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COLLABORAZIONI
In questo Settore vengono riportate notizie
e immagini fornite da altri redattori.
Nello specifico, il presente articolo è stato realizzato
dal Prof. Renzo Barbattini dell'Università
di Udine, che ha fornito anche le immagini.
Tutti gli articoli degli altri Settori sono state realizzati
da Patrizia di Cartantica che declina ogni responsabilità
su quanto fornito dai collaboratori.
"N.B.: L'Autore prescrive
che qualora vi fosse un'utilizzazione per lavori a stampa
o per lavori/studi diffusi via Internet, da parte di terzi
(sia di parte dei testi sia di qualche immagine) essa potrà
avvenire solo previa richiesta trasmessa a Cartantica e citando
esplicitamente per esteso il lavoro originale (Autore, Titolo,
Periodico) ."
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L’APE, INSETTO PRODIGIOSO
L’ape è una specie animale che ha attirato su di sé l’attenzione di numerosissimi scienziati,
che nelle varie epoche hanno accumulato un’imponente trattatistica; quest’insetto è stato
studiato da tutti i punti di vista: sistematico, morfologico, fisiologico, etologico, patologico,
industriale ma raramente i diversi argomenti sono stati ospitati in un soloarticolo solo.
Tra i corredi fotografici, gli ingrandimenti “macro” scattati con il microscopio elettronico
a scansione non rappresentano più una novità per gli operatori italiani.
Tutto ciò, però,
contribuisce a un miglioramento del bagaglio di conoscenze biotecniche degli apicoltori
e, quindi, delle produzioni. Questo prezioso lavoro si rivolge a tutti quelli che amano
e utilizzano l’ape, e desiderano aggiornarsi sui suoi maggiori misteri, da poco, e mai
completamente, risolti, quali il linguaggio |
PREMESSA
Siamo nel terzo millennio: l’ape
riesce ancora a catalizzare l’interesse
di tanti appassionati,
apicoltori e non. Le ricerche sulla biologia
dell’ape, sulla morfologia del suo
corpo e sul fun
Grazie ai nuovi
strumenti di studio (microscopi ottici
ed elettronici, attrezzature fotografiche,
cinematografiche e televisive per riprese
anche a forti ingrandimenti ed esaminate,
poi, al rallentatore, ecc.) è possibile
approfondire via via le conoscenze
su questo insetto “prodigioso” favorendo,
nello stesso tempo, la comprensione
dei fenomeni biologici ad esso
legati.
Non è difficile vedere l’ape al lavoro: all’esterno
dell’alveare mentre visita i fiori
o dentro all’alveare entre si dedica a
diverse operazioni quali l’immagazzinamento
del nettare e del polline nelle
cellette, l’allevamento della prole e la
costruzione dei favi. Spesso, però, non
si conoscono le basi biologiche delle
numerose attività dell’ape
Ciò è fondamentale
non solo per una migliore
valutazione di quanto l’ape fa, ma
anche per una miglior conduzione
degli alveari. L’apicoltore, infatti, meglio
conosce il comportamento dell’ape
e più è in grado di attuare in modo razionale
le diverse operazioni apistiche.
Come può l’ape compiere attività così
differenziate? Perché ha un corpo che
glielo permette. Anch’essa non sfugge a
una regola generale, esistente nel
mondo zoologico, secondo la quale in
natura ogni organo e ogni apparato è
strutturato in modo da poter assolvere
a specifiche funzioni; tra struttura e
funzione di un organo, infatti, esiste
normalmente uno strettissimo legame.
La “prodigiosità” dell’ape, quindi, sta nella “prodigiosità” della sua conformazione
morfologica, fondamento della
biologia ed etologia, altrettanto prodigiose.
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IL CORPO DELL’APE
Figura 1
Come in tutti gli insetti, anche il
corpo dell’ape è costituito fondamentalmente
da tanti segmenti ad anello
più o meno resistenti che nel loro insieme
formano una sorta di corazza
protettiva avvolgente tutti gli organi
interni dell’individuo
Durante il processo
di formazione dell’adulto alcuni
di questi segmenti subiscono radicali
modificazioni e fusioni, tanto che
nell’adulto non è più possibile individuarli
singolarmente.
Nell’ape a sviluppo
completo, s’individuano tre
zone ben caratterizzate: il capo, il torace
e l’addome (Fig. 1).
Qui di seguito è riportata la descrizione
di queste zone e delle relative appendici.
Tale descrizione fa riferimento
quasi esclusivamente alle api operaie;
esse sono, del resto, gli individui di
gran lunga più numerosi e più osservati
per i molteplici lavori eseguiti.
Per gli
altri individui della società (ape regina
e fuchi) saranno, di volta in volta, segnalate,
se necessario, le peculiarità.
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IL CAPO
Figura 2 - Il Capo
La capsula cranica racchiude e protegge
organi particolarmente importanti per
la vita dell’ape quali il cerebro e lo gnatocerebro
(parti fondamentali del sistema
nervoso centrale), le glandole mandibolari
e faringee (produttrici di feromoni
e di gelatina reale), alcune glandole endocrine
e numerosi muscoli, fra i quali
quelli che agiscono sulla faringe consentendo
l’aspirazione dall’esterno dei
liquidi alimentari lungo il canale di suzione.
Sulla superficie del capo sono
collocate importanti appendici articolate
(quelle boccali e le antenne) e gli organi
della vista.
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LE ANTENNE
Figura 3
- Organi di senso (a destra)
dell’ultimo antennomero dell’operaia:
sulle antenne sono collocate
migliaia di sensilli di varia forma
che
consentono all’ape
di percepire sensazioni tattili,
odorose, termiche.
Costituite da 12 articoli nelle femmine e
da 13 nei maschi, esse sono basilari per
la vita di relazione tra le diverse componenti
della società. Sono mosse in continuazione
per toccare, ad esempio, le
antenne di altre compagne durante lo
scambio di cibo o per avvicinare gli alimenti
zuccherini.
Questi movimenti
sono necessari essenzialmente per consentire
alle migliaia di sensilli posti sulla
superficie delle antenne (Fig. 3), e direttamente
collegati al sistema nervoso, di
percepire dall’esterno numerosi segnali
per lo più di natura biochimica.
Sulle
antenne della regina vi sono circa 2000
sensilli, mentre su quelle delle operaie e
dei fuchi ve ne sono rispettivamente
6000 e 30000. Il maggior numero di
sensilli sulle antenne dei maschi si spiega
probabilmente col fatto che per il fuco è
fondamentale, durante il volo nuziale,
individuare la regina, tramite i feromoni
liberati nell’atmosfera.
Tali organi di
senso sono caratterizzati da una diversa
forma e sono specializzati nel captare
sensazioni di tipo particolare; i sensilli
termorecettori permettono di misurare,
ad esempio, la temperatura interna dell’alveare,
quelli igrorecettori sono utili per
captare l’umidità dell’ambiente e la percentuale
d’acqua contenuta nel miele in
preparazione, gli olfattori sono capaci di
percepire gli odori della colonia o quelli
di nettari o di alcuni feromoni.
