Spesso era mandato in Chiesa a far quelle cose di cui suo zio Prevosto gli dava incumbenza, spesso egli medesimo vi si recava sotto pretesto avervi che fare, ma non ne usciva mai senza prima trattenersi alquanto col suo Gesù, e raccomandarsi alla cara sua madre Maria. Non correva solennità, non si faceva catechismo, o predica, non si dava benedizione, né altra funzione facevasi in Chiesa a cui egli non intervenisse con animo allegro, e contento a prestar quei servizi di cui era capace. Il suo zio Rettore di Cinzano (di cui Luigi ne andava ognor copiando le virtù) al vedere rampollo sì vigoroso, e che prometteva sì bei frutti, volle pure secondarlo nelle sue risoluzioni. Chiamatolo pertanto a sé un giorno: hai dunque, gli disse, vera volontà di farti prete? È appunto questo che io desidero, e null'altro, rispose. E perchè? Perchè essendo i preti quelli che aprono il paradiso agli altri, spero che lo potrò poi anche aprire per me.
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Sul cominciare dell'anno scolastico 1835 trovatomi in una casa di pensione in Chieri, udii il padrone a dire: «mi fu detto, che a casa del tale vi deve andare uno studente santo». Io feci un sorriso prendendo la cosa per facezia. «È appunto così, soggiunse, ci deve essere il nipote del Prevosto di Cinzano, giovine di segnalata virtù». |
Nulla meno un giorno un suo compagno gli si avvicinò, e colle parole, e con importuni scuotimenti voleva costringerlo a prender parte di quei salti smoderati che nella scuola si facevano; «no, mio caro, dolcemente rispondeva Luigi, non sono esperto, mi espongo a far topica». Indispettito l'impertinente compagno, quando vide che non voleva arrendersi, con insolenza intollerabile gli diede un gagliardo schiaffo sul volto.
Io raccapricciai a tal vista, e siccome l'oltraggiatore era d'età, e di forze inferiore all'oltraggiato, attendeva che gli fosse resa la pariglia; ma fu ben altro lo spirito del Comollo: egli rivolto a chi l'avea percosso si contentò di dirgli: «se sei pago di questo, vattene pure in pace che io ne son contento».
Questo mi fece ricordare di quanto aveva udito, che vi doveva venire un giovane santo alle scuole, e chiestane la patria, e il nome, conobbi essere appunto quello di cui aveva sì lodevolmente inteso a parlare.
Come poi nel rimanente si diportasse in fatto di studio e di diligenza, io nol saprei meglio esprimere che colle parole stesse dell'ottimo suo Professore, il quale si degnò scrivermi del seguente tenore:
«Benché il carattere, e l'indole dell'ottimo giovane Comollo possano essere meglio conosciuti a V.S. che l'ebbe per condiscepolo, e poté più da vicino osservarlo, di quello che non lo siano a me stesso, tuttavia assai di buon grado le mando in questa lettera il giudicio che io me n'era formato infin d'allora quando l'ebbi a scolare pel corso de' due anni 1835, e 1836 nello studio dell'Umanità, e della Rettorica nel Collegio di Chieri.
Esso fu giovine d'ingegno, e fregiato dalla natura di un'indole dolcissima. Coltivò con ammirabile diligenza lo studio, e la pietà, e sempre si mostrò attentissimo ad ogni insegnamento, ed era così scrupoloso, e vigilante nell'adempimento del suo dovere, che non mi ricordo di averlo mai avuto a rimproverare della benché menoma negligenza. Egli poteva essere proposto ad esemplare ad ogni giovane per la intemerata sua condotta, per l'ubbidienza, per la docilità; onde io meco stesso m'aveva fatto un ottimo augurio allorché seppi che era entrato nella carriera Ecclesiastica.
Nol vidi mai altercare con alcuno dei suoi compagni, il vidi bensì alle ingiurie, ed alle derisioni rispondere coll'affabilità, e colla pazienza. Io lo guardava come destinato a confortare la vecchiaia del venerando suo zio, il degno Prevosto di Cinzano, che lo amava teneramente, ed aveva così di buon ora saputo seminare nel cuore di lui tante rare, e singolari virtù.
Mi giunse perciò oltremodo dolorosa la notizia della sua morte, e solo mi confortai nel pensiero che in breve tempo aveva con le sue virtù compiuta anticipatamente una lunga carriera, mentre Iddio forse lo volle a sé chiamare con immatura morte, perché lo vedeva oltre la sua età provveduto di buoni meriti, e noi dobbiamo, in ciò venerare la divina volontà.
Ella mi chiede che io le dica qualche singolarità in lui osservata, ma quale cosa potrò io dirle che sia più singolare della sua uniformità, e costanza in una età che è tanto leggiera, e vaga di novità e mutazioni? Dal primo giorno che entrò nella mia scuola sino all'ultimo pel corso di due anni egli fu sempre a se stesso uguale, sempre buono, e sempre intento ad esercitare la sua virtù, la sua pietà, la sua diligenza»... Così il suo Professore.
Né queste belle doti erano meno esercitate fuori di scuola. «Io conobbi, dice il padrone di sua pensione, nel giovane Comollo il complesso di tutte le virtù proprie non solo dell'età sua, ma di persona lungo tempo nelle medesime esercitata. D'umore sempre uguale, ed allegro, imperturbabile ad ogni avvenimento, non dava mai a conoscere quello che fosse di special suo gusto, sempre contento di quanto se gli offriva, non mai si sentì da lui profferire, questo è troppo salso, o troppo insipido, oppure fa molto caldo, o molto freddo; non mai si udì dalla sua bocca una parola meno che onesta, o moderata; parlava volentieri delle cose di religione, e se qualcheduno metteva fuori discorso, o racconto spettante alla religione pretendeva sempre che si parlasse con massima riverenza e rispetto dei sacri ministri.
Amantissimo del ritiro, non mai usciva senza licenza, dicendo il tempo, il luogo, e il motivo per cui si assentava. In tutto il tempo che dimorò in questa casa, fu di grande stimolo per gli altri a vivere da virtuoso, e riuscì a tutti di gran dispiacere allorché dovette cangiare luogo per vestire l'abito chiericale, e recarsi nel Seminario, privandoci colla sua persona di un raro modello di virtù».
Io pure posso dire lo stesso, giacché in varie occasioni, che gli parlai, o trattai insieme, non l'udii mai querelarsi delle vicende del tempo, o delle stagioni, del troppo lavoro, o del troppo studio; anzi qualora avesse avuto qualche tempo vacante, tosto recavasi da qualche compagno per farsi rischiarire alcune difficoltà, o conferire qualche cosa spettante allo studio, o alla pietà.
Non minore era l'impegno per le osservanze religiose, e per la vigilanza in tutto ciò che riguardava alle cose di pietà: ecco quanto scrive il signor Direttore spirituale delle scuole, che di certo poté intimamente conoscerlo. «Mi ha fatta inchiesta la S.V. di darle notizie di un figliuolo del quale mi è carissima la memoria, e dolcissima cosa il risponderle. Non è il giovane Comollo Luigi un di quelli, in riguardo di cui io debba usare espressioni evasive, oppure che io tema di esaggerare nel rendergliene la più lodevole testimonianza. Ella ben sa che appartenne ad una classe fra le altre distinta di studenti dati alla pietà, ed allo studio, ma tra questi brillava, e primeggiava il nostro Comollo; mi rincresce che ci tocchi già lamentare la morte del Prefetto delle scuole, il quale e dello studio, e della regolarissima sua condotta anche fuori di collegio potrebbe farne le più belle testimonianze.
Quanto a me oltre il poterla rassicurare di non avere mai avuto motivo di rimproverare alcuna mancanza nemmeno leggiera, posso asserirle, che assiduo alle congregazioni, compostissimo, sempre attento alla divina parola, divotissimo nell'assistere alla santa messa, ed ai divini uffizi, frequente ai santi sacramenti della Confessione, e Comunione, veramente diligentissimo ad ogni dovere di pietà, esemplarissimo in ogni atto di virtù, l'avrei di buon grado proposto a tutti gli altri studenti qual luminoso specchio, e raro modello di virtù.
Per quanto lo comportava la sua classe, l'anno di Rettorica fu nominato a carica, quale si concede solamente a' studenti più distinti per pietà, e studio; si desiderava allora, e si desidera ancora al presente un giovane studente, d'indole, e costumi simile al Comollo Luigi.
Il nostro s. Luigi ricordava nel suo nome, e pareva che molte sue virtù volesse ricopiare nei fatti. Non mi si dimandò mai notizia di altro studente, che più volentieri io abbia reso di questa; posso dirle tutto il bene possibile in un giovine. Raptus est ne malitia mutaret intellectum eius. Spero che ora in Cielo preghi per me». Sin qui il suo Direttore spirituale.
Io non saprei più che aggiungervi alle sovra esposte dichiarazioni, se non quel tanto che nella sua condotta esterna ho osservato. Terminati appena gli esercizi di pietà che nei giorni festivi nella capèella della congregazione si facevano, ben lungi dall'andarsene al passeggio, o a qualche altro lecito divertimento, egli tosto portavasi al catechismo dei fanciulli solito a farsi nella Chiesa dei PP. Gesuiti, al quale, come pure a tutte le altre sacre funzioni, divotamente assisteva.
