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PARLIAMO DI FIGURINE APISTICHE
Le figurine Liebig dedicate alle api
di Renzo Barbattini
Dipartimento di Biologia e Protezione delle Piante – Università di Udine
INTRODUZIONE
Il barone Justus von Liebig, studioso e ricercatore nel campo della trasformazione e conservazione alimentare, elaborò, nella seconda metà del 1800 l’estratto di carne che porta il suo nome, un prodotto naturale che in poco tempo fu apprezzato e usato in tutto il mondo.
Per promuovere tale prodotto, all’acquisto di ogni confezione venne abbinato, un originale omaggio, una cromolitografia (1), la prima figurina artistica culturale che verrà poi diffusa in tutto il mondo con il nome Liebig. Per oltre cento anni le figurine suscitarono l’interesse del pubblico diventando oggetto di scambio, di ricerca e, soprattutto, di collezionismo: alcuni pezzi rari hanno raggiunto quotazioni altissime (anche 20.000 Euro!).
Le figurine Liebig si distinguono dalle altre per l’alta qualità della stampa in cromolitografia - fino a 12 colori - e la perfezione delle immagini, in molti casi realizzate da artisti di notevole livello. Un’altra componente fondamentale per il loro successo è stata la ricerca degli argomenti da trattare: storia, geografia, scienze, monumenti, personaggi famosi, usi e costumi, attualità, umorismo ecc., tanto da formare nel tempo una piccola “enciclopedia” a colori. Si tratta di serie di 6-12-18 esemplari, con una spiegazione/commento stampata sul retro. La diffusione continuò quasi ininterrottamente fino al 1976 con un totale di 1871 serie in Italia (2).
Esistono più serie dedicate ad una stessa tematica: tra quelle riguardanti il “Regno della Natura” due hanno per soggetto le api; esse sono la numero 1266/1267 (3) (intitolata La vita delle api, emessa in Italia e in Belgio) e la numero 1134/1135 (intitolata Le api e l’apicoltura, emessa in Italia, Svizzera, Belgio e Germania), risalenti rispettivamente al 1933 e al 1922. In particolare, la prima ha per tema gli aspetti fondamentali della vita delle api, mentre la seconda affronta alcuni momenti della conduzione degli apiari.
Di seguito sono illustrate le figurine apistiche delle serie citate, riportando il titolo, anche se a volte esso presenta qualche “licenza” linguistica, così come è stampato su di esse. Le due serie sono presentate non secondo l’ordine cronologico di esecuzione ma secondo un ordine didattico, secondo noi, più logico.
LA VITA DELLE API - SERIE N. 1266/1267
Fig. 1: “Prime uscite primaverili”. |
A seconda che siano produttrici di nettare e/o di polline (4) e in funzione del periodo dell’anno in cui fioriscono, le varie specie vegetali possono essere importanti per le api in quanto utili per la ripresa primaverile delle colonie, per la costituzione di scorte per l’inverno oppure per la produzione di miele che nei nostri climi avviene per lo più da maggio a settembre. Nettare e polline sono importanti per la sopravvivenza del “superorganismo” alveare. A partire dal nettare, e anche dalle sostanze zuccherine raccolte nell’ambiente, le api elaborano il miele che costituisce una riserva glucidica a disposizione della famiglia, mentre il polline, ricco di proteine, viene utilizzato nell’alimentazione delle larve di fuchi e di operaie dal terzo giorno di vita in poi, e nell’alimentazione delle api adulte. A partire dal polline, inoltre, viene prodotta la gelatina reale (nota a tutti come pappa reale), alimento altamente energetico ed esclusivo, per tutta la durata della vita, dell’ape regina.
L’attività delle api, però, non si esaurisce nella sola produzione di miele, sia perché cera, propoli, polline, pappa reale, veleno possono essere prodotti da alcuni apicoltori sia perché́ l’impollinazione ricopre un ruolo importantissimo nel favorire il perpetuarsi di numerose specie vegetali, sia coltivate che spontanee consentendo di salvaguardare la biodiversità̀ di un territorio.
E’ risaputo che la maggior parte delle piante d’interesse agrario necessita degli insetti pronubi per l’impolllinazione (la cosiddetta fecondazione incrociata). Tuttavia la moderna agricoltura, con l’affermarsi delle monocolture e di alcune pratiche agricole che prevedono l’eliminazione delle zone “rifugio” (le siepi ad es.) in cui i pronubi selvatici possano nidificare e con l’uso indiscriminato di pesticidi (in particolare insetticidi) ha reso spesso i campi coltivati un ambiente inospitale per i pronubi. Tra questi, l’ape è certamente la più “gestibile” dall’uomo grazie alla possibilità di un suo allevamento (5). Sarebbe quindi auspicabile una sempre maggiore collaborazione fra il mondo apistico e quello agricolo in funzione anche dei reciproci vantaggi che entrambi potrebbero ricavarne.
Ciò che è stampato sul retro della figurina
Fig. 1: “Prime uscite primaverili”.
Non è certamente necessario insistere sul fatto che le api, come le formiche e le vespe, vivono in comunità. organizzate. Voi sapete che un alvearc è la dimora di tutto un popolo sul quale regna una regina, popolo composto di qualche centinaio di maschi e migliaia (fino a 50.000) d’operaie sterili che non depongono uova. Voi sapete anche che in inverno le api non escono. Che farebbero fuori? Nessun fiore da succhiare! Esse morrebbero assiderate dal freddo. Ma, non appena il sole di primavcra, apporta un po’ di calore all’alveare, la vita vi si manifesta di nuovo. Voi non indovinereste mai quale sia il primo bisogno delle operaie dopo il loro riposo invernale: andare alia ricerca d’acqua. Infatti il miele accumulato puo solidificarsi ed allora si rende necessaria 1’acqua per scioglierlo di nuovo, altrimenti la colonia perirebbe anche davanti all’abbondanza di miele. Ma ciò non impedisce la raccolta del nettare. Si comprende dunque che, alle prime belle giornate, le operaie vadano a cercare la rugiada, mentrc, come 1'indica la nostra vignetta si schiudono i primi fiori primaverili: ii salice, il croco, la primula, il bucaneve.