Quest’ultime
sostanze sono la base del linguaggio,
essenzialmente di tipo chimico,
esistente all’interno dell’alveare e intercorrente
tra le diverse caste della colonia
(la fertile è rappresentata dalla regina e
da alcune centinaia di fuchi, la sterile
dalle migliaia di operaie).
Tutti gli insetti
producono feromoni, ma le api, soprattutto
la regina e le operaie, ne producono
molti e di vario tipo; le funzioni di
quelli finora studiati saranno illustrate
più avanti quando saranno trattate le regioni
del corpo interessate nella loro
produzione. Al fine di evitare che l’accumulo
di corpuscoli estranei o dello stesso
pulviscolo atmosferico possa contrastare
la percezione di sensazioni così importanti
per la vita dell’intera società, l’apeè in grado di pulire le antenne mediante
una particolare struttura, la stregghia, situata
a livello dell’articolazione tibio-tarsale
delle zampe anteriori.
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LE APPENDICI BOCCALI
L’apparato boccale dell’ape è di tipo lambente
succhiante ed è costituito da alcune
appendici, piuttosto complesse sia
per la loro struttura sia per il loro funzionamento.
Si tratta di varie parti che,
addossate le une alle altre, consentono
di compiere operazioni quali la suzione
di liquidi dall’esterno, l’emissione di saliva
verso sostanze zuccherine solide da
sciogliere e la lavorazione della cera.
Tra
queste appendici si ricordano:• le due mandibole, fortemente sclerificate
e munite di bordo arrotondato;
per quest’ultima caratteristica esse
sono utilizzate per triturare il polline,
modellare la cera e afferrare materiali
o prede, ma non per lacerare superfici
integre, continue, quali l’epidermide
di frutti maturi.
Pertanto l’accusa rivolta
alle api di essere la causa di
danni alla frutta, in particolare all’uva è del tutto infondata; esse, infatti,
si recano solo su frutti già
lesionati dalla grandine, dalle vespe o
da altre cause, per raccogliere le sostanze
zuccherine da essi fuoriuscenti
(Fig. 4).
Sulla superficie interna di
ogni mandibola vi è lo sbocco di un
piccolo canale dal quale fuoriesce il
secreto delle glandole mandibolari,
contenente feromoni molto importanti
per la vita sociale della famiglia.
della gelatina reale, alimento
tipico fornito dalle api nutrici alle
larve; inoltre contiene il 2-eptanone,
un feromone volatile che, liberato
nell’aria dalle api guardiane in prossimità
della porticina dell’alveare, può
agire da sostanza d’allarme in quanto
mette in guardia le api compagne da
pericoli incombenti
Le glandole
mandibolari sono assenti nei maschi,
mentre nella regina secernono sostanze
che vanno a costituire, assieme
a quelle prodotte dalle glandole addominali,
il “feromone reale”, le cui
principali funzioni saranno descritte
più avanti.
A questo proposito si può
evidenziare come vi sia, anche a questo
livello, uno stretto legame fra ape
regina e operaia; infatti,
l’acido 9-cheto-trans-2-decenoico,
una delle sostanze secrete
dalle glandole mandibolari
della regina, non sarebbe
elaborato ex novo ma sarebbe il risultato
dell’ossidazione dell’acido 9-
idrossi-trans-2-decenoico prodotto
dalle glandole mandibolari delle api
operaie e fornito dalle stesse con l’alimento;• le due mascelle costituite da vari articoli
(cardine, stipite, galea e da un piccolo
palpo).
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Sulla superficie di questi pezzi
vi sono sensilli di diverso tipo, alcuni
dei quali a funzione gustativa, labbro
inferiore, formato d’articoli impari
(postmento, premento, ligula) e d’articoli
pari (paraglosse e palpi labiali).
La parte più allungata dell’apparato
boccale è la ligula, struttura percorsa
internamente da un canale attraverso
il quale l’ape emette la saliva.
Allo
stato di riposo le appendici mascellari
e labiali sono tenute ripiegate sotto il
capo. Quando l’ape inizia la raccolta
di liquidi zuccherini (nettare, melata)
o di acqua, protende queste appendici
a formare una “proboscide” costituita
dalla ligula che è avvolta dalle
galee e dai palpi labiali; in questo
modo si realizzano due canali: uno
salivare più interno e uno più
esterno, attraverso il quale si ha la risalita,
per aspirazione, degli alimenti (Fig. 5). |
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L’apparato boccale entra in
gioco anche in attività prettamente
sociali quali l’alimentazione di altri
individui della famiglia e lo scambio,
da un’ape all’altra, di nettare o di altre
sostanze in elaborazione. Quest’ultima
operazione, denominata trofallassi, è particolarmente importante
per le api, insetti sociali per antonomasia;
infatti, tramite tale scambio
sono trasmesse, da un’ape all’altra,
quelle sostanze secrete dalle glandole
mandibolari e dalle glandole addominali
dell’ape regina che costituiscono
il “feromone reale” e che riescono a
condizionare gran parte della vita di
tutto l’alveare (Fig. 6).
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GLI ORGANI DELLA VISTA
L’ape percepisce le sensazioni visive tramite
i due occhi composti e i tre occhi
semplici. I primi, costituiti da migliaia
di piccoli elementi visivi (7000-8000
circa nei maschi, 4000-5000 nelle operaie,
3000-4000 nella regina) permettono
la percezione dell’ambiente
circostante attraverso parziali immagini
che, addossandosi tra di loro, offrono
all’ape una visione a mosaico (Fig. 7); i
secondi, percependo unicamente la
luce polarizzata, funzionano come sensibilizzatori degli occhi composti.
Oltre
all’immagine, l’ape percepisce anche alcuni
colori e forme. Gli studi di Karl
von Frisch, premio Nobel nel 1973,
hanno rivelato che l’ape operaia “vede”
quattro bande, cioè:
1) l’arancio, il giallo e il verde,
2) il blu-verdastro,
3) il blu e il violetto,
4) l’ultravioletto.
La sensibilità ai raggi ultravioletti, invisibili
all’uomo, consente alle api di
percepire la posizione del sole anche in
caso di cielo coperto. Per quanto riguarda
le forme, si è visto che l‘ape riesce
a distinguere agevolmente figure
segmentate (ad es.: la croce, il quadrato
vuoto, un insieme di segmenti paralleli)
da figure semplici (ad es.: il cerchio, il
quadrato pieno, il
triangolo), mentre
non coglie differenze
tra figure
segmentate o tra
figure semplici.
Studi sulle forme e sui
colori percepiti dall’ape sono stati recentemente
ripresi anche in Italia.
Scopo ultimo di queste ricerche è di
pervenire all’elaborazione di una serie
di segnali visivi atti a orientare le api
all’interno delle colture protette, favorendone
l’individuazione degli accessi e
delle uscite.