Quella stessa curiosità, ed anzietà di vedere, e sentire generalmente comune a tutti quelli che da paesi vengono nelle città, il che d'altronde è proprio di quell'età, o fosse benefizio dell'indole felice sortita dalla natura, o merito di virtù, pareva che in lui fosse affatto estinta. Quindi il suo andare, e venire dalla scuola era tutto raccoglimento, e modestia, ne mai andava qua, e là vagando o collo sguardo, o colla persona: eccettochè per prestare il debito rispetto ai Superiori, alle Chiese, a qualche immagine, o pittura della B.V., dinanzi cui non fu mai che passasse, senzaché con rispetto non si traesse il capello.
A tal proposito più volte nell'accompagnarlo mi avvenne che il vedeva scoprirsi il capo senza saperne il perchè; ma guardando poscia attento scorgeva quinci, o quindi in qualche muro dipinta l'immagine della Madonna.
Era ormai sul finir del corso di Rettorica, che io l'interrogava sulle cose più curiose, o sui monumenti più ragguardevoli della Città, ed egli rispondeva di non ne essere punto informato, come se fosse stato del tutto forestiero. Quanto più poi era alieno dalle vicende, e occupazioni temporali, tanto più era informato, e instrutto delle cose di Chiesa. Non facevasi esposizione delle Quarantore, o di altra funzione di Chiesa che egli nol sapesse, e se il tempo gliel permetteva non v'intervenisse. Aveva il suo orario per la preghiera, lettura spirituale, visita a Gesù sacramentato, e ciò era scrupolosamente osservato.
Alcune mie circostanze vollero che per più mesi ad ora determinata mi recassi al Duomo, e questa era appunto l'ora che il Comollo andava a trattenersi col suo Gesù. |
Benché poi fosse così concentrato nelle cose di spirito, non vedevasi mai rannuvolato in volto, o tristo, ma sempre ilare, e contento rallegrava colla dolcezza del suo parlare, e suoleva dire che gli piacevano grandemente quelle parole del profeta David: Servite Domino in laetitia; parlava volentieri di storia, di poesia, delle difficoltà della lingua latina o italiana, e questo in maniera docile, e gioviale, sì, che mentre profferiva il proprio sentimento, mostrava sempre di sottometterlo all'altrui.
Aveva un compagno di special confidenza per conferire di cose spirituali, il trattare, e parlare delle quali gli era di grande consolazione. Parlava con trasporto dell'immenso amor di Gesù nel darsi a noi in cibo nella santa Comunione: quando discorreva della Madonna, tutto si vedeva compreso di tenerezza, e dopo d'avere raccontato, o udito raccontare qualche grazia concessa dalla Madonna a favore del corpo, egli sul finir tutto rosseggiava in volto, e alle volte rompendo anche in lagrime esclamava: "se Maria cotanto favorisce questo miserabile corpo, quanti non saranno i favori che sarà per concedere a pro delle anime di chi la invoca?
Tanta era la stima che aveva delle cose di religione, che non solo non poteva patire se ne parlasse con disprezzo, ma nemmeno con indifferenza; a me stesso una volta accadde che scherzando, mi servii di parole della sacra scrittura, e ne fui vivamente ripreso, dicendomi non doversi faceziare colle parole del Signore.
Quando alcuno voleva raccontare qualche cosa riguardante i Sacerdoti, tosto premetteva o doversene parlar bene, o tacere affatto, perchè erano Ministri di Dio. In simil guisa andava il nostro Luigi preparandosi alla vestizione Chiericale, e quando ne parlava mostravasi tutta gioia, e contento. «Possibile - suoleva dire - che io miserabile guardiano di buoi, abbia a diventare Prete pastore delle anime? eppure a niun'altra cosa mi sento inclinazione, questo mi dice il Confessore, mel dice la volontà, solo i miei peccati mi dicono il contrario; n'andrò a subire l'esame, l'esito del quale mi sarà qual arbitro della volontà Divina sulla mia vocazione».
Si raccomandava anche spesso ad alcuni suoi colleghi che pregassero, perché il Signore lo illuminasse, e gli facesse conoscere se fosse, o no chiamato allo stato Ecclesiastico. Così fra la stima dei compagni, fra l'amore dei superiori, onorato, e tenuto da tutti qual vero modello d'ogni virtù compiva il corso di Rettorica l'anno 1836.
Come ebbe subito l'esame suddetto, e sortitone favorevole esito, si preparava per la vestizione. Qui io non saprei come chiaramente esprimere tutti gli affetti di tenerezza che ebbe a provare in tal circostanza. Pregava egli, faceva pregare altri per lui, digiunava, prorompeva sovente in lagrime, si tratteneva molto in Chiesa, sinché giunto il giorno di sua festa (così chiamava il giorno di sua vestizione chiericale) fece la sua confessione, e comunione, e contento assai più che se fosse sublimato a qualunque più onorevole carica, tutto compreso di santa apprensione, tutto concentrato in sentimenti di religione, raccolto, e modesto che pareva un angioletto, fu insignito del tanto rispettato, e desiderato abito ecclesiastico.
Tal giorno fu sempre mai per lui memorando, e suoleva dire essersi il suo cuore totalmente cangiato, di pensoso, e rannuvolato, divenuto tutto ilare, e gioviale, e che ogni qual volta rammentava un tal giorno sentirsi di tenera gioia innondare il cuore.
Venne intanto il giorno dell'apertura del Seminario, dove egli puntualmente recandosi fece campeggiare le sue non istraordinarie, ma compiute virtù. Quello poi che in ispecial modo lo distinse, fu un esatto adempimento de' suoi doveri di pietà, e studio, un ardente spirito di mortificazione. Aveva letto nella vita di sant'Alfonso, come esso aveva fatto quel gran voto di non perdere mai tempo, la qual cosa era al Comollo motivo di alta ammirazione, e studiavasi con tutto l'impegno d' imitarlo; perciò fin dal suo primo entrare nel Seminario, s'appigliò con tal diligenza alle cose di studio, e di pietà, che di tutte le occasioni, e di tutti i mezzi approffittava, che al suo scopo tendessero, all'esatta occupazione del tempo.
Suonato il campanello subito interrompeva checché facesse per rispondere alla voce di Dìo (cosi chiamava il suono del campanello) che lo chiamava al suo dovere, e m'accertò più volte, che dato un tocco il campanello gli era impossibile il continuare ciò che aveva fra le mani, perché rimaneva tutto confuso, e non sapeva più che si facesse. Tanto radicata era in lui la virtù dell'ubbidienza.
Non parlo dei Superiori, ai quali ubbidiva ciecamente senza mai dimandar conto, o ragione di ciò che gli era ingiunto; ma agli stessi colleghi assistenti, anche agli uguali mostravasi attento, docile ad ogni loro ordine, e consiglio non altrimenti che ai Superiori medesimi. Dato il segno di studio puntualissimo v'interveniva, e in raccolto atteggiamento composto si applicava in maniera che a qualunque rumore, chiacchera, leggerezza, che da altri si facesse, pareva fosse insensibile, né punto più della persona si moveva, se non al segno del campanello.
Un dì, che un compagno passandogli dietro gettogli a terra il mantello, esso si contentò di fargli un semplice motto, acciocché meglio si guardasse altra volta, il compagno indispettito rispose con viso alterato, e con parole offensive; allora il Comollo s'appoggiò di nuovo sulla tavola, e tutto tranquillo si pose a studiare, come se nulla a lui fosse stato detto o fatto.
Nella ricreazione, nei circoli, nei tempi di passeggiata desiderava sempre discorrere di cose scientifiche, anzi suoleva in tempo di studio formarsi nella mente una serie delle cose che meno intendeva per quindi tosto comunicarle in tempo libero ad un compagno, con cui aveva special confidenza, onde averne nel miglior modo possibile, la dichiarazione.
Nel mentre che animava le conversazioni con varie utili ricerche, e racconti, osservava tuttora in pratica quel non mai abbastanza encomiato tratto di civiltà: di tacere quando taluno parlava: pel che non di rado avvenivagli di troncare a mezzo la parola, onde dar campo che altri liberamente parlasse.
Abborriva grandemente lo spirito di critica, o di censura sulle persone altrui, parlava dei Superiori, ma sempre con riverenza, e rispetto; parlava dei compagni, ma sempre con carità, e moderazione; parlava dell'orario delle costituzioni, o regolamenti del Seminario, degli apprestamenti di tavola, ma sempre con espressioni di soddisfazione, e di contento; di modo che io posso con tutta schiettezza affermare, che nei due anni e mezzo che lo frequentai nel Seminario, non lo intesi mai a proferire parola, che fosse contraria a quel principio che fisso teneva nella sua mente: degli altri o parlarne bene o tacerne affatto.
