude.
Dopo due giorni, Rè Alfonso partì col suo esercito e la mezza testa dell'Infante, che venne prontamente portata alla Regina Elisabetta, che si vestì a lutto e piangendo per la sua morte, scrisse al Rè Alfonso avvisandolo che tale fatto permetteva d’aprirgli la Città di Napoli, se egli avesse celebrato i funerali del detto Infante, del chè il predetto Rè rese grazia alla Regina ed il cadavero dell’Infante fu portato al Castello dell’Ovo.
Nel 1441, il Rè Alfonso, ritornando all’assedio, pose il campo sopra una collina, chiamata Campo Vecchio e comandò à tutti i soldati, di evitare di colpire la Chiesa o il Monastero. ricordando il miracolo appena avvenuto. L'anno successivo, il Re si recò nella chiesa e diede comando di ispezionare la statua, per vedere se il collo era sano. Poi, davanti all'immagine, si inginocchiò e pianse, chiedendo del corpo di Corradino, depositato sotto l'altar maggiore.
Successivamente, andò spesse volte a rimirare la Statua del Crocifisso e in fin di vita ordinò di realizzare per essa un sontuoso Tabernacolo.
Il drappo rosso che copre l’antico crocifisso ligneo è stato sollevato, così come avvenne durante il 1656 per invocare la fine della pestilenza, e nel 1688 in seguito alla devastazione portata da un violento terremoto. Anche il primo sabato di quaresima e durante le eruzioni del Vesuvio tale simbolo sacro viene esposto per permetterne la venerazione. |
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MONASTERO MATER DOMINI - MONACHE DELL'ORDINE DEI PREDICATORI - BERGAMO
La realtà dei tanti benefici ottenuti, pregando la statua del Cristo Crocifisso, presente nella Chiesa di Mater Domini di Bergamo, narrata da una monaca di Matris Domini, sr. Maria Luigia Agostina Trabattoni, scritta nel 1874 a riguardo del crocifisso miracoloso, narra che molte e varie persone, dal venerare e pregare quest’immagine di Gesù, hanno ottenuto grazie grandi e straordinarie d'ogni sorta, per l'anima e per il corpo, conversioni di peccatori ed altre grazie secondo i bisogni.
Le suore avevano, più e più volte, avuto prove evidenti che il Crocifisso era miracoloso, come miracolosa era la sua origine.
Ad esempio:
“Una povera donna, terziaria di S. Gaetano, viveva di sola elemosina, andando per le contrade della città di Bergamo e molti le facevano la carità senza che essa la chiedesse, sapendo tutti che le Gaetine debbono stare alla Divina Provvidenza ed il Signore sempre le soccorre.
– Entrando un giorno in una bottega dove vendevano dei Crocefissi di legno, desiderandone uno da tempo, essa guardava, non chiedendo nulla, ma non avendo denaro, non poteva accedere a nessun Crocefisso Spirante.... guardava i crocefissi e non parlava e andò via piangendo....
Subito, le si fa innanzi un vecchio signore, con un mantello che lo ricopriva, interrogandola, per sapere perchè piangesse e la donna rispose che era impossibilitata a comprare, da tanto tempo desiderato, un Crocefisso Spirante!…
Il vecchio Signore, aprì il mantello, mostrando alla donna un Crocefisso come appunto essa voleva, - Prendete, le disse quel Signore, scomparendo in un batter d'occhi alla sua vista. Frettolosa la donna entrò nella bottega, raccontando l'accaduto...Tutti stupiti accorsero verso il vecchio, che non si trovava più, ma non vedendo nessuno, non sapevano immaginarsi chi potesse essere...
La donna, contenta, tornò alla sua povera casa, sistemando bene il Crocefisso e lo venera a adora con grande consolazione dell’anima sua. Sparsa la voce, varie persone le danno elemosine per onorare il Crocefisso con accensione di candele e lampade e anche lei viene aiutata. Continua così questa donna per anni, ma ridotta al termine della sua vita, stesa sul suo lettuccio, pensava tra sé a chi dovesse lasciare il suo tesoro, decidendo poi di darlo alla famiglia dei Signori Marchiondi, ottima in tutti i sensi, molto caritatevole, che l'aveva sempre soccorsa.-
La donna chiamò il Signor Paolo Marchiondi e gli consegnò il Crocefisso, poi morì in pace. Nel tempo, il Signor Paolo e sua sorella Teresa, che voleva diventare suora nel Convento di Rossate (che ora non esiste più) crearono nella propria casa un educandato di fanciulle, a cui accedevano le ragazze di molte famiglie onoratissime.
La Signora Teresa si fece, finalmente, monaca Domenicana e fu sempre Direttrice, assumendo il nome di Suor Maria Luigia. Donna di grande virtù ed adatta ad educare fanciulle, le diresse sempre con amore, continuando ad essere la Madre di questo monastero fin che visse.