Tali sperimentazioni sono
ancora in corso ma già sono stati pubblicati
alcuni risultati: il lillà e il giallo
sono due colori particolarmente attrattivi
per l’ape, mentre tra le figure sperimentate
la preferita è la “stella a 10
punte”; in ogni caso, nelle scelte dell’ape,
il colore e la forma rivestono una
funzione riccamente intrecciata.
Gli organi della vista assumono una
grande importanza quando l’ape svolge
le attività proprie della bottinatrice.
Il colore dei fiori, infatti, è visibile da
lontano e attira anche da grandi distanze
mentre il profumo, tipico di ciascuna
specie vegetale, permette il
definitivo riconoscimento dei fiori da
vicino; inoltre, la localizzazione visiva
del proprio alveare facilita il rientro dell’operaia
dal pascolo.
Per far questo
l’ape si serve di opportuni punti di riferimento
quali siepi, alberi, muri; in loro
mancanza, come avviene quando gli alveari
sono trasportati in estese radure
per la produzione di mieli particolari,
le bottinatrici riescono ugualmente a ritrovare
la loro “casa”, in ciò aiutate dal
sole e dai tipici odori dell’alveare da cui
sono uscite, ma con un dispendio energetico
certamente maggiore.
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DA APITALIA - MARZO 2016
NOTE
1) In questo numero è riportata la prima parte di un lungo articolo “L’Ape insetto prodigioso”. In realtà è la riproposta di un articolo uscito anni fa (1991) nel numero speciale de “l’Italia agricola” (pubblicato da REDA, edizioni per l’agricoltura)
dedicato all’ape (apicoltura, ambiente, agricoltura) e coordinato dal dott. Raffaele Cirone. Le fotografie scattate col microscopio a scansione e i disegni del prof. Alessandro Sensidoni sono stati, successivamente (2001), pubblicati nel
libro "L’ape, forme e funzioni. Calderini edagricole, Bologna " (di Frilli F., Barbattini R., Milani N.).
Le belle foto di api sono, invece, recenti e sono state scattate da Luca Mazzocchi www.mondoapi.it).
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II PARTE
Continua il nostro viaggio nel mondo infinitamente piccolo dell’ape. Andiamo alla scoperta,
grazie agli occhi di un Autore - sì attento, ma specialista in Entomologia apistica - di minuscoli
dettagli, forme affascinanti, soluzioni efficaci ed efficienti che dimostrano quanto sia complesso
e imponente il percorso evolutivo di questa specie animale.
Basti dire che alcune delle soluzioni pratiche, messe a punto dalle api - ad esempio per
muoversi rapidamente o deambulare, volare a grandi distanze trasportando pesi esagerati
e senza mai perdere la rotta, decollare o atterrare in tratti brevissimi di spazio, costruire solide
strutture che garantiscano la corretta deposizione della regina ed elevati standard igienici
alla dispensa alimentare – affascinano i ricercatori che spesso ne traggono ispirazione.
per soluzioni tecnologiche applicate alla nostra vita quotidiana.
Pronti dunque, si parte… |
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IL TORACE
Questa regione, situata tra capo
e addome, può essere definita
come la “regione del movimento”
in quanto reca gli organi per il
volo e per la deambulazione rappresentati
rispettivamente da due paia di ali
(anteriori e posteriori) e da tre paia di
zampe (anteriori, medie e posteriori),
come si vede nella figura sottostante.
Figura 8 -
Ape operaia: sono indicate le tre zone morfologiche nelle quali è
suddiviso il corpo
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LE ALI
Figura 9
Gli hamuli permettono il collegamento delle ali di ogni
lato durante il volo.
Le ali dell’ape, espansioni del torace,
sono membranose; questa caratteristicaè richiamata dal nome stesso dell’ordine
di appartenenza delle api e degli
insetti affini: Imenotteri (dal greco
hymen = membrana e pteron = ala).
Esse
presentano una costituzione piuttosto
complessa essendo internamente percorse
da una fitta rete di tubi sclerificati
detti nervature o venature contenenti
trachee, terminazioni nervose ed emolinfa.
Tenendo conto di questa complessità
morfofunzionale non è da
escludere che l’amputazione delle ali
dell’ape regina - pratica che era adottata
da alcuni apicoltori per ridurre la probabilità
di sciamatura e rivelatasi parzialmente
inefficace per tale scopo -
provochi alterazioni comportamentali
di un certo peso.
Allo stato di riposo le ali sono mantenute
sopra l’addome, mentre durante il
volo quelle anteriori, più grandi e più
venulate, si muovono collegate con le
posteriori in modo da formare un’unica
superficie.
Tale collegamento si realizza
grazie ad una serie di hamuli (Fig. 9),
uncini a punta presenti sul margine anteriore
delle ali posteriori, che si agganciano
a una ripiegatura sclerificata del
bordo posteriore delle ali anteriori.
Le ali permettono all’ape bottinatrice
di compiere rapidi e lunghi voli sostenendo,
spesso, pesanti carichi. Infatti,
un’ape dal peso medio di 100 mg è in
grado di trasportare all’alveare, a una
velocità di circa 20 Km/ora, un carico
di polline di 15 mg e/o di nettare di 40
mg e/o di acqua di 25 mg percorrendo
tratti lunghi anche alcuni chilometri
senza fare soste intermedie.
A questo
proposito bisogna dire che l’ape per
percorrere la distanza tra l’alveare e una
sorgente alimentare, consuma meno
energia volando che non muovendosi“a piedi”.
Ciò fu dimostrato sperimentalmente
dai ricercatori dell’équipe di von Frisch negli anni 60-70 del secolo scorso interpretando
il linguaggio delle api, in condizioni naturali e in condizioni
obbligate;
tale linguaggio, basato principalmente sulla danza“circolare” e sulla danza “dell’addome”, sarà descritto alla
fine di questo capitolo.
Le api che si muovono naturalmente
con voli liberi, passano dal primo tipo al secondo tipo di
danza quando tra l’alveare e la fonte di cibo vi è una distanza
di 50-100 metri; quando le api sono obbligate a camminare,
il passaggio tra le due danze avviene già dopo un percorso di
3-4 metri.
È stato constatato, poi, che le api per percorrere 55 m in
volo o 3 m a piedi consumano lo stesso quantitativo di zuccheri
presenti nell’emolinfa; lo zucchero che si trova nel “sangue”
è, quindi, il “combustibile” necessario alle loro attività.
Comunque è bene ricordare che queste acquisizioni scientifiche
non sono da considerarsi definitive, in quanto tali
aspetti della biologia sono oggetto di continuo studio e di
approfondite ricerche che potranno portare a nuove indicazioni.
Le ali funzionano non solo da organi della propulsione, ma
servono anche per prendere, mantenere o cambiare la direzione
di volo; esse, inoltre, sono strettamente legate ad altre
attività indispensabili nella società delle api quali l’accoppiamento
tra fuchi e regina, l’eliminazione degli escrementi durante
i voli di “purificazione” e la termoregolazione
all’interno dell’alveare. |
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LE ZAMPE
Robuste e ben articolate - a partire dal
punto di attacco nella zona sternale del
torace si trovano la coxa, il trocantere,
il femore, la tibia e il tarso plurisegmentato
- esse svolgono, oltre a quella
locomotoria anche altre funzioni.
