Lo battezzarono il fermentato dei re. È un liquore che arriva da lontano, ricco di storia e cultura, più del vino e della birra.
I due autori ci raccontano storie, curiosità e come prepararlo idromele (hydromel in francese, mead in inglese, met in tedesco, medok in russo, medica in sloveno, medovina in ceco e croato, miod pitny in polacco) è un fermentato a base di miele cui si aggiunge acqua (in modo da renderlo fermentescibile, mediamente 3 litri di acqua per 2 kg di miele), ed eventualmente altri ingredienti quali spezie, erbe, semi per aromatizzarlo. Ovviamente, una volta i lieviti non erano inseriti e la fermentazione era spontanea, ma oggi è possibile utilizzare diversi tipi di lievito (liquidi e secchi), disponibili sul mercato.
Quelli che si inseriscono sono tutti ceppi (con nomi commerciali diversi) che appartengono al genere Saccharomyces. Le origini dell’idromele si perdono nella notte dei tempi, ma appare nella storia delle culture in Europa, Africa e Asia. Alcuni considerano l’idromele come l’antenato di tutte le bevande fermentate e nell’antichità era noto come “la bevanda degli dei”.
L’idromele è solo apparentemente una novità sul mercato delle bevande alcoliche; in realtà, la sua origine è antichissima, sicuramente più antica del vino stesso, in quanto ricavato non da frutti provenienti da piante coltivate, ma dal miele sottratto agli alveari selvatici. Dagli altipiani Etiopici dove ebbe origine, la produzione e il consumo della bevanda si estese a tutti i popoli dell’antichità, fino ai Greci e ai Romani, che così lo chiamarono.
Poi, la coltura della vite e la produzione del vino soppiantarono l’idromele in quasi tutta l’Europa; ancora oggi restano alcune produzioni, solo localmente importanti, in Francia, Gran Bretagna e in tanti Paesi dell’Est Europa (fig. 1).
La sua creazione risale al momento dell'invenzione della fabbricazione del vasellame; l'ordine degli eventi storici, infatti, è il seguente:
i popoli nomadi raccoglievano e cacciavano i doni della natura;
invenzione del vasellame e da quel momento i raccolti liquidi (come il miele) potevano essere stoccati;
da qui è un passo alla scoperta della fermentazione e quindi dell'idromele (l'acqua c'è finita in un vaso contenente il miele);
invenzione dell'agricoltura e inizio vita sedentaria;
solo con la coltivazione dell'orzo è possibile scoprire che l'orzo inzuppato in acqua e fermentato è buono: nasce così il precursore della birra moderna.
Molto probabilmente un vaso con il miele è stato lasciato all’aperto durante la stagione di maltempo e si è riempito di acqua piovana.
Abbandonato per qualche settimana, ritrovato successivamente ra e nei solstizi d’estate e d’inverno. Secondo la tradizione, bere idromele portava a quell’ebbrezza alcolica che avvicinava al divino. L’uso dell’idromele è rimasto diffuso per tutto il Medioevo, soprattutto durante i matrimoni e nel mese successivo alla cerimonia nuziale: si pensava, infatti, che desse “aiuto” alla coppia di sposi nella procreazione. Per questo motivo ancora oggi si usa definire il primo periodo dopo il matrimonio, “luna di miele”.
Il suo nome deriva del greco “Hydor” (acqua) e “Mellis” (miele). Una volta terminata la fermentazione e diventato limpido, l’idromele si può consumare; un prolungato invecchiamento in fusti di legno gioverà molto ad alcuni tipi d’idromele, conferendogli particolari note aromatiche. Si possono produrre diversi tipi d’idromele; secondo la percentuale di miele usato: vi sono idromele secchi, dolci e liquorosi, con una gradazione alcolica variabile tra i 9 ed i 15 gradi (figg. 2, 3, 4 a pag. precedente).
Oltre a idromele fermi (fig. 5), da servirsi freddi, a non più di 10 °C, con una gradazione alcolica intorno al 13% (ideale abbinato a formaggi stagionati, con carne di maiale o selvaggina) sono prodotti anche idromele frizzanti, da bere come aperitivo o da abbinare a piatti raffinati (fig. 6).
