COLLABORAZIONI VARIE
In questo Settore vengono riportate notizie e immagini fornite
da altri redattori.
Nello specifico, i testi sono stati realizzati da fabel,
mentre la grafica, la scelta delle foto e la loro rielaborazione
sono state curate da Cartantica.
Tutti gli articoli degli altri Settori sono state realizzati
da Patrizia di Cartantica che declina ogni responsabilità
su quanto fornito dai collaboratori.
"N.B.: L'Autore prescrive che qualora
vi fosse un'utilizzazione per lavori a stampa o per lavori/studi
diffusi via Internet, da parte di terzi (sia di parte dei
testi sia di qualche immagine) essa potrà avvenire
solo previa richiesta trasmessa a Cartantica e citando esplicitamente
per esteso il lavoro originale (Autore, Titolo, Periodico)
."
******
LE STORIE DI FABEL
Piccole "briciole" di conforto e
di sprone per iniziare una nuova giornata, per sopportare
le negatività che si incontrano durante il cammino,
per concludere una serata con un pensiero consolatorio...
******
IN VIAGGIO CON LA CARTA D'ARGENTO
L’occasione era favorevole. Il viaggio atteso da tempo
si concretizzava e catalizzava i suoi pensieri ed ogni sua
attività. Il buon nonno B. raccolse un po’ di
cose e partì con la carta d’argento.
Il riposo di sconfinate terre si apriva davanti ai suoi occhi
come una grande pagina bianca e lo sguardo incantato di un
cuore semplice correva oltre, quasi volendo accelerare il
tempo; era una storia già scritta, ma occorreva che
fosse scritto nei suoi occhi, e nel viaggio dei suoi giorni.
Poi la stanchezza ebbe il sopravvento sull’emozione,
e lasciandosi cullare dal dondolio del viaggio, il vecchietto
si addormentò.
Fu svegliato dal vocio festante dei bambini che avevano accompagnato
il sig. G. alla partenza. Doveva essere sicuramente un personaggio
importante se tutto il paese aveva organizzato quel saluto
ufficiale.
“Sì – pensò il buon nonno B. –
sarà un viaggio ancora più piacevole”.
Non fu difficile attaccare il discorso tra i due. Come avviene
sempre, iniziarono a parlare dei tempi passati, delle guerre
che li avevano coinvolti, delle speranze di pace che ormai
custodivano nel cuore. A parlare di pace, gli occhi si commuovevano
continuamente e le loro anime sembravano più candide,
un tutt’uno con i campi innevati che incontravano durante
il viaggio.
“Sarebbe bello – si dicevano – poter seminare
i nostri pensieri, perché germogliasse la pace…”
Il sig. G. incominciò a raccontare del suo viaggio,
dell’ansia di rivedere un vecchio amico che si sarebbe
aggiunto a metà strada, dei progetti fatti insieme,
dei contatti che, nonostante la lontananza, non erano mai
venuti meno. Nonno B. ascoltava con piacere, a volte assorto
nei propri pensieri, a volte partecipe del racconto del sig.
G.
“In fondo – pensava nonno B. – alla nostra
età tutte le storie si assomigliano; le esperienze
sono comuni e le speranze saggiamente vagliate”.
Il sig. G. salutò il suo caro amico M. con un abbraccio
commosso. Non si vedevano da tanto e cercava di scorgere nell’altro
i segni legati più alla memoria che all’aspetto
fisico. Gli anni avevano reso il suo volto scuro e scarno,
eppure i lineamenti erano rimasti gli stessi, e facevano trasparire
una nobiltà d’animo ed un sorriso pacificato
che sarebbe stato il tesoro più prezioso per tutti
e tre.
Fu approntata una “tavola” per pranzare insieme
e, ripetendo gesti divenuti solenni e appartenenti all’epoca
che aveva segnato la loro vita, che li aveva visti crescere,
maturare e solcare la storia, condivisero un po’ di
pane e di frutta. Dolci profumi di spezie e nuvole di tabacco
riempirono l’aria di festa, mentre vecchie melodie accompagnate
dal ritmo delle mani consacravano la loro amicizia.