Il Signor Paolo, suo fratello, per comodità dell'educandato si era procurato da Roma la licenza di tenere nella propria casa la Chiesina con il SS. Sacramento ed il Crocefisso miracoloso che la donna morta gli aveva donato, (voleva collocarlo sul Tabernacolo della detta Chiesina), ma avendo la Croce un po' lunga, chiese a un falegname di risistemarlo; questi aveva una mano inferma, per non so che male, prese il Crocefisso per tagliare un pò la Croce e nell'azione subito sentì, per miracolo, risanata la mano malata....-
Paolo Marchiondi prese con devozione il Crocefisso, lo ripose sul tabernacolo della Chiesina e ve lo tenne fino all'anno 1834, quando, datosi da fare per ripristinare il Monastero, poichè le Madri Domenicane, soppresse da Napoleone, avevano riaperto il Convento, egli andò a Vienna dall'imperatore d'Austria ed ottenne il Decreto, sotto la protezione di un personaggio vestito da gesuita, che fece supplica all’Imperatore (questo si crede essere S. Luigi Gonzaga)-
Nell'anno 1834 si riaperse dunque, il Convento con un gran numero di suore e di fanciulle, Convento in cui figurava anche il Crocefisso Miracoloso che fu collocato in una Chiesina, dove si trova ancora.
Nel 1835, il 6 d'Agosto si fece una grande festa con l'intervento del Vescovo ed i Primati della Città, misero ancora la clausura al Monastero, così le suore rinnovarono i loro voti e ritornarono nel loro convento.
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CROCIFISSO DI CIVIDALE DEL FRIULI
A Cividale del Friuli, dove il Tempietto longobardo, patrimonio dell’Umanità, rappresenta una fortissima attrazione per il suo valore culturale ed artistico, c’è un’altra opera d’arte dal significato mistico.
Nel Duomo di Santa Maria Assunta si conserva il Cristo Miracoloso della fine del XII secolo, primo decennio del XIII secolo.
E’ un’imponente scultura lignea, alta due metri e mezzo, con poteri taumaturgici, presente da centinaia e centinaia di anni; che veniva descritto come “Cristo miracoloso”.
Il prezioso simulacro rimase indenne da diversi terremoti che colpirono la città nel 1222, 1348 e 1448 danneggiando il Duomo, mentre il Crocifisso veniva risollevato e nuovamente venerato.
La Leggenda popolare racconta che i cividalesi decisero anche di sotterrarlo, nel tentativo di prioteggerlo da scorrerie e altre sventure, per ritrovarlo, sano e salvo, solo dopo alcuni decenni.
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MIRACOLOSO CROCIFISSO DI GRADARA
A Gradara, nelle Marche, nei luoghi di Paolo e Francesca, la chiesa di San Giovanni Battista accoglie “il miracoloso ed artistico Crocifisso in legno” scolpito da fra’ Innocenzo da Petralia (nel XVI secolo?), prima conservato nella cappella privata della Rocca dei Malatesta, donato dal marchese Carlo Mosca Barzi nel 1788.
La particolarità sta nel fatto che il volto di Cristo assume tre diverse espressioni: Cristo sofferente (a destra), Cristo agonizzante (di fronte) e Cristo morto (a sinistra), a seconda del punto da cui si guarda.
Sul pavimento sono indicati i tre punti sui quali bisogna posizionarsi.
La chiesa, già presente nel 1290, venne più volte restaurata ed abbellita, dalle Signorie dei Malatesta prima e degli Sforza poi; gli ultimi restauri furono effettuati dal Marchese Carlo Mosca Barzi, tra il 1770 e il 1790.
Ci sono poi numerose grotte, presenti nel sottosuolo.
A pochi metri dall’entrata del centro storico, si trova il museo di Gradara, che racconta la storia del territorio, del borgo e del castello. Al suo interno si possono trovare armi e armature, strumenti di tortura e delle tradizioni contadine, ma soprattutto, dai suoi sotterranei si accede all’unica grotta visitabile del luogo.
Forse collegate alla rocca, sicuramente usate per la fuga in occasioni di pericolo, le sedici grotte finora scoperte, collegate tra loro da cunicoli di cui solo una decina ancora agibili, hanno un’origine antica e misteriosa come la maggior parte delle gallerie e grotte ritrovate in questo erritorio.
Probabili luoghi di culto delle antiche genti, la grotta del Museo Storico, attribuita al IV-V secolo d.C., pare potesse essere stata un luogo di ritrovo segreto dei Bizantini prima e dei Templari poi. I Cavalieri del Tempio, affascinanti, misteriosi, ricchi e potenti e per questo invisi a Re e Papi di quel tempo che li hanno fatti diventare famigerati e mandati a morire sul rogo.
Poteva forse essere il luogo che si ritiene teatro della tragedia di Paolo e Francesca.... D’altronde, tra gallerie, cunicoli, alcove, all’interno della grotta non mancano fascino e sorprese. Più avanti, a pochi metri dal castello dove un tempo era custodito, si trova il Crocifisso ligneo di Frà Innocenzo.
