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COLLABORAZIONI
In questo Settore vengono riportate notizie
e immagini fornite da altri redattori.
Nello specifico, il presente articolo è stato realizzato
dal Prof. Renzo Barbattini dell'Università
di Udine, che ha fornito anche le immagini.
Tutti gli articoli degli altri Settori sono state realizzati
da Patrizia di Cartantica che declina ogni responsabilità
su quanto fornito dai collaboratori.
"N.B.: L'Autore prescrive
che qualora vi fosse un'utilizzazione per lavori a stampa
o per lavori/studi diffusi via Internet, da parte di terzi
(sia di parte dei testi sia di qualche immagine) essa potrà
avvenire solo previa richiesta trasmessa a Cartantica e citando
esplicitamente per esteso il lavoro originale (Autore, Titolo,
Periodico) ."
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LE API NELL'ARALDICA CIVICA ITALIANA
di Renzo Barbattini* -
*Dipartimento di Biologia e Protezione delle Piante –
Università di Udine
Barbattini R., 2008 - Le api nell'aradica
civica italiana. Apitalia, 34 (1) : 35-38
Introduzione
In una precedente nota sono stati considerati alcuni esempi
di api e di arnie usate spesso per pubblicizzare articoli
del commercio e attività talvolta non strettamente
correlate con la produzione apistica (BARBATTINI e
D’AGARO, 2006). Esse si ritrovano anche in
numerosi stemmi (di famiglie nobiliari, di comunità
locali – specialmente di Comuni –, di corpi militari,
di categorie lavorative, ecc.) diffusi in tutto il mondo.
Questo contributo si propone di fornire un panorama, il più
possibile esaustivo, dei Comuni e delle Province italiane
che, nel loro stemma, hanno utilizzato quale elemento simbolico
api e/o alveari. Per meglio strutturarlo, si è seguito
un ordine geografico e all’interno di ogni regione l’ordine
alfabetico. Se qualche emblema fosse sfuggito, fin da ora
si chiede scusa per l’involontaria dimenticanza. Il
linguaggio tecnico araldico si è specializzato a tal
punto da rendersi spesso, per chi non lo “frequenta”,
di difficile comprensione: per una più facile lettura,
pertanto, i termini tipici del gergo araldico usati, saranno
riportati in corsivo.
La parte principale dello stemma è lo scudo,
simbolo di protezione dei soldati. Esso è il fondo
sul quale sono disegnate le figure (naturali o ideali) e può
essere di un solo colore o diviso in più parti con
diversi colori. La parte superiore è detta capo,
mentre quella inferiore è chiamata punta (GUELFI CAMAJANI, 1940).
Quasi tutti gli stemmi dei Comuni italiani sono sovrastati
(tecnicamente si dice timbrati)
da una corona turrita (simbolo di potere territoriale), a
sottolineare la dignità del Comune stesso, e contornati
da due rami: uno d’alloro (simbolo di gloria) e uno
di quercia (simbolo di forza, in senso sia fisico sia morale).
Se è assodato che l’alloro è simbolo di
gloria, per quanto riguarda la forza è opportuno riportare
la duplice versione che viene data: secondo alcuni starebbe
a indicare la forza dell'Ente Comune, secondo altri quella
della Repubblica (FRACASSO, in
litteris).
Gli stemmi provinciali spesso presentano una corona formata
da un cerchio d'oro gemmato, racchiudente due rami, uno d'alloro
e uno di quercia al naturale, uscenti dalla corona stessa. Quest’ultima non è turrita in quanto, trattandosi
di province, ad esse è stata attribuita una corona
di metallo nobile, in ragione del fatto che difficilmente
potrebbero essere circondate da mura; il significato, sia
della corona sia dei rami è, però, lo stesso
dei Comuni.
Corone differenti testimoniano concessioni precedenti all’Unità
d’Italia (1861) o differenziazioni tra stemmi identici.
Occorre precisare che il Regolamento Tecnico-Araldico prevede
un modello standard di stemma civico (scudo sannitico,
corona e serto vegetale alloro-quercia) che
è spesso disatteso dagli Enti Locali o perchè
essi preferiscono forme “auliche” più elaborate
che fanno direttamente riferimento ad antichi documenti o
perchè la formale concessione dello stemma ha previsto
tale “speciale concessione” (pure prevista dalla
regolamentazione vigente) (GHIRARDI, in
litteris). |
Stemma del comune di Ceranesi (GE), un
classico esempio di come l’ape sia rappresentata
nell’araldica dei comuni italiani.
Immagine di Massimo Ghirardi, ispirata all'originale
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Modalità di studio
Per questa rassegna, fondamentali sono stati i contatti con
le Amministrazioni provinciali e comunali: infatti la possibità
di “navigazione” nei loro siti internet è
stata di grande importanza. Le stesse hanno fornito notizie
storiche di grande utilità, frutto di un approndito
lavoro di ricerca da parte di studiosi di storia locale. Molto
proficua è stata anche la visita di alcuni siti internet
dedicati all’araldica, in particolar modo “www.araldicacivica.it”
nonché la possibilità di continuo scambio di
informazioni con “cultori” della materia.
Quasi sempre sono state utilizzate le immagini degli stemmi
inviati dagli Enti contattati; in oltre la metà dei
casi, però, si è dovuti ricorrere a stemmi ridisegnati
in quanto quelli ricevuti presentavano una bassa risoluzione
e, quindi, non erano adatti per una buona resa tipografica.
Infine, alcuni Comuni, non hanno risposto alle ripetute richieste.
I grafici, autori del ridisegno (eseguito rispettando le caratteristiche
araldiche degli originali) sono stati Massimo Ghirardi di
Sala Baganza (PR) e Marco Foppoli di Brescia, affermati artisti
araldici, che si ringraziano vivamente per la loro fattiva
e competente collaborazione. |
I PARTE
NORD ITALIA - PIEMONTE
Comune di Avigliana (TO)
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Lo stemma, concesso con D.P.C.M. del
4/11/1930, prevede una croce d’argento in campo
azzurro (emblema diffuso, nella prima metà dell’800
come bandiera di guerra delle truppe piemontesi), accompagnata
da quattro api operaie con le ali aperte.
Le api simboleggiano l'operosità e la diligenza
della comunità locale, nonché una supposta
derivazione del toponimo da Apiliana.
