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COLLABORAZIONI
In questo Settore vengono riportate notizie
e immagini fornite da altri redattori. Nello specifico, i
testi sono stati realizzati da Don Damiano Grenci,
che ha trasmesso anche le foto, mentre Cartantica ha curato
la grafica e la rielaborazione delle immagini.
Tutti gli articoli degli altri Settori sono state realizzati
da Patrizia di Cartantica che declina ogni responsabilità
su quanto fornito dai collaboratori.
"N.B.: L'Autore prescrive
che qualora vi fosse un'utilizzazione per lavori a stampa
o per lavori/studi diffusi via Internet, da parte di terzi
(sia di parte dei testi sia di qualche immagine) essa potrà
avvenire solo citando esplicitamente per esteso (Autore, Titolo,
Periodico) il lavoro originale."
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PREMESSA
Eccomi qua! Un altro lavoro messo nero su bianco!
Come è nato e perché?
Avete mai visto il film “Koda fratello
orso”? Oppure “Il grande orso”?
Qui è la risposta….. dopo aver visto questi
due film è nato il percorso di una vacanzina (campo
estivo ragazzi), che aveva come filo rosso, l’orso.
Allora ho cercato, per raccontarlo hai ragazzi, dei racconti
agiografici che parlassero di santi e orsi. Ecco tutto!
Buona lettura.
Una dedica a: Lorenzo, Elena, Viviana, Luisa, suor Tiziana
e Raffaello… grazie della vacanzina!
PS. non tutti i testi sono miei…
a ciascuno il suo, mia è sola la ricerca!
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LA SANTITÀ DELL’ORSO
San Corbiniano
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Nel cantone sinistro della cappa, compare un orso,
di colore bruno (al naturale), che porta un fardello
sul dorso. Un'antica tradizione racconta come il primo
Vescovo di Frisinga, san Corbiniano (nato verso il
680 in Chartres, Francia, morto l'8 settembre 730),
messosi in viaggio per recarsi a Roma a cavallo, mentre
attraversava una foresta fu assalito da un orso, che
gli sbranò il cavallo.
Egli però riuscì
non solo ad ammansire l'orso, ma a caricarlo dei suoi
bagagli facendosi accompagnare da lui fino a Roma.
Per cui l'orso è rappresentato con un fardello
sul dorso. La facile interpretazione della simbologia
vuole vedere nell'orso addomesticato dalla grazia
di Dio lo stesso Vescovo di Frisinga, e suole vedere
nel fardello il peso dell'episcopato da lui portato. |
San Romedio
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Romedio, ricco e potente signorotto tirolese, capace
di abbandonare terreni, miniere di sale e il suo bel
castello di Thaur, vicino ad Innsbruck, per ritirarsi
come eremita sulle montagne del Trentino.
Romedio aveva più volte mostrato di quali miracoli
era capace, guarendo gli ammalati, facendo scaturire
sorgenti dalle roccia, convincendo delle cornacchie
ad aiutarlo a costruire una chiesetta, dedicata alla
Trinità, in Val di Non.
Romedio, ormai avanti con gli anni, abita in una grotta
insieme a due discepoli, Abramo e Davide. Un giorno
ordina a Davide di sellare il cavallo; Davide esce
ma torna subito indietro terrorizzato.
Aveva scoperto che un orso stava sbranando il cavallo.
Romedio non si scompone e ordina a Davide di tornare
fuori e di mettere le briglie all'orso.
Davide si fida, si avvicina un po' tremante all'orso
e con sorpresa l'animale piega il capo, abbassa il
dorso, si lascia mettere sella e briglie.
Il Santo scende le valli ed entra a Trento in groppa
all'orso, accolto dalla popolazione e da uno stormo
di uccelli.
Oggi nel santuario dedicato a San Romedio troviamo
l'orso in carne ed ossa.
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San Colombano
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Colombano è uno dei rappresentanti del
mondo monastico che danno origine a quella 'peregrinatio
pro Domino', che costituì uno dei fattori dell'evangelizzazione
e del rinnovamento culturale dell'Europa.
Dall'Irlanda passò (c. 590) in Francia, Svizzera
e Italia Settentrionale, creando e organizzando comunità
ecclesiastiche e fondando vari monasteri, alcuni dei
quali, per esempio Luxeuil e Bobbio, celebri per gli
omonimi libri liturgici.
La regola monastica che codifica la sua spiritualità
è improntata a grande rigore e intende associare
i monaci al sacrificio di Cristo. La sua prassi monastica
ha influito sulla nuova disciplina penitenziale dell'Occidente.
Si racconta che un orso stava divorando i resti un
cerco ucciso dai lupi. Il santo ordino alla bestiola
di non sciuparne la pelle che poteva servire ai monaci
per fare dei comodi calzari. L’orso obbedì!
Un secondo episodio.. il santo convince un orso a
condividere un cespuglio di bacche da cui il santo
eremita si cibava… basto un segno di croce e
una immaginaria divisione e tutto fu fatto. |
San Gallo
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Irlandese, discepolo di san Colombano, Gallo (Gallech)
si trasferì con questi sul continente. Vissero
insieme a Luxueil e a Bregenz, sul lago di Costanza.
