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COLLABORAZIONI
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dal Prof. Renzo Barbattini dell'Università
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LE API NELL'ARTE
1. L’ape nell’arte antica
di Renzo Barbattini (*) e Stefano Fugazza
(**)
*Dipartimento di Biologia applicata alla Difesa delle Piante
– Università di Udine
**Galleria d’Arte Moderna “Ricci Oddi” –
Piacenza (http://www.riccioddi.it)
Con questo primo contributo inizia una rubrica che tratta
“L’ape nell’arte”. Questo è
un tema piuttosto vasto che spazierà in senso sia cronologico
(ad es. dall’ape nell’arte antica all’ape
nell’arte contemporanea) sia tematico (ad es. l’ape
nell’arte popolare, l’ape nell’arte naïf,
ecc.).
Gli studi paleontologici hanno permesso di collocare il tempo
dello sviluppo degli Apoidei, solitari e sociali, attorno
a 135 milioni di anni fa, quando le Angiosperme si differenziarono
e divennero dominanti tra le specie botaniche presenti. Da
allora api e fiori hanno percorso insieme il cammino evolutivo
che ha portato allo sviluppo e al perfezionamento del loro
rapporto. L’uomo si inserisce nella storia dell’ape
milioni di anni dopo. Si può supporre che i primi uomini
si siano accorti della presenza di questo insetto, che nei
suoi nidi accumulava una sostanza densa, dolce e gradevole,
e che per questo lo abbiano depredato, rischiando le dolorose
punture.
Molte testimonianze si ritrovano nella cosiddetta “arte
rupestre” (CRANE, 2001) con numerosi
graffiti riportanti scene apistiche di antichissima data.
Nelle figure che seguono se ne possono apprezzare alcune: |
Fig. 1
Disegno rupestre: scena di raccolta del
miele. Grotta Cueva de la Araña (Spagna) (ca.
7000 a. C.). |
Fig. 2
Graffito: scena di raccolta del miele.
Matopo Hills (Zimbabwe).
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Fig 3
Disegno rupestre: due “cacciatori di miele”
su un albero con 7 nidi di ape (probabilmente Apis dorsata),
Firingi Hills (India). |
Fig. 4
Disegno rupestre: due raccoglitori di miele da un nido
di api (probabilmente Apis dorsata), Jambudwip Sheleter
(Mahadeo Hills, India centrale, 500 a. C.) |
Fig. 5
Dipinto proveniente dal tempio del “sole”
di Neuserre (Abu Ghorab): apicoltori intenti a prelevare
il miele e a collocarlo in otri (circa 2400 a. C.) Egyptian
Nat.al Museum Catalogue
|
- Il primo disegno, molto rudimentale, di una scena apistica
rappresentante la raccolta del miele, risale a oltre 7000
anni or sono (Neolitico) ed è un graffito presente
su una parete della grotta Cueva de la Araña (grotta
del ragno), presso Bicorp (Valencia) nel levante spagnolo
(Fig. 1). Vi è raffigurata una persona
(forse una donna) sospesa a liane con una bisaccia e numerose
api che le ronzano attorno mentre sta raccogliendo alcuni
favi di miele da un anfratto di roccia; più in basso
si può notare una seconda figura (probabilmente un
adolescente), anch’essa dotata di un idoneo contenitore
(CRANE, 1983; MARCHENAY,
1986; GARIBALDI, 1997).
- Un’altra pittura rupestre, proveniente da un riparo
sottoroccia nelle Matopo Hills (Zimbabwe), presenta particolare
interesse (Fig. 2). Essa ci mostra un uomo
intento ad affumicare un nido di api per poterne prelevare
il miele: probabilmente questa è la più antica
rappresentazione dell’impiego del fumo in apicoltura
(CRANE, 2001; CONTESSI,
2004).
- Interessante appare pure quella ritrovata sulle Firengi
Hills (India) (Fig. 3) in cui il “cacciatore”
di miele procede carponi lungo un ramo di un albero portante
più nidi costruiti presumibilmente da Apis dorsata,
specie d’api presente tuttora sulle montagne dell’India.
- La pittura rupestre ritrovata a Jambudwip Sheleter (Mahadeo
Hills, India centrale, 500 a. C.) è stata eseguita,
contrariamente alle altre, “in bianco” (Fig.
4). Essa rappresenta due persone intente a raccogliere
miele da un nido di api: quella più in basso (una donna)
sostiene un cesto nel quale viene racccolto il miele che fuoriesce
dai favi del nido rotto dall’uomo mediante una lunga
pertica.
Nel bacino del Mediterraneo esistono le testimonianze più
antiche dell’attività apistica. Infatti oltre
al graffito iberico sopracitato, sono da ricordare il bassorilievo
del tempio di Neuserre a Abu Ghorb (circa 2400 a. C.) (Fig.