Qualora poi fosse stato costretto a dare il proprio giudizio sui fatti altrui, procurava sempre interpretarli nel senso migliore, dicendo avere imparato dal suo zio, che un'azione di cento aspetti, novantanove cattivi, uno buono, si doveva prendere sotto l'aspetto buono e giudicare bene di tale azione.
Per l'opposto parlando di se stesso, taceva tutto quello che poteva tornare in sua lode, non faceva mai parola di carica, onore, o premio a lui compartito, che anzi avvenendo che taluno il lodasse, mettevane la lode in facezia, abbassando così se stesso mentre altri l'esaltava.
Quei bei fiori di tenera divozione onde noi l'abbiamo veduto adorno tra le glebe, e i pascoli; negli studi, ben lungi dall'appassire cogli anni, pervennero a mostrarsi in tutta loro bellezza, e compiuta perfezione. Dato il segno della preghiera, o di qualunque altra sacra funzione, accorreva immantinente colla più esatta diligenza, e composto nella persona, col massimo edificante raccoglimento di tutti i suoi sensi, si faceva a favellare col Signore, né mai si ravvisò nel Comollo il menomo rincrescimento a portarsi in Cappella, o altro luogo ad assistere a cose di divozione.
Bensì il mattino al primo tocco del campanello tosto si alzava da letto, e aggiustato quanto era di dovere, recavasi un quarto d'ora prima degli altri in Chiesa a preparare l'anima sua per l'orazione.
I seminaristi nei giorni festivi, o anche feriali in cui assistessero alle solenni funzioni di Chiesa, solevano essere dispensati dal recitare la corona della B.V.: il Comollo non seppe mai astenersi da siffatta special divozione, ma terminate le funzioni di Chiesa, mentre che ognuno passava il tempo nella permessa ricreazione, egli con un altro compagno si ritirava in Capella a pagare, come suoleva dire, i debiti alla sua buona Madre colla recita del SS. Rosario.
Ne' giorni di vacanza e particolarmente nelle ferie del SS. Natale, di carnovale, delle solennità Pasquali, egli anche più volte al giorno lontano dai suoi comuni divertimenti andava col solito compagno a recitare, quando i salmi penitenziali, quando l'ufficio dei defunti, o quello della B.V., e questo in suffraggio delle anime del purgatorio.
Sempre amante e devoto di Gesù sacramentato oltre il fargli frequenti visite, e comunicarsi spiritualmente, approffittava pure di tutte le occasioni per comunicarsi sacramentalmente, il che faceva con grande edificazione dei circostanti.
Premetteva alla Comunione un giorno di rigoroso digiuno in onore di Maria SS.; dopo la confessione non voleva più parlare d'altro, che di cose concernenti alla grandezza, alla bontà, all'amore del suo Gesù che si preparava a ricevere nel dì seguente, e giunta l'ora d'accostarsi alla sacra mensa, io lo scorgeva assorto nei più alti, e divoti pensieri, e composta la persona nel più divoto atteggiamento, a passo grave cogli occhi bassi dando in frequenti scuotimenti di santa commossione avvicinavasi a ricevere il Santo dei Santi.
Ritiratosi poscia a suo posto pareva fosse fuor di sé, tanto vivamente vedevasi commosso, e da viva divozione penetrato. Pregava, ma ne era interrotto da singhiozzi, interni gemiti, e lagrime, né poteva acquetare i trasporti di tenera commozione, se non quando terminata la Messa si cominciava il canto del mattutino.
Avvertito da me più volte a frenare quegli atti di esterna divozione, come quelli che potevano dare nell'occhio altrui, mi sento, rispondevami, mi sento una piena di tal contento nel cuore, cui se non permetto qualche sfogo pare mi voglia togliere il respiro. Nel giorno della comunione diceva altre volte, mi sento sì ripieno di dolcezza, e di contento, che né so capire, né spiegare.
Da ciò ognun vede chiaramente come il Comollo fosse avvanzato nella via della perfezione, giacché quei movimenti di tenera commozione, di dolcezza, di contento per le cose spirituali sono un effetto di quella fede viva, e carità infiammata, che altamente gli era radicala nel cuore, e costantemente lo guidava in tutte le sue azioni.
A questa divozione interna andava strettamente congiunta un'esemplare mortificazione di tutti i suoi sensi esteriori. Modesto qual era negli occhi spesso gli avveniva di far passeggiate in giardini, o ville; senza che egli avesse menomamente veduto quello di più rimarchevole che tutti gli altri aveano osservato; non vagava mai qua e là collo sguardo, ma cominciato col suo compagno qualche buon discorso, attento il continuava, non mai badando a checché occorresse, e tal volta accadde, che dopo il passeggio interrogato dal compagno se avesse veduto suo padre, che pur gli era passato vicino, e l'aveva salutato, rispose di non averlo veduto.
Sovente era visitato da alcune sue cugine di Chieri, e questo gli era un grave cruccio, dovendo trattare con persone di diverso sesso, onde appena detto quello che la stretta convenienza, e il bisogno voleva, raccomandando loro con bella maniera di venirlo a trovare il meno possibile, tosto da loro si licenziava. Richiesto alcune volte se quelle sue parenti (colle quali trattava con tanto riserbo) fossero grandi, o piccole, o di straordinaria avvenenza, rispondea che all'ombra gli parevano grandi, che più oltre nulla sapeva non avendole mai rimirate in faccia. Bell'esempio degno di essere imitato da chiunque aspira o trovasi nello stato ecclesiastico!
Era assueffatto d'incroccicchiar l'una coll'altra le gambe e di appoggiarsi col gomito quando gli veniva bene fosse a tavola, nello studio, o in iscuola. Per amor di virtù anche di questo si volle correggere, e per riuscirvi pregò instantemente un compagno, il quale ogni volta l'avesse veduto nelle succitate posizioni, acremente il dovesse ammonire, e rampognare, dandogli special penitenza.
Ecco onde procedeva quell'esteriore compostezza per cui in Chiesa, nello studio, in iscuola o in refettorio innamorava ed edificava chiunque il rimirasse.
Le mortificazioni circa il cibo erano quotidiane: d'ordinario quando più sentivasi bisogno di far colezione era appunto allora che se ne asteneva. A tavola era parco al sommo, beveva poco vino, e quel poco adacquato. Talvolta lasciava pietanza, e vino contentandosi di mangiare pane inzuppato nell'acqua sotto lo specioso pretesto che gli tornava meglio per la corporal sanità, ma in realtà per ispirito di mortificazione; giacché avvertito che un simile cibo poteva cagionargli male di capo, o di stomaco, rispondeva: a me basta che non possa nuocere all'anima. Nel sabbato d'ogni settimana digiunava per amor della B.V. nelle altre vigilie, nel tempo quaresimale, anche prima che fosse per età tenuto, digiunava con tal rigore, principalmente nella piccola refezione della sera, che un compagno, il quale eragli accanto a mensa, disse più volte che il Comollo voleva uccidersi. T
ali sono i precipui atti di penitenza esterna che mi sono noti, dai quali lieve cosa sarà argomentare quello che ei nudrisse cuore, giacché se le azioni esteriori derivano sempre dall'abbondanza di cuore, bisogna pur dire che l'animo del Comollo fosse di continuo occupato in teneri affetti d'amor di Dio, di viva carità verso il prossimo, e di ardente desiderio di patire per amor di Gesù Cristo.
La vita che il Comollo tenne nel Seminario diede sempre (così si esprime un suo Superiore) ottima e santa idea di lui, mostrandosi in ogni occorrenza esattissimo nei suoi doveri sì di studio che di pietà, esemplare affatto nella sua moral condotta, così che tutto il suo contegno dimostrava un'indole la più docile, ubbidiente, rispettosa, e religiosa. Egli era gradevole nel parlare, epperciò chiunque fosse in tristezza, conversando con lui ne rimaneva consolato; modesto, edificante nelle parole, e nei tratti sì che anche i più indiscreti erano obbligati riconoscere in lui uno specchio di modestia, e di virtù, e un suo compagno ebbe a dire, che il Comollo era per lui una continua predica; che era un mele che raddolciva i cuori, e gli umori anche i più bizzarri. Un altro compagno disse più volte che voleva adoperarsi a tutta possa per farsi santo, e per riuscirvi non erasi fissato altro che seguire le traccie del Comollo; e benché si vedesse di gran lunga indietro da lui, nulla meno essere assai contento di quel tanto che veniva in lui ricopiando.
Il tempo di vacanza per lui in quanto alla morale sua condotta era quello stesso del Seminario. Assiduo nella frequenza dei Ss. Sacramenti, nell'esercizio delle sacre funzioni, nel fare il Catechismo ai ragazzi in Chiesa, (il che faceva già sin da quando era ancora vestito da laico) ed anche pelle vie quando gli avveniva d'incontrarne.