Qui si fermò in vita eremitica, mentre Colombano
si recò in Italia, dove fondò l'abbazia
di Bobbio. Con alcuni compagni Gallo si trasferì
a ovest di Bregenz nella regione della Svevia, dove
morì tra il 630 e il 645.
Sulla sua tomba sorse una chiesa, primo nucleo dell'abbazia
di San Gallo, intorno alla quale si sviluppò
l'omonima città svizzera.
Un giorno, mentre Gallo era in preghiera, un orso
sarebbe venuto per cibarsi dei resti del pasto. La
bestia era zoppicante perché aveva nella zampa
una spina, Gallo avrebbe tolto dal piede dell'orso
una spina e questo lo avrebbe aiutato a costruire
il suo eremo. |
Santa Colomba
Colomba, nata a Rimini, proveniva da una famiglia
pagana; dopo essere stata battezzata, si trasferì
a Sens in Francia.
Fu martirizzata per ordine dell'Imperatore Aureliano
nella seconda metà del III secolo. Si racconta
che posta tra le bestie feroci per essere sbranata,
la santa ammansii un orsa che la difese. I carnefici
decisero di mettere al rogo sia al Santa che l’orsa,
ma la ragazza con un segno di croce spense il fuoco
e fece fuggire la bestiola, allora i persecutori pieni
di ira al decapitarono. |
San Fiorenzo
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S. Gregorio Magno ne narra la vita nei Dialoghi.
Di Eutizio si ha pure una leggenda di origine tardiva,
in cui gli si attribuiscono le vicende raccontate
da s. Gregorio e quanto si trova negli Atti favolosi
di un altro Eutizio.
Dopo aver condotto assieme a Fiorenzo vita solitaria
in Nursina provincia, Eutizio fu eletto abate di un
monastero in Val Castoriana, celebre nel Medio Evo,
che resse per molti anni e che da lui prese il nome,
pur non essendone stato egli il fondatore.
Il Rivera ritiene, seguendo altri, che la venuta di
Eutizio in Val Castoriana e la costruzione del monastero,
risalgano ai primi tempi dell'invasione ostrogota,
cioè dopo il 487.
Quando Eutizio divenne abate,
Fiorenzo rimase solo e, soffrendone, pregò
il Signore di mandargli un compagno. Appena uscito
dall'oratorio trovò un orso, al quale diede
l'incarico di portargli al pascolo quattro o cinque
capre, lavoro che l'animale compiva con cura. |
San Sergio
Il celebre Monastero della Trinità-San Sergio
a Zagorsk fu fondato attorno alla metà del
XIV secolo dal Venerabile Sergio, figlio dei Boiari
di Rostov Kiril e Maria, che si erano trasferiti dalla
città natale a Radonez.
All'età di sette anni, il giovane Bartolomeo
(prese il nome di Sergio alla tonsura monastica) fu
mandato a scuola. Nonostante avesse difficoltà
di apprendimento, il suo animo era attratto dallo
studio; Bartolomeo pregava Dio di aprire la sua mente,
e di consentirgli l'accesso al sapere. Un giorno,
vagando alla ricerca di alcuni cavalli fuggiti nei
campi, al giovane apparve un vecchio monaco, raccolto
in preghiera sotto un alto albero. Il ragazzo si avvicinò al monaco e parlò
a lui del suo voto e della sua speranza. Dopo avere
ascoltato con partecipazione, il monaco recitò
una preghiera per il giovane, affinché la sua
mente fosse illuminata. Trasse poi una particola di
Pane Eucaristico e con esso benedì il ragazzo,
dicendo: "Prendi, e mangiane, questo ti è
dato come segno della grazia di Dio, e come aiuto
nella comprensione delle Scritture". E Bartolomeo
ricevette la grazia dell'apprendimento e fu in grado
di imparare, leggere e memorizzare con facilità.
L'esperienza con il monaco fece crescere in Bartolomeo
il desiderio di servire Dio; il giovane desiderava
trascorrere la vita nell'isolamento e nella preghiera,
ma questa vocazione fu per qualche tempo frenata dall'amore
per la propria famiglia.
Bartolomeo era buon carattere e di indole ascetica:
umile e gentile, non si irritava mai; si cibava do
pane ed acqua, astenendosi da ogni cibo e bevanda
nei giorni di digiuno. Dopo la morte dei genitori,
Bartolomeo rinunziò all'eredità in favore
del fratello minore Pietro, e assieme al fratello
Stefano si insediò in una foresta selvaggia
e isolata a circa 10 chilometri da Radonez, nei pressi
del fiume Konchora. I fratelli costruirono una casetta
in legno ed una cappella, che fu dedicata alla Santa
Trinità e consacrata da un sacerdote inviato
dal Metropolita Feognost'. Fu la fondazione della
famosa Lavra della Trinità.
Stefano lasciò presto il fratello per diventare
igumeno del monastero Bogojavlenskij di Mosca: Bartolomeo,
diventato Sergio dopo la tonsura monastica, restò
solo nella foresta. La vita non fu facile, tra le
tentazioni, e in mezzo a branchi di lupi ed orsi.