Ciò è
legato alla particolare conformazione di
ciascun paio di zampe.
Figura 10
Particolare delle setole presenti nell’incavo della stregghia
Come già accennato, nelle zampe anterioriè presente la stregghia (Fig. 10); con
questa struttura, costituita da un incavo
del primo articolo del tarso e da uno
sperone flessibile inserito all’estremità
della tibia, l’ape aggancia le antenne per
pulire i numerosi
sensilli su di esse
presenti, dai granuli
di polvere e
di polline che
possono attaccarsi
durante le diverse
attività svolte.
Per staccare le pallottole di polline dalle
zampe posteriori quando l’ape rientra
all’alveare, per pulire le ali e togliere
corpi estranei che possono ostruire le
aperture dell’apparato respiratorio, essa
utilizza una robusta spina presente nelle
tibie del secondo paio di zampe (Fig. 11).
Figura 11
Le tibie delle zampe medie sono dotate di una lunga
spina per favorire il distacco delle pallottole di polline, per pulire
le ali e le aperture dell’apparato respiratorio
Le zampe posteriori dell’ape operaia
sono strutturate per svolgere un’attività
basilare per la vita dell’intera società
delle api: l’accumulo e il trasporto all’alveare
del polline e del propoli (Fig. 12).
È opportuno ricordare che il polline è
fonte di proteine, sali minerali e vitamine
necessarie per il nutrimento delle
larve e delle api adulte, mentre il propoli è una sostanza resinosa prodotta
da alcune piante che è utilizzata dalle
api per fissare i favi, per chiudere eventuali
fessure dell’arnia, per rivestire le
pareti delle cellette di covata e anche
per imbalsamare i corpi di grossi nemici
uccisi, grazie alle sue proprietà
batteriostatiche.
Il polline è raccolto dall’ape bottinatrice
direttamente dai fiori in quanto
durante le visite il suo corpo si “sporca”
e la fitta peluria che lo ricopre trattiene
i granuli pollinici.
Figura 12
(Illustrazione di Alessandro Sensidoni)
Visione schematica del lato esterno (a) e del lato interno
(b) della zampa posteriore
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Da qui inizia il “viaggio”
del polline verso le cestelle, il luogo
naturale di accumulo.
La prima tappa è
rappresentata dalla pulizia del corpo
con le zampe anteriori e mediane e
dalla deposizione dei granuli di polline
sulla faccia interna del tarso delle zampe
posteriori.
Questa zona, ricoperta da
circa dieci serie trasversali di rigide setole, è la spazzola con la funzione di trattenere il polline proveniente dalle
altre zampe e dallo “spazzolamento”
dell’addome (Fig. 13).
La pulizia del
corpo in generale avviene durante gli
spostamenti da un fiore all’altro della
stessa specie vegetale visitata ma anche
durante le soste dell’ape sui fiori.
Durante la seconda tappa avviene il trasferimento
del polline dalla spazzola, ad
esempio della zampa sinistra, verso il
margine superiore appiattito del tarso
della zampa destra (auricola).
Figura 13
Faccia interna del tarso con spazzola in evidenza: nella
parte sx si notano l’auricola e il pettine
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Ogni apicoltore,
ma anche ogni persona attenta
alle bellezze della natura, avrà osservato
un’ape bottinatrice intenta a sfregare tra
di loro e alternativamente le zampe posteriori
tenendole sotto l’addome.
Con questo movimento ritmico d’innalzamento
e abbassamento, essa raschia
la spazzola con il lato inferiore
della tibia della zampa opposta, il pettine,
per cui i granuli
di polline
trattenuti cadono
e si ammassano
sull’auricola sottostante
(Fig. 14).
Figura 14
Particolare del pettine (sopra) e dell’auricola (sotto)
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A questo punto si
ha l’inizio della
terza tappa; la
masserella di polline,
schiacciata da
un movimento di
chiusura del tarso
contro la tibia, è
spinta verso la
superficie esterna
della stessa tibia.
Nonostante il
nome (cestella) che
potrebbe trarre in
inganno, essa è perfettamente liscia,
leggermente concava e contornata da
una frangia di lunghe setole ricurve.
All’angolo
inferiore è inserita un’unica rigida
setola che nella sua funzione
ricorda l’antico “palo del pagliaio”, poiché
attorno ad essa si accumula e si
forma la pallottola di polline (Fig. 15).
Fig. 15
Il polline è accumulato nella cestella per essere trasportato
all’alveare
I movimenti sopradescritti sono compiuti
in rapida successione in modo che
si abbia, in breve tempo, la totale copertura
della superficie. |
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La pallottola
completa di polline, del peso di circa
7,5 mg, è piuttosto consistente e rimane
saldamente agganciata alla tibia
posteriore perché è trattenuta oltre che
dal “palo del pagliaio” anche dalle setole
contornanti la cestella (Fig. 16).
Figura 16
L’ape bottinatrice trasferisce il polline dalla spazzola di
una zampa alla cestella di quella opposta utilizzando
alternativamente i due pettini. Nella sequenza sono indicati i
movimenti che spingono il polline trattenuto dal pettine verso la
cestella, portando alla formazione della pallotola di polline in
quest’ultima.
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Per la raccolta del propoli le api utilizzano
unicamente le cestelle nelle quali
accumulano direttamente, aiutandosi
con le zampe anteriori e medie, i pezzetti
di questa sostanza dopo averli staccati
con le mandibole dalle gemme di
alcune piante (betulla, pioppo, ippocastano
ecc.).
Caratteristica di ogni zampa è quella di
essere provvista all’estremità di forti unghie
tra le quali è situata una particolare
ventosa (arolio); con le prime l’ape può
aggrapparsi alle superfici ruvide, con la
seconda riesce a fissarsi e a procedere su
superfici lisce. (Fig. 17)
Figura 17
Il pretarso di ogni zampa porta le unghie e l’arolio per
l’adesione e la locomozione su qualsiasi superficie
Un’altra caratteristica delle zampe è
quella di essere ricoperte da numerose
setole; da pochi anni è stata dimostrata
la funzione sensoriale di alcune di queste.
Essa diventa di vitale importanza
quando è esplicata da sensilli presenti
sugli articoli terminali delle zampe anteriori
dell’ape regina.
Tra queste, infatti,
e il risultato dell’ovideposizione
esiste una precisa relazione; l’ape regina
prima di introdurre l’addome nella celletta
in cui deporrà l’uovo tasta i bordi
della stessa, oltre che con le antenne
anche con il primo paio di zampe.