Nonno B. ascoltava parole che esprimevano un senso di lontananza,
nostalgia, desiderio, sentimenti che le rendevano subito familiari,
immediate.
Si conosce subito un uomo, se è maestro, padre e compagno.
Il buon vecchietto li sentiva e li vedeva così. Nelle
loro parole, nei gesti, nella loro vita riconosceva la sua.
No, quell’incontro non poteva essere una parentesi,
non poteva essere abbandonato al freddo pensiero del caso.
Ci mise poco a capire che poteva far sì che la vita
cambiasse; ci mise poco a decidere, a scegliere; quelle scelte
che ti segnano, ti toccano - anzi, ti feriscono - perché
ne possa serbare per sempre il ricordo.
“Dove andate, amici, dove andate? Amici, dove andate?”
Ripeteva due volte le stesse domande, non come un ritornello,
ma per cercare una risposta più profonda, più
affascinante, con una drammaticità che si sentiva scorrere
nelle vene.
“Posso venire con voi?”
Finché uno non ha trovato ciò che corrisponde
al suo desiderio non può fermarsi nella vita: un altro
ti dice qualcosa che non sapevi, e ti aiuta a camminare, a
non fermarti mai. Si sentiva pronto a ricominciare, a “traslocare”.
E’ bello e terribile insieme, ma non poteva dire di
no a se stesso: la casa è anche punto d’apertura
a orizzonti nuovi. Una parola, se è vera, arriva al
tuo cuore, in casa tua come a migliaia di miglia di distanza.
“C’è un luogo di pace anche per me”
si diceva.
Il tempo che passava cambiava i colori del cielo e della
terra, e i loro occhi, come piccole stelle intermittenti,
conservavano vivo ogni momento trascorso immergendolo in gocce
di rugiada che sgorgavano dal cuore.
Nonno B non riusciva a dormire e vegliava scrutando il cielo
uguale ad ogni altra notte, eppure così diverso…
Vide in lontananza una luce e sorrise: era una di quelle luci
all’orizzonte che, pur se piccole, squarciano il buio
profondo; era come una porta che t’immette nel mistero
della vita, come uno srotolarsi della pergamena del destino
i cui sigilli sono stati aperti. Con un nodo alla gola e con
il cuore commosso svegliò il signor G. e il suo amico
M.: i sogni si avveravano, le loro attese erano colmate, le
speranze compiute.
La piccola Cri era sempre stata molto esigente; ogni volta
che papà Lele preparava il presepe, lei gli stava accanto
chiedendo il perché d’ogni cosa: perché
la stella cometa era d’argento, come avevano fatto i
signori G., B. ed M. a vederla da lontano, da dove venivano…
Non si accontentava di vedere le statuine al proprio posto;
voleva conoscerne la storia, e aveva anche buona memoria,
per cui bisognava soddisfare la sua curiosità con immagini
sempre nuove. Mentre papà le raccontava della stella
che luccicava con la carta stagnola e dei Magi Gaspare, Melchiorre
e Baldassarre (che con un tocco di licenza narrativa aveva
voluto chiamare sig. G., sig. M. e nonno B.), osservava anche
il giocoso rincorrersi delle scintille nel camino, e fissava
quell’immagine come un promemoria per il Natale successivo;
di sicuro la piccola Cri gli avrebbe chiesto:
“Perché…”.
Lei rielaborava tutto nella sua fantasia. Sapeva già
che le luci dell’albero sono le stelle che brillano
tra i suoi rami, ed ora vi scopriva anche gli occhi dei signori
G., B. ed M. che le avrebbero partecipato i loro pensieri.
La piccola Cri cresceva, e pian piano imparava a dare un nome
nuovo ad ogni cosa.