Realizzato nel 1636 dal frate scultore nato a Petralia in Sicilia, ma molto attivo in quegli anni nel centro Italia, soprattutto nelle Marche, il realistico crocifisso fu portato dalla cappella del castello nell’attigua chiesa di San Giovanni Battista nel 1788, per volere del Marchese Carlo Mosca Barziallora, Signore di Gradara.
La chiesa fatta edificare dai Malatesti nel Trecento, di cui preserva la facciata, fu ricostruita al suo interno dopo il terremoto del XVII secolo.
Ispirato alla tradizione spagnola dei frati palermitani di Sant’Antonino, il Crocifisso di Frà Innocenzo da Petralia ha un aspetto molto realistico e carico di pathos, con il corpo segnato da numerose ferite e il viso al tempo stesso sereno e sofferente, dipende dal punto di vista da cui lo si guarda.
Difatti la particolarità riconosciuta a questa scultura di Cristo sulla croce, sono le tre espressioni che si dice appaiano sul suo viso, a seconda che lo si guardi da destra, dal centro o da sinistra e che lo rappresentano nelle fasi di sofferenza, agonia e morte.
Sembra che stia per dire qualcosa, prima di esalare l’ultimo respiro e raggiungere la serenità della morte e della vita eterna.
Una curiosità: nel 2018 è stato scritto un romanzo su questo crocifisso dal siciliano Pietro Maniscalco, intitolato “Un crocifisso a Gradara“.
Il Dottor Maniscalco, nato a Palermo, vicino ad una chiesa dove era presente un crocifisso di Frà Innocenzo da Petralia, trasferitosi per lavoro a Gradara, vide il crocifisso in questa chiesa e se ne interessò tanto da arrivare a scriverci un libro con le sue ricerche.
Pietro Maniscalco è stato lo scopritore dell’Arsenale di Palermo, fondatore del Museo del Mare là situato, ricercatore storico e scrittore, insignito delle onorificenze di Cavaliere e Ufficiale al Merito della Repubblica Italiana. |
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IL CROCIFISSO MIRACOLOSO DI LONIGO
È tradizione che a poca distanza dal convento, nel terreno chiamato “Le sante”, i buoi, mentre aravano, improvvisamente si arrestarono e si inginocchiarono. Inutili gli incitamenti dei presenti, soprattutto degli agricoltori, che, alla fine, decisero di scavare il terreno, dove trovarono, sepolto, un Crocifisso su legno.
Trasferito nella vicina chiesa di San Daniele, ne divenne un gran tesoro per tutti e fu venerato per secoli. Era scolpito in legno di tiglio; il volto, molto espressivo, rivelava, a differenza del resto, la mano di un abile artista.
Ogni anno, il giovedì santo, veniva trasportato in processione, nella chiesa parrocchiale, attraverso le vie principali della città, tornando alla sua sede il giorno seguente.
Dopo l’esodo forzato dei frati, a causa dell’abbandono della chiesa, l’arciprete di Lonigo, don Gasparini, si interessò di trasferirlo nella chiesa parrocchiale di San Cristoforo e chiese il consenso a chi ne deteneva i diritti.
Più volte i leoniceni sperimentarono la protezione della sacra immagine, specie durante il colera del 1855.
Edificato il duomo, alla vigilia della sua consacrazione, il 21 luglio 1892, dalla chiesa di San Cristoforo, il Crocifisso miracoloso fu trasferito nel nuovo tempio, accompagnato in processione dalla folla dei fedeli, dal clero e dai frati di San Daniele.
Ai nostri giorni si innalza sull’altare maggiore del Duomo. |
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CROCIFISSO DI CASALMAGGIORE
Il Crocifisso di Casalmaggiore, in provincia di Piacenza, del diciassettesimo secolo (1676), viene ritenuto miracoloso e rappresenta la crocifissione di Gesù, dono alla comunità di Padre Francesco da Modena.
Esso venne esposto anche secoli fa, durante la diffusione della peste e durante le alluvioni del fiume Po, sempre per richiedere l’intercessione e la protezione del Signore.
Attualmente, Don Claudio Rubagotti, durante il Corona virus, ha deciso di esporre il crocifisso all’interno del Duomo, tra il sagrato e la parte d’ingresso alla Chiesa di Santo Stefano, ricordando che “Anche la Chiesa ha le sue armi” e "per i credenti la fede passa da questo senza pensare di sostituirsi alla medicina e al grande lavoro dei medici.
Qualcosa di simile a quanto già visto nel film “Don Camillo”, quando il prete di Brescello provò a scongiurare l’alluvione del Po del 1951, proprio benedicendo le acque del fiume con il celebre “crocifisso parlante”, con un atto non di superstizione ma di affidamento a Dio.
