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ALBIATE E I SUOI MARTIRI
SAN FERMO, RUSTICO E PROCOLO
"Guardiamo i santi, ma non soffermiamoci troppo a contemplarli, piuttosto contempliamo con loro Colui la cui contemplazione ha riempito la loro vita (...) Prendendo da ciascuno quel che ci sembra più conforme alle parole e agli esempi di nostro Signore Gesù, nostro solo e vero modello".
(beato Carlo di Gesù)
La Chiesa venera fin dal suo inizio la testimonianza dei martiri. Ci fu un’epoca nella sua storia che ogni comunità cristiana bramava possederne la memoria, il sepolcro o semplicemente una sua reliquia.
Così, da quanto ho letto, qua e là, è accaduto nel lontano 1609 alla comunità cristiana di Albiate.
Ecco allora in questo mio quaderno, nato dopo una visita al santuario di San Fermo, alcune notizie sui Martiri che essa venera come patroni e su san Valerio, il cui corpo santo custodisce dal XVII secolo.
La parrocchia
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Testimonianze di una struttura originaria della chiesa parrocchiale intitolata a San Giovanni Evangelista risalgono già al 1280.
Non era considerata di pregio artistico: era una chiesa semplice, a due navate, con pavimenti ed infissi alla buona sommariamente coperte da un tetto di tegole. In più versava in condizioni di fatiscenza e incuria, tanto che la comunità di Albiate meritò un monito dal cardinale Carlo Borromeo, al termine di una visita pastorale del 1578.
Dopo aver ricevuto ordine di ripararla, venne costruita un'ulteriore navata a completamento delle due già esistenti.
Purtroppo la chiesa fu lasciata di nuovo soccombere al degrado, tanto che due secoli dopo la Curia ne propose l'abbattimento ed il trasferimento delle funzioni di parrocchia al Santuario di san Fermo. |
A fronte di questa misura drastica, gli albiatesi, motivati dal parroco Dionigi Motta, progettarono i lavori di ristrutturazione, che ebbero luogo tra il 1780 ed il 1783.
Profondamente ampliata nell'Ottocento, venne consacrata il 14 novembre 1903 dal cardinale Andrea Carlo Ferrari.
Interno. La chiesa è stata prevalentemente arredata con suppellettili e ornamenti recuperati da chiese e monasteri soppressi di Monza.
Lungo le pareti laterali della chiesa si trovano quattro cappelle, dedicate alla Madonna del Rosario, al Sacro Cuore, al Crocifisso e a San Giuseppe.
Esterno. Sulla facciata si evidenzia il portale di bronzo, raffigurante immagini della vita di San Giovanni, è opera dello scultore Giorgio Galletti.
Il battistero, a sinistra della chiesa, venne costruito nel 1927. E' alto circa 27 metri ed è di forma quadrilatera, coronato da una cupola ottagonale.
Il campanile. Costruito interamente in pietra, svetta possente dall'alto dei suoi 35 metri, mentre la base quadrata ne misura lateralmente 4. Le prime costruzioni del campanile risalgono alla prima metà dell’XI secolo.
Da principio, sulla torre campanaria c'era un’edicola votiva, demolita nel 1858. Fu temporaneamente sostituita da una copertura a tegole. Nel 1906 venne realizzato l’attuale coronamento merlato, celebrato con un banchetto offerto da Bernardo Caprotti, l'allora sindaco di Albiate. Al banchetto furono invitati tutte le persone (oramai anziane) che, quasi cinquant'anni prima, assistettero alla demolizione dell'edicola votiva.
Nel castello campanario sono alloggiate cinque campane. Le prime tre, più piccole, risalgono al 1832 e sono intitolate ai santi Fermo, Rustico e Procolo. Una quarta campana venne posta nel 1880 ed è dedicata alla Regina del Rosario, mentre la campana maggiore, intitolata a San Giovanni Evangelista, fu installata nel 1882.
Il 23 luglio 1943 le due campane più grandi furono requisite dal governo fascista, per esigenze belliche. Fortunatamente tre mesi dopo furono miracolosamente recuperate ancora integre e ricollocate al loro posto nel gennaio dell'anno successivo. L'impianto campanario venne elettrificato nel 1978.