Un giorno l'anacoreta nutrì un grande orso
ponendo un pezzo di pane sul ceppo di un albero. L'orso
ne mangiò, e da quel momento si affezionò
al venerabile Sergio, e visse nei pressi del suo rifugio…
Sergio morì all'età di 78 anni, nel
1392. Il suo corpo fu rinvenuto incorrotto e profumato
dopo alcuni decenni dalla inumazione. |
San Marino
Molti anni fa, quando...
" Temporibus Diocliciani et Maximiani imperatorum,
quando persecutionis tempestas catholicam christianorum
ecclesiam per totum orbem terrarum dispersam tirranica
rabie et hostilibus gladiis deuastabat....."
É questo l' esordio del fantastico viaggio
a ritroso nel tempo che stiamo per intraprendere tra
antiche terre e genti, nonchè le prime righe
del testo agiografico che ci narra le gesta di San
Marino, fondatore, a sua insaputa, di una delle più
antiche realtà di autodeterminazione spirituale
e politica che la storia ricordi.
La leggenda narra che ai tempi di Diocleziano (243-313
d.C.), grande imperatore romano (d'oriente) artefice
della cosiddetta tetrarchia, la divisione dell'impero
romano in due (occidente ed oriente) e di Massimiano
(250-310 d.C.) imperatore d' occidente, giunsero ad
Ariminum (l' attuale Rimini) Marino e Leo, due provetti
scalpellini dalmati. La città romana era stata
da poco distrutta dalle orde selvagge di Demostene,
re dei Liburni, giunto dal mare. Nel 257 i due imperatori
romani decisero pertanto la ricostruzione della città
in rovine. In tal senso fecero chiamare da tutte le
regioni d' Europa esperti nelle arti e costruzioni.
Arrivarono una moltitudine di operai di tutte le nazionalità:
Galli, Germani, Romani, Macedoni, Barbari ed ovviamente
Dalmati. Ariminum divenne una città cosmopolita.
Tuttavia in quel momento imperversava una sanguinosa
repressione manu militari, indetta dallo stesso Diocleziano,
contro i cristiani e la loro religione e tutti i simboli
che la rappresentavano. Furono infatti trucidati molti
innocenti (considerati all' epoca come facenti parte
di una setta) e bruciati libri sacri.
Tra questi operai, lo abbiamo già detto, arrivarono
i due lavoratori della pietra, dalla Dalmazia (esattamente
dall' isola di Arbe), che ai quei tempi era una provincia
imperiale romana, corrispondente alla Croazia attuale.
La leggenda ci racconta che Marino e Leo erano persone
di eccezionale elevatura morale. Accettarono di prendere
parte alla ricostruzione di Ariminum, non tanto per
la gloria terrena, quanto piuttosto per quella ultra-terrena,
svincolandosi così dai legami materiali, tipicamente
umani. Ci viene detto che San Marino era profondo
conoscitore di materie divine e religiose, possedendo
in tal modo una immensa saggezza che gli permetteva
di compiere opere, materiali e soprattutto spirituali,
nel massimo rispetto della legge celeste.
Successivamente alla loro venuta sul territorio riminese,
gli imperatori Diocleziano e Massimiano maturarono
la decisione di inviare sul Monte Titano gli scalpellini
onde potere estrarre e lavorare vari tipi di roccia
autoctona. Lì rimasero tre anni. Tre anni di
duro lavoro, 'dimenticati' sulle impervie sommità
del Monte. Terminata la dura prova, i due compagni
decisero di divedere le loro strade: Leo si stabilì
con compagni sul Monte Feliciano (detto anche Monte
Feltro), scavandosi nella roccia una cella, e costruendo
con i compagni di viaggio e vita una chiesa in onore
di Dio. L' insediamento così fondato prenderà,
con il passare del tempo, il nome di San Leo. Marino
scelse invece di ritornare a Rimini per non abbandonare
i propri compagni. Fece di nuovo valere le sue abilità
di incisore, costruendo in breve tempo, due mesi e
mezzo, un pozzo. Ma non è tutto. San Marino
era un instancabile lavoratore: mentre di notte gli
altri dormivano, lui lavorava; laddove per compiere
lavori di una certa difficoltà e gravosità
occorrevano più uomini e buoi, lui li realizzava
con il solo ausilio del suo prezioso asinello. Queste
qualità fecero emergere la figura del Santo
tra le tante degli operai presenti sui cantieri. Si
andava dicendo che era aiutato direttamente dal Signore.
Ed è questa la voce che si diffuse in tutta
Europa, quando gli operai, a lavoro concluso, tornarono
nelle rispettive dimore. Il Santo assumeva dimensione
di esempio.
Marino però rimase a Rimini; per ben 12 anni
e 3 mesi, racconta la narrazione epigrafica. In questi
anni continuò a professare la parola del Signore,
ad infuocare gli animi degli ascoltatori, a convincere
gli increduli, ad avvicinare alla fede ed al messaggio
cristiano molti degli abitanti di Rimini.