Don Claudio ha voluto allestire una sorta di spazio per la preghiera personale, mantenendo aperte tutte le chiese. Accanto al crocifisso del 1676 si trovano pure un inginocchiatoio e un leggio con le letture del giorno ed è possibile prelevare uno schema di preghiera personale in tempo di Quaresima.
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IL CROCIFISSO DI SAN MARCELLO - ROMA
https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2021-03/san-marcello-al-corso-la-chiesa-del-crocifisso-miracoloso.html
Nel maggio del 1519 la chiesa, allora orientata nel verso opposto, con la facciata rivolta verso piazza Santi Apostoli, fu distrutta da un incendio. Rimase intatto solo il Crocifisso che ornava l’altare maggiore. Questa circostanza portò a ritenere miracoloso l'accaduto.
Alcuni anni dopo, durante la peste del 1522, l’allora cardinale titolare della chiesa, Raimondo Vich, organizzò una processione penitenziale che si protrasse per diciotto giorni, con il santissimo Crocifisso portato a spalla attraverso tutti i rioni di Roma, dalla chiesa di San Marcello fino alla basilica di San Pietro. Partecipò tutto il popolo, di tutte le età e condizioni, oltre ai nobili e ai religiosi, che scalzi e con il capo cosparso di cenere gridavano misericordia. Le autorità, temendo un aumento del contagio, tentarono di bloccare il corteo ma non ci riuscirono.
La processione iniziò il 4 agosto e terminò il 20. Lo stesso giorno, la peste scomparve da Roma.
Nel 1522 una grave pestilenza aveva colpito la Città Eterna.
Dalla chiesa si mosse una solenne processione penitenziale alla quale parteciparono il clero, i religiosi, i nobili, i cavalieri, uomini e donne del popolo. L’intera popolazione romana si mosse al seguito del famoso crocifisso: “Scalzi et coverti di cenere a una et alta voce, interrotta solo da singulti e sospiri, di chi li accompagnava, gridavano ‘misericordia SS. Crocifisso’”, narra una testimonianza dell’epoca.
La chiesa è a una sola navata con cinque cappelle per parte, alla quale lavorarono numerosi artisti come il Sansovino, che fu il primo a essere chiamato da Leone X per la ricostruzione. La facciata, opera dell’architetto Carlo Fontana tra il 1692 e il 1697, stretta tra la strada e gli edifici accanto, già preannuncia la bellezza dell’interno con la sua curvatura leggera percorsa da colonne, nicchie e statue. L’ordine superiore è decorato sui lati dal segno dei martiri: le foglie di palma.
La controfacciata è completamente dipinta con una grande Crocifissione, opera del pittore Giovanni Battista Ricci detto il Novara, nel 1613.
Notevolissimo è il dipinto su lavagna di Taddeo Zuccari, nella quinta cappella di sinistra, commissionata dalla famiglia Frangipane, i cui busti sono sui lati, due dei quali dello scultore Alessandro Algardi (1602-1654: uno rappresenta la conversione di san Paolo, appena caduto da cavallo e accecato, con gli occhi chiusi, al centro di una composizione concitata. Cristo erompe tra le nuvole aperte e indica Paolo con il braccio teso, rompendo le linee orizzontali del cielo come una freccia. Una grande figura in primo piano sembra uscire, letteralmente, dal quadro per fuggire via terrorizzata.
Il gruppo ligneo della Pietà, 1700, attira l’attenzione per i suoi colori vivaci e la resa dolorosa. La statua, usata per le processioni, è ritenuta di scuola berniniana.
La chiesa però è molto più antica e sull’identità di Marcello ci sono diverse ipotesi, tra le quali quella basata sul Liber Pontificalis e la Passio Marcelli del V secolo che ricordano il titulus di Papa Marcello (308-309), morto di fatica nelle stalle del catabulum, stazione postale, sulla via Lata, nome più antico di via del Corso, che sorgeva qui. Le ossa del martire sono conservate sotto l’altare maggiore.
La prima menzione della chiesa appare invece nel 418 in una lettera di Simmaco sull’elezione del nuovo papa Bonifacio I, avvenuta proprio a San Marcello. Nel XII secolo vi fu una prima ricostruzione con l'ingresso a est, preceduto da un portico. Nel 1368 la chiesa fu affidata all'Ordine dei Servi di Maria che ancora oggi la officiano.
L'immagine di Maria con il Bambino risale al Trecento, situata nella sua cappella, affiancata da quadri con episodi della vita della Vergine, dipinti da Francesco Salviati nel 1563.
Parlando del Crocifisso miracoloso, si tratta di una statua in legno di pioppo, colorata e dorata, opera di scuola romana, 1370 circa, posteriore di alcuni decenni al Crocifisso di San Lorenzo in Damaso, al quale era devota Santa Brigida, che a tutta evidenza sembra aver ispirato l'ignoto ebanista di San Marcello.