Nel 1980 è stato inaugurato l'attuale orologio elettrico, che ha sostituito il precedente azionato da grossi pesi di pietra. La nuova illuminazione della torre e del castello campanario, invece, è del 2003.
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Il Santuario
L'odierno edificio sorge sulla struttura di un antico santuario, consacrato a San Pietro.
Nel 1570 venne restaurato ed intitolato a San Fermo Martire, il cui culto era già diffuso in paese, su richiesta di don Andrea Corbi.
Nel 1609 la città di Bergamo donò ad Albiate le reliquie dei santi Fermo, Rustico e Procolo. Questo evento diede l'avvio alla Sagra di San Fermo, la sagra più antica della Brianza.
Nel piazzale di fronte alla chiesa si trova una colonna di pietra con una croce di ferro, a testimonia l'utilizzo di quei luoghi come cimiteri di emergenza durante la peste del 1630.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, la scuola occupata dal Comando Militare di Milano ed i locali delle sagrestie impiegati come aule scolastiche.
Gli ultimi importanti lavori di restauro furono portati a termine nel 1959, una lapide di marmo verde ne porta impressa la memoria.
Descrizione. Spicca sulla facciata un robusto portale in travertino e marmo, con due teste di angeli che sorreggono l’architrave ed il timpano.
L'interno è costituito da tre cappelle laterali: una dedicata alla Madonna del Rosario, un'altra al Crocifisso e di fronte a la terza cappella a San Carlo. Una di queste cappelle laterali divenne sacrario in onore dei caduti in guerra nel secondo conflitto bellico.
A destra dell’altare maggiore di questa cappella si trova una pala dell’Ecce Homo. Questa pala venne salvata da una chiesa in fiamme da alcuni soldati italiani di stanza sul fronte albanese e conservata in uno zaino per tre anni, prima di giungere ad Albiate.
Sui due lati interni del santuario si possono ammirare due mosaici dell’artista Giorgio Scarpati.
L'altare maggiore è circondato da una splendida balaustra in marmo, di stile barocco. Alla destra si trova un organo pneumatico con una pregevole cassa, mentre a sinistra si scopre il pulpito. L'edicola dietro il tabernacolo custodisce la statua del santo patrono.
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L'altare dei Santi Fermo Rustico e Procolo a Bergamo.
La cittadinanza bergamasca è da sempre legata ai Santi Fermo, Rustico e Procolo. Attorno a queste tre figure ruotano, tradizione, devozione, fantasie e credenze. Questi Santi non provengono certamente da Bergamo, ma presumibilmente la loro origine è africana. Secondo un codice del X secolo, essi vissero all'epoca dell'imperatore Massimiano (286-305) a causa del quale subiscono il martirio. In particolare Fermo e Rustico professano pubblicamente la loro fede subendo la flagellazione e il carcere a Verona, dove incontrano Procolo, Vescovo della città che conforta i prigionieri. Alle torture e alla decapitazione segue solo in seguito la sepoltura avvenuta per mano di ad una delegazione di Bergamaschi. Il culto si diffonde presto a Verona e in tutto il territorio della Repubblica Veneziana, tra cui appunto Bergamo. Le loro reliquie, riposte a Verona, sarebbero state trafugate il 4 gennaio 855, insieme a quelle di San Procolo, per opera di mercanti bergamaschi che, tornati in patria, le rifugiano presso Plorzano (fuori le mura di Bergamo). Nel 1575 avviene il loro trasferimento in Cattedrale.
Il desiderio di creare un luogo che ospitasse queste spoglie fu tale da far intervenire il Comune stesso a finanziare l'opera.
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Nel 1699 una tela di Giovan Paolo Cavagna esalta pittoricamente queste figure. Il progetto dell'altare invece spetta al siciliano Filippo Juvarra. Esponente indiscusso dell'architettura Rococò in Italia, Juvarra riesce a dissolvere perfettamente gli elementi architettonici con quelli decorativi e scultorei.
Nel 1731 il disegno per l'altare è pronto: esso sviluppa una struttura architettonica ampia e poderosa, accompagnata da colonne laterali che supportano una trabeazione e un timpano interrotto da conca absidale. Tutto ciò completato da sculture di santi, angeli e allegorie ed una ricca decorazione plastica.