Quest’antica denominazione si spiega col fatto
che in passato, in questa località, probabilmente
c’era una forte produzione di miele e derivati
dell’apicoltura. |
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Comune di Campertogno (VC)
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Le tre api e l'albero (una quercia) rappresentati
nello stemma (art. 4 dello Statuto, deliberazione C.C.
n. 23 del 29/4/2004) vogliono simboleggiare, rispettivamente,
la laboriosità e la tenacia dei Campertognesi. |
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Comune di Melazzo (AL)
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Lo stemma è stato concesso con
Regio Decreto del 9/4/1914 e le tre api operaie sono
dipinte sul capo dello scudo.
Esso è contornato da un ramo d’alloro e,
a differenza degli altri stemmi, da un tralcio di vite
con foglie diversamente conformate.
Questa è una speciale concessione deIl'Ufficio
Araldico nazionale e richiama un’attività
agroindustriale molto importante per l’economia
del territorio comunale.
Infatti, in esso si produce una notevole quantità
di vino; a partire dagli ultimi decenni dell'Ottocento,
in seguito all'impianto dei vigneti, Melazzo divenne
un polo d’attrazione per gli abitanti dei comuni
limitrofi e punto di riferimento per gli operatori vitivinicoli
della provincia.
E’ doverosa, a questo proposito, un’annotazione
araldica: essendo il vino un prodotto del luogo, il
richiamo potrebbe anche essere rappresentato dentro
lo scudo e non all'esterno.
D’altro canto non si può ignorare quanto
è nella scritta esterna che richiama il nome
della località. |
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Comune di Piatto (BI) (Fig. 4) ^
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Immagine di Massimo Ghirardi,
ispirata all'originale |
La figura principale dello stemma (D.P.R.
12/4/1965; art. 4 dello Statuto, deliberazione C.C.
n. 18 del 2/7/2001) è una cornucopia d’argento
traboccante di frutta, sovrastata da tre api d’oro, al volo spiegato (anche se
grammaticalmente sarebbe corretto “api d’oro
dal volo spiegato”: l’Araldica usa una specifica
grammatica di sapore “d’antan”), ordinate
in fascia.
Dalla cornucopia (detta anche “corno dell’abbondanza”)
escono non solo frutti ma, talvolta anche spighe e,
addirittura, monete. Secondo la leggenda si tratterebbe
del corno della mitica capra Amaltea, che aveva allattato
Giove in fasce e alla quale egli spezzò inavvertitamente
un corno; in parziale risarcimento il dio (detto anche
“il padre degli dei”) fece in modo che da
quel corno potessero uscire tutti gli oggetti desiderati
dal possessore.
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Comune di Pragelato (TO) ^
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Immagine di Massimo Ghirardi,
ispirata all'originale |
L’appartenenza di quest’area
al Delfinato (in francese Dauphiné, regione storica
e naturale della Francia sudorientale, situata tra le
Alpi francesi e il Rodano; anche il cosiddetto Delfinato
italiano, suddiviso attualmente tra le province di Torino
e Cuneo, appartenne alla Francia fino al 1713) è
testimoniata dalla riproduzione dei caratteristici delfini
e dei gigli di Francia nello stemma.
Questo (D.P.R. 8/1/1999; art. 2 dello Statuto, deliberazione
C.C. n. 54 del 17/12/1999) è distinto in quattro
parti (in araldica si dice inquartato).
Nel primo quarto (superiormente,
a sinistra) è riportata l’effige di un
delfino azzurro, crestato e con la coda rossa; nel secondo
(superiormente, a destra) un giglio d’oro. Inferiormente,
nel terzo riquadro (a sinistra) vi sono tre api d’oro
e nel quarto (a destra) un cuore rosso con croce d’argento,
sicuramente sabauda.
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Comune di Vezza d’Alba (CN)
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L’art. 4 dello Statuto Comunale
(deliberazione C.C. n. 14 del 27/6/2001) dice che il
Comune ha un proprio stemma contrassegnato da un leone
rampante con un ramo d’ulivo tra le zampe anteriori
e da un’ape.
Sia il ramo d’ulivo, sia l’ape potrebbero
essere brisure (termine araldico
che indica elementi introdotti in uno stemma per distinguere
i rami collaterali o illegittimi di una famiglia) (GHIRARDI, in litteris).
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Comune di Vignole Borbera (AL)
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Secondo la tradizione, il nome antico
era “La Vignole” e ciò ha portato
a pensare che non si trattasse di un villaggio ma di
diverse case sparse in un territorio oggetto d’intense
coltivazioni di vite (BOCELLI, 1995).
Nello stemma (art. 6 dello Statuto, deliberazione C.C.
n. 32 del 23/11/2001), infatti, si ritrova un grappolo
d’uva (il blasone specifica “nera”!);
insieme con questo vi è una torre (simbolo dell'autonomia
comunale ottenuta nel 1389) e un’ape (simbolo
dell'operosità e della fatica “virtuosa”).
Il grappolo richiama il fatto che in antichità
il territorio era ricco di vigneti, più precisamente,
di piccole vigne da cui: Vignole.
La torre fa riferimento all’antico torrione del
castello, ancora oggi presente; bisogna, però,
porre l’accento sul fatto che, in araldica, la
raffigurazione di una torre indica l’antica nobiltà,
poiché nessuno poteva innalzare torri se non
era di una illustre e potente famiglia. |
Note
1 - Il termine “stemma”
è di origine greca e significa “benda”
o “corona”. Con i romani diventò “albero
genealogico” perchè vennero così chiamate
le tessere con i nomi degli antenati. Nel Medioevo furono
detti “stemmi” gli “scudi” che i cavalieri
utilizzavano durante i tornei. Oggi è il simbolo di
Enti Pubblici, di altre istituzioni o di famiglie nobili.
2 - In araldica si usa il termine troncato
per indicare uno scudo ripartito orizzontalmente in due parti
uguali (GUELFI CAMAJANI, 1940).
3 - Grafico ed illustratore, specializzato
nell’illustrazione araldica ha curato diverse pubblicazioni
su questo argomento, lavora come insegnante-atelierista presso
l’Istituzione Nidi e Scuole dell’Infanzia di Reggio
Emilia. Cura, con Bruno Fracasso, il sito www.araldicacivica.it
4 - Illustratore e accademico dell'Académie
Internationale d'Héraldique (sodalizio internazionale
che riunisce gli araldisti più qualificati) e Consigliere
della Società Svizzera di Araldica nonché autore
di numerosi studi storici e araldici.