E' un pezzo unico, dai piedi alla nuca, mentre il volto e le braccia sono stati lavorati a parte. Durante i restauri del 2001 sono stati riscontrati numerosi interventi di epoche precedenti, integrazioni e ridipinture.
In seguito, fu fondata la Compagnia dei disciplinati intitolata al Santissimo Crocifisso, che divenne Confraternita e i suoi statuti approvati da Papa Clemente VII nel 1526. Il crocifisso fu collocato nella quarta cappella di sinistra, dove si trova tuttora.
Il volto reclinato è come raccolto nel silenzio doloroso della morte e la resa anatomica è scarna, rigida soprattutto nelle braccia innestate. La doratura tenta di nobilitare una plasticità poco riuscita delle pieghe del perizoma.
Il Crocifisso di San Marcello porta in sé in modo visibile i segni dell’affetto e della sofferenza di chi gli si accosta in preghiera, con devozione e speranza. E come spesso succede nelle opere d’arte cosiddette “minori”, le imperfezioni spingono ad amarle di più proprio perché specchio della nostra umanità, della nostra debolezza.
L’opera è su fondo di velluto rosso e decorazioni dorate. Tra il 1525 e il 1527, fu chiamato l'artista più in voga, Perino del Vaga, per adornare la cappella con affreschi mai finiti, alcuni andati perduti. Eppure chi si ferma in preghiera non si accorge delle decorazioni: è la figura dolente e bruna del Cristo a catturare ogni attenzione.
Da allora la sacra immagine è stata portata in processione in occasione dei giubilei e di eventi importanti come la Giornata del perdono, durante l’Anno santo del 2000, con Papa San Giovanni Paolo II.
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CROCIFISSO MIRACOLOSO DI DESENZANO DEL GARDA
La storia di Desenzano del Garda è legata a questo Crocifisso, esposto in Duomo, sull’altare di S. Vincenzo, S. Benigno e S. Anastasio, di cui si hanno notizie legate alla città, a partire dalla positiva conclusione dell’Interdetto (1566–1572) e dal costituirsi (1575) della confraternita dell’Immacolata Concezione, di cui era figura sacra di riferimento.
Nel 1623, venne eretto l’altare con una nicchia dove venne sistemato il Crocifisso, che, ancora oggi, vi è esposto.
Leggendo i diari di Andrea e Gian Battista Alberti, si comprende la venerazione di cui era circondato dai desenzanesi. Gli Alberti, parlano di solenni funzioni e processioni con il Santo Crocifisso, in occasione di lunghi periodi di siccità, di pericoli bellici, di epidemie del bestiame, ecc. Per lo più i desenzanesi erano coltivatori ed avevano molti animali da curare ed allevare ed è comprensibile che le malattie degli animali fossero molto temute.
Nell’anno 1736, 9 settembre, fu organizzata una solenne processione, in ringraziamento della protezione per aver tenuto lontane sia l’epidemia bovina sia le truppe straniere in transito nell’Italia Settentrionale, sottolineando che la Sacra immagine sarebbe stata chiamata col titolo di “Miracolosissimo Crocifisso della Veneranda Confraternita della Concetione”.
Dopo aver descritto la scenografia predisposta tra le chiese di S. M. Maddalena e S. Maria de Senioribus, G.B. Alberti enumera le personalità religiose e amministrative che stavano attorno al baldacchino ricamato di seta e oro, sotto cui l’Arciprete reggeva il Miracoloso Crocifisso, più tardi chiamato “Miracolosissima effige del Redentore”, che, in alcuni punti del percorso, veniva offerto al bacio della folla.
L’immagine venne esposta alcune volte al culto della popolazione anche durante l’800 anticlericale e nella prima metà del’900, secolo dell’atomica.
Anche nel 2020, a causa del Covid, malgrado qualche perplessità dei sacerdoti responsabili, il Santo Crocifisso è stato portato in Duomo e senz’altro ad alcune persone questo gesto ha fatto piacere, avranno recitato l’antica preghiera con fiducia, ripromettendosi una visita in Parrocchia appena allentato lo stato di isolamento. Tra l’altro, oltre che antico, il Crocifisso è esteticamente bello.
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CROCIFISSO DI ASCOLI
Fazioni avverse, raccolte all’ombra di un nome potente, nella città di Ascoli – preda di piccoli tiranni locali – diventavano un covo di odio e di turbolenza, dove imperversavano guerriglie per la rivalità con le Terre vicine, che producevano rancore, odio e vendetta. Armi e armati portavano morte e distruzione per il contrastato dominio di Castignano, che raggiunse la sua fase più acuta e cruenta in Piazza del Popolo.
Da una parte i Malaspina, i Parisani coi loro seguaci, ribelli al governo e fautori di assassinii brutali; dall’altra gli Anziani, i Ciucci, i Falconieri, la corte e la birreria agli ordini del Commissario di Modena inviato dal Papa Paolo III a rimettere le cose a posto.