Così
facendo, da alcuni sensilli delle zampe
anteriori partono degli stimoli indicanti
il “diametro” della celletta, che
raggiungono il sistema nervoso centrale
da cui viene inviato un messaggio che
agisce sul sistema riproduttivo dell’ape
regina. In tal modo quando la regina
avrà localizzato una cella di covata dal
diametro compreso tra i 6,2 e i 7 mm,
necessaria per lo sviluppo di un maschio,
in esso deporrà un uovo non fecondato,
mentre una cella dal diametro
leggermente più piccolo (5,3-6,3 mm)
potrà ospitare un uovo fecondato da
cui nascerà un individuo femminile.
A dimostrazione di questo, se si procede
al blocco delle attività delle zampe
anteriori dell’ape regina, ad esempio
bloccandole con piccoli fili o amputandole,
si avrà un’elevata percentuale di
errore nell’ovideposizione. Esprimendosi
in termini sindacali, si può dire
che in questo caso si è in presenza di un
condizionamento non più provocato
dalla regina verso le api operaie ma
dalla “base” verso il “vertice” della società:
le stesse operaie, infatti, costruendo
celle di covata di diversa
grandezza, secondo le esigenze domestiche,
condizionano l’ape regina sul
tipo di uova da deporre e quindi sul
tipo di prole.
Il futuro dell’uovo fecondato - verso
una vita d’ape operaia o d’ape regina,
soggetti entrambi caratterizzati da una
loro morfologia e da specifiche funzioni
- non è dovuta al corredo genetico ma
a una diversa razione alimentare durante
lo sviluppo larvale.
Come già accennato, le larve sono nutrite
dalle api nutrici con la gelatina
reale, prezioso secreto delle glandole
mandibolari e ipofaringee.
Nei primi tre giorni di vita, quest’alimentoè offerto a
tutte le larve, indipendentemente
dal loro futuro; in
seguito, però, il
regime dietetico
delle larve destinate
a diventare
api operaie, e così
pure quello delle
larve maschili, è
modificato con la
sostituzione di
una parte della
gelatina reale con
un cibo giallastro,
costituito soprattutto
da miele e
da polline (Fig.
18).
Figura 18
Larve d’ape immerse nella gelatina reale
La larva allevata nella cella reale e che
darà origine a una regina è, invece, alimentata
fino alla maturità con abbondanti
quantità di sola gelatina reale.
Si può, quindi, parlare di un determinismo
di casta condizionato dal tipo
di alimentazione larvale che incide
anche sulla durata dello sviluppo
preimmaginale. Il periodo, infatti, che
va dalla deposizione dell’uovo fino allo
sfarfallamento dalle cellette opercolate
delle api operaie e dei fuchi dura 21 e
24 giorni rispettivamente; l’ape regina,
invece, fuoriesce dalla cella reale dopo
soli 16 giorni dalla ovodeposizione.
|
- da APITALIA, APRILE 2016
III PARTE
Le api operaie riconoscono, attraverso dei ricettori di senso, la direzione della gravità.
Possono produrre cera, marcare con segnali olfattivi l’ingresso dell’alveare e le aree
di bottinamento. L’ape regina, attraverso il feromone reale, mantiene unita la famiglia
e attira i fuchi durante il volo nuziale. Alla base di queste diverse funzioni, vi sono dei sensilli
e delle glandole che l’autore, con dovizia di particolari, ci invita a scoprire
|
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L’ADDOME
Figura 19 - Ape operaia: sono indicate le tre zone morfologiche nelle quali è
suddiviso il corpo.
Foto Luca Mazzocchi
Osservata dall’esterno, questa regione
si presenta segmentata
(Fig. 19); i segmenti visibili
sono sei e in genere essi sono numerati
dal II al VII per tener conto del fatto
che il primo (propodeo) è fuso con il torace.
Oltre a questi, però, vi sono altri
tre piccoli segmenti profondamente
modificati e nascosti dal settimo.
Tra primo e secondo segmento vi è il
peziolo, una profonda strozzatura cui
segue l’addome propriamente detto
(gastro).
I segmenti dell’addome hanno la forma
di anelli e si sovrappongono parzialmente
tra di loro collegandosi mediante
membrane intersegmentali.
Queste membrane, grazie all’azione di
muscoli all’interno dei segmenti, permettono
all’ape di compiere ampi movimenti
ma d’altra parte rappresentano
un punto debole per l’insetto.
A questo
proposito si può ricordare l’acaro Varroa
destructor parassita diffuso in gran
parte del globo, il quale si nutre dell’emolinfa
dell’ape adulta dopo aver
perforato con il proprio apparato boccale
queste membrane poco resistenti.
La lunghezza e il colore dei peli che ricoprono
questa regione sono, assieme
alla colorazione dei primi segmenti addominali,
caratteristiche distintive delle
più note razze d’ape; si ricorda come
l’ape italiana (Apis mellifera ligustica) si
distingua dalle altre per i peli corti e
gialli che ricoprono i segmenti addominali,
anch’essi piuttosto chiari.
Nell’ape tedesca (Apis mellifera mellifera)
- diffusa dalla Francia alla Siberia - i
peli, brunastri e più lunghi, sovrapponendosi
alla colorazione molto scura
del corpo fanno sì che tale razza venga
comunemente detta “ape nera”.
Probabilmente tali differenze hanno un
significato adattativo; infatti, come
spesso avviene nel regno animale, gli
individui delle popolazioni che vivono
in climi più freddi hanno il corpo più
scuro per sfruttare le radiazioni solari, e
coperto da peli che possono isolarlo termicamente.
Grazie all’utilizzo di particolari arnie
sperimentali, dette da “osservazione”,
si è potuto osservare l’ape intenta a
compiere numerose attività all’interno
dell’alveare.
Alcune di queste, ad esempio
la costruzione dei favi e la danza
dell’addome, presuppongono la conoscenza
della direzione verticale; essendo
svolte in un ambiente di norma
buio, non possono essere orientate da
stimoli visivi.
Al fine di raccogliere informazioni
circa la posizione reciproca
del corpo dell’ape e delle sue parti, entrano
in funzione alcuni recettori di
senso presenti nelle aree dorsali e laterali
del peziolo (Fig. 20).
Fig. 20 - Nelle aree dorsali e laterali del
peziolo sono presenti importanti recettori
di senso.
In particolare, questi sensilli contribuiscono
a informare l’insetto sulla direzione
della gravità.
Quando l’ape, infatti, si muove sui favi
stando con il capo rivolto verso il basso,
l’addome grava sul torace stimolando i
peli sensoriali dell’area dorsale; ciò non
avviene quando l’insetto si trova nella direzione
opposta.
Nel caso, invece, di movimenti
del corpo obliqui rispetto alla
direzione verticale l’addome, per effetto
del suo peso, tende a ruotare andando a
stimolare le setole dell’area laterale destra
o quelli dell’area laterale destra.
L’addome è morfologicamente più
semplice del torace. L’importanza vitale
di questa regione, infatti, sta negli
organi che essa contiene: tra questi si
ricordano la maggior parte dell’apparato
digerente e dell’apparato circolatorio,
l’apparato riproduttore, i due
ampi sacchi aerei.