5 - A Pragelato c'è una (l’altra
è a Reaglie) delle due sedi dell'Osservatorio di Apicoltura
"Don Giacomo Angeleri" dell'Università di
Torino, attualmente annesso al (Dipartmento di Valorizzazione
e Protezione delle Risorse Agroforestali) (VIDANO,
1982) con presenza di un apiario sperimentale.
^ Immagini di Massimo Ghirardi, ispirate
all'originale.
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FONTE
- Barbattini R., 2008 - Le api nell'aradica
civica italiana. Apitalia, 34 (1) : 35-38 |
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II PARTE
Comune di Annicco (CR)
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Immagine di Massimo Ghirardi, ispirata all'originale
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Lo stemma (art. 3 dello Statuto, deliberazione n. 10 del 1/3/2005) è
stato progettato per ricordare il territorio, l’agricoltura
e la laboriosità degli annicchesi, rappresentate,
rispettivamente, dal colore verde del campo (è
l’area circoscritta dallo scudo, dal latino “campum”),
dalla falce e dalle api.
Poiché il Comune di Annicco non ha concesso l’autorizzazione
all’uso del proprio emblema, si è ricorsi
a quello ridisegnato (a partire dal bozzetto originale
dell’Ufficio Araldico di Roma).
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Comune di Barghe (BS)
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Lo stemma (art. 5 dello Statuto, deliberazioni
C.C. n. 5 e n. 22 del 5/3/2001 e del 26/4/2001) prevede
un piccone e un badile incrociati tra di loro; nel punto
d’intersezione di questi attrezzi si trova una
lanterna con candela accesa. Nella parte superiore e
inferiore, sono poste due api ad ali spiegate.
Secondo la tradizione più accreditata esse sono
la rappresentazione della laboriosità degli abitanti
(i “barghesi”) di questo
piccolo comune (circa 1000 abitanti) montano.
Il piccone, il badile e la lanterna sono strumenti da
minatore. Fino al secolo scorso, infatti, è riconosciuta
l’attività mineraria a Barghe, ove esistono
ancora 5 gallerie scavate per l’estrazione di
rame e argento, oggi però in disuso. Essi sono
una classica allegoria del lavoro minerario (in Sardegna,
ad esempio, ci sono numerosi stemmi con questi simboli).
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Comune di Brenta (VA)
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Immagine di Massimo Ghirardi, ispirata all'originale
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Non avendo il Comune di Brenta notizie
storiche proprie dalle quali trarre un progetto araldico,
questNI, 1940).’ultimo trova origine nell’attività
agricola e industriale del luogo.
Il campo verde dello stemma (D.P.R. 16/5/1962 e art.
6 dello Statuto, deliberazione C.C. n. 42 del 2/12/1999),
infatti, vuole ricordare la fertilità di quella
terra ove l’agricoltura è molto progredita
e redditizia; le api simboleggiano le industrie fiorenti
(CROLLALANZA, 1878; GUELFI
CAMAJA
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Comune di Brusaporto (BG)
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Immagine di Massimo Ghirardi, ispirata all'originale
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Lo stemma è stato concesso dal
Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi con D.P.R.
del 9/3/1962.
La composizione è molto semplice ed è
intesa come un’allegoria del lavoro e della ricompensa
meritata da chi lavora, come si verifica fra le api:
per il bene proprio e per quello della collettività.
Curiosa è la diffusa opinione, per altro non
smentita dai ricercatori, che l’antico nome di
Brusaporto fosse Brusaporco, in seguito “ingentilito”
con la modifica di una consonante (MAIDA,
2006)!
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Comune di Burago di Molgora (MI)
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Immagine di Massimo Ghirardi, ispirata all'originale
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Lo stemma (concesso con D.P.R. 17/12/1962)
coniuga due aspetti particolari: l’acuta sensibilità
degli abitanti di Burago rivolta all’assistenza
delle persone meno fortunate che vivono sul territorio
(ciò è confermato dall’esistenza,
in questa comunità, di ben cinque istituzioni
benefiche) e l’attività industriale legata
al lavoro degli opifici presenti nella zona.
Per evidenziare il primo è stata inserita la
figura del pellicano che si ferisce il petto con il
becco allo scopo di consentire ai suoi figli di nutrirsi
con il suo sangue.
Per quanto riguarda il secondo aspetto,
sono rappresentate (collocate nel capo poste una accanto
all’altra in quella posizione che in araldica
si dice in fascia, ossia su una linea orizzontale, perché
richiamante quella figura) tre api d’oro, simbolo
della laboriosità. |
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Comune di Canzo (CO)
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Questo stemma, di cui il Comune si è
dotato nel 2002 dopo un lungo lavoro di ricerca storica
e di prassi amministrativa, ha un legame solo indiretto
con l’apicoltura. Secondo alcuni nello stemma
sarebbero rappresentati semplicemente tre alveari.
Questo è quanto buona parte della popolazione
crede ancora, lasciando aperto un dubbio difficilmente
risolvibile.
Lo stemma, invece, reca al suo interno un’interessante
simbologia per comprendere la quale occorre risalire
indietro nei secoli, quando Canzo era capoluogo di un
territorio piuttosto vasto denominato Corte di Casale.
L’analisi dello stesso ha portato alla chiarificazione
dei simboli: in particolare quelli che in un primo tempo
furono considerati tre alveari sono invece da ritenere,
senza ombra di dubbio, tre forni per la fusione del
ferro che, data la loro particolare caratteristica costruttiva,
sono denominati “ad alveare”.
Il fatto che nello stemma ricorrano elementi legati
alla lavorazione del ferro, ben si accorda con gli eventi
storici ed economici che caratterizzarono la vita del
territorio per tutto il 1400 e la influenzarono fino
ai giorni nostri: a testimonianza di questa tradizione
restano l’attività dei fabbri, lo stampaggio
a caldo dei metalli e la lavorazione delle forbici (GENOVESE,
2007). Lo stemma con i tre forni di fusione testimonia
dunque l’esistenza di una attività fiorente,
che affonda le sue radici nei secoli. I tre forni sono
accompagnati da sette stelle con otto raggi d’oro;
esse rappresentano le comunità più importanti
che facevano parte della Corte di Casale. |
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Comune di Caravate (VA)
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Immagine di Massimo Ghirardi, ispirata all'originale
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La storia di Caravate, situato in amena
posizione all’inizio della Valcuvia, poco lontano
dal Lago Maggiore, è legata alle sue produzioni
vinicole e alla cura con la quale gli industriosi abitanti
attendono a queste coltivazioni (BOCELLI,
1995); in questi anni ha visto svilupparsi inoltre un
notevole complesso industriale.