Ecco come egli stesso esprime il suo orario in una lettera diretta ad un amico. «Ho già passati circa due mesi di vacanze, i quali anche con questo caldo eccessivo m'hanno fatto assai bene per la corporale sanità. Ho già studiato quegli avvanzi di logica e d'etica che si sono ommessi nel decorso dell'anno; leggerei volentieri la storia sacra di Giuseppe Flavio che mi suggerisci, ma ho già incominciata la storia delle eresie, onde verrà a mancarmi il tempo. Del resto la mia stanza, è tuttora l'ameno paradiso terrestre; quivi entro, salto, rido, studio, leggo, canto, e non vi vorrebbe altro che tu per far la battuta; a tavola, in ricreazione, a passeggio sempre mi godo la compagnia del caro mio zio, il quale sebbene cadente pegl'anni è sempre giulivo, e lepido, e mi racconta ognor cose una più bella dell'altra locchè mi contenta all'estremo.
Ti attendo pel tempo stabilito, stammi allegro; e se mi vuoi bene prega il Signore per me etc.»
Affezionatissimo qual era a tutte quelle cose che riguardavano l'ecclesiastico ministero, godeva molto quando vi si poteva occupare, sicuro segno che il Signore lo chiamava allo stalo a cui aspirava. Suo zio Prevosto per coltivare sì prezioso terreno, e secondare l'ottima inclinazione del nipote l'impegnò a fare un discorso in onore di Maria SS., ed ecco come egli esprime i suoi sentimenti in un'altra lettera scritta allo stesso succitato suo compagno.
«Debbo significarti un affare, che da un canto mi consola, dall'altro mi confonde. Il mio zio mi diede incumbenza di fare un discorso sulla gloriosa assunzione di M.V. L'essere eccitato a parlare di questa mia cara Madre tutto mi riempie di gioia il cuore. Dall'altro canto conoscendo la mia insufficienza, veggo pur chiaro quanto io sia lungi dal saperne tessere condegnamente gli encomii. Checché ne sia, appoggiato all'aiuto di colei di cui debbo favellare mi dispongo ad ubbidire; l'ho già scritto, e mediocremente studiato; lunedì sarò da te onde l'ascolti recitare, e mi facci le osservazioni che stimerai a proposito sia riguardo al gesto, come riguardo alla materia.
Raccomandami all'Angelo Custode pel buon viaggio:... addio».
Io tengo presso di me questo discorso, nel quale quantunque siasi servito di alcuni autori, nulla meno la composizione è sua; e vi si scorgono espressi tutti quei vivi affetti onde ardeva il suo cuore verso la gran Madre di Dio.
Nello esporlo poi vi riuscì mirabilmente. «Sul punto di comparire alla presenza del popolo, scriveva egli, io mi sentii mancare la forza, la voce, e le ginocchia non mi volean più reggere; ma tostochè Maria mi porse la mano divenni all'istante vigoroso e forte; di maniera che lo cominciai, lo proseguii sino alla fine senza il menomo intoppo; questo lo fece Maria, io non già, sia lode a lei».
Di lì a qualche mese essendomi recato in Cinzano, richiesi ad alcune persone che loro paresse della predica del Chierico Comollo, al che tutti mi risposero lodevolmente. Il suo zio disse che vedeva l'opera di Dio manifestata nel suo nipote: predica da santo, mi diceva taluno; oh, diceva un'altro pareva un angelo da quel pulpito, tanto era modesto, e franco nel ragionare! altri: che bella maniera di predicare... ciò dicendo ripetevano alcuni sentimenti e per fino le stesse parole che fisse ancora avevano nella memoria.
Senza dubbio sarebbe stato grande il bene che avrebbe fatto nella vigna del Signore un coltivatore di così buona volontà.
Tale appunto era l'aspettazione del vecchio suo zio, tale la speranza dei genitori, tale pure il desiderio di tutti i suoi compatriotti, de' suoi superiori, de' suoi compagni; se non che Iddio già lo vedeva abbastanza maturo per lui, e perchè la malizia del mondo non venisse a cangiare il suo intelletto, volle compensare la sua buona volontà e chiamarlo a godere il frutto dei meriti già acquistati, e di quelli che vieppiù bramava di acquistare.
Non è mio scopo di esporre cose a cui io attribuisca del soprannaturale; io dirò solo i fatti nella maniera che sono avvenuti colla più scrupolosa esattezza, lasciando ognuno in libertà di farne quel giudizio che gli paia migliore. |
Sul finire delle stesse vacanze, recossi in Torino e dimorò più giorni in casa di una persona di molto buon giudizio, da cui rilevo, e trascrivo le seguenti parole: «Noi fummo tutti grandemente edificati dalla modestia di quel buon Luigi; cortese, affabile, semplice inspirava pietà in ogni sua azione, ma specialmente quando pregava, pareva un san Luigi.
Era nostro piacere grande che si fosse trattenuto ancora qualche tempo con noi, ma ei se ne volle assolutamente partire. Nell'atto che si licenziava, addio, gli dissi, forse non ci vedrem più; no... no, rispose egli, non ci vedrem più; non è però a tuo riguardo che parlo così, io replicai, ma per la mia età già di molto avanzata, che anzi voglio, e te lo auguro che tu venga a dir Messa nuova.
Allora egli con parole franche, e risolute, oh rispose, io non dirò Messa nuova; l'anno venturo Ella vi sarà ancora, e io non vi sarò più. Preghi intanto il Signore per me, addio.
Queste ultime parole pronunziate con tanta franchezza da persona cotanto amata, ci lasciò tutti vivamente commossi, e sovente andavamo dicendo: chi sa? che quel buon Luigi sappia di dover morire? e poiché ci venne partecipata la nuova di sua morte: troppo bene ei la previde, esclamammo!»
A questo racconto io vi presto tutta credenza, essendomi stato riferito da più persone colla stessa precisione.
Finite queste ultime sue vacanze, e messosi in via per recarsi in Seminario, era giunto a tal luogo, ove progredendo perdeva di vista il suo paese. Ivi soffermatosi, disse a suo padre: non posso togliere lo sguardo da Cinzano, e interrogato che guardasse, se forse provasse rincrescimento a recarsi in Seminario; anzi, disse, desidero di arrivarvi presto in quel luogo di pace; quel che guardo è il nostro Cinzano che lo rimiro per l'ultima volta; richiesto di nuovo se non istesse bene in salute, se volesse ritornare a casa: niente, niente, rispose, sto benissimo, andiamo allegri, il Signore ci aspetta.
Queste parole, dice suo padre, le abbiamo più volte in casa ripetute ed ogni qual volta passo in quel luogo, anche presentemente, a stento posso trattener le lagrime. Il presente ragguaglio fu pure a me riferito prima della morte del Comollo.
Non ostante tutti questi presentimenti del fine del suo viver mortale, che il Comollo aveva in più circostanze esternati, con la solita sua tranquillità, e pacatezza con aria sempre uguale, e imperturbata continuò seriamente ad applicarsi a tutti i suoi doveri di studio, e di pietà, talché all'esame solito a subirsi alla metà dell'anno conseguì (come l'anno antecedente) il premio che si suole compartire a quelli del corso che in modo speciale per scienza, e virtù si distinguono. Io però che osservava tutti i suoi andamenti, lo vedeva oltre l'usato attento nella preghiera, e in tutto il resto delle cose di pietà; voleva sovente discorrere dei martiri del Tonchino; «quelli, diceva, sono veramente pastori del gregge di G.C., i quali danno la loro vita per la salvezza delle pecore smarrite; quanta gloria sarà loro compartita in paradiso».
Altre volte diceva: "oh potessi almeno, quando sarò per partire da questo mondo, sentirmi, sebben senza merito, dal Signore un consolante euge serve bone."
Discorreva con grande trasporto di gioia del Paradiso; e fra le belle cose che suoleva dire una fu questa: «sovente m'avviene di essere solo, e disoccupato, o di non potermi addormentare lungo la notte, ed è appunto in quel tempo che io faccio le amene, e deliziose mie passeggiate. Suppongo trovarmi sur un'alta montagna, dalla cima di cui mi sia dato scoprire tutte le bellezze della natura, contemplo il mare, la terra, paesi, città, con quanto di più magnifico in essi si trova; levo quindi lo sguardo pel sereno cielo, miro il firmamento, che tutto di stelle tempestato forma il più maraviglioso spettacolo: a questo vi aggiungo ancora l'idea di una soave musica, che a voce, e a suono faccia eccheggiare di lieti evviva valli, e monti, e così deliziando la mente con questa mia immaginazione, mi volgo in altra parte, alzo gli occhi, ed eccomi innanzi la Città di Dio; la miro all'esterno, poscia mi avvicino, e penetro dentro, qui pensa tu alle cose, che senza numero io faccio passare a rassegna»; e proseguendo nella sua passeggiata raccontava cose le più curiose, ed edificanti che egli fingevasi di vedere nelle varie sessioni del Paradiso.
Fu pure in quest'anno che gli cavai il secreto come egli facesse lunghe preghiere senza veruna distrazione; «vuoi che io ti dica, dicevami, come io mi metta a piegare, ella è un'immagine tutta materiale che ti farà ridere: «chiudo gli occhi, col pensiero mi porto entro una grande sala adornata nella maniera la più squisita, in fondo alla quale si erge un maestoso trono su cui siede l'Onnipotente, dopo di lui tutti i cori dei beati comprensori, quivi mi prostro, e con tutto il rispetto a me possibile faccio la mia preghiera».