Fig. 2: “La regina deponitrice (sic!) di uova” |
E’ noto che la colonia di api è costituita da diverse caste (la fertile è rappresentata dall’ape regina e da alcune centinaia di maschi detti fuchi, la sterile dalle migliaia di api operaie). Pur tenendo presente sia l’estrema variabilità esistente fra regina e regina e fra razza e razza sia il differente comportamento dello stesso individuo negli anni, ogni regina può deporre anche più di 300.000 uova all’anno.
L’ovopositore, struttura tipica delle femmine di molti insetti, nella regina è trasformato in pungiglione ed è alloggiato all’interno del settimo segmento addominale, nella camera del pungiglione: l’uovo è deposto, uscendo direttamente dalla vagina attraverso l’orifizio vaginale situato alla base del pungiglione, con cautela sul fondo della celletta, con ripiegamento della porzione terminale dell’addome che viene introdotto nella celletta (Fig. 2a). Una caratteristica delle zampe dell’ape è quella di essere ricoperte da numerose setole; da pochi anni è stata dimostrata la funzione sensoriale di alcune di queste. Essa diventa di vitale importanza quando è esplicata da sensilli presenti sugli articoli terminali delle zampe anteriori dell’ape regina. Infatti tra queste e il risultato dell’ovideposizione esiste una precisa relazione; l’ape regina, prima di introdurre l’addome nelle celletta in cui deporrà l’uovo, tasta i bordi della stessa, oltre che con le antenne anche con il primo paio di zampe. Così facendo, da alcuni sensilli delle zampe anteriori partono degli stimoli indicanti il “diametro” della celletta, che raggiungono il sistema nervoso centrale da cui viene inviato un messaggio che agisce sul sistema riproduttivo dell’ape regina. In tal modo, qundo la regina avrà localizzato una cella di covata dal diametro compreso tra i 6,2 e i 7 mm, necessaria per lo sviluppo di un maschio, in essa deporrà un uovo non fecondato, mentre una cella dal diametro leggermente più piccolo (5,3-6,3 mm) potrà ospitare un uovo fecondato da cui nascerà un individuo femminile (6).
Esprimendosi in termini sindacali, si potrebbe dire che in questo caso si è in presenza di un condizionamento non più provocato dalla regina verso le api operaie ma dalla “base” verso il “vertice” della società: infatti le stesse operaie, costruendo celle di covata di diversa grandezza, secondo le esigenze domestiche, condizionano l’ape regina sul tipo di uova da deporre e quindi sul tipo di prole.
Il futuro dell’uovo fecondato - verso una vita da ape operaia o da ape regina, soggetti entrambi caratterizzati da una loro morfologia e da specifiche funzioni - non è dovuta al corredo genetico ma ad una diversa razione alimentare offerta durante lo sviluppo larvale. Le larve sono alimentate dalle api nutrici con la gelatina reale, prezioso secreto delle glandole mandibolari e ipofaringee. Nei primi tre giorni di vita, questo alimento viene offerto a tutte le larve, indipendentemente dal loro futuro; in seguito, però, il regime dietetico delle larve destinate a diventare api operaie, e così pure quello delle larve maschili, è modificato con la sostituzione di una parte della gelatina reale con un cibo giallastro, costituito soprattutto da miele e da polline.
La larva allevata nella cella reale e che darà origine ad una regina viene, invece, alimentata fino alla maturità con abbondanti quantità di sola gelatina reale. Si può, quindi, parlare di un determinismo di casta indotto dal tipo di alimentazione larvale che incide anche sulla durata dello sviluppo preimmaginale. Infatti, il periodo che va dalla deposizione dell’uovo fino allo sfarfallamento dalle cellette opercolate delle api operaie e dei fuchi dura 21 e 24 giorni rispettivamente; l’ape regina, invece, fuoriesce dalla cella reale dopo soli 16 giorni dalla ovideposizione.
E’ necessario, però, tener presente che si tratta di dati medi, in quanto non solo esistono importanti variazioni fra le sottospecie di Apis mellifera, ma anche i fattori ambientali (es. la temperatura) hanno una forte influenza sulla durata dello sviluppo.
Ciò che è stampato sul retro della figurina
Fig. 2: “La regina deponitrice (sic!) di uova”
A partire dal momento in cui la ripresa della vita nell’alveare è ritornata normale, la regina comincia a deporre Ie uova. Essa è la sola a poterlo fare e per questa ragione vi si consacra interamente: durante tutta la vita essa puo produrre più di un milione d’uova. Guardate sulla nostra figura con quale sollecitudine la circondano alcune operaie durante la posa delle uova. Cosa straordinaria: in un favo di cera vi sono delle cellule dalle quali sortiranno le operaie, altre, molto meno numerose, dove 1’uovo darà un maschio ed infine qualche cellula ove si formerà una regina. Due giorni dopo la posa, una larva sorte da ogni uovo, una larva cieca ed incapace di nutrirsi da sé stessa. Sono le operaie che se ne occupano. Esse rimpinzano letteralmente le larve che ingrandiscono rapidamente. Dopo qualche giorno le operaie chiudono con cera le cellule contenenti le larve, Queste si trasformano in ninfe e cioé si avvolgono in una specie di bozzolo da dove, tre settimane dopo, sorte un’ape. Quando un insetto passa successivamente per le tappe: uovo, larva, ninfa, insetto completo, si dice che è un insetto a metamorfosi completa.
