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SANTI MARTIRI DI FOSSA
Massimo, la bambina Cristina, Pellegrino, Clemente, Fortunato e Celestino
Introduzione
La Chiesa, secondo la sua Tradizione, venera i Santi e tiene in onore le loro Reliquie e le loro immagini; nelle feste dei Santi proclama le meraviglie di Cristo nei suoi Servi e propone ai fedeli esempi da imitare.
I primi Santi venerati nella Chiesa sono i Martiri (= testimoni): quegli uomini e quelle donne che sparsero il loro sangue per restare fedeli a Cristo che per tutti aveva sacrificato la sua vita sulla croce. «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici».
Gesù aveva preannunciato le persecuzioni per i suoi discepoli: «Io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi... Sarete condotti davanti ai governatori e ai re per causa mia, per dare testimonianza a loro ed ai pagani. E quando sarete consegnati nelle loro mani, non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire: non siete, infatti, voi a parlare, ma lo Spirito del Padre che parla per voi».
La storia della Chiesa, di tutti i tempi e di tutti i luoghi, dall’età apostolica ai giorni nostri, è stata segnata dalla testimonianza di innumerevoli cristiani che sono stati arrestati, torturati ed uccisi in odio a Cristo. Il martirio è sempre stato ritenuto dai cristiani un dono, una grazia, un privilegio, la pienezza del Battesimo, perché si è «battezzati nelle morte di Cristo». Il Concilio Vaticano II così insegna: « Già fin dai primi tempi quindi, alcuni cristiani sono stati chiamati, e altri lo saranno sempre, a rendere questa massima testimonianza d'amore davanti agli uomini, e specialmente davanti ai persecutori. Perciò il martirio, col quale il discepolo è reso simile al suo maestro che liberamente accetta la morte per la salute del mondo, e col quale diventa simile a lui nella effusione del sangue, è stimato dalla Chiesa come dono insigne e suprema prova di carità. Ché se a pochi è concesso, tutti però devono essere pronti a confessare Cristo davanti agli uomini e a seguirlo sulla via della croce durante le persecuzioni, che non mancano mai alla Chiesa. » (LG 42).
I “corpi santi”
È cosa notissima che i primi cristiani seppellivano i Martiri in cimiteri sotterranei, o catacombe, praticate presso i loro poderi , o presso i cimiteri della città.
San Girolamo fin dai suoi tempi così descrive: “Mentre da fanciullo mi trovavo a Roma, per lo studio della letteratura, ero solito con i compagni della stessa età e della medesima formazione, recarmi di domenica ai sepolcri degli Apostoli e dei Martiri; entrare nelle grotte scavate nel profondo delle terre, dove i corpi dei sepolti sono collocati lungo le pareti a destra e a sinistra di chi vi entra. Tante tenebre sono spezzate solamente da qualche raggio di luce fioca mandata da rare fessure, più che finestre, praticate a lunghi tratti nella volta, così da accedervi a stento”.
Tra la fine del XVI secolo vennero fatti molti scavi e studi sulle catacombe ed estratti molti corpi che vennero inviati in molti luoghi per essere venerati dai fedeli. Al “corpo santo” fu unito il vasetto di sangue.
Ma cosa è un “corpo santo”?
Con il termine di “corpo santo” o “martire delle catacombe” si identificano quelle reliquie ossee che, proveniente dalle catacombe romane e non solo, furono traslate nell’Urbe e nell’Orbe, in un periodo compreso tra la fine del XVI secolo e la seconda metà del XIX secolo.
Perché “corpo santo” e non “santo corpo”? La differente posizione dell’attributo (santo) rispetto all’oggetto (corpo) determina una differenza sostanziale: possiamo definirla una certezza d’identità del soggetto. Il “corpo santo” è un oggetto in quanto tale, un corpo di un defunto nelle catacombe, che solo in un secondo tempo ha una valenza sacrale.
Ma come riconoscere un “corpo santo” nelle catacombe? Tutte le sepolture erano di “martiri”? È un discorso molto grande che lasciamo ad altri studi, qui vogliamo solo rifarci a Marcantonio Boldetti (famoso custode pontificio e incaricato per l’estrazione dei corpi dalle catacombe), il quale dava per certe le spoglie scoperte attribuendole ad un martire dei primi tre secoli. La simbologia che definiva la sepoltura di un martire era: la palma, il XP, la scritta B.M. (“Beato Martire”), e poi nel suo interno un balsamario con “il sangue”. Spesso la lapide riportava il nome del “martire”, in caso contrario dopo l’estrazione veniva attributo un nome e i criteri di rinomina dei “corpi santi” è molto vario (ad esempio il nome del…. vescovo diocesano o pontefice in carica; titolare della Chiesa che accoglie il corpo; della catacomba da cui è estratto; eccetera).