Anche per la storia dell’umanità il Natale aveva
significato qualcosa di nuovo: una luce che insegna agli uomini
a ricominciare, a vivere nella speranza, ad essere partecipi
di un cammino più grande. I desideri di pace seminati
da quegli amici iniziavano a germogliare.
Chi avrebbe creduto a quel racconto? A chi si sarebbe si sarebbe
manifestata la bellezza delle cose semplici.? La piccola Cri
avrebbe scoperto che ogni cammino non sarebbe mai stato facile,
ma che in fondo brilla sempre una stella…
******
IL CONDOMINIO C
Il bambino nascerà presto, manca poco ormai. Dio, la
vita che mi porto dentro! Quante volte mi sorprendo a parlargli,
ad ascoltare i suoi ritmi, le sue esigenze, il suo esserci:
ogni pensiero è come un dondolio della culla, mentre
le mani mi pesano, perché mi sembra di non esserne
ancora capace.
Sono per strada e mi diverto a lasciare impronte sulla neve
fresca: è un ingenuo ed innocente gioco, quasi dei
passi di danza che segnino elegantemente il mio cammino, ne
lascino il ricordo, perché sono giorni per me importanti,
e non mi sfiora minimamente il dubbio della presunzione. Tutta
la strada è disegnata dai colori del gelo, dalle particelle
di brina che brillano come coralli sulle ragnatele dei cancelli,
mentre la nebbia ci avvolge facendo cadere sulla città
un preziosissimo velo di chiffon.
Mi fermerei estasiata a guardare per ore, perché tutto
è più bello; non cambierei questo freddo, questa
nebbia, queste sere, con nulla. Mi basterebbe un’istantanea
per conservare il ricordo di queste cose, ma non ho tempo.
E’ tardi, e l’assemblea sta per iniziare.
Accelero il passo senza smettere di curiosare nelle vetrine
del viale. Passando davanti all’Edicola – Tabacchi
– Profumeria, il sig. Piero mi sorride. E’ ancora
a lavoro, anche se è tardi. Mi mostra l’ultimo
numero del settimanale dicendomi:
«”Oggi” è speciale!».
«Già!» rispondo io, divertendomi a giocare
col doppio senso. E i miei pensieri tornano a lui, al piccolo,
lo circondano in un dolce abbraccio, mentre le parole si arricchiscono
di musica.
Arrivo appena in tempo. Gli ultimi vicini stanno entrando
in ordine. Cristina è sulla porta, mi guarda e sorride.
E’ l’amica del cuore, quella che con me attende
più di tutti il bambino. Lo sente anche suo, perché
in questi mesi mi è sempre stata vicino, ha condiviso
la mia situazione, i pianti, le ribellioni, la solitudine…
«Ti aspettavo» dice ancora sorridendo, ma questa
volta è lei a ‘giocare’ un po’. Capisco
che quel sorriso mi nasconde qualcosa (sicuramente una sorpresa:
non riuscirebbe a far del male a nessuno).
Entriamo e prendiamo posto in un’aula già piena
e riscaldata. Altri mi guardano, mi salutano e sorridono anch’essi.
Eh, sì. Cristina ha ‘lavorato’ parecchio
fra questa gente (avrei capito soltanto in seguito, molto
dopo, che tipo di sorpresa nascondeva la sera).
Come è strana questa sera l’assemblea: non si
discute, si accetta tutto, e ancora di più sembra ci
si accontenti all’unanimità. Eppure bisogna fare
grandi lavori. Ci sono buche da colmare, c’è
da abbattere e ricostruire; ci aspettano grandi sacrifici,
e bisogna affrontarli. Ancora una volta ho paura di non farcela,
ma stranamente la presenza dei coinquilini mi rassicura. Ironicamente
-ma lo faccio- prendo l’avviso per controllare orario
e luogo, tanto mi sembra di essere fuori dal mondo. La mia
vicina comprende il mio smarrimento e mi dice che anche per
lei è così: avverte anche lei qualcosa di nuovo.