Fig. 3: Le api architetti (sarebbe meglio dire architette!)
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Una delle prerogative dell’ape operaia è quella di dedicarsi alla costruzione dei favi, strutture abitative in cui avviene l’allevamento della prole e l’immagazzinamento delle riserve alimentari. La materia prima utilizzata dalle api costruttrici (dette anche ceraiole) è la cera; essa è una miscela piuttosto complessa di sostanze organiche secreta dalle stesse api mediante particolari cellule glandolari situate nella parte ventrale dell’addome (la terza regione del corpo dell’ape). Tali cellule diventano attive all’incirca fra il decimo e il diciottesimo giorno di vita dell’ape adulta, poi si appiattiscono e degenerano.
Anche se si procede all’estensione dei segmenti addominali non si notano dei veri e propri sbocchi di queste glandole sulla cuticola; infatti la cera fuoriesce in forma liquida attraverso piccolissime strutture (i cosiddetti porocanali) per solidificare sotto forma di scagliette a contatto con l’aria. Queste lamelle, del peso medio di 0,8 mg, sono afferrate con le zampe e con le mandibole per essere modellate ed utilizzate per la costruzione dei favi e degli opercoli delle cellette.
La produzione di cera è assai modesta: ogni ape ne produce circa 6 mg. Essa richiede il consumo di rilevanti quantità di polline e di miele fresco; si pensi che le api ceraiole hanno bisogno di 10 kg di miele per poter produrre 1 kg di cera.
Ciò che è stampato sul retro della figurina
Fig. 3: Le api architetti.
Nell’alveare, i favi di cera pendono dal soffitto. Le api cominciano la costruzione dall’alto. Ogni apertura regolare che voi vedete è un alveolo o cellula, il favo è a doppia faccia e cioé quanto voi vedete sul lato davanti a voi, esiste anche su quello opposto. Voi trovate anche che gli alveoli sono esagonali (sei lati). Perche? Qui si palesa l’intelligenza di questi piccoli animali. Il problema che si pone ad essi è il seguente: costruire delle cellule avvicinatasi alla forma cilindrica (le loro larve sono cilindriche), solide, occupanti il minor spazio possibile e con un impiego minimo di materiali. Ebbene le api sono perfettamente d’accordo con gli studiosi; non c'è che una soluzione possibile: le cellule in forma di prisma esagonale ed è ciò che le api fanno con la cera. Nel corpo esse hanno delle ghiandole producenti questa materia che sorte, già preparata e pronta ad essere utilizzata, dagli anelli dell’addome (vedi vignetta, a destra), ad una temperatura di circa 35°. Perciò al momento della costruzione dei vari raggi dei favi, le api si accostano fortemente le une alle altre in modo da riscaldarsi e provocare quindi I’uscita della cera molto bianca, che esse impastano e foggiano direttamente.
Fig. 4: “L’emigrazione o sciamatura”
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La moltiplicazione della colonia d’api avviene attraverso il fenomeno della sciamatura. Nella stagione primaverile (ma per varie ragioni può accadere anche durante il periodo estivo), una parte della colonia con la vecchia regina, si allontana per dare origine ad una nuova colonia (7). In preparazione della sciamatura, le operaie rallentano la loro attività di raccolta di cibo e di costruzione di nuovi favi, costruiscono delle celle reali (o modificano la struttura delle celle da operaia preesistenti) e la regina smette di deporre uova 1-2 giorni prima del volo; nell’alveare da cui è uscito lo sciame, la prima regina nata dalle celle reali allevate, uccide le proprie sorelle direttamente nelle celle prima che esse nascano. Nel caso di nascita contemporanea di più regine, una sola sopravviverà alla lotta e, dopo il/i voli di accoppiamento, inizierà l’ovideposizione.
La sciamatura è un fenomeno legato all’istinto di conservazione e di propagazione della specie. Questa è la causa primaria ma non poche sono le concause che, nel loro insieme. inducono la famiglia a separarsi. Di seguito sono illustrate le principali.
1. È evidente come l’eccessivo numero di api strette in un’unica residenza, la carenza di celle disponibili ad ospitare covata e scorte, necessarie alla colonia per poter esprimere la propria potenzialità di sviluppo, stimolino le api ad allevare celle reali per dividersi.
2. Le forti importazioni di nettare e di polline agiscono da stimolo, provocando una maggior nutrizione alla regina e una maggior deposizione di uova; contemporaneamente l’area a disposizione della covata si riduce vistosamenete.
3. Le ghiandole mandibolari nell’ape regina sono più grandi che nell’operaia e secernono il feromone mandibolare della regina (spesso indicato con la sigla QMP (8)); esso assicura la coesione della colonia e stabilizza le operaie che accompagnano la regina (la “corte”), la curano e la alimentano. Quando la famiglia diviene troppo popolosa oppure la regina è ormai vecchia o muore, l’azione di questo feromone (assieme con quella di altri emessi dalla regina) si attenua o scompare; allora vengono allevate nuove regine in previsione della sciamatura o per sostituire la vecchia.
4. Le ghiandole ipofaringee, collocate nel capo dell’ape, sono presenti in tutte le femmine (anche se ridotte nelle regine), ma sono funzionanti nelle sole operaie; esse secernono il più abbondante componente della gelatina reale con la quale sono nutrite le regine adulte e tutte le larve, nei primi tre-quattro giorni di vita. Quando l’equilibrio di produzione è alterato dalla presenza di un numero eccessivo di api nutrici, che non possono scaricare altrimenti il loro prodotto, queste sono indotte a costruire celle reali, nelle quali possono riversare la gelatina reale in grandi quantità per allevare larve reali.