Tutto terminò con la disfatta dei rivoltosi, dei quali alcuni trovarono scampo nel Palazzo del Popolo, mentre altri si dispersero fuggendo e tentando di penetrare nell’improvvisata rocca, per prendere quanti vi erano asserragliati; ma riuscito vano ogni sforzo, il Commissario Quieti, perduta ogni speranza, cedette alla rappresaglia, ordinando che si appiccasse il fuoco al Palazzo, che in breve si trasformò in un rogo.
Quando alcuni cercarono spazio sui tetti vicini, il popolo irruppe nell’interno dell’edificio per procedere allo spegnimento dell’immane braciere e, tra le fumanti rovine e le ceneri calde del superbo monumento, una visione inattesa portò stupore e meraviglia a tutti: il Crocifisso di legno posto nella Sala più grande, era ancora intatto con le braccia amorosamente distese, unico segno di vita e di perdono in mezzo alle tracce dell’odio e della morte. A quel miracolo, il Crocifisso fu portato da alcuni assennati cittadini nella chiesa di San Francesco.
Esposto sull’altare maggiore, per oltre un’ora esso versò sangue vivo dalla Piaga del Costato. L’effusione si rinnovò per ben tre volte, alla presenza di innumerevoli testimoni tra cui il Vicario vescovile, i Religiosi francescani, i Padri domenicani di San Pietro Martire ed il celebre pittore Cola d’Amatrice, che, fatto un diligente esame, conclusero che era sangue miracoloso e vero.
Il prodigio richiamò tutto il popolo di Ascoli e dintorni nel tempio francescano e vi furono, dinanzi al divino Crocifisso, grida, pianti, preghiere, in cui due grandi invocazioni si affermavano come il bisogno più sentito dell’anima collettiva: Misericordia e Pace.
Finamente, fra le braccia di Cristo, gli Ascolani avevano ritrovato il tesoro dell’unità e della civica concordia. Spento il fuoco dell’odio, si era accesa la fiamma della carità e, a furor di popolo, furono richiamati tutti i banditi, assicurati i sospetti, liberati i prigionieri e rimessa la città in concordia,
Il prodigioso Simulacro, esposto ora alla pubblica venerazione nel maggior monumento della pietà ascolana, parla ancora e sempre, di amore, di vita, di pace e di vittoria, mentre il Cristo prodigioso viene invocato di dare a tutti misericordia e pace.
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CHIESA MADRE DI MINERVINO MURGE - BARLETTA-ANDRIA-TRANI
Nella Chiesa Madre di Minervino Murge (Barletta-Adria-Trani) c'è il Santissimo Crocifisso Nero, a cui, più volte è stata richiesta l’intercessione, ottenendo miracolosi interventi.
Si fa risalire il ritrovamento del Crocifisso ad un episodio non databile, in cui la S. Spina conservata nella Cattedrale di Andria e lo stesso Crocifisso furono ritrovati sulle vicine colline. La decisione della destinazzione derivò da due buoi: quello che tirava il carro con la S. Spina andò verso Andria, l’altro verso Minervino.
Questa la leggenda, ma l'esistenza del Crocifisso, è testimoniata per la prima volta nel 1667. Si parla infatti di un “Crocifisso di legname antichissimo di grande devozione”.
Un documento di circa trent’anni dopo, la cui copia è stata recuperata nell’archivio Vaticano, è una lettera scritta dal Vescovo Francesco Vignola a Papa Innocenzo XII, Antonio Pignatelli, per congratularsi con lui per l’avvenuta guarigione. Il Vignola, originario di Spinazzola, che aveva confidenza con papa Pignatelli, che gli aveva affidato diversi incarichi, diceva:
“raccomandai la sua salute a più religiosi e servi di Dio, fra i quali una divota vecchia di qui per nome Bernardina Strazzulli, nipote del fu Arcidiacono Raffaele, noto alla Santità Vostra.
Questa buona vecchia si poneva in ginocchio davanti all’altare del miracolosissimo Crocefisso collocato nell’altare maggiore di questa Cattedrale, Cappella eretta dalla pietà del signor Principe, fratello di Vostra Santità nel 1630”...
La lettera ci testimonia quindi il culto verso il Crocifisso e la data di costruzione dell’altare maggiore, il 1630, per la munificenza del fratello del Papa. Si dice ancora nella lettera “che portato una volta in processione diede lume ad un cieco nato oltre i continui miracoli e grazie che fa a questo popolo e ai forestieri”.
Scrive il D’Aloja, nel 1675, che il Consiglio degli Eletti dell’Università <aveva deliberato di provvedere l’olio necessario per cinque lampade che ardevano davanti al Crocifisso: un altro segno di grande devozione.
Nel 1857, Mons. G. Longobardi fece costruire l’attuale altare maggiore con il tempietto in cui è conservato il Crocifisso.