5) e le decorazioni della tomba di Pabusa a Luxor
(660-625 a. C.) (Figg. 6a e 6b) che documentano l’importanza
economica dell’ape nell’antico Egitto (LECLANT,
1968; CRANE e GRAHM, 1985a; CRANE, 2001).
In particolare la fig. 5 riporta la più antica rappresentazione
di alveari: infatti si notano a sinistra un “apicoltore”
egizio che sta prelevando favi e a destra altri “apicoltori”
che stanno spremendo i favi estratti e depositando il miele
in otri. Presso questa civiltà, i Faraoni, nel momento
dell’avvento al trono, assumevano un nome alquanto composito
e una parte di esso (il prenome) era preceduto dall’espressione
“colui che appartiene al giunco e all’ape: re
dell’Alto e Basso Egitto” (GARDINER,
1971; GRIMAL, 1998). |
Fig. 6a
Apicoltore egizio che preleva miele.
Dipinto proveniente dalla tomba di Pabusa a Luxor (600
a. C.).
|
Fig. 6b
Apicoltore egizio che deposita il
miele raccolto in un otre, precursore del moderno
“maturatore”. Dipinto proveniente dalla
tomba di Pabusa a Luxor (600 a. C.).
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Fig. 7
Titolatura quasi completa di Tutmosis
III (1457 - 1424 a. C., XVIII dinastia). Il bassorilievo
si trova nella cappella di Hathor nel tempio della regina
Hatscepsut a Deir el Medina sulla riva occidentale del
Nilo presso Luxor (l'antica Tebe) http://www.cartigli.it/.
La prima riga in alto indica il nome Horo del faraone
(Horo - Toro possente che sorge da Tebe gioioso), la
seconda riga il nome di incoronazione (Re dell'Alto
e Basso Egitto, Menkheperre [Stabile nelle trasformazioni
è Ra] Amato da Amon), la terza riga contiene
il nome proprio di nascita (Figlio di Ra Tutmosis [Thot
è nato] Bello di Forme Dotato di vita eterna).
Nel particolare evidenziato, titolatura parziale di
Tutmosis III. |
Fig. 8
Lekythos attica a figure rosse
(V sec. a. C.)
Museo dell’Agorà, Atene.
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Un bell’esempio lo si ritrova nella titolatura di
Tutmosis III, faraone della XVIII dinastia che regnò
dal 1457 al 1424 a. C. (Fig. 7). Il geroglifico
del vegetale (tradotto come “giunco”) e quello
dell’insetto (tradotto come “ape”) rappresentavano
rispettivamente l’Alto Egitto e il Basso Egitto: associati
indicavano che il Faraone regnava su entrambe le regioni (THÉODORIDÈS,
1968). Questa dicitura pur non rientrando nel segno grafico
oblungo denominato “cartiglio” faceva parte integrante
della titolatura reale; altri esempi si ritrovano su alcuni
documenti del Museo Egizio di Torino (D’AMICONE,
1982). L’uso dell’ape come simbolo regale è
intuibile dal fatto che nell’alveare vi è un
individuo (l’ape regina) che è a capo di una
società particolarmente laboriosa.
Gli antichi Greci decoravano le ceramiche e utilizzavano i
vasi come doni che avevano un valore simbolico. Quelli denominati
lekythoi erano originariamente destinati a contenere olio
e profumi; in seguito vennero adibiti ad uso funerario. La Fig. 8 riporta una lekythos di produzione
attica a figure rosse risalente al quinto secolo a. C. e conservata
al Museo dell’Agorà di Atene; su questo vaso
è dipinto un soldato con lancia, elmo e scudo sul quale
è decorato un grosso imenottero apocrito (non è
possibile stabilire se sia un’ape o una vespa) (ROSCALLA,
1998). Poiché sia api che vespe sono munite di pungiglione
come organo di difesa, probabilmente è da interpretare
in tal senso il motivo di questa raffigurazione sullo scudo
difensivo del soldato greco.
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Fig. 9
Pendaglio di Mallia (1700 a. C.)
Museo Archeologico di Heracleion, Creta.
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Fig. 10
Moneta della Grecia antica
(305 – 288 a. C.)
British Museum, Londra.
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Fig. 11
Dipinto babilonese (circa 1600 a. C.).
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Risale al 1700 a. C. (arte cretese, periodo minoico) il famoso
Pendaglio di Mallia (Fig. 9). Esso proviene
da Malée sulla costa Nord di Creta ed è conservato
presso il Museo archeologico di Heraclion a Creta. In questo
splendido “bijou” due api (secondo alcuni sarebbero,
però, due vespe!) depositano una goccia di miele sul
favo (rappresentato dal disco granulato posto al centro) (RUTTNER,
1979).