Da adesso il destino di San Marino è segnato.
La sua notorietà è tale da attirare
su di se sguardi clementi ma anche i frutti amari
della rivincita del Male. Sicuramente ottima impressione
fece al Vescovo Gaudenzio inviato da Roma a Rimini
per evangelizzare e convertire i pagani: rimase impressionato
dell' opera del Santo, prese a cuore la sua situazione.
Il Male invece incarnava le spoglie di una donna,
che sentite voci sulle azioni di San Marino, decise
di tentarlo a commettere atti peccaminosi. Questa
donna, che attraversò il mare Illirico, giunse
a Rimini dalla Dalmazia, fingendo di essere la sua
legittima sposa. Trovato Marino, tentò dapprima,
di sedurlo. Ma non ci riuscì. Il Santo la respingeva
ad ogni tentativo. Questa decise di coinvolgere le
autorità romane, chiedendo al tribunale di
esaminare le sue pretese oltre che per additare lo
spiccato ruolo evangelizzatore di Marino.
Le vicende che seguirono la vile denuncia della donna,
segnarono per sempre le vicende dell' antica Repubblica,
segnando in questo modo l' anno zero della sua storia.
Infatti San Marino anticipò le mosse delle
autorità romane, scappando da Rimini in direzione
del Monte Titano, posto che ovviamente conosceva come
nessun altro. Risalendo la valle del fiume Marecchia,
poi su per il torrente di San Marino, imboccando poi
il fosso del Re, giunse a quello che fu il suo primo
rifugio: la grotta della Baldasserona.
Trascorsi 12 mesi immerso in un ambiente ostile, pieno
di temibili fiere, patendo il freddo e la fame, alcuni
porcai scoprirono il suo nascondiglio e ne divulgarono,
in buona fede, l' esatta ubicazione. Appresa la notizia,
l' infame falsa consorte accorse presso tale luogo
per tentare nuovamente l' eremita. Marino con forza
e coraggio si trincerò letteralmente per sei
giorni e sei notti nella sua grotta, privandosi di
cibo e vivendo di sola preghiera. Al sesto giorno
la donna abbandonò il suo tentativo d' inganno,
se ne tornò a Rimini, e pubblicamente confessò
d' avere agito contro un Santo, contro cioè
il Signore in persona, per volontà del Maligno.
Non sopravvisse per più di un' ora dal momento
delle sue rivelazioni.
Il Santo riprese di nuovo la sua strada, sempre più
verso l' alto del Monte; verso di una solitudine sempre
maggiore. Giunto sulla sommità del Monte, costruì
con le sue abili mani di scalpellino, così
come Leo, una piccola cella ed una chiesa in onore
del fondatore della chiesa cristiana: S. Pietro. Pronto
era egli, come sempre, ad affrontare la vita serenamente
e saggiamente.
Tuttavia altri problemi e prove stavano per ricadere
sul Santo. Un tal Verissimo, figlio della nobile donna
e vedova Felicissima, proprietaria del terreno sui
cui sorgeva il Monte, non contento della indesiderata
presenza di San Marino andò a contestargliela.
San Marino, avendo presagito le minacciose intenzioni
del ragazzo, pregò il Signore affinchè
lo tenesse sotto controllo. E proprio in quell'istante
Verissimo, cadde a terra per una paralisi delle braccia
e gambe a cui seguì quella della parola. Verissimo
fu riportato a casa e a mala pena spiegò quanto
era successo. Donna Felicissima si precipitò
dal Santo per chiedergli perdono e offrirgli tutto
quanto avesse desiderato. Il Santo rispose che per
se non desiderava nulla, quanto piuttosto la loro
conversione e battesimo oltre ad un pezzo di terra
dove avesse potuto trovare il giusto riposo al momento
venuto di ritornare a Dio. Felicissima acconsentì
subito dimostrando in tal modo la sua sincerità,
offrendo altresì, oltre al Monte, anche le
aree circostanti, per San Marino e suoi successori.
Conseguentemente alla promessa, Verissimo ritrovò
piene facoltà e cinquantatre familiari si convertirono.
Venne infine un riconoscimento anche dagli uomini.
Il vescovo di Rimini, Gaudenzio, udite le gesta di
Marino e Leo, li convocò per esprimere loro
profonda riconoscenza. I due accettarono e al termine
dell' incontro, Leo venne consacrato sacerdote mentre
Marino, diacono. Ad incontro terminato ritornarono
alle rispettive vite di sempre. Ed è a questo
preciso punto della vita di San Marino che si verifica
la parabola dell' orso: rientrato sul Monte, un orso
aveva sbranato l' asinello compagno di tanti lavori
col Santo. Pieno di saggezza spirituale, San Marino
comandò all' orso di sostituirsi all' asino,
svolgendo di fatto pesanti ed umili lavori per il
resto della vita.