Alla fine, mentre usciamo, non posso che ringraziarli tutti:
consapevoli della mia situazione mi sono venuti incontro,
sono stati gentili.
«Grazie». Non riesco a dire altro.
«Lo facciamo per il bambino» mi dice Laura, entrando
così delicatamente -ma ugualmente con forza- nell’ambito
della mia famiglia, della mia vita privata, dei miei affetti,
quasi adottando i miei pensieri e i miei desideri.
Non so perché i momenti più intensi della mia
vita debbano essere sempre accompagnati dalle lacrime, come
una costante, come uno dei segni particolari da trascrivere
sulla carta d’identità. Mi consola l’immagine
che le lacrime di oggi siano come gocce di cera lacca che
sigilla i grandi avvenimenti.
Mentre torno a casa i pensieri diventano un vortice, mi assalgono
i ricordi e dentro di me sembra scatenarsi una battaglia,
l’ennesima. Presa dall’ansia mi metto a correre,
senza riconoscermi più: non so se sia paura o altro.
La pace arriva solo quando entrata in casa mi rifugio nella
cameretta dove tutto è pronto da tempo. La culla è
ancora vuota, ma già mi ritrovo a guardarla con occhi
pieni d’amore, perché sento che manca veramente
poco; sento che…
Delicatamente prendo dalla tasca il bambinello che Don Giustino
ha benedetto durante la Messa della notte. Mentre lo depongo
nella culla, incrocio lo sguardo di Maria e di Giuseppe che
insieme ai pastori sono in attesa. Sarebbe egoistico tenerlo
per me.
Per me c’è altro. Il libro è già
pronto sul comodino; lo apro alla pagina segnata dal nastrino
dorato (per l’occasione anche le parole sembrano vestirsi
a festa). «Tardi ti amai, bellezza così antica
e così nuova, tardi ti amai! Sì, perché
tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. Eri
con me, e non ero con te. Mi chiamasti e il tuo grido sfondò
la mia sordità; balenasti e il tuo splendore dissipò
la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, e respirai
e anelo verso di te, mi toccasti, e arsi di desiderio della
tua pace.» Vorrei leggere altro, ma non ci riesco, e
non perché le mie ‘compagne’ giocano sulle
pagine davanti a me, ma perché è il momento
della sorpresa… I bambini sono venuti a cantare sotto
casa le dolci nenie natalizie. Mi affaccio dalla finestra
come la più innamorata di tutte le Giuliette. Cri’
(l’ho sempre chiamata così perché è
stata la mia ‘crocerossina’), è contenta
nella sua disponibile semplicità, e Laura mi dà
un altro appuntamento.
«Già! -rispondo-. Ci vedremo spesso».
«Ciao, Stella» mi dice la piccola Rachele con
gli occhietti vispi e teneri che la caratterizzano all’interno
del coro. Imbacuccata nella sciarpetta rosa, sembra un batuffolo
di zucchero filato. Don Giustino la solleva fino a me, le
do un bacio, come un candido fiocco di neve.
«Ciao, Stella», ripete, e con solenne serietà
mi porge un bigliettino. Lo apro. Don Giustino, che parla
poco, ma è capace di grandi parole mi ha trascritto
un brano del profeta Baruc: «Le stelle brillano dalle
loro vedette e gioiscono; Egli le chiama e rispondono “Eccoci”!
e brillano di gioia per colui che le ha create.» Il
mio nome è Giusy, ma da quando sono stata battezzata,
la notte santa di Pasqua, tutti mi chiamano Stella; sentono
un senso di paternità nella mia vita, e hanno deciso
anche per “il nome nuovo”. E Cri’ dice che
è notte santa anche questa, e che si fa voce nei piccoli,
e che Rachele si è preparata bene per chiamarmi così,
e che…
«E’ tardi» conclude, e si festeggia anche
da noi (ha trovato una amichevole e complice scusa per lasciarmi
sola col bambino e i pensieri di sant’Agostino). Un
ultimo “Astro del ciel” intervallato da sacri
singhiozzi, l’ultimo bacio e poi tutti a casa.