5. I favi eccessivamente vecchi utilizzati nel nido di covata, presentano pareti piuttosto spesse e diametro interno ridotto; a causa di ciò, le operaie possono essere indotte a cercare altri spazi per la deposizione di nuova covata.
6. Infine, occorre ricordare che esiste una certa predisposizione ereditaria alla sciamatura, che si manifesta soprattutto negli alveari scarsamente o malamente accuditi e nelle arnie villiche.
Ciò che è stampato sul retro della figurina
Fig. 4: “L’emigrazione o sciamatura”.
La popolazione d’un alveare può raggiungere 50.000 individui, ma, siccome giornalmente la regina può arrivare a deporre fino 2.000 uova, la popolazione arumenterebbe in proporzioni troppo forti se delle api non abbandonassero il ricovero. Esse lo fanno ed ecco come. Quando una giovane regina sta per lasciare la culla e cioé la cellula nella quale essa è passata attraverso tutti gli stadi della metamorfosi, tutte le (sic!) abitanti dell’alveare si mostrano affaccendati: il rumore del loro ronzio è differente da quello che è in tempo ordinario; qualche cosa d’importante sta per accadere. Due regine non possono vivere assieme in un medesimo alveare, altrimenti sarebbe la lotta a morte fra esse. Generalmente la vecchia regina se ne vola via, circondata da migliaia di operaie, per fondare una nuova colonia. Questa massa vivente che voi vedete appesa all’albero a destra della vignetta, è uno sciame. L’apicoltore verrà a coglierlo popolando cosi un nuovo alveare. Altrimenti lo sciame si stabilirebbe in qualche vecchio tronco d’albero conducendo una vita selvaggia.
Fig. 5: “Il volo nuziale”.
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Il volo nuziale, detto anche di accoppiamento, della regina vergine avviene a 5-6 gg. ca. di vita, quando l’attività delle ghiandole mandibolari, delle ghiandole tergali, delle cellule neurosecretrici del cervello, così come il titolo di vitellogenina (9) nell’emolinfa (impropriamente da molti chiamata “sangue”), indicano che la regina è sessualmente matura. Tale volo, preceduto da un volo d’orientamento, dura in media 18’ (min 10’ max >30’). La durata dipende dalla distanza che la regina percorre (in media, da 1 a 2,5 km), dalle condizioni atmosferiche (a T < 20°C e/o con velocità del vento > 23 km/h il successo è scarso) e dal numero degli spermatozoi che riceve. In funzione delle precedenti variabili, la regina può compiere da uno a tre voli consecutivi a distanza di uno o più giorni. I fuchi, donatori di spermi e provenienti da diversi alveari, si radunano in spazi aerei definiti “zone d’assembramento”. Queste sono aree di 70-100 m di diametro che si formano ad un’altezza di 30 m ca. sempre nello stesso posto; da esse si dipartono le cosiddette “linee di volo” (corridoi delle dimensioni di 50-100 m). Le regine vergini in volo d’accoppiamento possono incontrare molti fuchi già nei corridoi di volo e quindi accoppiarsi anche fuori dalle zone di assembramento.
Una volta individuata la regina, grazie a stimoli chimici e stimoli ottici, i fuchi la inseguono formando una cometa (tipo sciame) con un numero variabile d’individui (50-300). Contrariamente a una credenza molto diffusa in passato, l’inseminazione non avviene per opera di uno o pochi fuchi, ma la regina viene raggiunta da diversi maschi (8 - 16) con i quali si accoppia.
Ciò che è stampato sul retro della figurina
Fig. 5: “Il volo nuziale”.
La giovane regina rimasta all'alveare, vuole regnare sola ed uccide senza pietà tutte le
altre regine nelle cellule reali non ancora dischiuse. Questo modo di ottenere e di conservare l’egemonia è evidentemente sanguinario, ma non è che a questo prezzo che la pace, il lavoro ed il benessere sono possibili nella colonia.
Pochi giorni dopo questo massacro ed al primo bel sole, la giovane regina lascia repentinamente 1'alveare seguita dai maschi o fuchi: essa compie il suo volo nuziale. Poi tutti rientrano nell’alveare da dove la regina non sortirà mai più. Guardate la nostra illustrazione; vi si distingue facilmente la regina, svelta, slanciata ed i maschi piu grossi, piu membruti.
Fig. 6: “Il massacro”.
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Dalla spiegazione riportata sul retro di questa figurina l’immagine fa riferimento alla lotta instaurata dalle api operaie nei confronti dei fuchi, “oziosi”, “pigri” e incapaci di svolgere un qualsiasi lavoro all’interno dell’alveare (10).
Ogni famiglia o società possiede una sola regina e qualche centinaio di maschi (i fuchi), la cui presenza è peraltro stagionale. Essi compaiono in primavera avanzata, quando possono essere utilizzati per l’eventuate fecondazione di una regina vergine e quando il flusso nettarifero è abbondante; sono ottimi volatori, ma sono tanto oziosi e pigri da preferire di essere nutriti dalle operaie anche quando sono adulti. Sono tollerati per tutta la durata della buona stagione, ma in autunno le operaie li scacciano a forza dall’alveare o li uccidono con il pungiglione (11) o li lasciano morire di inedia.
Ciò che è stampato sul retro della figurina
Fig. 6 : “Il massacro”.
La regina è fecondata, i favi di cera sono pronti a ricevere le uova che, senza interruzione, la sola femmina di questo popolo comincerà a deporre. Tutte le operate, senza eccezione, s’occupano fuori e dentro dell’alveare e sempre di lavori utili per la comunità. Non ci sono che i maschi che oziano. Essi vivono alle spalle della società che naturalmcnte li considera come bocche inutili da nutrire nel prossimo inverno. Meno ”umana” della società degli uomini, quella delle api si sbarazza radicalmente dei suoi parassiti. Le operaie trascurano di nutrirli durante qualche giorno; i maschi troppo pigri per procurarsi essi stessi l’indispensabile, deperiscono, vengono cacciati dall’alveare ed anche uccisi dalle operaie.