Il ciondolo non sarebbe un semplice monile decorativo, frutto
della fantasia e dell’abilità tecnica degli orefici
cretesi, ma un gioiello regale, indossato dal sovrano che
tradurrebbe visivamente il ritmo del potere cretese. Infatti
il disco granulato essendo costituito da nove cerchi concentrici,
sarebbe il simbolo del periodo di regno di nove anni. La parte
alta e quella bassa del gioiello circoscriverebbero la struttura
luni-solare del tempo entro cui il re esercita le sue reponsabilità:
il sole sarebbe rappresentato dalla piccola sfera posta sopra
la testa delle due api mentre per avere riferimenti alla luna
bisogna osservare i tre cerchi appesi alle ali e al corpo
delle api. Essi indicherebbero i tre periodi lunari: quello
di sinistra “la luna crescente”, quello al centro
“la luna piena”, quello di destra “la luna
calante”. Questi cerchi sono contornati da 29 granellini
che rappresenterebbero i 29 giorni del mese lunare (BLOEDOW e BJORK, 1989; ROSCALLA,
1998).
Nella Grecia antica era diffusa l’apicoltura e l’ape
era ripresa in diverse rappresentazioni artistiche. Tra queste
molto famosa è la numismatica: gli antichi Greci, infatti,
hanno prodotto le monete artisticamente più belle che
siano state mai coniate. Esse riproducevano scene mitologiche,
ritratti e animali (insetti inclusi: api, scarabei, farfalle,
cicale, formiche, cavallette e mantidi). Numerose monete della
ricca collezione, presente presso il British Museum di Londra,
riportano l’ape (Fig. 10).
Si possiedono pochi dati sull’apicoltura presso le antiche
civiltà della Mesopotamia; gli antichi Babilonesi (circa
1600 a. C.) veneravano il dio Mithra che era rappresentato
come un leone che teneva nelle sue fauci un’ape (Fig.
11). Perché proprio un’ape? Perché
ape, nella lingua locale, si pronunciava “Dabar”
e “Dabar” era anche il termine per indicare la
“Parola” (divina). Questo termine verrà
utilizzato successivamente anche dagli antichi ebrei per invocare
il Messia (MÜLLER, 1830).
|
Fig. 12
Statuetta di Aristeo (III sec a. C.)
Museo Archeologico di Cagliari. |
Fig. 13
Dipinto allegorico di epoca romana
(STYLE , 1992). |
Fig. 14
Rilievo sepolcrale (I sec. a. C.), Roma. |
Nel 1843 ad Oliena (NU – Sardegna) fu rinvenuta una
statuetta (16 cm) in bronzo raffigurante un uomo nudo con
il corpo coperto di api (Fig. 12). La loro
presenza permette di identificare l’uomo rappresentato
con Aristeo, eroe civilizzatore che insegnò ai Sardi
la coltivazione degli olivi e della vite, la lavorazione del
latte e l’apicoltura (SPANO, 1885; FLORIS e PROTA, 1989; SPIGGIA,
1997).
Questa statuetta è conservata nel museo archeologico
di Cagliari (SANTONI, 1989). La sua datazione
non è certa, presumibilmente è di epoca anteriore
alla conquista della Sardegna da parte dei romani (238 a.
C.). Poiché Aristeo era venuto dalla Grecia, si può
ipotizzare un collegamento con l’insediamento di colonie
greche nelle zone montuose dell’isola. E’ noto
che la Sardegna è stata anticamente colonizzata dai
Fenici e dai Cartaginesi, i quali trovarono sicuramente nell’isola
un’apicoltura già sviluppata (FLORIS,
2000); la presenza greca, molto più limitata, è
riferibile alla stessa epoca: probabilmente verso il VI secolo
a. C.
Anche in epoca romana si utilizzavano i prodotti dell’ape,
come in un dipinto allegorico ove è rappresentata la
raccolta di favi dalla cavità di un albero (Fig.
13) (FRILLI, 2002).
Esempio significativo
di un filone di arte popolare romana caratterizzato dalle
scene illustrative di arti e mestieri, proprio dell’ultima
età repubblicana e della prima imperiale (I sec. a.
C.), è il rilievo sepolcrale con iscrizione di Tito
Paconio Caledo e della moglie Ottavia Salvia (fig.
14).
Ai suoi lati si notano i riquadri con i profili
di lui (a destra) e di lei (a sinistra); al centro è
rappresentata una scena campestre con varie operazioni agricole
eseguite da tre schiavi, alla presenza di Paconio, in piedi,
nell’atto di impartire ordini mentre tiene la tabella
per le registrazioni (MANINO, 1982).