Scrive il Boldetti, a tal proposito:
“Per evitare gli equivoci, che potrebbono nascere dalla somiglianza de’ Nomi. Il Sommo Pontefice Clemente IX., e doppo di esso la Sacra Congregazione sopra le Indulgenze e Reliquie determinarono che a’ Martiri Anonimi delle Catacombe, altri nomi non debbano imporsi, che certi attributi, o nomi appellativi, i quali convengono a ciascun Santo, come Giusto, Candido, Adeaodato, Vittore, Vittoria, Felice, Pio, ed altri consimili; mentre tutti sono Giusti, Candidi, Dati da Dio, Vittorio, Felici, Pii; Ed eccone il Decreto: Actum est de nominibus, quæ Sanctorum Martyrum Reliquiis fere imponuntur, eum nullibi appareat, quo nominee appellarentur; Et S. Congregatio dixit: In Decretis; statuerat enim fel. record. Clemens Papa IX ea sola nomina adhiberi, quæ omnium Sanctorum communia sunt, atque appellativa: omnes Justi, Candidi, Adeodati, Victoris c. vocari merito possunt; Imperochè sotto queste denominazioni unicamente si esprimono, o le loro virtù, o il loro merito, o il premio, e le Corone, a i loro meriti conferiti da Dio per la fortezza, con cui confessarono il nome di Cristo collo spargimento del proprio sangue, e col sacrificio della loro Vita per la Confessione della Cattolica Fede”. (Boldetti, Lib. I Cap. XXIII pag. 109)
“Ma perché poi gli stessi titoli appellativi corrispondono talvolta con quei nomi proprij de’ Santi, che sono descritti ne’ Matirologj come, Felice, Massimo, Fortunato, o altri, suppongono alcuni, e s’ingannano, che le Reliquie siano dei medesimi Santi notati in detti Martirologi. Con tal equivoco adunque, confondendo gli uni cogl’altri, s’inoltrano eziandio a pubblicarne (come han fatto di là da’ Monti) qualche Vita a tenore degl’Atti, appropriando, per cagione d’esempio, ad un Santo Anonimo coll’attributo di Felice, la vita, o gl’Atti stessi d’un Martire di vero nome proprio notato ne’ sagri Fasti; qual abuso, quantunque derivato da pia semplicità, con ragione disapprova il tante volte lodato P. Mabillone dicendo che tal sorta di Vite, e di libriccioli meritano d’essere proibiti: At bone Deus! Quales Vitæ, quales libelli! Ii certe qui merito in Indicem libellorum prohibitorum referendi essent; Poiché quantunque l’errore di pochi non pregiudica alla Religione, né la medesima Vita, quantunque impropria al Martire anonimo, in veruna maniera apporta pregiudizio all’essere di vero Martire qual’egli è; tuttavolta, in ciò rimanendo offesa la verità, non s’hanno a permettere, bastando il sapersi, che realmente abbia sofferto il Martirio”. (Boldetti, Lib. I Cap. XXIII pag. 111)”.
Ciò che importa, oggi come oggi, è la valenza simbolica del “corpo santo”: un cristiano della Chiesa dei primi secoli (spesso dell’Urbe e quindi la comunione con la Santa Sede), un testimone verace del Vangelo, fino al dono della propria vita con il martirio.
Infine, il culto dei “corpi santi” è oggi vario: in oblio e le reliquie scomparse; molto vivo o addirittura vivace essendo il “martire” patrono di qualche località.
In conclusione, a proposito di corpi santi o martiri delle catacombe, è illuminante il testo di Prudenzio, autore cristiano del quarto secolo, che scrive:
“Innumerevoli ceneri di Santi noi vedemmo opposte nell’urbe Rotulea, o Valeriano, pontefice di Cristo. Vuoi forse conoscere le epigrafi opposte sui singoli locali ed i rispettivi nomi? Sarebbe difficile per me il ricordarli tutti. Sì grande è il numero dei santi che massacrò l’empio furore della Roma Troiana quand’era ancora dedita al culto dei Patrii Numi. Moltissimi sepolcri sono insigniti, è vero, di laconiche scritte o si fregiano di epigrafi coi nomi dei martiri. Ma ci sono altresì delle tombe enepigrafi, dove incede del nome, c’è solo il numero delle vittime. Quanti corpi di Santi giacciono in quei poliandri lo puoi sapere solo dalla cifra segnata sulla tomba, giacché su di essa non vi leggeresti alcun altro nome. Ricordo d’aver saputo che in un cementero, sotto una stessa pietra tombale riposano le reliquie di ben settanta martiri. I loro nomi Cristo solo conosce, giacché egli li rese degni della sua amicizia”. (Prudenzio, IV secolo)
I SANTI MARTIRI di Fossa
Nel 1995 ricevo una lettera dal parroco di Fossa di Concordia, parroco della Parrocchia di San Pietro, presso cui ha sede il santuario di S. Massimo e dei Santi martiri Clemente, Pellegrino, Celestino, Fortunato e la bimba Cristina, a cui avevo scritto per aver notizia dei “Santi Martiri di Fossa”.
Con la graditissima lettera, alcune fotocopie del libro di “A. Siena – Fossa, 500 anni di Storia”, raccontano la vicenda dei Santi Martiri a Fossa. In esse di narra quanto in sintesi riporto.
Nel 1760 l’arciprete don Venturini ebbe, attraverso il Card. Tempi, un Corpo sacro dalle catacombe di Roma. Il Martire Massimo estratto dalla catacomba di Priscilla, pervenne alla Parrocchia di San Pietro in Fossa nel 1762.
Ma chi era San Massimo?
Scrive il Siena nel suo libro: “Sostando davanti a queste Reliquie oltre al desiderio di sapere perché sono tante in una chiesa di un piccolo paese agricolo e come vi giunsero, prevale quello di conoscere la vita dei Santi ivi presenti.
Dei santi le cui Reliquie sono in questo Santuario non si conosce veramente nulla, né della loro vita né del genere della loro morte. Rimane quel velo di mistero sufficiente a farci capire come anche così si avvera la promessa evangelica: “Chi si umilia sarà esaltato” e “Dio viene esaltato nei suoi Santi”.
Solo un particolare emerge dalla ricognizione del corpo incorrotto di S. Massimo: “un foro di lancia dalla parte del cuore” per cui “la qualità del martirio che sostenne il Santo per la Religione di Cristo credesi che fosse quello della lancia”. |