All'impresa parteciparono anche il Caniana, per le parti in legno, e i Manni Giacomo e Carlo Antonio per i marmi. Al 1736 risalgono le personificazioni della "Fede" e della "Carità" collocate direttamente sullo stereobate e quelle della "Fortezza" e della "Speranza" sulle curve del timpano. Il Fantoni (che ricordiamo operativo nella Cattedra vescovile) realizza nel 1740 i quattro angeli: due sull'apice a reggere la mitra vescovile; due sul timpano a sostenere il cartiglio con l'iscrizione "hic sumus orantes pro vobis". Un anno dopo sono inseriti gli elementi in rame (corone con palme, mitra) e gli stucchi nel catino; nel 1742 è la volta della balaustra. A contenere le preziose reliquie è l'urna bronzea del Filiberti in argento, associata ad un secondo cofanetto di Bernardino Trivelli.
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La leggenda
In Valle Camonica una leggenda fa ritenere che San Fermo, con suo fratello San Glisente e sua sorella Santa Cristina, fosse giunto nella vallata a seguito di Carlo Magno, quindi attorno all'anno 774.
Qui i tre fratelli scelsero la via del romitaggio, abitando su dei monti (tra cui il monte omonimo). San Fermo era assistito da un'orsa, un'aquila ed il fedele scudiero Rustico. |
S. Glisente e i suoi fratelli, S. Fermo e S. Cristina, giunsero in Valcamonica al seguito dell'esercito di Carlo Magno e poi si ritirarono in eremitaggio: Glisente (aiutato dall'orsa) sui monti di Berzo, S. Fermo (assistito anch'egli da un'orsa, da un'aquila e dal suo scudiero Rustico) su quelli di Borno e S. Cristina sui monti di Lozio. Prima di separarsi per sempre i tre fratelli strinsero il patto di comunicare tra loro ogni sera per mezzo di un falò che ciascuno avrebbe acceso fuori dal proprio romitaggio. Glisente per mettere in contatto Fermo e Cristina, che non potevano comunicare direttamente, accendeva due falò. Così per diversi anni i valligiani ammirarono ogni sera quei fuochi sui monti, finché quelle luci una alla volta si spensero. Dei tre eremiti, narra la leggenda, l'ultimo a morire fu Fermo. |
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La cappella
Nel testo a cura di Eleonora Sàita, riportato su sanvalerio.it si legge: “Le reliquie conservate nell’omonimo oratorio di Albiate appartengono a un Valerio martirizzato in Africa con san Rufino, all’epoca delle grandi persecuzioni anticristiane (III-IV secolo d.C.), e il cui onomastico è posto, con quello del compagno, al 16 novembre”. Il testo poi continua: “Negli anni Sessanta del XVII secolo a monsignor Carlo Francesco Airoldi, vescovo di Edessa e nunzio pontificio presso alcuni dei maggiori potentati dell’epoca (tra i quali il Granduca di Toscana e la Repubblica di Venezia) vengono donati dalla Santa Sede, quale segno di distinzione per il suo operato e il suo grado, l’intero corpo di Valerio e diverse reliquie di altri martiri. Era l’epoca in cui le catacombe romane erano state appena scoperte, e le reliquie dei martiri che vi erano sepolte, fatte oggetto di particolare devozione, erano talmente ricercate da indurre a profanarne le tombe per rubarle, tanto che i pontefici comminarono la scomunica a tutti coloro i quali s’impossessassero dei resti dei martiri senza autorizzazione.