Purtroppo per lo scalpellino dalmata, stava per abbattersi
sulla comunità cristiana un'ultima scabrosa
prova. I seguaci del Cristo furono nuovamente messi
in difficoltà e perseguitati per la oscura
vicenda che narreremo:
In Rimini, un prete di nome Marziano, decise di fare
secessione dai dogmi ufficiali della chiesa cristiana,
creando di fatto un movimento eretico. Il vescovo
di Rimini, Gaudenzio, immediatamente si propose di
combattere tale rivolta, minacciando di scomunica
i seguaci di Marziano. Disgraziatamente per Gaudenzio,
Marziano era imparentato con un altro Marziano, prefetto
romano della città portuaria. Ne seguì
l' ennesima caccia al cristiano. Gaudenzio si rifugiò
a Forlì, mentre San Marino proseguì
la sua tranquilla vita di anacoreta sulla vetta del
Titano, immerso nella solitudine e contemplazione
del creato. Fu proprio in quei luoghi, avvolti da
un alone di fascino e mistero, che il 3 settembre
fu richiamato dal Signore e fu sepolto nella chiesa
costruita da lui stesso. Di poco era stato preceduto
da San Leo. Questa è la leggenda del Santo, l'inconsapevole
grande uomo che diede origine ad uno Stato veramente
unico al mondo. San Marino è riconosciuta come
la più antica repubblica del mondo giunta a
noi (non dimentichiamo tuttavia le precedenti esperienze
di libertà di Atene e la Repubblica di Roma)
e detentrice morale di virtù quali l' autodeterminazione
politica dei suoi cittadini, con principi di responsabilità
civile e democratica. |
San Cerbone
In San Cerbone si scopre un vescovo che ammansiva
gli orsi, mungeva le cerve, si faceva scortare fino
alla soglia di San Pietro da oche selvatiche e celebrava
la messa all'alba, accompagnato da un miracoloso coro
angelico. Figura emblematica, le cui vicende biografiche
sono spesso accumunate a quelle dell'arcivescovo africano
Regolo, Cerbone è spesso raffigurato con l'attributo
delle oche.
È San Gregorio Magno (590-604) a fornirci
gran parte della letteratura agiografica su San Cerbone,
nel capitolo XI dei suoi Dialogi e mediante le biografie
medievali relative alla vita di San Regolo (sec. VII
o VIII). "Vescovo di Massa Marittima (544 ca.);
morì sull'isola d'Elba (575 ca.) dove si era
rifugiato alla discesa dei Longobardi; festa 10/10."Del
resto, è fin troppo sintetica la scheda del
Dizionario dei Santi , edito da TEA, relativa al santo
massetano, dove è chiamato Cerbonio e non vengono
fornite altre informazioni. La sovrapposizione tra
le Vitae di Regolo e Cerbone è probabilmente
da ascrivere al periodo successivo alla traslazione
delle reliquie del primo santo da Populonia a Lucca,
dove sono ancora oggi conservate nella cattedrale
di San Martino, che avvenne nel 780 d.C." Venute
a mancare le reliquie di Regolo, si rafforzò
nella cittadina massetana la devozione popolare per
le reliquie di Cerbone, che da Populonia, distrutta
nel 809 da un'incursione saracena, vennero portate
a Massa Marittima dopo l'elevazione di quest'ultima
a sede vescovile.
Nella tradizione locale, quindi, la vita del vescovo
di Populonia venne accumunata alla vita del santo
le cui reliquie non potevano più essere oggetto
di devozione... La tradizione ci tramanda che San
Cerbone nacque in Africa settentrionale da genitori
cristiani. Seguendo la sua vocazione, mentre ancora
si trovava nel suo luogo d'origine, si fece ordinare
sacerdote dall'Arcivescovo Regolo e in seguito fu
lo stesso Regolo a ordinarlo Vescovo. Ma a causa delle
persecuzioni dei Vandali ariani, dominatori della
zona, la comunità cristiana locale si disperse
e Cerbone, insieme a Regolo e al vescovo Felice con
alcuni presbiteri, fuggì in Italia.
Sorpresi da una tempesta durante la navigazione, si
narra che i sacerdoti approdarono fortunosamente sul
litorale toscano, dove condussero vita eremitica,
finché una tragica vicenda non turbò
il loro ritiro: durante la guerra greco-gotica che
opponeva i Bizantini cristiani al paganesimo dei Goti,
Regolo fu imprigionato e decapitato con l'accusa di
aver favorito i Bizantini.
"Alla morte del vescovo di Populonia, Fiorenzo,
i cittadini e i chierici vollero Cerbone come nuovo
vescovo. Dopo varie reticenze, egli accettò
la Cattedra Episcopale"Avvenne però che
il Beato Cerbone celebrasse la Messa del mattino troppo
presto e che il popolo che abitava nei villaggi non
potesse prendervi parte. Irritato per questa abitudine
il popolo si rivolse a Papa Virgilio (537-555) che
inviò suoi legati a prelevare Cerbone per condurlo
innanzi a lui. La leggenda, riportata nel manoscritto
giacente presso la Biblioteca Vaticana al n. 6493,
accenna a due miracoli che il Santo operò durante
il viaggio.
Il primo fu quello delle due cerve che il Beato Cerbone
(Lombardi, 1953:21) munse, procurando latte ai Legati
che, estenuati dal viaggio stavano per morire di sete
e si erano a lui raccomandati.