Questo dimostra secondo le regole dei maestri di spirilo quanto la mente del Comollo fosse staccata dalle cose sensibili, e quanto ei fosse padrone di raccogliere a beneplacito le intellettuali sue facoltà.
Suoleva leggere in tempo di Messa nei giorni feriali le meditazioni sull'inferno del P. Pinamonti, intorno a che l'udii più volte a dire «nel decorso di quest'anno lessi sempre in Capella meditazioni sull'inferno, le ho già lette, e le leggo di nuovo, e benché trista e spaventosa ne sia la materia, pure vi voglio persistere, affinchè considerando mentre vivo l'intensità di quelle pene, non le abbia ad esperimentare sensibilmente dopo morie».
Coi sentimenti della più viva penetrazione nel corso della quaresima di quest'anno fece altresì i santi spirituali esercizi; finiti i quali, quasi più nulla si dovesse aspettare in questo mondo, dimostrava che il più grande di tutti i favori che il Signore gli potesse concedere era quello degli esercizi spirituali.
«Ella è grazia la più grande, diceva con trasporto ai suoi compagni, che Dio possa fare ad un cristiano accordandogli un tal mezzo onde trattare, e disporre delle cose dell'anima sua con piena cognizione, con tutto l'agio, e con soccorso di circostanze sì favorevoli, quali sono meditazioni, istruzioni, letture, buoni esempi. Oh quanto siete buono Signore verso di noi; che ingratitudine non sarebbe mai per chi non corrispondesse a tanta bontà di un Dio»!
Cosi mentre egli s'andava perfezionando nella virtù, e arrichiva l'anima sua di meriti dinanzi al suo Signore, s'approssimava il tempo in cui doveva riceverne la ricompensa come pare egli abbia in più guise antiveduto.
Un'anima sì pura, e di sì belle virtù adorna qual era quella del Comollo, direbbesi nulla dover paventare, all'avvicinarsi l'ora della morte. Eppure ne provò pur egli grande apprensione. Ahi che sarà del peccatore se anche le anime buone temono pur cotanto al doversi presentare al cospetto del divin Giudice a rendere conto dell'operato! Era il mattino del 25 marzo 1839, giorno della SS. Annunziata, che io nell'andare in Capella lo incontrai pei corridoi che mi stava aspettando, e come l'ebbi interrogato del buon riposo, mi rispose francamente essere per lui spedita.
Ne fui molto sorpreso, stante che il giorno avanti avevamo passeggiato buon tempo insieme, e sentivasi in perfetto essere di salute; onde chiesta la cagione di un tal parlare «Sento, rispose egli, sento un freddo che m'occupa tutte le membra, mi duole alquanto il capo, lo stomaco è impedito, del male però poco mi do pena, quello che mi atterisce (ciò diceva con voce seria) si è il dovermi presentare al grande Giudizio di Dio». Esortandolo io a non volersi così allarmare, essere queste certmente cose remote, e avere tutto il tempo a prepararsi, entrammo in Chiesa.
Ascoltò ancora la santa Messa, dopo la quale venne sorpreso da uno sfinimento di forze, per cui dovette tosto mettersi a letto. Terminate che furono le funzioni di Capella mi recai a visitarlo nella propria camerata, dove appena mi vide tra gli astanti, fece segno che gli m'approssimassi e fattomi chinare il capo, come se avesse a manifestarmi cosa di grande importanza, così prese a dire «Mi diceste, che era cosa remota e che eravi ancor tempo a prepararmi prima d'andarmene, ma non è così; so certo che debbo presentarmi presto al cospetto di Dio; poco tempo mi resta a dispormi; vuoi che ti dica di più? Abbiamo da lasciarci»
Io lo esortava tuttavia a non inquietarsi, e non affannarsi con tali idee; non m'inquieto, interrompendomi disse, né m'affanno, solo penso che debbo andare al gran Giudizio, e Giudizio inappellabile, e questo agita tutto il mio interno. Tali parole mi colpirono al vivo, e mi resero assai, inquieto; perciò ogni momento desiderava sapere delle sue nuove, e ogni volta che io lo visilava mi ripeteva sempre le stesse parole. S'avvicina il tempo che debbo preentarmi al divin Giudizio, dobbiamo lasciarci», talmente che nel decorso di sua malattia mi furono non una, ma più di quindici volte ripetute.
Locché sin dal primo giorno di malattia manifestò anche a più altri suoi colleghi nell'occasione che da loro era stato visitato. Disse pure che il suo male sarebbe inteso al rovescio dai medici, che operazioni, e medicine non gli avrebbero prodotto verun giovamento. Il che tutto avvenne. Queste cose che dapprima io attribuiva a mero timore dei Giudizi divini, al vedere poi che s'andavano avverando di tratto in tratto, le palesai ad alcuni compagni, quindi allo stesso nostro signor Direttore Spirituale, il quale benché sulle prime ne facesse poco conto, rimase poi molto maraviglialo dacché ne vide gli effetti.
Frattanto il Comollo si stette il lunedi febbricitante in letto, il martedì, e mercoledì passolli fuori di letto, però sempre tristo, e melanconico assorto nel pensiero dei Giudizi divini. Alla sera del mercoledì si pose di nuovo a letto come infermo per non levarsi più. Fra il giovedì, venerdì, sabbato della stessa settimana (santa) gli furon fatti tre salassi, prese vari medicinali, ruppe in copioso sudore, il che non gli recò alcun giovamento. Il sabbato a sera, vigilia di Pasqua, andatolo a visitare,«poiché, mi disse, dobbiamo lasciarci, e fra poco io debbo presentarmi al Giudizio, avrei caro che tu vegliassi meco questa notte, perciò dimanderò licenza, e spero mi sarà concesso».
Come ebbe parlalo col signor Direttore, il quale tosto conobbe alcuni sintomi del peggio di sua malattia, mi diede licenza di passare coll'infermo la notte del 30 marzo precedente al solenne giorno di Pasqua. Verso le otto mi accorsi che la febbre facevasi più violenta, alle otto e un quarto l'assalì un accesso di febbre convulsiva sì gagliardo, che gli tolse l'uso della ragione.
Sulle prime faceva un lamento clamoroso, come se fosse stato atterrito da qualche spaventevole oggetto; da li a mezz'ora tornato alquanto in sè, e guardando fisso gli astanti, proruppe in tale esclamazione, ahi Giudizio! Quindi cominciò a dibattersi con forze tali, che cinque, o sei che eravamo astanti appena lo potevamo trattenere in letto.
Tali dibattimenti durarono per ben tre ore, dopo i quali ritornò in piena cognizione di se stesso. Stette lunga pezza pensieroso,come occupato in seria riflessione, quindi deposta quell'aria di mestizia, e terrore che da più giorni dimostrava pei Giudizi Divini, comparve tutto tranquillo, e placido, parlava, rideva, rispondeva a tutte le interrogazioni, che gli venivano fatte.
Gli fu chiesto da che provenisse un tale cangiamento, poc'anzi sì tristo poscia sì gioviale, e affabile. A tale dimanda mostrossi dapprima imbroglialo a rispondere, poscia rivolto qua, e là lo sguardo se da nissuno fosse udito, prese a parlare sotto voce con uno degli astanti: «fin ora paventai di morire pel timore dei Giudizi Divini; questo tutto m' atterriva, ma ora sono tranquillo, e nulla più temo per le seguenti cose, che in amichevole confidenza ti racconto; mentre era estremamente agitato pel timore del giudizio divino, parvemi in un istante essere stato trasportato in una profonda, ed ampia valle, in cui lo squilibrio dell'aria, e le bufere del vento furioso toglievano ogni forza, e vigore a chiunque colà capitava. Nel centro di questa valle v'era un profondo abisso a guisa di fornace, onde uscivano fiamme avvampanti... A tal vista spaventato mi posi a gridare per timore di dovere in quella voragine precipitare.
Quindi mi voltai all'indietro per fuggire, ed ecco un'innumerevole turba di mostri di forma spaventevole, e diversa, che tentava urtarmi in quell'abisso... Allora gridai più forte, e tutto confuso, senza sapere che mi fare, feci il segno della santa Croce, alla qual vista quei mostri volevano chinare il capo, ma non potevano, perciò si contorcevano scostandosi alquanto da me. Tuttavia non poteva ancora fuggire, e liberarmi da quel mal'augurato luogo; allorché vidi una mano di forti guerrieri venire in mio soccorso.
Essi assalirono vigorosamente quei mostri, alcuni dei quali rimasero sbranati, altri stesi a terra, altri si diedero a vergognosa fuga.