Questi ultimi sono
utili per il ricambio dell’aria all’interno
dell’apparato respiratorio, per diminuire
il peso specifico dell’insetto, rendendo
così il volo più facile, per
l’espulsione delle feci durante i voli di“purificazione” primaverili; nel fuco,
durante il volo “nuziale”, i sacchi aerei
esercitano anche una compressione
sugli organi genitali favorendo l’accoppiamento.
Qui di seguito sono descritte alcune
strutture dell’addome che rivestono
una particolare importanza nella vita
della colonia.
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LE GLANDOLE DELLA CERA
Una delle prerogative dell’ape operaia è quella di dedicarsi alla costruzione
dei favi, strutture abitative in cui avvengono
l’allevamento della prole e
l’immagazzinamento delle riserve alimentari.
La materia prima utilizzata
dalle api costruttrici (dette anche ceraiole) è la cera; essa è una miscela piuttosto
complessa di sostanze organiche
secreta dalle stesse api mediante particolari
cellule glandolari situate nella
parte ventrale dell’addome (Fig. 21).
Figura 21 - Stendendo l’addome, è possibile osservare gli specchi della cera ( : con presenza di alcuni residui di cera) la cui cuticola è priva dei peli e delle reticolature che caratterizzano quella delle altre regioni del corpo.In :il margine ingrandito di uno di tali specchi
Tali
cellule diventano attive all’incirca fra il
decimo e il diciottesimo giorno di vita
dell’ape adulta, poi si appiattiscono e
degenerano. Anche se si procede all’estensione
dei segmenti addominali
non si notano dei veri e propri sbocchi
di queste glandole sulla cuticola; la
cera, infatti, fuoriesce in forma liquida
attraverso piccolissime strutture (i cosiddetti
porocanali) per solidificare sottoforma
di scagliette a contatto con
l’aria.
Queste lamelle, del peso medio
di 0,8 mg, sono afferrate con le zampe
e con le mandibole per essere modellate
e utilizzate per la costruzione dei favi e
degli opercoli delle cellette.
La produzione di cera è assai modesta:
ogni ape ne produce circa 6 mg; essa,
inoltre, richiede il consumo di rilevanti
quantità di polline e di miele fresco; si
pensi che le api ceraiole hanno bisogno
di 10 Kg di miele per poter produrre 1
Kg di cera. |
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LA GLANDOLA DI NASONOV
Un atteggiamento del tutto particolareè quello assunto da alcune api operaie
sul predellino dell’arnia in occasione,
ad esempio, del rientro di numerose
bottinatrici dai pascoli visitati.
Queste
api di casa sostano davanti alla porticina
dell’alveare con il capo rivolto
verso l’entrata dell’arnia e con i segmenti
terminali dell’addome verso
l’esterno.
Così facendo piegano l’estremità
dell’addome verso il basso e scoprono
la membrana posta tra la parte
dorsale del VI e quella del VII segmento;
a questo livello si ha lo sbocco
dei dotti di un insieme di cellule glandolari
denominato glandola odorifera o
glandola di Nasonov (Fig. 22).
Fig. 22 - . Ape operaia con l’addome
proteso e con l’ultimo segmento
addominale ricurvo verso il basso in
modo da esporre le piccolissime aperture
attraverso cui sono liberati i secreti della
glandola di Nasanov.
Il secreto di questa glandola, una volta
liberato nell’aria, facilita il ritrovamento
del proprio alveare da parte delle api
bottinatrici; le api esploratrici di nuovi
territori, invece, utilizzano tale sostanza
- in realtà si tratta di un miscuglio di
sostanze molto aromatiche e molto volatili,
fra le quali sono stati individuati
il citrale, il geraniolo, l’acido geranico,
il nerolo, l’acido nerolico e il farnesolo
- per contrassegnare i luoghi di bottino.
Questi, perciò, saranno individuati
dalle altre api bottinatrici oltre che in
base alle indicazioni contenute nelle tipiche
danze ma anche per mezzo di segnali
olfattivi.
Il secreto della glandola
di Nasonov entra a far parte dell’odore
caratteristico di ciascuna famiglia d’api.
In esso si ritrovano, oltre a quelli provenienti
dal metabolismo delle stesse sostanze,
anche odori presenti nell’alveare
ma non prodotti dalle api che sono facilmente
assorbiti dalle cere e dalla cuticola.
Ad esempio, le scorte di miele e
di polline rilasciano un odore strettamente
legato all’origine botanica; esso
può caratterizzare olfattivamente la colonia
in modo diverso durante i periodi
di raccolta.
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LE GLANDOLE ADDOMINALI
DELL’APE REGINA
L’ape vive in una società di tipo matriarcale
governata cioè da una regina
cui le operaie conferiscono la massima“autorità”. Spetta all’ape regina, infatti,
il compito di perpetuare la specie e
mantenere unita la famiglia, controllandone
l’ordine sociale.
Essa governa
la colonia attraverso il cosiddetto feromone reale, insieme di sostanze secrete
dalle glandole mandibolari e dalle glandole
addominali. Quest’ultime sboccano
a livello di alcune membrane
intersegmentali addominali. Il feromone
reale impregna tutto il tegumento della
regina feconda ed è direttamente assunto
dalla corte di api operaie che la
circondano e la lambiscono (Fig. 23).
Fig. 23 - Ape regina con la “corte” di api
operaie
La composizione chimica della sostanza
reale non è ancora del tutto conosciuta
come, d’altra parte, sono ancora da scoprire
alcune delle molteplici funzioni
svolte. Essa, fra l’altro, inibisce lo sviluppo
degli ovari nelle operaie per cui
l’ape regina, finché essa è presente, è depositaria
esclusiva della facoltà di ovideposizione;
questa sostanza, inoltre,
stimola le api ceraiole a costruire in certi
periodi un maggior numero di cellette
per l’immagazzinamento delle scorte
alimentari e di celle per lo sviluppo di
covata di operai
Mentre l’unità della
famiglia è dovuta all’azione del secreto
delle glandole mandibolari, il secreto
delle glandole addominali è responsabile
dell’aggregazione della corte all’ape regina.
Il feromone reale, inoltre, funge da
attrattivo sessuale nei confronti dei
fuchi durante il volo “nuziale”.
Le ricerche scientifiche hanno messo in
luce una secrezione ciclica di feromone
reale da parte della regina. In presenza,
infatti, di una regina giovane, quindi
produttrice di molto feromone, nell’alveare
non si notano le caratteristiche
celle reali; a mano a mano che l’età
dell’ape regina avanza, si ha una minor
produzione di sostanza reale con la
conseguente costruzione, da parte delle
api ceraiole, delle cellette destinate a
ospitare le future api regine in via di
sviluppo
Così pure, a primavera inoltrata,
quando si ha un calo della secrezione
di questo feromone, si assiste alla
sciamatura con scissione della colonia
in due o più gruppi di api. In questo
periodo, inoltre, nell’alveare emerge la
necessità della presenza di un certo numero
di fuchi per cui, in relazione ad
un abbassamento di produzione di feromone
reale, è costruito un numero
adeguato di cellette in cui l’ape regina
deporrà uova non fecondate da cui sgusceranno
individui maschili.