L'altro nei pressi di Roma, quando guarì tre
uomini colpiti da febbri perniciose.
I Legati pertanto, andati ad annunziare l'arrivo
di Cerbone al Papa, narrarono quanto aveva fatto Cerbone
durante il viaggio.
Ammirato e timoroso, il Pontefice con le pianete,
l'incenso, litaniando e salmodiando, gli andò
incontro: secondo tradizione, da allora, il Vescovo
di Massa Marittima è l’unico che, andando
a trovare il Papa a Roma, viene accolto dal Pontefice
che si alza dalle sedia pontificia, e gli si pone
incontro.
Fu comunque in tale occasione che Cerbone manifestò
un altro prodigio: incontrate delle oche selvatiche,
fece su di loro il segno della croce così dicendo:
"Non abbiate facoltà del Signore di volare
in altro luogo, fintanto che non sarete venute con
me alla presenza del Signor Papa...".
E così fu: le oche lo accompagnarono e vennero
offerte come piccoli doni della Chiesa di Populonia.
Solo quando il Beato Cerbone fece il segno della Croce
su di loro e le licenziò, le oche si innalzarono
in aria e volarono via." (Paolo Pisani - Santi,
Beati e Venerabili nella provincia di Grosseto - Edizioni
Cantagalli).
La leggenda prosegue, narrando che il Papa volle assistere
di persona alla messa dell'alba, dopo aver trascorso
la notte in preghiera con il Santo. Poté così
assistere al miracolo del coro angelico, levatosi
melodioso al momento dell'eucarestia. Concesse quindi
a Cerbone di proseguire nella sua usanza e di rientrare
a Populonia.
Come era già successo al suo maestro Regolo,
anche Cerbone venne accusato di proteggere i Bizantini
e il re dei Goti, Totila, famoso per la sua crudeltà,
comandò che Cerbone venisse condotto nel bosco
e dato in pasto ad un orso.
L'animale, alla sua vista, invece di assalirlo, piegò
il collo e con la testa umilmente abbassata, iniziò
a leccare i piedi di Cerbone.
Totila, che aveva voluto assistere personalmente all'esecuzione
del suo ordine, dispose immediatamente la sua liberazione.
Nel 573 l'arrivo dei Longobardi sconvolse nuovamente
la diocesi. e causò la fuga di Cerbone con
il suo clero alla vicina isola d'Elba, controllata
dai Bizantini. Vicino alla morte, il Santo Vescovo,
nell'ottobre del 575 chiese come ultimo desiderio
di essere sepolto in una chiesetta del Golfo di Baratti,
sotto Populonia. Al timore espresso dai suoi seguaci
d'incontrare i soldati longobardi, Cerbone li rassicura
e prima di spirare dirà loro che vadano tranquilli
poiché non capiterà loro alcun guaio. E così si assistette all'ultimo miracolo.
Non appena la barca con le spoglie del santo si avvicinò
alla costa di Populonia, il cielo, narra la leggenda,
divenne nero come la pece e scoppiò una furiosa
improvvisa burrasca, che impediva la visibilità
e fece approdare il gruppo del tutto inosservato nel
golfo di Baratti. Fra l'altro, nonostante la gran
pioggia, sulla barca non cadde neanche una goccia
d'acqua. Protetti anche da una fitta nebbia, i fedeli
non incontrarono nessuna pattuglia longobarda, raggiunsero
la chiesa, seppellirono il corpo del Vescovo e se
ne tornarono nell'isola d'Elba, navigando in un mare
liscio come l'olio". (Paolo Pisani - Santi, Beati
e Venerabili nella provincia di Grosseto - Edizioni
Cantagalli). |
San Gennaro
Gennaro era nato a Napoli, nella seconda metà
del III secolo, e fu eletto vescovo di Benevento,
dove svolse il suo apostolato, amato dalla comunità
cristiana e rispettato anche dai pagani. Nel contesto
delle persecuzioni di Diocleziano si inserisce la
storia del suo martirio. Egli conosceva il diacono
Sosso (o Sossio) che guidava la comunità cristiana
di Miseno e che fu incarcerato dal giudice Dragonio,
proconsole della Campania. Gennaro saputo dell'arresto
di Sosso, volle recarsi insieme a due compagni, Festo
e Desiderio a portargli il suo conforto in carcere.
Dragonio informato della sua presenza e intromissione,
fece arrestare anche loro tre, provocando le proteste
di Procolo, diacono di Pozzuoli e di due fedeli cristiani
della stessa città, Eutiche ed Acuzio. Anche
questi tre furono arrestati e condannati insieme agli
altri a morire nell'anfiteatro, ancora oggi esistente,
per essere sbranati dagli orsi. Ma durante i preparativi
il proconsole Dragonio, si accorse che il popolo dimostrava
simpatia verso i prigionieri e quindi prevedendo disordini
durante i cosiddetti giochi, cambiò decisione
e il 19 settembre del 305 fece decapitare i prigionieri.