Sulla cupoletta è l’allegoria della Carità e nell’ovale sono alcuni simboli della Passione (il gallo, la lancia, i dadi, etc.); sotto di esso, un bellissimo volto di Cristo. Ai piedi della cupoletta due lapidi ne dicono i prodigi.
L'organizzazione del culto al SS. Crocifisso è contemporanea alla costruzione dell’edicoletta marmorea. L’immagine veniva esposta solo il venerdì, giorno in cui dopo la S. Messa si cantava il «Trisaghion», invocazione al «Dio Santo, Dio forte, Dio immortale».
Una lapide invita ad avvicinarsi al simulacro prima che “venga chiuso”. Già dal 1776, infatti, si ha notizia di questa cautela nell’ostentazione del Crocifisso: “...è tenuto con somma venerazione sempre coverto in una nicchia”.
Tale devozione è legata ai prodigi, celebrati dalla lapide sotto il tempietto: liberazione dalla peste, dalla fame, dalla siccità.
Si parla molto dei miracoli e meno nel mistero della croce come segno di salvezza.
Il Crocifisso nelle solennità viene esposto su una tavola di velluto e argento che venne fatta fare dagli agricoltori minervinesi dopo il miracolo del 10 maggio 1901, giorno in cui il Crocifisso, portato in processione, donò abbondante pioggia ai campi riarsi dalla siccità.
La tavola ha due segni che fanno pensare in profondità al mistero della croce: i simboli Eucaristici e lo Spirito Santo.
Molti furono i restauri necessari apportati, perché i tarli avevano intaccato il legno antico che s'era molto scurito e l’«originale» era un Cristo in croce dai colori naturali, dai lineamenti dolci ed espressivi.
Confrontandolo con alcuni Crocifissi spagnoli del secolo XIV, si notano molte somiglianze, come nella foggia dei capelli, nella corona di spine e nel volto, che, probabilmente, è la parte più antica (XVI secolo), composto su un corpo più recente, forse andato bruciato o consumato.
Perchè non è più nero?
In una visita pastorale nella seconda metà del secolo scorso, si fa menzione del SS. Crocifisso “che si ritiene opera del periodo iconoclasta”, quindi opera di origine greca. Esso era, infatti, interamente coperto da uno spesso strato di vernice color cioccolato, tanto da essere ormai chiamato “Crocifisso nero”, espressione che non appare mai prima dell’800.
Probabilmente, era semplicemente accaduto che il fumo delle lampade aveva annerito il legno e i “restauri” un po’ avventati di incompetenti, lasciarono che il colore scuro fosse omogeneo in tutto il Crocifisso. Gli occhi, poi, che nell’originale che ora possiamo ammirare, sono chiusi, furono poi dipinti come aperti.
Su richiesta di un benefattore, uno dei Parroci fece effettuare un restauro, da parte persona esperta e capace edesso venne ultimato e con una solenne concelebrazione presieduta dal vescovo di Andria, la sacra immagine venne restituita alla venerazione del popolo”.
Le ultime volte è stato portato in processione negli Anni Santi: nel 1975 dai pp. Vincenziani, nel 1983 dai pp. Passionisti e dai Sacerdoti di Minervino, sempre durante il venerdì santo del Grande Giubileo dell’anno 2000, dell’anno della Fede, nel 2013 e dell’anno Giubilare Straordinario della Misericordia voluti da Papa Francesco, il 25 marzo 2016, in concomitanza con l’ultimo prodigio della Sacra Spina. |
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CROCIFISSO DI SAN MINIATO - PISA
Il Santissimo Crociffisso (detto “di Castelvecchio”) a San Miniato, ha un significato speciale. Leggendariamente ritrovato nel “Palazzo del Popolo” alla fine del ‘200 sopra all’Oratorio che lo custodiva (oggi “Oratorio del Loretino”), dalle compagnie dei “Bianchi” che lo portavano nelle processioni, all’antica Compagnia del SS. Crocifisso che ancora oggi esiste.
La Città di San Miniato, Diocesi soltanto dal 1622, tra il 1628 e il 1631, s'era rivolta a questo prodigioso Crocifisso, con speranza, per chiedere la fine della peste e quando questa giunse al termine, fu mantenuto il voto di costruire un nuovo santuario per la croce, perché la città era stata risparmiata dall’epidemia.
La costruzione iniziò però nel 1705, grazie al Vescovo Poggi che ruppe gli indugi sullo scioglimento del “voto”. Il nuovo Santuario fu progettato dall’architetto/ ingegnere fiorentino Antonio Ferri, che ne curò anche i lavori, con l'opera del pittore Antonio Domenico Bramberini, fiorentino.
La nuova chiesa, venne inaugurata nel 1718 e consacrata nel maggio 1729. Della vicenda della costruzione, oltre che nei documenti conservati presso l’Archivio della Diocesi di San Miniato, se ne parla nelle Memorie della Sacra Immagine e dell’Oratorio del Santissimo Crocifisso detto del Castel-vecchio, redatte da Bernardo Morali, "Operaio" e "Festaiolo" nel 1755 e pubblicate nel Bollettino dell’Accademia degli Euteleti, del 1976.