Liberato da tale frangente presi a camminare per quella spaziosa valle, finché giunsi ai piedi di un'altamontagna, su cui solo si poteva salire per una scala i cui scaglioni erano occupati da tanti serpenti, pronti a divorare chiunque vi ascendesse. Non v'era altro passaggio che salire su quella scala, a salire la quale non osava inoltrarmi, temendo essere da
que' serpenti divorato; quivi abbattuto dalle angustie, e dagli affanni, privo di forze già veniva meno, quando una donna che io giudico essere la comune nostra Madre, vestita nella più gran pompa, mi prese per mano, fecemi rizzare in piedi e dicendomi di andare con lei s'incamminava qual guida su per quella scala. |
Checché se ne voglia dire dell'esposizione del sovraesposto racconto, il fatto fu che quanto grande era prima lo spavento, e il timore di comparire innanzi a Dio, altrettanto più allegro mostravasi di poi, e desideroso che giugnesse un tal momento; non più tristezza, o malinconia in volto, ma un aspetto tutto ridente, e gioviale, in guisa che sempre voleva cantare salmi inni, o laudi spirituali. Intanto avvertito l'infermo essere cosa buona che in quel giorno ricevesse i ss. Sacramenti, occorrendo appunto la solennità di Pasqua, «volentieri ripigliò, e poiché dicono che il Signore risuscitò dal sepolcro in circa quest'ora (erano le quattro, e mezzo del mattino) vorrei che risuscitasse anche nel mio cuore coll'abbondanza della sua grazia. Non ho alcuna cosa di presente che m'inquieti la coscienza, nullameno atteso lo stato in cui mi trovo, ho piacere di parlare col mio confessore prima di ricevere la santa comunione».
La è pur questa cosa degna d'osservazione; un figlio vissuto nel secolo, sul vigore di sua età, persuaso doversi fra poco presentare al giudizio, dire francamente nulla fargli pena alla coscienza... essere tranquillo. Forza è pur dire che ben regolata sia stata la sua vita, puro il cuore, e pura l'anima sua.
Spettacolo poi veramente edificante, e maraviglioso fu la sua comunione. Terminata la confessione, fatta la preparazione per ricevere il SS. Viatico, gi à il signor Direttore, che ne era il ministro, seguito dai Seminaristi entrava nella camera d'infermeria; al suo primo comparire, l'infermo tutto turbato, cangia colore, muta d'aspetto, e pieno di santo trasporto esclama: «oh bella vista... giocondo vedere...! Mira come risplende quel sole! Quante belle stelle gli fanno corona! Quanti prostrati a terra l'adorano e non osano alzar la chinata fronte, deh! lascia che io vada inginocchiarmi con loro, e adori anch'io quel non mai veduto sole».
Mentre tali cose diceva, voleva rizzarsi, e con forti slanci tentava portarsi verso il SS. Sacramento; io mi sforzava onde trattenerlo in letto; mi cadevan le lagrime dagli occhi per tenerezza, e stupore, non sapeva che dire, né che rispondergli; ed egli vieppiù si dibatteva onde portarsi verso il SS. Viatico; né s'acquetò finché non l'ebbe ricevuto. Dopo la Comunione tutto nei più affettuosi sentimenti concentrato verso il suo Gesù, stette alcun tempo immobile, quindi ripieno di meraviglia «oh!... portento d'amore, esclamava! Chi mai son io per essere fatto degno di tesoro sì prezioso! oh! esultino pure gli Angeli del cielo, ma ben con più di ragione ho io di che allegrarmi, giacché colui che gli Angeli prostrati mirano rispettosamente in Cielo svelato, io lo custodisco nel seno: quem Coeli capere non possunt meo gremio confero: magnificavit Deus facere nobiscum; oprò il Signore con me le sue meraviglie, e ne fui di celeste gioia, e di divina consolazione ripieno, et facti sumus laetantes».
Queste, ed altre simili giaculatorie andò pronunziando per buon tratto di tempo. In fine sommessa la voce chiamommi a sé, e mi pregò a non parlargli più d'altro che di cose spirituali, dicendo essere troppo preziosi quegli ultimi momenti che gli restavano ancor di vita, doverli tutti impiegare a glorificare il suo Dio; perciò non darebbe più alcuna risposta, qualora fosse intorno ad altre cose interrogato.
Difatti in tutto il tempo de' suoi convulsivi dibattimenti se veniva interrogato intorno a cose temporali vaneggiava, se intorno alle cose spirituali dava le più sode risposte.
Il male intanto andava ognora più crescendo, si fece consulto, si proposero medicinali, s'eseguirono varie operazioni, insomma si operò quanto l'arte dei medici, e dei chirurghi poteva, ma tutto senza effetto, avverandosi così ogni cosa nel modo, e nelle circostanze dall'infermo pronunziate. In questo mentre trovandosi in libertà onde poter ragionare confidenzialmente con un suo amico (giacche gli altri seminaristi erano andati tutti al Duomo) tenne un ragionamento, che per essere tutto pieno di tenerezza e di religiosi sentimenti io trascrivo alla lettera tale quale mi viene presentato
«Con voce che indicava particolarità così prese parlare: Eccoci, diceva al suo amico, eccoci adunque prossimi al momento in cui noi dobbiamo per alcun tempo lasciarci, ascolta pertanto i ricordi che un amico può lasciare ad un altro amico. Non è solo dovere dell'amico, far quello che l'amico richiede mentre ambi vivono, ma eseguire altresì quanto a vicenda raccomandasi da effettuarsi dopo la morte. Perciò a seconda del patto che abbiamo fatto colle più obbliganti promesse, cioè oremus ad invicem ut salvemur, non solo voglio che si estenda sino alla morte dell'uno, o dell'altro, ma di ambidue; onde finché tu condurrai i tuoi giorni quaggiù, prometti, e giura di pregar per me.
Benché in udir tali parole, asserisce l'amico, mi sentissi forzato a piangere, pure frenai le lacrime, e promisi nel modo richiesto quanto voleva. Or bene l'infermo proseguiva, ecco quello che io posso dire a tuo riguardo: Non sai ancora se brevi, o lunghi saranno i giorni di tua vita; ma checché ne sia sull'incertezza dell'ora, n'è certa la venuta; perciò fa in maniera che tutto il tuo vivere altro non sia che una preparazione alla morte al Giudizio... Gli uomini pensano di quando in quando alla morte, credono che verrà quella non voluta ora, ma non vi si dispongono, epperciò allorché s'appressa il momento rimangono confusi, e chi muore in confusione per lo più va eternamente confuso! Felici quelli che passando i loro giorni in opere sante, e pie si trovano apparecchiati per quel momento.
Se poi sarai chiamato dal Signore a divenir guida delle anime altrui, inculca mai sempre il pensiero della morte, del Giudizio, rispetto alle Chiese; poiché si vedono purtroppo anche persone d'abito distinto che hanno poca riverenza alla casa di Dio, perciò alle volte avviene che un uomo della plebe, una vil donniciuola stia colle più sante disposizioni, mentre il ministro del Santuario vi sta svagato senza riflettere che si trova nella casa del Dio vivente!
Siccome poi per tutto il tempo che militiamo in questo mondo di lacrime, non abbiamo patrocinio più possente che quello di Maria SS., devi perciò averle una special divozione. Oh! se gli uomini potessero essere persuasi qual contento arrechi in punto di morte essere stati divoti di Maria, tutti a gara cercherebbero nuovi modi con cui offrirle speciali onori. Sarà pur dessa, che col suo figlio tra le braccia formerà la nostra difesa contro il nemico dell'anima nostra all'ora estrema; s'armi pur tutto contro di noi l'inferno, con Maria in nostra difesa, nostra sarà la vittoria. Guardati però bene dall'essere di quei tali, che per recitare a Maria qualche preghiera, per offrirle qualche mortificazione credono essere da lei protetti, mentre conducono una vita tutta libera, e scostumata. A vece di essere di tali divoti, è meglio non esserlo, perchè se si mostrano tali, è puro effetto d'ipocrisia per essere favoriti nei loro cattivi disegni, e quello che è più, se fosse possibile, farle approvare la loro vita sregolata. Sii tu sempre dei veri divoti di Maria coll'imitare le di lei virtù e proverai i dolci effetti di sua bontà, ed amore.
Aggiungi a questo la frequenza dei sacramenti della confessione, e Comunione, che sono i due istrumenti ossia le due armi colle quali si superano tutti gli assalti del comun nemico, e tutti gli scogli di questo borrascoso mare del mondo. Avverti finalmente con chi tratti, parli, e chi tu frequenti. Non parlo già delle persone di sesso diverso od altre persone secolari, che siano per noi d'evidente pericolo, le quali si devono affatto fuggire; ma parlo degli stessi compagni chierici, e anche seminaristi; alcuni di essi sono cattivi, altri non sono cattivi, ma non molto buoni, altri poi sono veramente buoni.
I primi si devono assolutamente fuggire, coi secondi solo trattare qualora si dia il bisogno, ma non formare alcuna famigliarità, gli ultimi poi si devono frequentare, e questi sono quelli da cui si riporta l'utilità spirituale, e temporale. Egli è vero, questi compagni sono pochi, ed è appunto per questo che devesi usare la più guardinga cautela, e trovatine alcuni frequentarli, e formare quella spirituale famigliarità dalla quale si ricava tanto profitto. Coi buoni sarai buono coi cattivi sarai cattivo.