Seguo commossa i miei amici che si sono incamminati. La piccola
Rachele si volta ancora accennando un altro ciao. La mano
nel guantino mi sembra - per restare in tema - il tragitto
della cometa. Le rispondo con lo stesso dolce gesto. Appiccicata
ai vetri della finestra, inavvertitamente ho fatto disegnare
al vapore il mio sorriso: ne viene fuori un quadro di valore,
che nessun artista avrebbe mai saputo dipingere.
Nella penombra della stanza, accovacciata davanti al presepe
scrivo queste poche impressioni:
" Desidero comunicarvi la gratitudine che ho nel cuore
quando penso a voi. E' come pensare a un padre e a una madre,
che mi hanno tirato su volendomi bene sempre, anche quando
non era facile. Ora davanti al ‘piccolo’, mi rendo
conto con commozione di quello che siete, che significate
per me. Essere madre non è possedere, ma appartenere
di più. Quando guardo il Gesù bambino, Rachele,
e tutti gli altri, mi intenerisco per il bisogno che hanno
di essere e di imparare, ma nello stesso tempo capisco che
la responsabilità che ho nelle mani potrebbe farmi
paura se non ci foste voi…"
Le appenderò alla porta. Domani, quando i miei amici
verranno a casa, non troveranno ad accoglierli una ghirlanda
di plastica…
E’ festa, e fuori anche la neve danza.
******
LA FELICITA'
Ciao, il mio nome è Felicità.
Faccio parte della vita, di quelli che credono nella forza
dell'amore, che credono che ad una bella storia non possa
esserci mai fine.
Sono sposata, lo sapevate?
Sono sposata con il Tempo.
Lui è il responsabile della risoluzione
di tutti i problemi.
Lui costruisce cuori, lui medica quelli feriti, lui vince
la tristezza....
Io e il Tempo, assieme, abbiamo avuto 3 figli:
Amicizia, Saggezza, Amore....
Amicizia è la figlia più grande,
una ragazza bellissima, sincera e allegra.
Lei unisce le persone, non ha l'intento di ferire, ma di consolare.
Poi c'è Saggezza, colta, con principi
morali... lei è quella più somiglia a suo padre,
Tempo.
E' come se Saggezza e Tempo camminassero insieme!
L'ultimo è Amore!
Ah, quanto mi fa lavorare lui!
E' ostinato, a volte vuole abitare solo in un certo posto...
e a volte dice che è stato concepito per abitare in
2 cuori e non in uno soltanto... eh sì, mio figlio
Amore è molto complesso.
Quando comincia a far danni, devo chiamare subito suo padre
Tempo affinché chiuda le ferite procurate dal figlio!
Una persona un giorno mi ha detto:
"alla fine tutto si sistema sempre... in un modo o nell'altro...
Se le cose ancora non si sono sistemate è perché
non siamo ancora giunti alla fine"
Per questo ti dico di avere fiducia nella
mia famiglia.
Credi in mio marito Tempo, nei miei figli Amicizia, Saggezza
e soprattutto credi in mio figlio Amore!
Se avrai fiducia in loro, stai certo che
allora io, Felicità, un giorno batterò alla
tua porta!!
E non dimenticare mai di sorridere!
Autore sconosciuto
******
INTRAPRENDERE IL VOLO
C'era un uccello che ogni giorno trovava rifugio tra i rami
secchi di un albero isolato in mezzo a un'estesa pianura.
Un giorno un forte vento fece cadere l'albero.
Il povero uccello dovette volare lontano, al di là
della pianura per trovare un albero su cui rifugiarsi.
Finalmente raggiunse un bosco pieno di alberi carichi di
frutta
"Se l'albero vecchio fosse rimasto in piedi l'uccello
non avrebbe intrapreso il volo".