La trasmissione di queste informazioni
da un’ape all’altra avviene soprattutto
per via boccale, tramite la trofallassi, ma
i componenti volatili di queste sostanze
vengono recepite anche dai numerosi
sensilli antennali. |
Fine III Parte
DA APITALIA - GIUGNO 2016
IV E ULTIMA PARTE
Forse non tutti sanno che… di feromoni di allarme le api operaie che pungono ne liberano
ben due, e che sui favi le bottinatrici eseguono, oltre che la danza “dell’addome”
e quella “circolare”, anche la danza “di gioia” e quella del “massaggio”.
Queste e tante altre curiosità, fanno dell’ape un insetto veramente unico!
|
IL PUNGIGLIONE
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Molti di coloro che sono venuti
in contatto con l’ape, o
per motivi professionali o per hobby o
per pura curiosità, avranno certamente
provato di persona l’esperienza di subire
una puntura da parte di questo
insetto.
Questa esperienza, certamente“dolorosa”, richiama un’altra attività
svolta dall’ape durante la sua vita: la
difesa della colonia dai nemici. A essa
si dedica in modo esclusivo l’ape operaia,
dotata di un’importante arma di
difesa: il pungiglione; a riposo questo è
accolto entro una tasca addominale ed
è estroflesso, dall’estremità dell’addome,
solo al momento dell’impiego.
Il pungiglione non è altro che un ovopositore
modificato; quest’ultimo è un
organo tipico delle femmine di molti
Imenotteri che è utilizzato per deporre
le uova, inserendole nei substrati in cui
si svilupperanno le larve da esse sgusciate.
Poiché le modalità di ovideposizione
e di allevamento della prole presso
la società delle api, esonerano tale
struttura dalla funzione originaria, essa
può trasformarsi in un valido organo
di difesa e di offesa.
Vista la sua origine,
il pungiglione è assente nei fuchi,
notoriamente inoffensivi.
Esso è costituito da tre pezzi articolati
tra loro: lo stiletto, caratterizzato dalla
punta affilata e da due rilievi che corrono
lungo la sua lunghezza, e le due
lancette, ognuna provvista di una decina
di uncini rivolti all’indietro e di un
solco longitudinale.
I due rilievi dello
stiletto, simili a “rotaie”, s’incastrano
nei solchi delle lancette. Gli stessi pezzi
delimitano un piccolo canale lungo il
quale scorre il veleno prodotto da specifiche
glandole e iniettato nella ferita
attraverso due solchi presenti sulle lancette
|
|
Fig 24 . Sinistra. Nella sezione si notano le “rotaie” dello stiletto e il canale di scorrimento del veleno.
Destra. Il pungiglione dell’ape operaia è composto dallo stiletto e da due lancette. |
Al momento della puntura, il pungiglione
non penetra “in toto” nei tessuti
della vittima ma, grazie all’azione
di robusti muscoli, si verifica uno scorrimento
reciproco delle diverse parti.
Gli uncini delle lancette sono utilissimi
per il successo di questa azione,
ma possono anche diventare causa di
morte per l’ape che ha inferto il colpo.
Infatti, se la puntura interessa un
tessuto elastico, quale quelli del corpo
umano, il pungiglione, tramite gli uncini,
resta conficcato nel substrato, per
cui lo sforzo dell’ape che si vuole allontanare
dalla vittima fa sì che si strappino
gli ultimi segmenti addominali,
una porzione dell’intestino nonché le
glandole del veleno che rimangano attaccate
al pungiglione stesso.
Quest’ape è destinata, di lì a poco, a morire. Ciò
non avviene, invece, quando la puntura
interessa il tegumento rigido di
altri insetti; in questo caso l’ape può
retrarre il pungiglione e tornare a vivere
normalmente.
Anche durante l’attività
di difesa l’ape dimostra di essere un
insetto tipicamente sociale; entrano,
infatti, in azione alcuni messaggi feromonici.
Al momento della puntura
l’ape libera nell’aria l’isopentil acetato,
un feromone d’allarme che provoca
nelle api compagne uno “stato di all’erta”
richiamandole sull’obiettivo punto;
gli eventuali bruschi movimenti della
vittima che ha subito la puntura scateneranno
un attacco plurimo.
In caso di una puntura d’ape, quindi, è
di rigore l’assoluta calma - cosa d’altra
parte difficile per chi non è apicoltore
! - altrimenti è facile riceverne altre in
tempi immediatamente successivi.
L’isopentil acetato può essere emesso
dall’ape guardiana anche senza aver
colpito la vittima: per far questo alza
l’addome ed estroflette il pungiglione
esponendo la membrana a livello della
quale è scaricato il feromone.
Come
già accennato essa produce, tramite le glandole mandibolari, un altro feromone
d’allarme (il 2-eptanone) che però è
meno efficace del precedente.
Anche l’ape regina è dotata di un pungiglione,
un poco diverso da quello
dell’ape operaia, presentando le lancette
con alcuni (3-4) piccoli uncini
laterali. La loro diversa conformazione
permette all’ape di estrarre abbastanza
agevolmente il pungiglione dalla vittima
colpita, ad esempio altre regine.
|
|
Fig. 25
Le danze delle api
1: posto di alimentazione visto dall’alveare nella direzione del sole. Le api percorrono
la linea retta della danza dell’addome con il capo rivolto verso l’alto.
2: posto di alimentazione visto dall’alveare a sinistra della direzione del sole; anche
la danza dell’addome rispetto alla verticale, si volge a sinistra con n angolo uguale.
3: posto di alimentazione visto dall’alveare a destra della direzione del sole; anche
la danza dell’addome rispetto alla verticale, si volge a destra con n angolo uguale.
4: posto di alimentazione visto dall’alveare nella direzione opposta a quella del sole;
la danza dell’addome, rispetto alla verticale, si svolge con il capo rivolto in basso
(da Laurino et al., 1980). |
CONCLUSIONE
|
A conclusione di questa carrellata si
può ricordare l’attività in cui l’ape raggiunge
la massima espressione della sua
prodigiosità: il cosiddetto “linguaggio”
che si esprime mediante danze.
La scoperta di tale forma di comunicazione
tra le api e il suo alto contenuto
di informazione è certamente il capolavoro
del già ricordato prof. Karl von
Frisch.
Poiché il messaggio che è dato è
in forma simbolica, nel linguaggio gestuale
dell’ape è coinvolto tutto il corpo
dell’insetto e non solamente singoli
organi o specifiche molecole.
Con questo linguaggio, basato principalmente
sulla danza “circolare” e
sulla danza “dell’addome”, l’ape bottinatrice
informa le compagne sull’ubicazione
della sorgente di nutrimento
che ha scoperto e che merita di essere
sfruttata.
Le danze sono serie di movimenti
che la bottinatrice compie sui
favi dell’alveare dopo aver individuato
una fonte nettarifera interessante e
aver raccolto un poco di nettare da far
assaggiare alle compagne (Fig. 25).