Una cosa ho ancora da dimandarti, di cui ti prego cordialmente, cioè quando andrai al passeggio, passando presso il luogo di mia tomba udrai i compagni dire qui sta sepolto il nostro collega Comollo; allora tu suggerisci in prudente maniera a ciascheduno da parte mia che mi recitino un pater ed un requiem. In tal guisa io sarò dalle pene del purgatorio liberato. Molte cose ti direi ancora, ma m'accorgo che il male prende forza, e m'opprime, perciò raccomandami alle preghiere degli amici, prega il Signore per me, Iddio ti accompagni e ti benedica, e ci rivedremo quando egli vorrà.
Questi sentimenti, esternati in quei momenti in cui si manifesta tutto l'intrinseco del cuore formano il vero ritratto dell'animo suo. Il pensiero delle massime eterne, frequenza dei sacramenti, tenera divozione verso la Madonna, fuggire i compagni pericolosi, cercare quelli da cui sperava ricavare qualche giovamento per le cose di studio, e di pietà formavano lo scopo di tutte le sue azioni.
Sorpreso verso la sera del giorno di Pasqua da violento accesso di febbre accompagnato dalle più dolorose convulzioni, a stento si poteva trattenere; se non che trovossi uno spediente efficacissimo per acquetarlo. Comunque fuori di sé, e agitato dalla gagliardia del male: dettogli appena: Comollo: per chi bisogna soffrire? Egli subito ritornava in sé, e tutto gioviale, e ridente, quasi tali parole gli alleviassero il male: per Gesù Crocifisso, rispondeva. In simile stato senza mai profferire un lamento per l'intensità del male, passò la notte, e quasi intiero il giorno susseguente. In questo frattempo fu visitato da suoi genitori, i quali conobbe appieno, e raccomandò loro a rassegnarsi alla divina volontà, e non dimenticarsi di lui nelle loro preghiere.
Di quando in quando si metteva a cantare con voce ordinaria, e così sostenuta, che l'avresti detto nel perfetto suo essere di salute; il suo canto era il Miserere, le litanie della Madonna, l'Ave Maris Stella, laudi spirituali. Ma siccome il cantare di troppo lo stancava e gli aumentava il male, si cercò anche un mezzo per farlo tacere, che fu di suggerirgli la recita di qualche preghiera, e così egli cessava di cantare, e diceva quello che gli veniva suggerito.
Alle sette di sera 1°aprile andando le cose ognor in peggio, il signor Direttore spirituale stimò bene amministrargli l'Olio Santo, nel qual tempo pareva perfettamente guarito; rispondeva opportunamente a quanto abbisognava, talché il Sacerdote ebbe a dire essere cosa del tutto singolare, che mentre pochi momenti prima pareva in agonia potesse con tanta precisione far l'assistente al ministro, rispondendo a tutte le preci e responsori che in tale amministrazione occorrono. Lo stesso avvenne alle undici, e mezzo quando il signor Rettore al vedere che un freddo sudore cominciava coprirgli il pallido volto gli compartì la papale benedizione.
Amministrati così tutti i santi sacramenti non pareva più un infermo, ma uno che stesse in letto per riposo; era del tutto consapevole di se stesso con animo pacato, e tranquillo, tutto allegro, altro non faceva che fervorose giaculatorie a Gesù Crocifisso, a Maria Santissima, ai Santi; perlocchè il signor Rettore ebbe a dire che non abbisognava che altri gli raccomandasse l'anima essendo sufficiente per se medesimo. Un'ora dopo la mezzanotte del 2 aprile, dimandò ad uno degli astanti, quanto tempo v'era ancora: gli fu risposto: v'è ancor mezz'ora. C'è ancora di più soggiunse l'infermo. Sì, ripigliò l'altro credendo che vaneggiasse; ancor mezz'ora, poi andremo alla ripetizione. Eh, ripigliò l'infermo sorridendo, bella ripetizione!... v'è altro che ripetizione.
Richiesto da un compagno, se sarebbesi ricordato di lui quando fosse in paradiso, rispose: mi ricorderò di tutti, ma in modo particolare di quelli che m'aiuteranno ad uscir presto dal purgatorio. Ad un tocco e mezzo benché conservasse sempre la solita serenità nel volto, apparve talmente estenuato di forze, che sembrava mancargli il respiro; rinvenuto poscia un tantino, raccolto quanto di vigor aveva, con voce franca, con gli occhi elevati in alto proruppe in tali accenti:
«Vergine santa Madre Benigna, cara madre del mio amato Gesù, Voi che fra tutte le creature sola foste degna di portarlo nel Vergineo ed immacolato Seno, Deh per quel amore con cui l'allattaste lo stringeste amorosamente fra le vostre braccia, per quel che soffriste allorché gli foste compagna nella sua povertà, allorché lo vedeste fra gli strapazzi, sputi, flagelli, e finalmente spasimare morendo in Croce; Deh per tutto questo ottenetemi il dono della fortezza, viva fede, ferma speranza, infiammata Carità, con sincero dolore dei miei peccati, ed ai favori che mi avete ottenuti in tutto il tempo di mia vita, aggiungete la grazia che io possa fare una santa morte. Sì cara Madre pietosa assistetemi in questo punto che sto per presentare l'anima mia al Divin giudizio, presentatela Voi medesima nelle braccia del Vostro Divin Figlio; che se tanto mi promettete, ecco io con animo ardito, e franco appoggiato alla vostra clemenza, e bontà, presento per mezzo delle vostre mani, quest'anima mia a quella Maestà Suprema, la cui misericordia conseguire spero».
Tali furono le precise parole da lui pronunciale con tanta enfasi, e penetrazione, che commossero tutti gli astanti, sino a trarre le lacrime.
Terminata questa fervorosa preghiera pareva venir sorpreso da un letargo mortale, onde per tenerlo in sentimento gli dimandai se sapeva qual età avesse San Luigi, quando morì, alla qual domanda scossosi, «S. Luigi, rispose, aveva ventitre anni compiuti, io muoio che non ne ho ancora nemmen ventidue». Vedendolo intanto estremamente sfinito di forze, venirgli meno il polso, m'accorsi appressarsi il momento che egli doveva dare l'ultimo abbandono al mondo, ed ai compagni; perciò presi a suggerirgli quel tanto che venivami a propoposito in simili circostanze,ed egli tutto attento a ciò che gli si diceva, col volto, e colle labbra ridenti, conservando l'inalterabile sua tranquillità, fissi gli occhi nel Crocifisso che stretto teneva tra le mani giunte innanzi al petto, si sforzava di ripettere ogni parola che gli veniva suggerita.
Circa dieci minuti prima del suo spirare chiamò uno degli astanti, se vuoi gli disse, qualche cosa per l'eternità, io... addio me ne parto. Queste furono le ultime sue parole. Quindi per la durezza delle labbra e lo spessore della lingua, non potendo più colla voce pronunziare le giaculatorie suggerite le componeva, e articolava colle labbra. |
Così morì il giovine chierico Comollo Luigi, il quale seppe gettare nel suo cuore i semi della virtù nelle più rozze occupazioni, coltivarli in mezzo alle lusinghe del mondo, perfezionarli con due anni, e mezzo circa di chiericato, facendoli venire a tutta maturazione con una penosa malattia, e mentre che ognuno si stimava contento di averlo chi per modello, chi per guida nei consigli, altri per amico leale, egli tutto lasciò nel mondo per andarci a proteggere, come fondatamente si spera, in Cielo.
Parrebbe sulle prime che un'anima buona, sì cristianamente vissuta qual si era quella del Comollo, non avrebbe dovuto paventare tanto i giudizi divini; ma se ben si osserva, questa è la condotta ordinaria che tiene Iddio co' suoi eletti, i quali all'idea di doversi presentare al rigoroso Tribunale ne rimangono pieni di timore, e spavento; ma esso corre in loro soccorso, e in vece che lo spavento del peccatore continua in agitazioni rimorsi, e disperazione, quello dei giusti si cangia in coraggio, confidenza, e rassegnazione che produce nel loro cuore la più dolce allegrezza; e questo è veramente il punto in cui Iddio comincia a far gustare al giusto il centuplicato compenso delle opere buone che egli ha fatto secondo la promessa del Vangelo, con raddolcire le amarezze della morte per via di una pacatezza, e tranquillità d'animo, di un contento, e gaudio interno che ravviva la loro fede, conferma la speranza, infiamma la carità, a segno che il male per dir così, rallenta il suo rigore, e vi sottentra un saggio anticipato del godimento di quel bene che Iddio sta per compartir loro in eterno; il che solo, parmi dovrebbe stimarsi guiderdone sufficiente pei travagli di tutta la vita, confortarci a tollerarli con rassegnazione e regolare tutte le azioni nostre a seconda dei divini precetti.
Fattosi giorno, e sparsasi la voce della morte del Comollo tutto il seminario rimase nella più mesta costernazione; diceva taluno: in quest'ora Comollo è già in paradiso a pregare per noi; un altro: quanto bene previde la sua morte! Questi: visse da giusto, morì da santo; quell'altro: se dagli uomini si può giudicare che un'anima partendo dal mondo voli al paradiso, certmente si può affermare di quella del Comollo.