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SECONDA PARTE
Nella prima puntata, prendendo spunto dalle figurine Liebig della serie n. 1266/1267 (La vita delle api) ci si è soffermati su aspetti strettamente etologici dell’ape. In questo contributo si affrontano alcuni momenti della conduzione degli apiari (serie n. 1134/1135, Le api e l’apicoltura).
Fig. 1: “Giovane coppia westfaliana implora davanti agli alveari, la protezione delle api” |
All’occhio dell’apicoltore balza un comportamento che non si deve tenere quando ci si avvicina a un apiario. Per evitare di essere punti dalle api, non bisogna stazionare di fronte agli alveari ma occorre sempre accostarsi stando di fianco o posteriormente; in tal modo non si ostacola l’andirivieni delle api stesse. Un’altra precauzione comportamentale che va tenuta presente è quella di non avvicinarsi agli alveari senza le difese necessarie usate dagli apicoltori (soprattutto la maschera, utilissima per proteggere il viso).
Quando ci si avvicina agli alveari è consigliabile utilizzare vestiti chiari, non scuri e colorati come quelli indossati dalla coppia westfaliana(12): i colori scuri, che contrastano con il colore chiaro del cielo, sono tra i fattori che influenzano l’aggressività delle api. Anche gli odori forti (compreso l’odore tipico del sudore dell’uomo) a volte attraggono questi insetti “pungitori” per cui, quando si va in apiario, è bene non aver utilizzato profumi, cosa che in antichità veniva fatta molto spesso!
Ciò che è stampato sul retro della figurina
Fig. 1: “Giovane coppia westfaliana implora davanti agli alveari, la protezione delle api”.
Fra le antiche tribù germaniche le api erano tenute in grande onore e venivano loro attribuite delle facoltà soprannaturali. Nella Bassa-Germania ogni colono possedeva degli alveari, e allorquando una coppia si sposava, si recava, dopo lo sposalizio, davanti gli alveari per impetrare la benedizione delle api; e siccome l’apicoltura rappresentava una delle principali risorse dello sfruttamento agricolo, quella invocazione non era priva di fondamento. Questa secolare costumanza durò in Westfalia fino verso lo scorcio del 17° secolo, epoca in cui la coltivazione del frumento ebbe il sopravvento.
Fig. 2: “La cattura di uno sciame all’epoca della fioritura degli alberi fruttiferi” |
La figurina riporta un’operazione apistica che si ripete abbastanza spesso: quella del recupero di sciami liberi. Per far questo l’apicoltore rappresentato utilizza un attrezzo del tutto simile a quello che si usa ancor oggi. Se lo sciame si trova in un luogo difficile da raggiungere quale il ramo di un albero d’alto fusto, si può tentare di recuperarlo utilizzando un “pigliasciami” costituito da un sacco mantenuto aperto da un cerchio metallico e sospeso in cima a una lunga pertica. Il sacco (in genere di tela) è chiudibile in basso con una cordicella; una volta recuperato lo sciame si pone il sacco su un’arnia aperta superiormente e si apre la parte inferiore per far scendere le api dello sciame, regina compresa. Nella figura è rappresentato anche una specie di “tubo” di tela, probabilmente utilizzato per travasare le api dal “pigliasciami” all’arnia.
Ciò che è stampato sul retro della figurina
Fig. 2: “La cattura di uno sciame all’epoca della fioritura degli alberi fruttiferi”
Lo sciamare delle api non è cosa piacevole per l’apicultore, al quale ne può derivare la perdita da 10 a 30.000 insetti. Quando, dopo avere spiato pel pertugio posteriore dell’alveare, l’apicultore constata l’agitazione delle api che solitamente annunzia lo sciamare, esso adatta all’apertura una reticella, e, tosto le api vi sono entrate, la stende e porta in seguito lo sciame in un altro alveare. Se, ciò malgrado, uno sciame riesce a fuggire e va a posarsi sopra un ramo d’albero, l’apicultore procura di impadronirsene mediante una borsa a tale scopo predisposta.
Fig. 3 : “Nidi di api selvatiche in tronchi d’alberi devastati dai Veda” |
Le api (13), selvatiche e allevate, quale sede per costruire il proprio nido, preferiscono il tronco d’albero ad ogni altra cavità naturale. Istintivamente una colonia sciamante si dirige di preferenza verso una zona boschiva e prende possesso dello spazio interno di un albero, spazio comunicante con l’esterno attraverso un foro o una piccola breccia. In esso le api si dedicherannno alla costruzione dei favi e all’accumulo di miele e di polline.
Nella figurina sono rappresentati due indigeni impegnati a predare un nido di api al fine di raccogliere il miele. Per affrontare le api, cercando di evitare dolorose punture, questi “raccoglitori di miele” si sono avvicinati all’albero cavo impugnando un qualcosa (probabilmente un mazzo di erbe) che, acceso con il fuoco, produce fumo. E’ risaputo che le api, se disturbate, reagiscono aggredendo; ma fin dalla preistoria l’uomo ha scoperto che il fumo le ammansisce. Ne basta poco perché tutte le api di una famiglia raggiungano rapidamente i favi rimpinzandosi di miele (14) in modo tale che, aumentando di peso, perdono gran parte della loro agilità e della capacità di volare, ed hanno maggiore difficolta ad estrarre il pungiglione. II fumo è prodotto dalla combustione di diversi materiali (oggi gli apicoltori utilizzano soprattutto tela di iuta o cartone arrotolato, da introdurre nel fornello dell’affumicatore a mantice). In alcuni Paesi dell’Africa Centrale e del sud-est asiatico esistono ancora raccoglitori di miele che “predano” i nidi delle api selvatiche.