******
QUELLA SERA DI PIOGGIA
Chissà quanto tempo passa tra uno
squillo e l’altro. Ve lo siete mai chiesto? Lui sì.
E questa volta sembrava davvero interminabile: una vita.
Ad ogni squillo corrispondeva un capitolo. E rivedeva tutti
quei momenti con l’ansia dello scrittore, con la ricerca
ostentata di un distacco che gli permettesse di osservarsi
in silenzio.
Non era ancora l’autunno, ma aveva già freddo
e il vento batteva impietoso sulle guance umide: piangeva,
come se fosse una clessidra a segnare il tempo. La strada
deserta e la cabina telefonica vuota. Senza accorgersene
stava rinchiudendo la sua vita e il mondo intero in quel
piccolissimo ‘studio’ dove avrebbe iniziato
a scrivere e raccontare un altro capitolo, e questa volta
l'ultimo. Ormai era deciso così.
Nemmeno quel cane che passava si era fermato a fargli compagnia:
forse era ‘scritto’ anche questo, o forse, e
più probabilmente, aveva un appuntamento: l’Amore.
Già. E’ sempre stato lAamore la causa di tutto.
E nemmeno lui ne era immune. Anzi, nemmeno loro. Ma ora,
scherzo del destino, li divideva proprio l’amore.
E lui era lì, con la sua storia, un ‘diario’
dalle pagine piagate più che piegate, nel fascino
vorticoso di un non so che... Driiin, tac, tac, tac, driiin...
Sapeva benissimo che non l’avrebbe trovata a casa.
Che motivo c’era ormai che lei si
facesse trovare lì? Le sere sempre più lunghe,
a dispetto dell’accorciarsi delle giornate, e la debole
luce della lampada non bastavano più. Per fortuna
c’erano le amiche a riempire un po’ di tempo.
Ma per quanto? E poi? Non aveva certo l’intenzione
di diventare daltonica... tutto grigio: giorni e notti,
lacrime e sorrisi, grida e silenzi... No! Che continuasse
a squillare quel telefono, grigio pure lui; che continuasse
pure. Tanto lei sapeva tutto: che la stava cercando, ultimo
scampolo di dovere familiare; sapeva che era già
per strada, sulla via del ritorno. Ma con quale coraggio,
si chiedeva lei, si può parlare ancora di ritorno?
Il suo intuito l’aveva preceduto di un bel pezzo.
E poi lo conosceva alla perfezione, ne conosceva tutti i
ritmi. E sapeva che questa sarebbe stata la serata decisiva,
‘l’ultima’.
Soltanto un cuore innamorato sapeva far questo. Si strinse
le mani ancora una volta, ingoiò quel diluvio di
sofferenza che da tanto tempo ormai la faceva annaspare
alla ricerca di brevissime boccate d’ossigeno, e corse
a casa, a farsi pronta. Lo amava tanto, da sempre, ma sapeva
che nessuna resistenza, nessun tentativo sarebbero serviti
a fargli cambiare idea. E prima di sciogliersi nell’elenco
delle recriminazioni, aveva promesso a se stessa che avrebbe
sofferto da sola: inutile farlo in due... Era libero già
da quel momento, senza che lui lo sapesse. In compenso lo
sapeva lei, e questo era più che sufficiente; a volte
anche ‘troppo’.
La casa era vuota e silenziosa; ma lei
c’era abituata. La scelta o la condanna non facevano
più differenza. Nico e Lia sarebbero tornati solo
il giorno dopo. Sì, era la serata ideale per tutti
e per tutto: uno sprazzo d’intimità, pochissime
parole, e qualche lacrima. Oh sì, lo conosceva davvero
bene il suo amore.
Il trillo del campanello e la chiave nella toppa si confusero
con i lenti e grigi rintocchi dell’orologio, riempiendo
la stanza di suoni cupi e uniformi, presagio di un dolorosissimo
distacco, quasi l’ anticipo di una liturgia funebre.