Ciò spiega l’allegoria,
per altro semplice, dello stemma comunale (art. 2, Statuto):
tre api d’oro (simbolo del lavoro tenace e paziente
dei Caravatesi) in volo attorno ad un grande grappolo
d’uva. |
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Comune di Carugo (CO)
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Immagine di Massimo Ghirardi, ispirata all'originale
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Lo stemma (D.P.R. 28/2/1978) è
argentato e presenta tre api azzurre (due in capo e
una in punta), accostate a un castello rosso con tre
torri. Il colore azzurro degli insetti richiama i torrenti
che scorrono sul territorio (tra i quali si ricordano
il Seveso e il Terro); il castello è un elemento
caratteristico storico del paese (GENOVESE, 2007).
L’azzurro
è un colore araldico insolito per la figura dell’ape;
d'altronde si può notare che le api rappresentate
in tutti gli altri stemmi del comasco sono di colore
d'oro.
Gli Amministatori che completarono il lungo iter
burocratico (iniziato con la deliberazione C.C. del
22/3/1962) non potevano, quindi, assumere questo colore
in quanto si sarebbe violata una delle regole importanti
dell’araldica.
Il castello rosso non ha una valenza
simbolica; piuttosto è una considerazione araldica
in quanto il rosso è lo smalto che più
si avvicina a quello del colore dei mattoni (GENOVESE,
in litteris). |
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Comune di Casirate d’Adda (BG
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Immagine di Massimo Ghirardi, ispirata all'originale
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Lo stemma è stato concesso dal
Presidente della Repubblica Antonio Segni, con D.P.R.
del 18/6/1963 e le tre api d’oro poste in fascia
nel capo richiamano il lavoro, soprattutto agricolo,
svolto dai locali; questi, infatti, si sono sempre distinti
per senso pratico e grandi doti d’attaccamento
al lavoro. L’albero rappresentato (è un
olmo, noto anche come “albero gentile”,
specie botanica tipica della fertile pianura padana)
simboleggia la bontà e la benevolenza verso il
prossimo (MAIDA, 2006); il fatto che sia radicato in
campo verde (araldicamente terrazza, rappresentata da
terreno erboso) sta a indicare l’attaccamento
dei casiratesi al proprio territorio.
L’importanza
del ruolo ricoperto dalle api è ancora riconosciuto
dagli abitanti, al punto che entrambe le due liste civiche
attualmente presenti in Consiglio Comunale hanno nel
loro simbolo questi imenotteri (DEGERI,
in litteris).
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Comune di Cassina de' Pecchi (MI)
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Immagine di Massimo Ghirardi, ispirata all'originale
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L'origine di questo’emblema araldico
comunale (indicazioni del R.D. del 7/1/1932 riprese
dall’art. 2 dello Statuto, deliberazioni C.C.
n. 34 del 19/5/2000 e n. 57 del 13/7/2000) è
da ricollegare alla storia del suo territorio. In particolare,
sono stati tenuti presenti due elementi di carattere
storico: il ricordo della famiglia Pecchio, che diede
anticamente nome al primo cascinale dal quale prese
poi sviluppo l'attuale Comune, e il ricordo della famiglia
Serbelloni, che, dal 1691, era diventata titolare del
feudo di Camporicco, di cui all'epoca Cassina de' Pecchi
faceva parte.
Dallo stemma della famiglia Pecchio di
Milano è stata ricavata la figura delle due api
(“pecchie” ) che si trovano nella parte
superiore. La figura dell'albero è stata tratta,
invece, dallo stemma della famiglia Serbelloni (SPRETI,
1928). |
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Comune di Castello di Brianza (LC)
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Immagine di Marco Foppoli ispirata all'originale
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Il Comune prende il nome dall’antica
fortificazione (oggi scomparsa) posta sul colle Brianzola,
che la tradizione vuole sede della corte della regina
Teodolinda, dal quale essa governava tutto il vasto
territorio a lei soggetto.
La tradizionale laboriosità agricola degli abitanti
è stata simboleggiata nello stemma (concesso
con D.P.C.M. del 27/6/1962), rappresentando una falce
e tre api d’oro.
La falce è simbolo del
lavoro che dà frutto e le api sono una tradizionale
allegoria dell’industriosità, della solidarietà
sociale e della dolcezza, nonché dell’indipendenza,
giacché questi insetti si nutrono del prodotto
del loro lavoro (FOPPOLI e MEZZERA,
2005).
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Comune di Comune di Limbiate (MI; dal 2009 sarà
annesso ufficialmente nella nuova Provincia di Monza
e Brianza)
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Immagine di Massimo Ghirardi, ispirata all'originale
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Lo stemma (D.P.R. 12/07/1966) si presenta
ripartito in quattro parti in senso orizzontale; a partire
dall’alto, nel capo si trova una “L”
maiuscola d'oro (iniziale del capoluogo) circondata
da due rami di quercia e d’alloro; nel secondo
settore, due ali (tecnicamente volo abbassato in quanto
le punte delle ali sono rivolte verso il basso); nel
terzo (fascia d’argento) due torte colorate in
rosso e, nel quarto, un’ape d’oro.
Sia il volo che l’ape sono brisure cioè
elementi di differenziazione e probabilmente, analogamente
ad altri stemmi, al posto dell’iniziale del capoluogo
c’era il fascio littorio che poi è stato
sostiuito (è un esito interessante di applicazione
di una norma del 1945) (GHIRARDI, in
litteris).
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FONTE
- BARBATTINI R. - Le api nell'araldica
civica italiana II. Apitalia, 34 (2) (2008): 35-38 |
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III PARTE
Comune di Mezzoldo (BG)
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Immagine di Massimo Ghilardi ispirata all'originale
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Fino al 1960 il Comune non aveva né
uno stemma né un gonfalone.