Le strutture
rotonde sono gli alveari: esse possono essere interpretate
come alveari cilindrici visti di fronte, allo stesso modo
della struttura rotonda al centro del già citato pendaglio
di Mallia.
Alcuni anni fa un archeologo inglese ha dato un’interpretazione
piuttosto fantasiosa di questa scena, affermando che sul rilievo
sono rappresentati non alveari e api, ma cavoli e cavolaie
(“farfalle” appartenenti all’ordine dei
lepidotteri) (CRANE e GRAHM,
1985b).
Le proporzioni tra le figure non sono naturali, ma
alludono alla diversa importanza da attribuire ai vari elementi:
il padrone è alto circa il doppio dei servi e all’insetto
(ape o cavolaia che sia) che vola al centro della scena sono
conferite dimensioni addirittura colossali.
Bicchiere di terracotta "tipo Aco” (età
Augustea), Civico Museo Archeologico di Arsago, Varese
|
|
Gli insetti, pur nella complessità delle loro forme,
sono stati utilizzati come decorazioni e come simboli anche
nella difficile arte delle terrecotte. La conferma viene dal
ritrovamento, avvenuto il 29 marzo 1976 in località
S. Ambrogio ad Arsago (VA), di una tomba romana ad incinerazione
di una donna.
II corredo di tale tomba, ora esposto al Civico
museo Archeologico di Arsago, comprende, tra i vari oggetti,
un bicchiere di terracotta "tipo Aco”, decorato
con api, grazie al quale è possibile far risalire cronologicamcnte
la tomba all’età Augustea (Fig. 15).
Il bel bicchiere, alto 11,1 cm e con diametro di base di 4,2
cm, è di colore beige rosato. In alto è decorato
da un giro di teste femminili con profilo a sinistra, sotto
le quali compare la firma: C.AO.C.L.AESCINUS (C(aius)
A(c)o C(ai) L(ibertus) Aescinus).
Ci sono inoltre
figure femminili intere che vanno verso sinistra e sono alternate
a scudi rettangolari e ovali. Sotto ognuna di esse c’è
uno scudo ovale orizzontale sotto il quale si trova una fila
verticale di foglioline. Essa è parallela ad una fila
di api che finisce sotto lo scudo ovale verticale. Gli spazi
liberi contengono un motivo vegetale che si alterna ad un’ape.
II motivo decorativo delle api, che erano simbolo di purezza,
di morte, di resurrezione, richiama i miti e le tradizioni
religiose, il culto dei morti e degli dei.
Nell’immaginazione popolare il miele, come gli altri
prodotti dell’alveare, era un misterioso e portentoso
medicamento che serviva a risanare gli ammalati e a scacciare
i demoni. Pertanto i familiari di un defunto ponevano nella
sua tomba oggetti e sostanze che richiamavano queste leggende
per far piacere alla sua anima, col duplice scopo di ingraziarsela
e di ottenere i favori degli dei nelle questioni della vita
(MAGRI, 2004).
Da questo contributo si può quindi cogliere come l’ape
sia stata presente nella storia dell’umanità
fin dalla “notte” dei tempi: dalle più
antiche civiltà, infatti, si hanno testimonianze artistiche
sullo stretto legame con l’uomo. Come dicono bene SABATINI
e ZUCCHI (2002), il rapporto uomo-ape è sempre
stato un rapporto privilegiato rispetto a qualsiasi altro
rapporto uomo-insetto, non è mai stato accompagnato
da ribrezzo o paura e, nonostante l’ape possegga un
“potenziale pericoloso”, è sempre stata
elevata a simbolo di socialità e operosità.
|
Ringraziamenti
Desideriamo ringraziare la dott. ssa Anna Gloria Sabatini
dell’INA (Bologna), il prof. Aulo Manino dell’Università
di Torino, la prof.ssa Caterina Furlan dell’Università
di Udine, il prof. Fabio Roscalla del liceo classico di Pavia,
il prof. Ignazio Floris dell’Università di Sassari,
la dott. ssa Livia Persano Oddo dell’ISZA, Sez. op.
per. Apicoltura (Roma), Mario Lauro di Milano, Maurizio Lira
di Cocquio Trevisago (VA), la prof.ssa Paola Càssola
dell’Università di Udine, il sig. Luigi Manias
di Ales (OR), il dott. Filippo Magri di Cremona e il prof.
Franco Frilli dell’Università di Udine per la
collaborazione prestata.
******
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FONTE
L'Articolo L'ape nell'Arte antica di BARBATTINI R., FUGAZZA S., è comparso sulla rivista Apitalia, 32 (10): 12-17. |
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