La giacca a vento appesa con garbo, la cartella al suo posto,
e la poltrona già pronta. Tutto era in ordine, o
quasi tutto... (Avete forse dimenticato di quando vi siete
innamorati anche voi)? Comunque esteriormente tutto era
in ordine: quel suo ‘diario’ aperto sull’ultima
pagina, e la ‘stilografica’ intinta in un inchiostro
rosso sangue.
Aveva letto da qualche parte che Dio creò
con la parola immediatamente seguita dall’opera compiuta.
Così iniziò a parlare anche lui; sperando
che qualcosa di nuovo succedesse già alle prime parole.
Ma lei sapeva anche questo. D’altronde, chi era stato
a ‘suggerirgli’ passo dopo passo le parole e
le azioni di tutto quel periodo vissuto insieme? Solo l’amore
discreto e fedele di lei, anche quando si era sentita trascurata,
anche quando per lui gli amici avevano contato di più...
“Ciao” le disse timidamente.
“Ciao”.
“Mi spiace aver fatto tardi anche questa sera. Ma
se penso che sono stato tentato di non tornare nemmeno...
forse mi trovo anche in anticipo”.
Lei sorrise cercando di smorzare un po’ di tensione;
ma questo non bastava. Quella sera esigeva qualcosa di più:
una spiegazione, un chiarimento. E lui doveva farlo. E comunque
l’attesa fu veramente breve.
“Devo parlarti” riprese lui.
“Lo so”.
“Oggi sono stato da...”
Era il momento segnato dal destino, contraddittoriamente
atteso e respinto. Il momento di dimostrargli la grandezza
dei suoi sentimenti, anche a costo di lasciarsi spaccare
il cuore. Lo interruppe con quel disperato gesto d’amore,
ingoiando un’altra di quelle piene.
“So perfettamente dove sei stato quest’oggi.
Ci sono stata anch’io. Ne ho discusso con chi sai.
Volevo conoscere, comprendere...”.
Lui sgranò gli occhi.
“Quando l’hai capito?” le chiese.
“Da tanto. Da prima ancora che tu stesso te ne rendessi
conto. Fa parte della nostra eredità femminile: istinto
e sofferenza”.
Le parole erano accompagnate da un altro rintocco. Più
solenne che mai.
“E’ un cuore ferito che ti parla -riprese-,
stanco di solitudine e di attesa. Ma è pur sempre
un cuore innamorato, il solo capace di comprendere e giustificare
l’amore, sempre. Per questo... va’, sii felice
con chi ami oggi. E principalmente sii uomo fino in fondo,
con le tue decisioni e le tue responsabilità, con
la fatica delle tue scelte. Sii uomo come fino ad oggi non
lo eri mai stato. Continua come lo sei stato questa sera.
E sappi, comunque, che io non amerò che te, e Nico
e Lia, per sempre. Solo voi nella mia vita.”
Le lacrime ormai si fondevano in un unico abbraccio quasi
asfissiante. Finalmente avevano ritrovato se stessi. Ed
ora si sentivano uniti più che mai. Quella pioggia
d’amore aveva cancellato le ultime parole sul ‘diario’.
E poi sicuramente non ci sarebbe stato spazio per scrivere
tutto il resto: la vita che riprendeva sotto il giallo dorato
del sole che benevolo sorride da sempre sul destino degli
uomini. E altre parole si scrivevano sul pentagramma dei
suoi raggi come la più dolce di tutte le melodie:
“Va’, figlio mio, e sii felice. So che ti aspetta
già”.
“Ciao mamma, e grazie. Se domani
sarò Sacerdote di tutti lo devo esclusivamente a
te”.
L’indomani il cielo era di un azzurro
splendente e non ci sarebbero state nuvole per molti giorni.
Quell’unica ‘goccia’ che cadde in mezzo
a loro, non era di passaggio... Suggellava l’amore.
******
|