Sono da segnalare le due versioni dell'idromele Pic du Vol, prodotto in Valle d’Aosta dalle Distillerie Saint-Roch con un occhio di riguardo alla qualità, realizzando una bevanda legata alla tradizione, usando acqua delle fonti alpine e miele rigorosamente valdostano). Una nota distilleria friulana www.nonino.it, dal 2000 produce Gioiello, un distillato di miele ottenuto dalla distillazione di un fermentato di solo miele in tutte le sue varietà di gusti (d’acacia, di corbezzolo, di castagno, di girasole, di tarassaco, di agrumi, etero flora).
Questo distillato è cristallino, secco, morbido o aromatico, a seconda del miele d’origine (gradazione alcolica di 37% vol.). La sua produzione è limitatissima, in quanto strettamente condizionata dalla qualità del miele che deve assolutamente provenire da ambienti ecologicamente puri.
La stessa distilleria ci scrive anche: “… una piccola curiosità, abbiamo deciso di chiamarlo Gioiello perché se lo indicavamo semplicemente distillato di Miele molte persone, pensando al miele, avrebbero immaginato un distillato dolce, mentre trattandosi di distillato non è così; in esso si ritrovano tutti i profumi e le caratteristiche del miele di origine, cosa veramente affascinante in un prodotto molto elegante, ricco ma non vischioso” (fig. 7).
Gli apicoltori tradizionali siciliani, soprattutto quelli della zona di Sortino (Siracusa), producevano lo Spiritu de fascitrari distillando i residui dei favi torchiati (i fascetri), immersi in acqua calda; dopo aver raccolto la cera, il liquido dolce, post fermentazione alcolica, veniva distillato e aromatizzato con miele di timo. Il miele di zagara di agrumi, di cui è fatto questo distillato, è tratto dagli alveari subito dopo la smelatura; la tecnica apistica degli apicoltori locali ha permesso di trasformare, grazie alla fermentazione, il miele in idromele.
Lo Spiritu de fascitrari, anche detto spiritu a cira (a Scicli, Ragusa) o spiritu i meli (a Palazzolo Acreide, Siracusa), o più comunemente indicato da tutti come u spiritu sanamalanni (per ferite, artrosi e ogni dolore). è un distillato unico che prende il nome da quanti lo inventarono. In dialetto siciliano, infatti, il suo nome significa "Alcol degli apicoltori", in onore degli apicoltori (i "fascitrari", appunto) che lo distillano.
Attualmente, l’apicoltura tradizionale è quasi del tutto scomparsa in Sicilia e con essa è sparita la produzione familiare del distillato.
Lo Spiritu de fascitrari (o fasciddari) è, quindi, un distillato che per le sue modalità casalinghe è un prodotto di autoconsumo che non tiene conto di normative sanitarie e precauzioni varie. Insomma, molto folk e borderline, di fatto non legale. Da qualche anno alcune aziende hanno avviato la produzione industriale dell’idromele, adottando tecnologie innovative che cercano di mantenerne le caratteristiche.
Figura 8
Alcune industrie hanno avviato tale produzione, qui di seguito i siti web: www.uspiritu.it, www.xuto.it www.akraispirits.it A Sortino, le aziende U Spiritu e Xuto hanno promosso la tipicità di questo distillato ibleo (fig. 8): |
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Xuto, ha presentato, al Vinitaly del 2015, due versioni del prodotto denominate: HYBLON e ANIMA (fig. 9, fig. 10).
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A Palazzolo Acreide, Siracusa) la distilleria Monterbe produce il distillato di miele Aphrodision, puro 418, ed edulcorato 664 (fig. 11) intitolato alle origini greche di Akrai (Aphrodite era la divinità a cui era devoto la corinzia Polis di Akrai).
Quest’acquavite di miele poliflora è edulcorata con miele ibleo di macchia siciliana caratterizzata da note di zagara e di timo arbustivo (sataredda); recentemente è stato premiato con la medaglia d’oro al Mead Madness Cup 2020 (in Polonia), la più importante manifestazione internazionale dedicata al mead (idromele) e alle sostanze alcoliche da miele.
In conclusione, last but not least, anche se non è un liquore, vogliamo ricordare l’Abbamele: uno dei più antichi prodotti gastronomici della cultura rurale della Sardegna.
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Si tratta di un derivato del miele le cui modalità di produzione tradizionali seguono diverse fasi di lavorazione.
Secondo le modalità tradizionali di preparazione, una volta completata la spremitura dei favi, le bocce di cera contenenti il 20-30% di miele vengono accantonate in recipienti di fortuna.