Quindi ognuno andava a gara onde avere qualche cosa che fosse stata di sua pertinenza. Taluno fece il possibile per avere il suo Crocifisso, altri per avere divote immagini; altri poi si stimavano grandemente contenti di poter avere qualche suo librettino, e fuvvi persino chi, non potendo avere altro, prese il suo collare onde conservarsi stabile memoria di tanto amato, e venerato collega.
Il signor Rettore del seminario, mosso pur egli dalle singolari circostanze che accompagnarono la di lui morte, comportando a mal in cuore, che il di lui cadavere fosse portato al cimiterio comune, appena giorno si recò a Torino dalle autorità civili, ed ecclesiastiche, da cui ottenne che fosse sepolto nella chiesa di san Filippo aderente al Seminario medesimo. Il professore della conferenza del mattino, cominciò la scuola all'ora solita, ma venuto il tempo di spiegare, rimirando la mestizia che tutti gli uditori avevano dipinta in fronte, fu egli pure talmente commosso, che prorompendo in lacrime, e singhiozzi dovette intralasciare la scuola, non avendo più forza di proferir parola.
L'altro professore la sera venne pure in iscuola ma invece della solita spiegazione fece un patetico discorso sulla morte del Comollo, nel qual discorso, diceva essere ben giusto il dolore che ognuno esternava per la perdita di sì prezioso compagno, ma doversi dall'altro canto ognuno di noi rallegrare nella dolce speranza, che una vita sì edificante, una morte sì preziosa dovesse averci procurato un protettore in Cielo.
Esortò tutti a proporselo per modello di virtuosa, e costumata chiericale condotta. Definì inoltre in varie maniere la sua morte: morte di un giusto, morte preziosa negli occhi del Signore, e finì con raccomandarci che ne serbassimo sempre cara memoria, e procurassimo imitarne le virtù. Il mattino del 5 aprile coll'intervento di tutti i seminaristi, di tutti i superiori, del signor Canonico Curato colla sua comitiva fu il suo cadavere processionalmente portato per la città di Chieri, e dopo lungo giro accompagnato con funerei cantici, e pie preghiere fu portato alla suddetta Chiesa di San Filippo.
Quivi giunti con lugubre musica, con nero, e pomposo apparato si cantò Messa dal signor Direttore presente cadavere; terminata la quale venne deposto in una tomba preparatagli vicino allo steccato che ne tramezza la balaustrata. Quasi che quel Gesù sacramentato, verso cui mostrò tanto amore, e sì volontieri con lui si tratteneva, vicino pure lo volesse anche dopo la morte.
Sette giorni dopo fecesi pure un solenne funerale con tutto il possibile apparato di addobbamenti, e di lumi.
Questi furono gli ultimi onori resigli dai suoi colleghi, i quali oltremodo dolenti niente risparmiarono a favor di un compagno a tutti carissimo.
Ella è verità veramente innegabile che la memoria delle anime buone non finisce colla loro morte, ma viene tramandata a posteri con loro utilità. Una malattia, e morte accompagnata da tanti belli esempi, e sentimenti di virtù e di pietà, risvegliò pure in molti seminaristi il desiderio di volernelo imitare. Perciò non pochi s'impegnarono a seguitare gli avvisi, e consigli loro dati mentre ancora viveva altri a tener dietro a' suoi esempi, e virtù, di modo che alcuni seminaristi che prima non mostravano gran fatto di vocazione allo stato cui dicevano aspirare, dopo la morte del Comollo si videro con le più ferme risoluzioni divenire modelli di virtù.
«Egli fu appunto alla morte del Comollo, dice un suo compagno, che mi sono risoluto di menare una vita da bravo Chierico per divenire santo ecclesiastico, e quantunque tale determinazione sia stata finora inefficace, ciò nulla meno non mi rimango, anzi voglio addoppiare vieppiù ogni giorno l'impegno».
Né queste furono solamente determinazioni di primo movimento, ma continua ancora oggidì farsi sentire il buon odore delle virtù del Comollo. Onde il Rettore del Seminario alcuni mesi sono, m'ebbe a dire che «il cangiamento di moralità avvenuto nei nostri Seminaristi alla morte del Comollo, continua ad essere tuttodì permanente».
Qui sarebbe opportuno osservare che tutto questo avvenne principalmente dietro a due apparizioni del Comollo seguite dopo la di lui morte; una delle quali viene testificata da un'intiera camerata d'individui; come pure sarebbe conveniente parlare di alcuni favori celesti che all'intercessione del medesimo furono ottenuti.
Io però tutto questo tralascio, contentandomi solo di chiudere questo comunque siasi ragguaglio, con due fatti, ai quali atteso il carattere, e la dignità delle persone che li affermano parmi potersi prestare tutta la credenza.
Una persona molto impegnata pel servizio di Dio era da lungo tempo tentata: quando con un mezzo, quando con un altro aveva sempre riuscito a vincere la tentazione; un giorno poi fu sì gagliarda, che pareva ormai essere sgraziatamente vinta, e quanto più cercava d'allontanare le cattive idee dalla sua fantasia, tanto più vi correvano. Secco, arido, non poteva muoversi a pregare; allorché volgendo lo sguardo sopra un tavolino, vide un oggetto che apparteneva al Comollo che conservava qual grata memoria di lui; «allora mi posi a gridare, afferma la persona medesima, se tu sei in paradiso, e mi puoi favorire presso il Signore pregalo che mi liberi da questo terribile frangente.
Gran cosa! dette appena tali parole quasi fosse mutato in un altro cessò del tutto la non voluta tentazione e mi trovai tranquillo. D'allora in poi non tralasciai più d'invocare in mio soccorso quell'Angioletto di costumi ne' miei bisogni, e ne fui ognor favorito».
L'altro fatto io lo scrivo tal quale mi viene esposto da chi ne fu l'attore, e testimonio oculato. «Un mattino fui chiamato a tutta fretta a raccomandare al Signore l'anima di un mio amico il quale pativa l'ultima agonìa. Là giunto lo trovai veramente qual erami stato detto; era privo dell'uso dei sensi, e della ragione, aveva gli occhi acquosi, le labbra dure, e bagnate di freddo sudore, le arterie sfinite, e mancanti sì, che avresti detto a minuto dovesse mandare l'ultimo respiro; lo dimandai più volte, ma senza pro. Non sapendo più che mi fare, dirotte mi cadevano le lacrime; e in tal frangente venutomi in mente il chierico Comollo, di cui eranmi state riferite tante belle virtù, volli a sfogo del mio dolore invocarlo.
Orsù, dissi, se tu puoi qualche cosa presso il Signore, pregalo che sollevi quest'anima addolorata, e sia liberata dalle angosce di morte. Questo dissi, e l'infermo tosto lasciato andare l'estremo del lenzuolo che stretto teneva tra denti, si riscosse, e cominciò parlare quasi non fosse stato ammalato, e il suo miglioramento fu tale, che passati otto giorni l'infermo si trovò totalmente guarito da una malattia che esigeva più mesi di convalescenza, e poté ripigliare le primiere sue occupazioni.
Nel decorso di questo ragguaglio poco si parlò della virtù della modestia che era appunto quella, che in modo particolare caratterizzava il Comollo. Un esterno così regolalo, una condotta tanto esatta, una compostezza sì edificante, una mortificazione sì compita di tutti i sensi e principalmente degli occhi fanno arguire che egli abbia una tale virtù in grado eminente posseduta: e a me pare non dire di troppo se affermo, e nutro costante opinione che egli abbia portata all'altra vita la bella stola dell'innocenza battesimale. Questo io argomento non solo dalla scrupolosa riserbatezza nel trattare, o parlare con persone di sesso diverso; ma molto più da certe materie teologiche che egli niente affatto comprendeva, da certe interrogazioni ridicole che talvolta faceva, il che mostrava la sua semplicità, e purezza.
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Dal fin qui esposto ognun facilmente comprende come le virtù del Comollo quantunque non siano straordinarie, sono però nel loro genere singolari, e compite, di modo che parmi si possa proporre per esemplare a qualunque persona sia secolare, che religiosa: avendo per certo che chi sarà seguace del Comollo, diventerà giovine virtuoso Chierico esemplare, vero, e degno ministro del Santuario.
Ecco quel tanto che mi riescì di scrivere intorno al giovane Comollo Luigi accertando ognuno avere ciò fatto con animo di esporre niente altro che la pura verità e appagare le varie richieste fattemi da Colleghi, e da altre persone. Contento d'altro canto, se penna miglior della mia servendosi di queste stesse memorie, che meschinamente ho esposte aggiungendo, o togliendo ciò che più le torna a grado tesserà un più grazioso, compito, e ordinato racconto.
L'autore di questi cenni non intende di dare ad essi altro peso, se non quello della fede puramente umana.
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Tutto ciò che quivi minutamente racconto è stato scritto parte durante sua malattia, parte immediatamente dopo da un suo compagno.
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