Gli stessi pontefici, però, potevano far dono di reliquie ai prelati benemeriti della Curia, o ai nunzi, o ai laici che si fossero particolarmente distinti nel servizio della Santa Sede. Maggiore era la dimensione della reliquia, maggiore erano l’importanza del dono e, di conseguenza, del donatario. Per accogliere degnamente l’omaggio fatto a lui personalmente e alla sua famiglia, l’Airoldi fece restaurare e ampliare l’oratorio dedicato alla Vergine Immacolata annesso alla proprietà di famiglia ad Albiate (oggi in provincia di Monza e Brianza), sito dirimpetto all’ingresso della villa residenziale, e lo fece intitolare proprio a San Valerio. Il documento di donazione dell’importante reliquia – non a tutti si donava un intero corpo! – non è stato ancora rintracciato nell’archivio Airoldi conservato presso Villa San Valerio: può anche darsi sia andato perduto, visto lo stato di precaria conservazione in cui versa l’atto di donazione delle reliquie di altri santi tuttora esposte nell’oratorio”.
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Ma chi è in realtà San Valerio venerato ad Albiate? Si tratta di un “corpo santo”.
Con il termine di “corpo santo” si identificano quelle reliquie ossee che, proveniente dalle catacombe romane e non solo, furono traslate nell’Urbe e nell’Orbe, in un periodo comprese tra la fine del XVI secolo e la seconda metà del XIX secolo.
Perché “corpo santo” e non “santo corpo”? La differente posizione dell’attributo (santo) rispetto all’oggetto (corpo) determina una differenza sostanziale: possiamo definirla una certezza d’identità del soggetto. Il “corpo santo” è un oggetto in quanto tale, un corpo di un defunto nelle catacombe, che solo in un secondo tempo ha una valenza sacrale.
Ma come riconoscere un “corpo santo” nelle catacombe? Tutte le sepolture erano di “martiri”? È un discorso molto grande che lasciamo ad altri studi, qui vogliamo solo rifarci a Marcantonio Boldetti (famoso custode pontificio e incaricato per l’estrazione dei corpi dalle catacombe), il quale dava per certe le spoglie scoperte attribuendole ad un martire dei primi tre secoli. La simbologia che definiva la sepoltura di un martire era: la palma, il XP, la scritta B.M. (“Beato Martire”), e poi nel suo interno un balsamario con “il sangue”. Spesso la lapide riportava il nome del “martire”, in caso contrario dopo l’estrazione veniva attributo un nome e i criteri di rinomina dei “corpi santi” è molto vario (ad esempio il nome del…. vescovo diocesano o pontefice in carica; titolare della Chiesa che accoglie il corpo; della catacomba da cui è estratto; eccetera).
Scrive il Boldetti, a tal proposito:
“Per evitare gli equivoci, che potrebbono nascere dalla somiglianza de’ Nomi. Il Sommo Pontefice Clemente IX., e doppo di esso la Sacra Congregazione sopra le Indulgenze e Reliquie determinarono che a’ Martiri Anonimi delle Catacombe, altri nomi non debbano imporsi, che certi attributi, o nomi appellativi, i quali convengono a ciascun Santo, come Giusto, Candido, Adeaodato, Vittore, Vittoria, Felice, Pio, ed altri consimili; mentre tutti sono Giusti, Candidi, Dati da Dio, Vittorio, Felici, Pii; Ed eccone il Decreto: Actum est de nominibus, quæ Sanctorum Martyrum Reliquiis fere imponuntur, eum nullibi appareat, quo nominee appellarentur; Et S. Congregatio dixit: In Decretis; statuerat enim fel. record. Clemens Papa IX ea sola nomina adhiberi, quæ omnium Sanctorum communia sunt, atque appellativa: omnes Justi, Candidi, Adeodati, Victoris c. vocari merito possunt; Imperochè sotto queste denominazioni unicamente si esprimono, o le loro virtù, o il loro merito, o il premio, e le Corone, a i loro meriti conferiti da Dio per la fortezza, con cui confessarono il nome di Cristo collo spargimento del proprio sangue, e col sacrificio della loro Vita per la Confessione della Cattolica Fede. (Boldetti, Lib. I Cap. XXIII pag. 109).
Ma perché poi gli stessi titoli appellativi corrispondono talvolta con quei nomi proprij de’ Santi, che sono descritti ne’ Matirologj come, Felice, Massimo, Fortunato, o altri, suppongono alcuni, e s’ingannano, che le Reliquie siano dei medesimi Santi notati in detti Martirologi.