Dopo aver sistemato tutto il miele estratto, nei giorni immediatamente successivi alla smielatura, i favi contenenti miele residuo e polline vengono immersi in acqua calda (~ 50 °C), in modo che l’acqua sciolga tutto il miele ancora contenuto.
A questo punto, attraverso l’utilizzo di un opportuno mescolatore, o più semplicemente con le mani, si cerca di disfare tutti i grumi di cera e polline. La cera affiorante viene quindi spremuta ulteriormente e conservata in appositi contenitori.
L’acqua rimanente dalla fase precedente viene filtrata, ad esempio con un panno di lino, almeno due volte, e quindi sistemata in una caldaia idonea assai capiente.
Qui inizia la bollitura di raffinazione. Durante quest’operazione di “concentrazione” vengono aggiunte bucce d'arancia o di limone tagliate finemente, e si eliminano le impurità che risalgono sulla superficie.
Il contenuto della caldaia diventa a poco a poco sciropposo e deve essere tenuto in continuo movimento per evitare che si attacchi sul fondo e si “caramellizzi” prendendo così “odore di fumo”; il colore diventa sempre più scuro e il sapore sempre più dolce per via della concentrazione. Quando il liquido assume una consistenza simile a quella del miele, il riscaldamento viene interrotto, la caldaia depositata in un luogo appartato e lasciata intiepidire prima di procedere a “invasettare” l'abbamele così ottenuto. il colore è un castano denso e scuro con riflessi rossastri, lascia tracce (sulle mani, sull’etichetta, sul tovagliolo…), è un colore che si fa ricordare (fig. 12, fig. 13).
I prodotti acquistabili attraverso la grande distribuzione, ma soprattutto attraverso il contatto diretto con i produttori, sono stati sino ad ora definiti nelle etichette come “Abbamele", "Abbattu", "Decotto di miele o di miele e polline" o "Sapa di miele", utilizzando cioè principalmente termini in lingua sarda che ne sottolineano inequivocabilmente l'origine. Questi prodotti sono certamente dell’eccellenze del settore agroalimentare e punti di forza delle produzioni regionali: alimenti tipici del territorio e di altissima qualità che non possono essere prodotti su larga scala. Sono questi, al pari dello stesso miele, dell’olio di oliva, della birra artigianale, dell’aceto balsamico, il sidro (solo per citarne alcuni) i cosiddetti prodotti “di nicchia” su cui stanno puntando numerose Regioni con interventi legislativi e finanziari. Questo settore richiede professionalità molto diversificate e specifiche. Un settore, però, che certamente contribuisce ad aumentare l’attrattività dei luoghi di produzione.
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Renzo Barbattini, Stefano Buiatti Università di Udine
Bibliografia consultata
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De Rubeis M. G., 2016 - Idromele, miti, storia e preparazioni della bevanda degli dei. I doni delle muse edizioni.
Floris I., Satta A., 2009 – Apicoltura in Sardegna. La storia, le api, i mieli. Fondazione Banco di Sardegna, Provincia del Medio Campidano.
Floris I., Pusceddu M., Francesconi Ana H. D., Satta A., 2020 – Sardinian beekeeping. In Floris I. (a cura di): Italian Apicolture: A Journey through History and Honey Diversity, Accademia Nazionale Italiana di Entomologia, Firenze (Italy): 244-265.
Longo S., Di Mauro S., A. Coco., 1980 – Indagine conoscitiva su alcuni aspetti dell'apicoltura siciliana. Tecnica agricola n. 1-2 - Anno XXXII: 49-62.
Longo S.., 1980 – Consistenza attuale e prospettive di sviluppo dell'apicoltura nei Monti Iblei. Atti III Convegno Siciliano di Ecologia. Iblei: la Natura e l'uomo, 1-13.
Marchenay P. et Bérard L., 2007 – L’homme, l’abeille et le miel, Editions de Borée.
Morse R. A., 1980 – L'idromele. Storia, ricette, metodi e attrezzatura di produzione. Federazione Apicoltori Italiani.
Ringraziamenti Si ringraziano il dott. Piotr Medrzycki (CREA, Bologna), prof. Santi Longo (Università di Catania), il prof. Ignazio Floris (Università di Sassari), la Fondazione Slow Food per la biodiversità Onlus (Bra-Cuneo), Franc Šivic, Lega degli apicoltori sloveni (Ljubljana)
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