L’Amministrazione comunale, con deliberazione
del 21/7/1961, ha adottato lo stemma attuale. Esso (MAIDA,
2006) è diviso in due campi; quello superiore
è rosso e reca impresse tre stelle d’oro
che rappresentano i tre nuclei che costituiscono il
Comune: il centro (Cà Bereri, Cà Maisetti),
le frazioni a sud (Cà Vassalli, Cà Bonetti,
Sparavera e Soliva) e la frazione a nord (Scaluggio).
Le stelle hanno sei punte per indicare il centro e le
cinque frazioni. La parte inferiore è azzurra
con tre api d’oro che simboleggiano la laboriosità
delle tre “stelle”.
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Comune di Mozzate (CO)
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Nello stemma (D.P.R. 14 febbraio 1963)
sono rappresentati l’antico castello del Seprio
che rese noto questo comune, una fascia ondata (striscia
orizzontale al centro dello scudo) che ricorda il corso
del torrente Bozzente, sulla cui riva destra sorge Mozzate
e le tre api che simboleggiano la laboriosità
degi abitanti
(GENOVESE, 2007).
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Comune di Offlaga (BS)
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Immagine di Massimo Ghilardi ispirata all'originale
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Questo stemma riporta, in campo azzurro,
un’ape contornata da tre stelle d’argento
a sei punte, poste una in capo e due in punta.
L’ape richiama la laboriosità e la fedeltà,
caratteristiche comportamentali di questo imenottero.
(MAGRI, 2004), con un’interpretazione
piuttosto fantasiosa, aggancia la stella ripetuta uguale
tre volte alla SS. Trinità (in altre parole “uguale
e distinto in tre Persone”), ma la stessa potrebbe
essere simbolo dei tre territori (Cignano, Faverzano
e Offlaga) che, con R.D. n. 64 del 16/1/1926, sono stati
aggregati a costituire la circoscrizione del Comune
di Offlaga. |
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Comune di Olgiate Comasco (CO)
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In questo stemma (D.P.R. 3/8/1970) sono
rappresentate due api operaie: esse stanno a indicare
la laboriosità degli Olgiatesi, in relazione
alla fiorente industria tessile.
La presenza dei tre castelli non vuole richiamare la
situazione di Olgiate Comasco – infatti in questo
comune non sono mai esistiti tre castelli – ma,
con ogni probabilità (come affermano alcuni documenti
di archivio), stemmi simili che erano affissi sui portoni
di alcune corti (diffuse nella pianura lombarda).
La corona è quella prevista per i comuni con
più di 3000 abitanti, secondo la legislazione
ante 1943.
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Comune di Oliveto Lario (LC)
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Immagine di Marco Foppoli ispirata all'originale
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Lo stemma comunale (art. 5 dello Statuto,
deliberazione C.C. n. 5 del 31/1/2004) è suddiviso
in tre settori in cui sono rappresentati (FOPPOLI
e MEZZERA, 2005): in quello superiore
tre api d’oro che simboleggiano la laboriosità
della popolazione locale; in quello mediano una mitra
d’argento (simbolo della dignità abbaziale)
che ricorda come l’abate di Sant’Ambrogio
di Milano portasse il titolo di conte di Limonta fino
al 1797; in quello inferiore una catena montuosa con
tre cime, simboleggianti le tre frazioni (Limonta, Onno
e Vassena) riunite a formare il Comune. |
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Comune di Ornica (BG)
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Immagine di Massimo Ghirardi, ispirata all'originale
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Anche questo stemma (art. 2 dello Statuto)
è ripartito in tre settori (araldicamente semipartito
troncato in quanto lo scudo è diviso orizzontalmente
in due, con il campo superiore ulteriormente partito
verticalmente).
Nei due semicampi superiori sono raffigurati
l’iniziale d’oro del Capoluogo (a sinistra)
e due api, pure d’oro, ad ali aperte (a destra);
in quello orizzontale è rappresentata un’incudine
sulla quale il fucinatore appoggiava il pezzo di metallo
da forgiare.
Un tempo, infatti, in questa zona era molto diffuso
il mestiere di ridurre in chiodi il ferro. A Ornica
vi era una grossa fucina che lavorava anche i ferri
da taglio; vi erano diverse miniere di ferro, che alimentavano
un forno di fusione.
In questo stemma, quindi, la simbologia richiama il
lavoro; in particolare quello agricolo (con le api)
e industriale (con l’incudine ) che caratterizza
da sempre questa zona della Bergamasca (MAIDA,
2006). Il nome, invece, è derivato da quello
dell’orno, nome popolare del frassino selvatico,
che i latini chiamavano urnus.
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Comune di Pedrengo (BG)
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Immagine di Massimo Ghilardi ispirata all'originale
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Il Comune non aveva uno stemma fino
ai primi anni sessanta del XX secolo; il Consiglio comunale
ne ha deliberato l’adozione nella seduta del 25
maggio 1961.
In questo stemma sono illustrate (MAIDA,
2006): tre api operaie in campo azzurro (esse sono il
simbolo della laboriosità dei Pedrenghesi), una
striscia ondulata d’argento orizzontale (essa
rappresenta il fiume Serio che segna i confini orientali
del territorio comunale) e la chiesetta della Madonna
del Buon Consiglio (chiamata anche “Chiesetta
dei morti” in quanto è stata costruita
per ricordare i morti della peste del 1630), uno dei
più vecchi edifici del territorio.
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Comune di Piario (BG)
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Immagine di Massimo Ghirardi, ispirata all'originale
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I locali vogliono derivare il nome del
proprio Comune dal latino Apiarium, cioè “alveare”.
Origine sulla quale non ci sono certezze, ma che è
richiamata nello stemma araldico (concesso con D.P.R.
n. 3506 17/5/1986) dalla figura dell’ape d’oro,
simbolo di nobile lavoro e di concorso per il benessere
della collettività (MAIDA, 2006).
Occorre precisare che l’apicoltura fu importata
con le invasioni barbariche al tempo della caduta di
Roma.
Completano la figurazione un pino silvestre sradicato,
simbolo dei boschi che costituiscono ancor’oggi
buona parte del territorio (una vera ricchezza, in passato,
per l’economia locale) e un’alabarda che
richiama le industrie di armi che nel XV secolo vennero
installate nella zona e che producevano rinomati “ferri”
per la Serenissima (la nota Repubblica di Venezia).