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Con tal equivoco adunque, confondendo gli uni cogl’altri, s’inoltrano eziandio a pubblicarne (come han fatto di là da’ Monti) qualche Vita a tenore degl’Atti, appropriando, per cagione d’esempio, ad un Santo Anonimo coll’attributo di Felice, la vita, o gl’Atti stessi d’un Martire di vero nome proprio notato ne’ sagri Fasti; qual abuso, quantunque derivato da pia semplicità, con ragione disapprova il tante volte lodato P. Mabillone dicendo che tal sorta di Vite, e di libriccioli meritano d’essere proibiti: At bone Deus! Quales Vitæ, quales libelli! Ii certe qui merito in Indicem libellorum prohibitorum referendi essent; Poiché quantunque l’errore di pochi non pregiudica alla Religione, né la medesima Vita, quantunque impropria al Martire anonimo, in veruna maniera apporta pregiudizio all’essere di vero Martire qual’egli è; tuttavolta, in ciò rimanendo offesa la verità, non s’hanno a permettere, bastando il sapersi, che realmente abbia sofferto il Martirio. (Boldetti, Lib. I Cap. XXIII pag. 111)”.
Ciò che importa, oggi come oggi, è la valenza simbolica del “corpo santo”: un cristiano della Chiesa dei primi secoli (spesso dell’Urbe e quindi la comunione con la Santa Sede), un testimone verace del Vangelo, fino al dono della propria vita con il martirio.
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“A Dio piace innaffiare
la sua messe
con il sangue dei martiri:
oh, fossi io
trovata degna del martirio”.
(Geltrude Li, giovane cinese, da una lettera, febbraio 1952)
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La preghiera
O invitto martire di Cristo, san Fermo:
ferma il tuo sguardo su di me è accompagna con la tua presenza la virtù della fede: sia come la tua, fino alla fine dei giorni.
O amorevole martire di Cristo, san Fermo,
porgi a me la palma che impugni nella tua mano, e come essa è segno che hai posseduto la tua vita nell’amore di Cristo: sia anche la mia vita un segno d’Amore.
O bel san Fermo, con i santi Procolo e Rustico,
sei testimone nella Chiesa della speranza che la vita è Eterna: dona ai nostri giorni la virtù della speranza perché sia già “oggi” la gioia del Paradiso. Amen.
4- 5 agosto 2009
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Bibliografia e fonti
- AA. VV. - Biblioteca Sanctorum (Enciclopedia dei Santi) – Voll. 1-12 e I-II appendice – Ed. Città Nuova
- Grenci - Quaderno 3 – Sancti Innumerabiles: veri o presunti della pietà popolare- Ed. in proprio - 2004
- Grenci - Quaderno 3 – Sancti Innumerabiles: veri o presunti della pietà popolare- Ed. in proprio – 2005
- Grenci - Quaderno 39 – I corpi santi della Chiesa Ambrosiana - Ed. in proprio - 2007
- Grenci – raccolta privata di immaginette sacre: 1977 - 2009
- Lilliu - Iconografia dei santi sardi. Veri o presunti della pietà popolare - Ed. Curia Provinciale OFM Capp. Cagliari - 1995
- Masina - Comprare un santo. Romanzo - Ed. Oge - 2006
- Pomi - I Corpi Santi nella tradizione della Chiesa e nella devozione popolare - I quaderni del ventennale (1983 – 2003) - Supplemento C.I. n. 246 2003-09 AICIS
- Pomi - Il nuovo culto di Santa Gioconda - in Storia di Rimella in Valsesia- Borgosesia 2004 (pp. 175 – 186)
- Pomi - Il viaggio dei Corpi Santi dalle catacombe alla Valsesia - in De Valle Sicida - XIV- n°1 - pp 85 – 132- Borgosesia 2003
- Pomi - Tesi di laurea in archeologia cristiana “Il recupero e la traslazione dei Corpi Santi: l’esempio della Valsesia” - Anno Accademico 2001/2002
- Pomi - Una ricerca inconsueta: Corpi Santi in Valsesia - in Bollettino Storico per la Provincia di Novara – XCIII - n°2 - pp. 361 – 455 - Novara - 2002
- Sito web: comune.berzo-inferiore.bs.it
- Sito web: sanvalerio.it
- Sito web: wikipedia.org
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