La Passione Vaticana ricorda il tentativo del prefetto
di dare Gennaro in pasto alle belve ma ancora una
volta il prefetto venne sconfitto perché introdotte
dell’arena, di Pozzuoli, le belve divennero
mansuete: un orso si avvicinò allora vescovo
di Benevento che lo benedisse e lo accarezzò. |
San Takla Haymanot
Infine (anche se si potrebbe andare avanti…
basta cercare!), un orso compagno di un percorso di
vita lo ebbe anche san Takla Haymanot, abate della
Chiesa Copta d’Egitto, fu suo compagno di eremitaggio
insieme ad altri animali selvaggi. |
Ora, per concludere, ecco i santi che portano il nome
“Orso”.
San Orso vescovo e confessore di Ravenna
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Sant’Orso, vescovo di Classe, trasferì
definitivamente la sede episcopale a Ravenna attorno
al 402, quando l’imperatore Onorio per ragioni
di sicurezza strategica pose nella medesima città
la capitale dell’impero d’Occidente.
Nel
catalogo episcopale della Chiesa ravennate il nome
di Orso precede immediatamente quello di Pier Crisologo,
quindi presupponendo l’esattezza di tale fonte
l’episcopato di Orso si collocherebbe all’inizio
del V secolo.
In Ravenna Orso edificò la “ecclesia
catholica, cioè la cattedrale, detta poi in
suo onore “basilica Ursiana”, dedicandola
all’Anastasi di Nostro Signore nel giorno di
Pasqua.
Secondo Agnello, Orso morì dopo ventisei
anni di episcopato il 13 aprile di un anno attorno
al 425.
La sua memoria era però celebrata in
Ravenna il giorno di Pasqua, anniversario della dedicazione
per sua mano della basilica Ursiana.
Una tradizione
vuole che Orso fosse di origini siciliane, fattore
che spiegherebbe la disffusione del culto di santi
siciliani in Ravenna sin dal V secolo. |
Sant’Orso d'Aosta, sacerdote
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Le frammentarie notizie su Orso d'Aosta non permettono
di datarne con precisione la vita (tra V e VIII sec.).
Sicuro, però, il giorno della morte, il 1 febbraio.
Secondo le fonti era sacerdote e custode della chiesa
cimiteriale di San Pietro.
Tali chiese erano in luoghi isolati e il custode era
una sorta di eremita, cui la gente si rivolgeva per
la direzione spirituale. Il culto di Orso si è
esteso a tutta l'Italia nord-occidentale.
È invocato contro inondazioni e malattie del
bestiame. La millenaria fiera di sant'Orso si tiene
ad Aosta alla vigilia della festa.
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Sant’Orsio (Orso) cavaliere
Orso nacque da una nobile famiglia di Franchi. Mentre
era ancora in fasce un indovino predisse alla madre
ch'egli avrebbe ucciso il padre. In giovane età
fu inviato alla corte di Carlo Magno per essere educato
all’arte della cavalleria. Durante questo periodo
Orso dimostrò tale valore da essere eletto
al rango di uno dei dodici conti palatini di Carlo
Magno. Unica grande sofferenza per Orso era, quando
se ne tornava a casa, trovare la madre, memore della
profezia, in pianto. Per cui più volte domandatole
la ragione di tale pianto Orso venne a conoscenza
del suo destino di parricida. Egli, per evitare che
la profezia si compisse, con un compagno dal nome
Cliento, decise di abbandonare la Francia. Arrivò
in Dalmazia e qui affrontò l’esercito
pagano del re riuscendo a vincerlo e ad attirare su
di sè l’attenzione della figlia del re,
colpita da tanto valore guerriero e da tanta fede.
Il re quindi su richiesta della figlia invitò
a corte Orso e Cliento i quali mostrarono la forza
della loro religione e il loro valore di cavalieri
al punto tale che il re di Dalmazia decise di convertirsi
al cristianesimo assieme al suo popolo e di concedere
in matrimonio ad Orso la propria figlia. Alla morte
del re, Orso divenne pertanto re di Dalmazia.
Il padre di re Orso, nonostante fosse a conoscenza
della profezia, venuto a sapere del successo del figlio
decise di andarlo a trovare in Dalmazia. Giunto in
quella terra venne accolto dalla nuora mentre Re Orso
era a caccia, e invitato a riposarsi al fianco di
lei e del figlio. Un cameriere di Orso, sotto le cui
spoglie, si dice, si nascondesse il demonio stesso,
raccontò a Orso, mentre era ancora a caccia,
che un uomo si era coricato con la moglie. Orso allora
si precipitò alla reggia e vedendo la moglie
coricata con un altro uomo s’infuriò
e uccise il padre, il figlio e la moglie.
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Resosi poi conto del misfatto e immediatamente
pentitosi di ciò che aveva compiuto, decise
di andare a Roma per chiedere al Papa Adriano I di
espiare il suo peccato. Il Pontefice impose ad Orso
che, in abito da pellegrino, con la testa rivolta
verso il basso e senza domandare mai a nessuno dove
si trovasse, visitasse la chiesa di S.Maria in Monte
Summano. Orso se ne partì per il suo viaggio
penitenziale. Visitò Gerusalemme e Santiago
de Compostela, e il 3 maggio, dopo dodici anni di
pellegrinaggio, giunse al monte Summano. Nei pressi
del monte udì dei pastori che dicevano: "...presto,
andiamo con l'armenti e gregi à casa perché
munte Suman fà con la nebula capelo, et presto
come è usanza pioverà."