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Comune di San Paolo d’Argon (BG)
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Lo stemma (concesso con D.P.R. Giuseppe
Saragat, 19/5/1965; art. 7 dello Statuto, deliberazione
C.C. n. 14 del 27/3/2001) riporta richiami storici del
Comune, denominato così dal 1887 (prima di allora
si chiamava Buzzone S. Paolo) (MAIDA,
2006).
Le spade, infatti, poste in croce di S. Andrea, con
la fiamma all’incrocio, ricordano il triste evento
dell’anno 1398 legato alle lotte tra Guelfi e
Ghibellini; in quell’anno il paese, abbandonato
dai Guelfi sconfitti, fu saccheggiato e incendiato dalla
fazione ghibellina.
Nella parte superiore vi è un’ape al volo
spiegato; essa simboleggia la laboriosità della
popolazione locale che, dopo i tristi fatti citati,
seppe ricostruire con straordinaria capacità
ciò che venne distrutto e riprendere il lavoro
nelle fertili campagne.
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Comune di Segrate (MI)
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Immagine di Massimo Ghilardi ispirata all'originale
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Lo stemma (D.P.R. 11/10/1965; art. 3
dello Statuto, deliberazioni C.C. nn. 97 e 16 dell’11/12/1998
e dell’11/2/1999) presenta, in campo azzurro:
nel capo una moneta e un'ape ad ali aperte; nel cuore
(punto centrale dello scudo), come sua principale figura,
un’ala (d’aquila) spiegata e sulla punta
(posizionato in fascia) un corso d'acqua, ondato d’argento.
Il primo elemento (tecnicamente bisante, tondo in metallo
che prende nome dalle monete auree coniate a Bisanzio)
simboleggia la produttività e, di conseguenza,
la prosperità economica; il secondo la laboriosità
degli abitanti (al 31 dicembre 2005 a Segrate risultavano
residenti 33.531 persone; di questi, circa 15.000 trovano
occupazione nelle sue aziende, operanti in vari settori);
il terzo (araldicamente detto semivolo) la realtà
più caratteristica del territorio, ossia 1’aeroporto
“Forlanini” (lo scalo milanese è
maggiormente conosciuto con il nome della località
vicino a cui sorge, Linate) e il quarto l’Idroscalo
(vasto bacino artificiale costruito tra il 1927 e il
1930 per l’ammaraggio degli idrovolanti) (AA.
VV., 2003).
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Comune di Suello (LC)
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Immagine di Marco Foppoli ispirata all'originale
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Lo stemma (concesso con D.P.C.M. del
4/11/1960) rappresenta tre api d’oro, simbolo
dell’operosità, e un bozzolo del baco da
seta (FOPPOLI e MEZZERA,
2005), a testimonianza della bachicoltura, remunerativa
attività che per decenni (nei secoli XVIII e
XIX) caratterizzò l’economia del territorio. |
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Comune di Veniano (CO)
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Lo stemma di Veniano (D.P.R. 14/7/1975)
ricorda nel troncato le due frazioni di cui è
composto il paese: superiore e inferiore (GENOVESE,
2007).
Nella parte alta dello scudo, la corona è
il simbolo della concessione di queste terre da parte
di Liutprando, re dei longobardi, in dono al monastero
di San Pietro in Ciel d’Oro di Pavia.
Il fiume ondeggiante ricorda il torrente Antiga, che
lambisce il territorio; le api sono il simbolo dell’attività
industriale, particolarmente fiorente in questa zona.
Nella parte inferiore, l’albero di gelso e la
vite, attorcigliata al suo fusto, rappresentano le due
principali attività agricole che costituivano,
nel passato, la maggiore risorsa economica del paese.
La catena di monti vuole rappresentare il profilo delle
prealpi comasche, visibili da tutto il territorio adagiato
su un altopiano
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FONTE
- BARBATTINI R. - Le api nell'araldica
civica italiana. Apitalia. 34 (3) (2008): 35-38i |
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IV PARTE
TRENTINO ALTO ADIGE
Comune di Ortisei / St. Ulrich (BZ)
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Il Comune aveva da tempo un proprio
stemma concesso dall’imperatore dell’ex
Impero austro-ungarico nell’ottobre 1907, in occasione
dell’elevazione del Comune a “Borgata”.
Solo nel 1969 esso è stato approvato con Decreto
del Presidente della Giunta Regionale (n. 3810 del 31/12/1969)
e ha le seguenti caratteristiche (PRÜNSTER,
1972):
“D’oro con la figura di S. Ulrico, vestito
degli ornamenti vescovili, che tiene in alto nella mano
destra una croce d’oro, montato su un cavallo
bianco con finimenti d’oro e coperto di un mantello
rosso, poggiato sopra tre cime di montagne verdi.
Nella
parte superiore dello scudo si nota una fascia di azzurro con tre scudetti di argento, equidistanti
e intercalati da due svolazzanti api d’oro”
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VENETO
Comune di Cappella Maggiore (TV)
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La figura principale dello stemma (D.P.R.
22/9/1963; art. 3 dello Statuto, deliberazioni C.C.
n. 15 del 20/3/2001 e n. 24 del 30/5/2001) è
una fontana d’argento zampillante; accostate in
capo (cioè nella parte superiore dello scudo),
vi sono tre api d’oro al volo spiegato, ordinate
in fascia.
Ciò vuol dire che sono disposte l'una accanto
all'altra nella posizione che, in araldica, è
normalmente della fascia (ovvero una grossa “riga
orizzontale”).
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Comune di Melara (RO)
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Il famoso scrittore e naturalista latino
Plinio il Vecchio (23-79 d. C.) nella sua “Naturalis
historia” (libri XLIII e XXI), descrive gli abitanti
di questa zona come eccellenti apicoltori e cita le
laboriose api del fiume Po, produttrici di un miele
di primissima qualità (1). Il
fiume Po e le api sono stati immortalati nello stemma
(decreto del Capo del Governo 16/7/1936, definitivo
con Regio Decreto del 16/12/1937 e confermato con D.P.C.M.
25/11/1968) ove si nota la figura simbolica di Eridano
(l’antico nome del fiume Po) versante l’acqua
da un vaso su una pianura verde e, nella parte superiore,
tre api d'oro poste in fascia (RIDOLFI,
1997).