Ciò che è stampato sul retro della figurina
Fig. 3: “Nidi di api selvatiche in tronchi d’alberi devastati dai Veda”
Prima che fosse addomesticata dall’uomo, l’ape viveva nelle fenditure delle rocce e nel cavo degli alberi. Nello spiare degli sciami d’api, l’uomo primordiale immaginò un procedimento ingegnoso per scoprirne inidi, procedimento che i Veda usano ancora oggi nelle foreste dell’India. Essi prendono un’ape trovata a caso, alla quale attaccano un oggetto leggero, ma molto visibile. Liberata l’ape essa vola verso il suo alveare, e seguendola, i Veda ne scoprono il nido. Essi affumicano quest’ultimo per scacciarne le api, appunto come procede ogni allevatore nei nostri paesi per impadronirsi dei favi senza farsi pungere. Allontanate le api, l’albero viene sfruttato dai Veda dopo averne allargato, a colpi dl accetta, le screpolature naturali. Quegli alberi contengono molto miele, giacché le api fanno provviste assai superiori al loro consumo.
Fig. 4 : “Trasporto per ferrovia di alveari verso nuovi campi da sfruttare” |
La figurina mostra l’aspetto principale di una particolare pratica apistica denominata “nomadismo” (15) che permette, trasferendo gli alveari da una zona a un’altra, lo sfruttamento di risorse nettarifere, presenti in comprensori floristici lontani dall’abituale residenza dell’allevamento. L'apicoltore nomade è paragonabile al pastore transumante, che cerca per il proprio gregge pascoli invernali in pianura e pascoli estivi in montagna. In tempi recenti il nomadismo ha assunto un carattere molto importante diventando una vera e propria ricerca di pascoli, oltre che abbondanti, anche diversificati nel tempo per poter produrre i cosiddetti mieli “caratterizzati”.
Il nomadismo è un’attività apistica altamente specializzzata, che esige una grande esperienza e una buona professionalità dell’apicoltore. Essa richiede un particolare tipo d’arnia, tecnologie di allevamento adeguate e mezzi di trasporto efficienti quali carrelli e rimorchi da trainare, camion, barche (16) e treni (un tempo anche animali da soma).
Ciò che è stampato sul retro della figurina
Fig. 4: “Trasporto per ferrovia di alveari verso nuovi campi da sfruttare”
Allo scopo di sfruttare la fioritura di prati lontani e procurare cosi regioni propizie alle api, gli alveari vengono spesso trasportati a mezzo di speciali veicoli oppure per ferrovia in vagoni specialmente adattati all’uopo. Al momento della fioritura nelle brughiere, interi trasporti arrivano, per esempio, giornamente a Luneburg (Germania), ove un completo impianto di alveari è predisposto lungo la ferrovia. Tosto aperti gli alveari, le api spiccano il volo, cercando dapprima di orientarsi per muovere poi alla rtcerca del miele. Il loro senso di orientamento è siffattamente sviluppato che, fra tanti alveari, esse ritrovano immediatamente il loro. Quando le api sono tutte ritornate, gli alveari vengono chiusi e rispediti al luogo d’origine.
Fig. 5 : “Raccolto del miele e collocamento di nuovi telai negli alveari (Italia)” |
La figurina fà riferimento alla raccolta del miele, nota comunemente con il nome di “smelatura” o “smielatura”, un insieme di operazioni apistiche molto importanti. Essa può avvenire in mesi diversi a seconda delle regioni e delle fioriture, a partire da maggio-giugno fino a settembre. Si svolge attraverso una serie di operazioni: prelievo dei melari dagli alveari o dei favi in essi contenuti, estrazione del miele dai favi, restituzione dei melari o dei favi alle famiglie. Seguono poi le fasi che interessano più direttamente il prodotto: decantazione, confezionamento, conservazione. Terminata la fase di raccolta dei melari in campagna, inizia la vera e propria lavorazione del prodotto, che deve avvenire, come per tutti i prodotti alimentari, in locali idonei dal punto di vista igienico sanitario (17) . La scena rapprentata nella figurina non è certo in linea con quest’ultima indicazione!
I favi disopercolati (18) vengono posti nello smelatore (o centrifuga manuale o elettrica, radiale o tangenziale) di capacità variabile (da 6 a 40 favi ed oltre), munito di un rubinetto inferiore dal quale il miele estratto passa in un primo recipiente di raccolta per essere trasferito subito dopo nel decantatore, noto comunemente con il
nome di maturatore: un recipiente nel quale il miele “riposa” per un certo tempo (19).
Ciò che è stampato sul retro della figurina
Fig. 5: “Raccolto del miele e collocamento di nuovi telai negli alveari (Italia)”
La moderna apicoltura si preoccupa specialmente di liberare il più possibile Ie api dalla cura di preparare della cera, affinché esse possano dedicarsi preferibilmente alla produzione del miele. A tale scopo si tolgono dagli alveari i telai contenenti il miele e si mettono nella centrifuga, la quale, girando, scaglia il miele dalle cellule contro la parete del tamburo della centrifuga medesima. Questo poi scorre verso il rubinetto d’uscita, e si versa nei recipienti pel trasporto. I telai vuoti sono immediatamente ricollocati negll alveari affinché le api li riempiano di bel nuovo. La nostra vignetta rappresenta un impianto di apicoltura italiana, dove vedesi dapprima una centrifuga in
attività, mentre di fianco si trova il meccanismo interno di una seconda, la quale mostra come i 4 telai vi sono introdotti.