Quando la distanza del pascolo dall’alveareè inferiore ai 100 metri, la bottinatrice
esegue la danza “circolare”;
essa, cioè, descrive alcuni movimenti
circolari quasi completi, variando
spesso la direzione. Stimolate da questi
movimenti, altre api si avvicinano a
essa toccandola con le antenne protese
in avanti.
Così facendo, esse possono
recepire anche informazioni sulla qualità
del nettare raccolto che, nel frattempo,è stato rigurgitato in piccole
gocce dalla bottinatric
Dal nettare
a loro offerto e dall’odore dei fiori di
cui il corpo dell’ape danzatrice è impregnato,
le api, quindi, sono in grado
di riconoscere l’odore del pascolo che
dovranno cercare.
La rapidità e la velocità
con cui questa danza è eseguita
indicano l’abbondanza della sorgente
alimentare, per cui maggiore è la vivacità
e maggiore è il numero delle bottinatrici“reclutate” che lasciano il nido
per andare alla sua ricerca.
Se, invece, la sorgente alimentare si
trova a una distanza dall’alveare superiore
ai 100 metri, la bottinatrice esegue
la danza “dell’addome”. La danza“circolare” e quella “dell’addome” non
sono nettamente separate, perché se le
distanze dei pascoli scoperti sono intermedie,
si hanno danze di transizione
dall’una all’altra.
Durante la danza “dell’addome” la
bottinatrice percorre sul favo un tratto
rettilineo, compie un semicerchio
all’indietro fino all’inizio di questo
tratto, lo ripercorre nuovamente e ripete
un semicerchio nella direzione
opposta a quella del precedente fino al
tratto rettilineo e così via
Mentre percorre
il tratto rettilineo l’ape muove
con rapidità l’addome a destra e a sinistra
(13-15 volte al secondo) vibrando
contemporaneamente le ali.
La frequenza di queste evoluzioni sul
favo, il numero degli “scodinzolamenti”
lungo la linea retta e il numero di
volte che è percorso tale tratto indicano
la distanza della fonte nettarifera
dall’alveare.
Più l’ape è lenta e più la
sorgente è lontana: ad esempio, se la
bottinatrice in 60 secondi percorre 24
volte la linea retta allora il pascolo si
trova a 500 metri, se invece il tratto
viene percorso, nella medesima unità
di tempo, solamente 8 volte ciò indica
una distanza del pascolo di circa 2500-
3000 metri.
La danza “dell’addome”, tramite l’assaggio
di piccole gocce di nettare rigurgitato,
fornisce alle altre api anche
informazioni circa la qualità del bottino
ma, soprattutto, da indicazioni
circa la direzione che le api “reclutate”
devono seguire uscendo dall’alveare
per andare direttamente verso i luoghi
di bottino.
La posizione del tratto
rettilineo rispetto alla verticale durante
la danza sui favi indica l’angolo da
assumere rispetto al sole nel viaggio di
andata verso la sorgente segnalata.
Le conoscenze riguardanti il linguaggio
gestuale delle api non si limitano
alle danze sopradescritte; in particolari
circostanze le api eseguono altri tipi
di danze, ad esempio quella “di gioia”
quando sta per sfarfallare un nuova
regina o al termine di una giornata di
intensa e proficua raccolta del cibo,
oppure quella del “massaggio” per rianimare
altre api ferme sulla porticina
perché intirizzite dal freddo e quindi
incapaci di rientrare nell’alveare.
Molto
probabilmente in futuro la ricerca
scientifica giungerà alla scoperta di altre
danze e di altre forme di comunicazione;
ad esempio non si conoscono
ancora i mezzi d’informazione che regolano
la raccolta del polline.
L’insieme di queste conoscenze, note e
meno note, acquisite e future, spesso
porta a descrivere l’ape come un insetto
non solo prodigioso ma anche “intelligente”.
Quest’ultima definizioneè, a nostro avviso, piuttosto azzardata.
L’ape, infatti, pur essendo dotata di un
sistema nervoso dal cerebro molto più
sviluppato di quello di altri insetti, dimostra
di possedere sì notevoli facoltà
psichiche; esse, però, non sfociano in
un’intelligenza simile a quella dell’uomo
- capace di repentini adattamenti a
situazioni nuove - ma in istinti.
Questi
istinti, comunque, rivestono una grande
importanza: si pensi alle numerose
attività cui l’ape si dedica durante la
sua vita e alle capacità di orientamento,
di memoria e di trasmissione delle
informazioni.
Quanto esposto in quest’articolo non è
probabilmente sufficiente per illustrare
a pieno la vita della società delle api, di
quell’insieme che alcuni hanno definito
come “superorganismo” vedendo in
esso delle attività vitali proprie quali la
nutrizione, la sopravvivenza, la riproduzione
e la difesa; tutto ciò dovrebbe,
comunque, essere utile per meglio
valutare gli stretti rapporti esistenti tra
le principali strutture del corpo, il loro
funzionamento e i comportamenti di
questo imenottero aculeato. |
Foto di Giancarlo Martire
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DA APITALIA 6 - 2016
NOTA
“L’Ape insetto
prodigioso”. è la riproposta
di un articolo uscito anni fa (1991)
nel numero speciale de “l’Italia agricola”
(pubblicato da REDA, edizioni per
l’agricoltura) dedicato all’ape (apicoltura,
ambiente, agricoltura) e coordinato
dal dott. Raffaele Cirone.
Le fotografie scattate col microscopio a
scansione dal prof. Norberto Milani e
i disegni del prof. Alessandro Sensidoni
sono stati, successivamente (2001), pubblicati
nel libro “L’ape, forme e funzioni.
Calderini edagricole, Bologna “ (di Frilli
F., Barbattini R., Milani N.).
Le belle foto di api sono, invece, recenti
e sono state scattate da Luca Mazzocchi
(www.mondoapi.it)
Bibliografia consultata
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Vidano C., 1974 - Api e frutta matura. Ricorrenti e
ingiuste accuse all’apicoltura, L’Apicoltore moderno,
65, pagg. 144-148.
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Vierling G., Renner M., 1977 - Significance of the
secretion of the tergite glands in the attractiveness
of the queen honeybee to young woerkers, Behav.
Ecology and Sociobiology, 2, pagg. 185-200.
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Wigglesworth V. B., 1972 - The principles of insect
phisiology, seventh edition, Chapman and Hall Ltd
(U.S.A.),
- Wilson E. O., 1971 - La società degli insetti, Einaudi,
Dello stesso Autore:
Api nell'Arte
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Api e Religione -
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Api nel collezionismo e nella pubblicità
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Il mondo delle Api
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Api nel mondo infantile
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Api e loro prodotti
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Di altri Autori:
- sull'argomento "Api e Religione", segnaliamo in Collaborazioni Varie l'articolo del Prof. Franco Frilli - "L'Ape nella Sacra Scrittura" |
Clikkare qui sotto per altro articolo sugli Animali nella Bibbia, sotto la voce "Antico Testamento"
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