Occorre, però, precisare che Plinio il Vecchio
per localizzare meglio il posto indica il nome di Ostiglia
(in provincia di Mantova, a 10 km da Melara), ma alcuni
studiosi di storia locale (Biblioteca comunale di Melara,
in litteris) affermano: “abbiamo a buon
diritto motivo di credere che si tratti invece di Melara,
per il suo stesso nome (Mellaria) di derivazione
dal latino (mel: miele; mellarium:
alveare) e perché in Melara e dintorni esistono
ancora oggi nomi di località direttamente legate
alle api, come “Via api”, “Cà
l’Ape”, “L'Arnarolo”. E’
certo che, al tempo dei romani, Ostiglia fosse un’importante
località, scritta pure sulla tavola Peutingeriana
(o Tabula Peutingeriana è una copia
del XIII secolo di un'antica carta romana che mostrava
le vie militari dell'Impero), mentre Melara era un piccolo
borgo a lei dipendente”. |
FRIULI VENEZIA GIULIA
Comune di Mariano del Friuli (GO)
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Lo stemma è stato concesso con
Decreto (n. 4423) del Re d’Italia Vittorio Emanuele
III in data 12/4/1929 (art. 6 dello Statuto, deliberazione
C.C. n. 2 del 30/1/2004).
Le api operaie raffigurate simboleggiano l’operosità
nei campi verdi; esse sono posizionate tra due falci
incrociate che richiamano un’operazione colturale
di grande importanza.
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EMILIA ROMAGNA
Comune di Castel Maggiore (BO)
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Lo scudo di smalto azzurro
è attraversato da una striscia che la terminologia
araldica definisce sbarra, su cui sono caricate
tre api d’oro (SAVORELLI, 2003).
Lo stemma (riconosciuto con decreto del capo del Governo
del 18/2/1929), di composizione semplice ed efficace,
celebra la laboriosità degli abitanti.
Da notare che le tre api d’oro in fascia costituivano
il segno che contraddistingueva le città nell’Araldica
civica napoleonica, alla quale probabilmente si rifà
la figurazione attuale (anche se Castel Maggiore non
gode, attualmente, del titolo di “città”)
(GHIRARDI, in litteris).
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Comune di Palagano (MO)
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Lo stemma (concesso con D.P.R. Antonio
Segni, 29/5/1963; art. 6 dello Statuto, deliberazione
C.C. n. 71 del 28/11/1994) è d’argento
e presenta un albero di castagno su un monte verde con
sette castagne dorate, ancora nel riccio (SAVORELLI,
2003).
Questa figura è da mettere in
relazione alle ampie distese boschive ricche di castagneti,
che hanno rappresentato in passato un’importante
fonte alimentare per le popolazioni montane; l’ape,
pure d’oro e al volo spiegato, è da ritenersi
un simbolo dell’operosità e del lavoro
sociale.
E’ doveroso sottolineare l’alto interesse
apistico di questa specie vegetale (Castanea sativa)
i cui fiori sono intensamente visitati sia dalle api
allevate sia da quelle selvatiche; dalla fioritura del
castagno, specie caratterizzata da un alto potenziale
mellifero (250 kg/ha), gli apicoltori riescono a produrre
un apprezzato miele monoflorale (PERSANO ODDO
et al., 2000; RICCIARDELLI D’ALBORE e INTOPPA, 2000).
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Comune di San Possidonio (MO)
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Lo stemma (art. 6 dello Statuto, deliberazione
C.C. n. 45 del 21/4/2004) è costituito da uno
scudo inquartato.
Superiormente si notano:
a sinistra un alveare con alcune api bottinatrici (simbolo
della bontà operosa e dell’eloquenza) e
a destra l’incudine, la mazza e la vanga per indicare
le attività professionali maggiormente svolte
sul territorio (quella di fabbro e quella di coltivatore).
Inferiormente sono riprodotte, a sinistra una vecchia
stampatrice (per alludere alle attività culturali)
e, a destra, una squadra di legno e un filo a piombo
(arnesi tipici usati, in passato, da falegnami e muratori).
Lo stemma era sovrastato in passato da una corona “marchionale”
(2) oggi sostituita da quella ordinaria
di Comune. Secondo gli storici locali in epoca fascista
fu aggiunto un “caduceo” (3) con due serpenti alati, per significare l’importanza
del commercio e dell’industria, nonché
il buon governo e la concordia.
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LIGURIA
Comune di Ceranesi (GE)
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Si tratta del Comune più esteso
del Genovese, nel cui territorio si trova il celebre
santuario di Nostra Signora della Guardia. Lo stemma
(art. 3 dello Statuto, deliberazioni C.C. n. 26 del
28/7/1991 e n. 29 del 7/10/1991), risale al 1893 ed
è caratterizzato da un alveare d’argento
contornato da sei api d’oro (alludente al toponimo
e alle sei principali frazioni del Comune); nella parte
alta è posizionato un monogramma d’oro
formato dalle iniziali “A” e “M”
(“Ave Maria”), con ovvio riferimento al
santuario ricordato.
Circa l’origine del nome, la tradizione locale
afferma che il toponimo deriva da un’antichissima
“fabbrica di cera”, che sarebbe stata proprietà
dei nobili Cerano. A questa famiglia, che effettivamente
esercitò diritti feudali sul territorio, potrebbe
essere stata concessa anche la facoltà di riscuotere
la tassa sugli alveari e sulle produzioni di miele,
cera e derivati, un tempo fiorenti in questa zona (TARALLO,
2006).
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Comune di Mele (GE)
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Nello stemma (art 3 dello Statuto, deliberazione
C.C n. 37 del 22/12/2005) si notano sette api operaie
accanto a un alveare (l’arnia è quella
dei tempi antichi, semplice, di vimini) da cui sono
uscite per andare a bottinare.
Il nome del Comune probabilmente si rifà al “dolce”
prodotto delle api. Infatti, lo stemma così recita:
“ex melle mihi nomen”, ovvero “dal
miele il mio nome”.
Secondo TARALLO (2006), invece, questo
nome potrebbe essere fatto risalire anche all’esistenza
di ampie coltivazioni di meli sul territorio, interpretazione
che non concorda, però, con la scritta.