Capì allora di essere arrivato alla fine del
suo viaggio penitenziale. Si incamminò verso
il castello del borgo allora chiamato di Salzena.
Sulla via incontrò una fantesca di nome Oralda
a cui domandò ripetutamente da bere, e non
avendo risposta, spirò. In quell’attimo
le campane si misero a suonare da sole. La gente del
luogo accorse e trovò il Santo con il bastone
fiorito. Così riconosciuta la sua santità
gli venne eretta una chiesa. Carlo Magno venuto a
conoscenza della storia giunse a Santorso per portare
via il corpo del santo cavaliere. Ma non riuscì
a smuoverlo da quel sito; se ne tornò in Francia
solo con il braccio e il bastone fiorito. La festa
di sant’Orso si celebra tutt’oggi il 3
Maggio.
Nel Paese di Vejano (VT) si tramanda questa storia:
un mendicante che passava per il santuario di S.Orso
cercò di rubare l'anello al dito del santo
e nel far questo gli si strappo il braccio,che portò
con sé nel suo pellegrinaggio. Il mendicante
arrivato a Veiano in una località chiamata
S.Orsio cercò di riposare,ma dovunque si spostava
pioveva e solo dove era lui;provo quindi a lasciare
il braccio e scoprì che pioveva solo dove era
il braccio. Gli abitanti del paese venuti a conoscenza
di questo evento decisero di costruire una chiesa
in quel posto ,ovviamente con il nome del santo, dove
custodire il braccio che fu net tempo ricoperto di
oro.
Questo braccio è stato rubato, e ne è
stato costruito un altro con al suo interno un piccolo
osso preso dal santuario.
Tutti e due i comuni venerano san Orsio (Orso) come
patrono. |
Sant’Orso, martire
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Trattasi di “corpo santo”.
Sant’Orso (bambino) venerato nel santuario
di Sant’Alfonso M. de’ Liguori a Pagani
(SA).
Un secondo sant’Orso, con Quirino e Valerio,
è venerato nella chiesa di San Salvatore
in Lauro a Roma.
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Sant'Orso martire con San Vittore
a Soletta (Svizzera)
I santi Urso (Orso) e Vittore sono ritenuti dalle
fonti più antiche gli unici soldati della Legione
Tebea scampati all’eccidio di Agauno (odierna
Saint-Maurice in Svizzera) e come tali ricordati anche
dal nuovo Martyrologium Romanum (30 settembre). Giunti
presso la vicina località svizzera di Soleure
furono raggiunti ed anch’essi decapitati in
odio alla fede cristiana, secondo alcune fonti con
altri 66 compagni
Beato Orso di Narni, monaco
L'Abbazia di San Cassiano a Narni.
Durante i lavori di restauro dell'abbazia di S. Cassiano,
sono state rinvenute due iscrizioni marmoree che illuminano
la storia dell'abbazia e di Narni. Una delle due iscrizioni
lega il nome di Crescenzio di Teodorada al nome del
beato Orso e la seconda ci dà notizia del rinvenimento
del corpo di quest'ultimo, avvenuta il 5 aprile del
1100.
La prima iscrizione è incisa su un piccolo
sarcofago romano che fù donato all'abate da
Crescenzio. Poichè Crescenzio morì,
nell'anno 984 e fu sepolto nella chiesa di S Alessio
sull'Aventino, possiamo ora affermare con sicurezza
che l'abbazia esistesse già da qualche lustro
e che Crescenzio ne fosse un benefattore.
Infatti la presenza a Narni di C. e la sua discendenza
da Teodora II e da Giovanni, dichiarata nell' iscrizione
di S. Alessio combacia perfettamente con le date a
noi note e ci prova come Giovanni padre, fosse proprio
quel Giovanni, che, morta Teodora II, divenne vescovo
di Narni, come ci assicura il Liber Pontificalis.
Il testo della seconda iscrizione è il seguente:
A(nno) D(omini) M(illesimo) C(entesimo) M(ense) AP(rilis)
D(ie) V(h)IC RECONDIT (um) (est) BEATI URSI CORPUS.
Nell'anno del Signore 1100 il 5 aprile è stato
ritrovato il corpo del beato Orso. Il beato Orso è
probabilmente il fondatore o primo abate di S. Cassiano.
Sant' Orso di Auxerre, vescovo
Il Martirologio Romano ricorda il 30 luglio ad Auxerre
nella Gallia lugdunense, in Francia, sant’Orso,
vescovo. In questa data venivano anche ricordati altri
otto santi di nome Orso.
Sant' Orso, abate
Il Martirologio Romano il 27 luglio ricorda a Loches
sul fiume Indre nel territorio di Tours in Francia,
sant’Orso, abate, padre di molti cenobi, celebre
per lo straordinario spirito di astinenza e altre
virtù.
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