Fig. 6 : “Alveari di tronco d’albero collocati da contadini russi”. |
La figurina illustra il trasferimento di una famiglia da un tronco d’albero, opportunamente aperto, ad un’arnia verticale a forma di edicola. La pratica del “travaso”, tuttora applicata in casi particolari o in Paesi ove si sta passando da un’apicoltura tradizionale ad un’apicoltura razionale e moderna, consente di trasferire una colonia di api da un ricovero naturale ad uno artificiale. Durante quest’operazione il trambusto è tale che le api perdono parte della loro aggressività, anche se è opportuno proteggersi adeguatamente. L’apicoltore che sta armeggiando attorno all’arnia verticale sembra sia protetto da un cappello e da una maschera di rete.
Ciò che è stampato sul retro della figurina
Fig. 6: “Alveari di tronco d'albero collocati da contadini russi”.
Già nella antichità, i Greci avevano intrecciato degli alveari con della paglia, ma ai tempi torbidi della emigrazione dei popoli, questa industria era venuta meno. Trascorsi alcuni secoli, degli alveari costruiti con ceppi di legno apparvero nelle steppe fiorite dei paesi sarmati (fra il Mar Baltico e il Mar Nero). Questi alveari erano predisposti in tronchi d’alberi cavi, che venivano poi forniti di api. Delle tavolette a chiusura mobile permettevano di sezionare gli strati di miele; ignoravasi 1’arte di estrarre gli strati separatamente come negli antichi alveari. Si può presumere che i primi passi dello sfruttamento del miele selvaggio verso 1’apicoltura, si effettuarono con degli alveari di tal genere. Questo metodo tuttora si usa in Russia.
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CONCLUSIONI
A conclusione di questa “intromissione” nel variegato mondo delle figurine Liebig dedicate alle api e all’apicoltura, preme evidenziare il buon grado di conoscenza “apistica” che emerge, nonostante che queste risalgano a oltre mezzo secolo fa. Si può affermare, senza alcun dubbio, che esse sono state un ottimo mezzo di divulgazione – data la loro diffusione capillare – tra gli apicoltori dell’epoca di nozioni relative alla biologia delle api e ad alcune pratiche di tecnica apistica.
Parlando in termini generali, è da rimarcare l’interessantissimo aspetto enciclopedico delle figurine Liebig. Esse, infatti, hanno trattato un po’ tutti i campi dello scibile umano dell’epoca, campi che si sono rivelati degni di essere scandagliati anche negli anni succesivi. In un’epoca in cui non erano ancora disponibili gli audiovisivi (questi dovevano essere ancora inventati!) le figurine Liebig sono state quindi, non solo un mezzo pubblicitario, ma anche un sistema per “fare cultura”.
A questo punto si può chiudere con qualche considerazione sull’aspetto artistico delle figurine Liebig dedicate alle api e al loro mondo. La prima serie considerata, si connota per la tendenza all’analisi, per cui si riduce l’ambientazione (a volte è presente un generico sfondo agreste, a volte la focalizzazione è così spinta da escludere i particolari di contorno). Prevale la scientificità della visione, e dunque il disegnatore si fa, in questi casi, docile strumento a servizio di una rappresentazione il più possibile esatta e puntuale.
Diverso il caso della seconda serie. Balza subito all’occhio un approccio assai differente, perché la visione si allarga e lo scenario naturalistico diviene più importante, anzi si direbbe prioritario. L’artista coglie l’occasione di tratteggiare rapidi quadretti agresti, in cui la presenza umana è sempre fondamentale, abbinandosi a un certo gusto per la rievocazione dei diversi luoghi, delle diverse epoche, delle diverse stagioni. Un’intonazione narrativa prevale nettamente sullo spirito scientifico: diventano importanti i colori, col rapporto tra le luci e le ombre; la struttura prospettica della composizione e la gerarchia degli elementi.
Ne deriva una ricostruzione ambientale che acquisisce anche un certo valore estetico autonomo, tutto basato sul carattere narrativo e popolaresco della rappresentazione. |
RINGRAZIAMENTI
Si desidera ringraziare per la collaborazione prestata il dott. Alberto Contessi dell’ARA (Ravenna), il dott. Stefano Esperti della Redazione del Catalogo unificato Liebig - C.I.F. (Milano), il prof. Franco Frilli e il dott. Moreno Greatti dell’Università di Udine, il dott. Stefano Fugazza della Galleria d’Arte Moderna “Ricci Oddi” (Piacenza) nonché il dott. M. Lodesani del CRA-API (sede di Reggio Emilia); un particolare ringraziamento và al Museo della Figurina (Modena) che ha fornito le immagini delle figurine.
NOTE
1 - L'arte della litografia fu inventata verso la fine del '700, e consisteva nello stampare per mezzo di una pietra calcarea a grana finissima, detta pietra litografica (quella di migliore qualità si estraeva dalla cava di Solnhofen in Baviera).
2 - Se si tiene conto delle edizioni in lingua straniera (la Liebig era presente in tanti Paesi europei e anche in U.S.A. !) le serie emesse arrivano a circa settemila.
3 - Viene indicata una doppia numerazione in quanto la prima si riferisce al Catalago “Unificato” adottato dalla Liebig e la seconda al Catalogo “Sanguinetti” utillizzato dal Museo della Figurina di Modena
4 - E’ entrato nel linguaggio comune dei melissopalinologi (gli studiosi della commponente pollinica dei vari tipi di miele) denominare le specie vegetali come “nettarifere” o “pollinifere”.
5 - Da qualche anno in alcune zone ad agricoltura avanzata, in particolare in quelle a vocazione frutticola (Emilia-Romagna, Veneto ad es.) si sta diffondendo tra gli agricoltori il ricorso al “servizio d’impollinazione” che prevede l’introduzione degli alveari nei frutteti.