Il luogo per accogliere il nuovo Santuario era uno sperone roccioso dove sorgeva un ostello visitato da pellegrini-angelici che avevano portato là il simulacro, una porzione di pendio acquistata dalla famiglia Donati-Mercati, proprietaria a partire dal XVI secolo del “colle” della Rocca, comperato da Mons. Michele Mercati, che lo aveva trasformato in un orto-giardino botanico.
La soluzione adottata fu quella di arretrare l’edificio rispetto alla sede stradale, inserendo una scalinata, tutta in pietra serena, che richiama quella romana di Trinità dei Monti e che si alzava sulla strada di ben 10 metri, con rampe laterali e la terrazza centrale in travertino. Un’artistica ringhiera in ferro accompagna le rampe e chiude il balcone.
Così si venne a rompere lo schema medioevale, replicando schemi e modelli prospettici propri della tradizione urbanistica rinascimentale, rivisitati in chiave barocca e scenografica.
Bozzato e ringhiera furono inaugurati nel 1867 e in quell'occasione collocati, nella nicchia, il “Cristo Risorto”, opera berniniana di un frate francescano che l’aveva scolpita nel 1723 e collocata fino a quel momento sull’altare maggiore della chiesa di San Francesco, all’altezza del ripiano centrale, i due angeli del celebre scultore fiorentino Luigi Pampaloni.
Furono invece inaugurate nel 1888 le statue degli apostoli Pietro e Paolo che, pur non avendo alcun pregio artistico, contribuiscono ad accrescere il decoro e l’armonia della scalinata e del Tempio.
Spesso, tutte le opere d’arte sacra, pitture, sculture, architetture, musiche, etc, hanno sempre un significato, un filo conduttore, un richiamo alle Sacre Scritture o ad episodi della tradizione cristiana. Non è un caso che a partire dal Concilio di Trento, il rigore si fece sempre più serrato e alle opere fu riconosciuta una sempre maggiore importanza narrativa e comunicativa. E anche il Santuario del Santissimo Crocifisso dovrebbe avere una sua precisa iconografia...
L'edificio è a “pianta centrale” della forma a “croce greca” con cupola emisferica che enfatizzano il collegamento fra Terra e Cielo.
La “croce greca” della pianta si inserisce in un quadrato che ne costituisce la matrice, costituita da quattro braccia, i quattro elementi terreni, le quattro virtù dell’uomo, i quattro punti cardinali.
Il centro della pianta è anche il centro della cupola, emisferica che richiama al mondo Celeste, alla centralità di Cristo nel Cosmo e della Fede rispetto ai punti cardinali. Insomma un “ponte” o una sorta di “scala” per salire verso Dio.
Gli elementi presenti nell’interno urbano di quel tratto di via Vittime del Duomo sono: il municipio e l’edificio del santuario, legati con una composizione scenografica attraverso la scalinata monumentale.
Il complesso del santuario è costituito da vari livelli: la strada, un falsopiano rialzato dove sono collocate le statue di San Pietro e San Paolo, una prima rampa che termina in un piccolo ripiano su cui si affaccia la statua del Cristo Risorto. E poi ancora due rampe, sormontate da una coppia di angeli, uno per parte ed infine la chiesa, elemento dominante e culmine della composizione.
Quindi la costruzione del Santuario del SS Crocifisso si farebbe metafora architettonica della “Città di Dio”, che sta di fronte, in posizione rialzata, rispetto alla “Città degli uomini”. Il Santuario del SS Crocifisso, potrebbe essere la trasposizione simbolica della Gerusalemme Celeste?
Insomma troppe coincidenze per non associare il Santuario del Santissimo Crocifisso di Castelvecchio di San Miniato all’immagine della Gerusalemme Celeste descritta da San Giovanni Apostolo nell’Apocalisse. E’ davvero frutto del caso?
Ricapitolando,
abbiamo isolato tre episodi del libro dell’Apocalisse: l’apparizione di Cristo Risorto, gli Angeli che suonano le trombe e la discesa dal cielo della Gerusalemme Celeste. Tutto questo quadro si configurerebbe, quindi, come: IL GIUDIZIO UNIVERSALE.
E’ questa, forse, l’interpretazione da dare all’apparato scenografico costituito dalla scalinata e dal Santuario del SS Crocifisso di San Miniato?
Il fatto poi che sia collocato di fronte al palazzo del Municipio, non può che essere visto come una forte presa di posizione nei confronti delle autorità civili.
Gli amministratori, una volta varcata la soglia in uscita dal Municipio, si sarebbero trovati di fronte l’immagine del Giudizio Universale che costituirebbe l’intrinseco invito ad un comportamento irreprensibile, alla buona pratica di governo, in virtù del giudizio divino prossimo venturo...
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