6 - A dimostrazione di questo, se si procede al blocco delle attività delle zampe anteriori dell’ape regina, ad esempio bloccandole con piccoli fili o amputandole, si avrà un’elevata percentuale di errore nell’ovideposizione.
7 - Questo è detto sciame primario; nel caso in cui la colonia decidesse di produrre un nuovo sciame (sciame secondario), verrebbero preservate alcune celle reali dalla lotta tra le regine e, dopo circa 5-10 giorni dall’uscita del primo sciame, la prima delle nuove regine nate partirà dell’alveare con circa metà delle operaie rimaste nel nido.
8 Iniziali dell’inglese “queen mandibular pheromone”); si tratta di una miscela di almeno cinque sostanze diverse, fra le quali la più importante è l’acido 9-cheto-trans-2-decenoico (ODA).
9 Proteina albuminosa il cui titolo s’alza nelle prime due settimane di vita della regina.
10 - Studi recenti hanno rivalutato il ruolo svolto dai maschi nella società: si è accertato, infatti, che essi collaborano al riscaldamento della covata e partecipano alla circolazione del cibo tra le operaie.
11 - Il pungiglione, detto anche “dardo”, non è altro che un ovopositore modificato; quest’ultimo è un organo tipico delle femmine di molti Imenotteri che viene utilizzato per deporre le uova, inserendole nei substrati in cui si svilupperanno le larve da esse sgusciate. Poichè le modalità d’ovideposizione e di allevamento della prole presso la società delle api, esonerano tale struttura dalla funzione originaria, essa può trasformarsi in un valido organo di difesa e di offesa. A riposo questo è accolto entro una tasca addominale e viene estroflesso, dall’estremità dell’addome, solo al momento dell’impiego. Vista la sua origine, il pungiglione è assente nei fuchi, notoriamente inoffensivi.
12 - Originaria del Nord Reno-Westfalia (in tedesco Nordrhein-Westfalen, in italiano anche Renania settentrionale-Vestfalia; 34.080 km² e 18.000.000 abitanti); è questo il più popolato dei sedici Stati federati della Germania. Quarto stato tedesco per superficie, è situato nella zona nord-occidentale del Paese. La capitale è Düsseldorf.
13 - Con questo termine – piuttosto generico, in verità – si vuole intendere l’insieme degli Imenotteri Apoidei.
14 - Per spiegare questo comportamento è stata fatta l’ipotesi che l’odore del fumo richami alle api il pericolo di un incendio spingendole a fare incetta di scorte nell’eventualità di dover abbandonare il nido.
15 - Questa pratica è anche definita “transumanza”, dato il forte richiamo con la pastorizia trasmigrante. La parola è composta da trans (al di là) e da humus (terra), come dire greggi che migrano. Ma non è pastorizia nomade, cioè senza fissa dimora, e neppure stanziale, ossia con una sola dimora. La transumanza, infatti, si basa sul cambio tra due sedi note in determinati periodi dell'anno.
16 - Plinio il Vecchio (morto a Stabia il 24 agosto 79 d.C.) narra che gli apicoltori della zona attraversata dal Po trasportavano gli alveari lungo il fiume su capaci imbarcazioni. Essi rallentavano moltissimo la navigazione, muovendosi a tappe, per permettere alle api di uscire dagli alveari, di volare sui fiori della sponda sinistra o destra del fiume e di ritrovare facilmente le arnie sui battelli, quasi fermi sull’acqua, in attesa. L’aspetto delle sponde del Po era allora lussurreggiante di piante, di fiori e di radure. Succesivamente, quando poi gli zatteroni si abbassavano a filo d’acqua per il peso dei melari pieni (ciò poteva avvenire anche dopo qualche mese), gli apicoltori ritornavano alla zona di partenza trasportando il prezioso carico. Lo spostamento delle imbarcazioni con gli alveari si effettuava solo di notte, quando le api erano tutte rientrate. Sembra che i viaggi fossero due all’anno: uno a primavera e uno in estate; infatti erano queste le stagioni più favorevoli al lavoro delle api.
17 - Le principali caratteristiche dei laboratorio per il miele, oggi, sono: buona aerazione, ampiezza sufficiente a contenere gli attrezzi d'uso, pavimenti lavabili, pareti piastrellate, impianto elettrico ermetico, disponibilita di acqua potabile, schermatura delle porte e finestre con reti che impediscano 1'ingresso di insetti, servizi igienici per il personaie, ecc.
18 - La disopercolatura consiste nell’eliminare la sottile pellicola di cera che sigilla ogni celletta del favo quando questa è piena di miele maturo, quando cioè l’eccesso di acqua è evaporato ad opera delle api.
19 - La decantazione ha durata diversa a seconda del tipo di miele e della temperatura dell’ambiente di lavorazione: da 6 a 20 giorni. Durante tale periodo dalla massa del miele affiorano bolle d’aria, incorporate alla massa durante la centrifugazione, le particelle di cera, corpi estranei leggeri quali parti d’api e frammenti di legno, che formano in superficie uno strato biancastro e schiumoso; a decantazione avvenuta sarà necessario asportare con ogni cura tale strato, magari ripetendo 1’operazione due o tre volte. E’ buona norma, per evitare la presenza di materiali abbondanti nel miele, fare uso di filtri da porre sul decantatore.
Bibliografia consultata
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Barbattini R., 2008 - Parliamo di figurine apistiche. Le figurine Liebig dedicate alle api/1.
Didattica delle Scienze, 44 (258): 43-4
e
Barbattini R., 2008 - Parliamo di figurine apistiche. Le figurine Liebig dedicate alle api/2.
Didattica delle Scienze,
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