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Centro - Italia
TOSCANA
Comune di Campo nell’Elba (LI)
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Anche in questo stemma (Regio Decreto
del 27 aprile 1897 e art. 4 dello Statuto, deliberazioni
C.C. n. 43 del 16/7/2005 e 59 del 30/9/2005) si notano
le tre api di napoleonica memoria (esse però,
anziché montanti, sono riportate nel capo inclinate)
(PAGNINI, 1991).
Sotto di esse si stagliano una torre merlata e tre cime
di montagne (a ricordare le tre frazioni comunali) degradanti
verso il mare sul quale fluttua una piccola imbarcazione.
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Comune di Marciana Marina (LI)
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Ancora una volta vengono rappresentate
(Regio decreto del 7 giugno 1886) le tre api d’oro
(emblema di operosità costante e di parsimonia)
che ricordano il periodo napoleonico; sotto di esse
è stata immortalata la torre di Marciana Marina
edificata nel XII secolo per l’avvistamento dei
pirati. La torre Medicea (in rovina) richiama la storia
della comunità (PAGNINI, 1991). |
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Comune di Rio Marina (LI)
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In questo caso lo stemma comunale (art.
3 dello Statuto, deliberazioni C.C. n. 74 del 14/12/2001)
riporta l’aquila napoleonica sormontata da una
corona e con il petto coperto da uno scudo argenteo
caricato trasversalmente da una banda con tre api (PAGNINI,
1991).
Questo fu deciso dal Consiglio Comunale nella sua prima
seduta (1/7/1882). Lo stemma deriva da quello napoleonico
in onore del fatto che Napoleone, durante il suo soggiorno
all’Elba, aveva elevato la Marina di Rio (oggi
Rio Marina) a Comune autonomo.
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NOTE
(1) Plinio il Vecchio narra
che gli apicoltori di questa zona trasportavano gli alveari
lungo il Po su capaci imbarcazioni o zatteroni e, navigando
contro corrente, si portavano a circa cinque miglia verso
Ostiglia. Qui rallentavano la navigazione, muovendosi a tappe,
per permettere alle api di uscire dagli alveari, di volare
sui fiori della sponda sinistra o destra del fiume e di ritrovare
facilmente le arnie sui battelli, quasi fermi sull’acqua,
in attesa. L’aspetto delle sponde del Po era allora
lussurreggiante di piante, di fiori e di radure.
Successivamente, quando poi gli zatteroni si abbassavano a
filo d’acqua per il peso dei melari pieni (ciò
poteva avvenire anche dopo qualche mese), gli apicoltori ritornavano
a Melara col favore della corrente trasportando il prezioso
carico fino alla zona di partenza. Lo spostamento delle imbarcazioni
con gli alveari si effettuava solo di notte, quando le api
erano tutte rientrate. Sembra che i viaggi fossero due all’anno:
uno a primavera e uno in estate; infatti erano queste le stagioni
più favorevoli al lavoro delle api La navigazione doveva
essere lenta; il Po, infatti, non era un corso d’acqua
incanalato (l’arginatura era pressochè inesistente)
fra due argini, ma aveva un aspetto molto paludoso ed era
caratterizzato da numerosi canali laterali e da molti isolotti
sparsi fra i suoi meandri (PELATI, 1981; CHIAVEGATTI; 1983).
(2) Questo aggettivo sta a indicare un legame
con un marchese o con la sua famiglia: infatti San Possidonio
era feudo della Famiglia del Marchese Tacoli (Pietro Tacoli
- nato il 1689 e morto il 1738 - fu il primo Marchese di San
Possidonio a partire dal 1723 fino alla sua morte).
(3) Questo è un Bastone alato con
due serpenti attorcigliati ad esso, attributo del dio Hermes
(Mercurio nella mitologia romana), usato nell’antichità
classica come emblema di pace portato dagli araldi.
Secondo la leggenda Hermes, al suo arrivo in Arcadia (una
regione della Grecia) vide due serpi che lottavano tra loro:
gettato in mezzo il suo bastone da messaggero essi si riappacificarono
avvolgendosi intorno al legno. Oggi è divenuto simbolo
dell’Arte medica.
Esso è, talora, scambiato con il Bastone (detto anche
Verga) di Esculapio (caratterizzato da un “serpente”
attorcigliato), anche se storicamente i due simboli ebbero
significati distinti. Secondo alcuni Autori, l’origine
grafica, sia del bastone di Esculapio, sia del caduceo di
Hermes, va ricercata in un antico metodo, ancora valido, di
estrazione progressiva dai tessuti sottocutanei, della femmina
adulta del nematode parassita Dracunculus medinensis (specie
diffusa in molte regioni rurali dell’Africa e delMedio
Oriente).
Questa operazione delicata, che prevede l’arrotolamento
del verme su di un bastoncino, poteva durare giorni
e doveva essere eseguita da persone molto esperte, affinché
il nematode non si rompesse durante l'estrazione. Se ciò
succedeva, il verme moriva nel tessuto sottocutaneo e non
si poteva più estrarre; questa situazione avrebbe comportato
una successiva e sicura infezione batterica (HAEGER,
1989; PEARSE et al.,1993; WILCOX e WHITHAM, 2003).
Il significato generale di pace del caduceo è rafforzato
dalla simbologia dei singoli elementi che lo compongono: il
potere per il bastone, la concordia per i serpenti e la sollecitudine
per le ali.
FONTE
Le api nell'araldica civica italiana IV. Apitalia,
34 (4) (2008): 35-38 |
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V PUNTATA
MARCHE
Comune di Acquasanta Terme (AP)
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Lo scudo è occupato dalla figura di San Giovanni Battista, patrono di
Acquasanta Terme, che tiene con la mano sinistra un
favo; ai suoi piedi è raffigurata una cavalletta
(Locusta migratoria). Il tutto richiama il
passo del vangelo di Matteo (Mt 34: 4) che dice: “Giovanni
portava un vestito di peli di cammello e una cintura
di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano locuste
e miele selvatico“.
Lo stemma e il gonfalone sono stati concessi con D.P.R.
del 10/7/2004 (art. 4 dello Statuto, deliberazione C.C.
n. 19 del 23/2/2006).
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Comune di Santa Maria Nuova (AN)
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L’emblema comunale (art. 2 dello Statuto, deliberazione
C.C. n. 29 del 5/6/2003) porta i segni dell’evoluzione
storico-amministrativa di questa località: infatti
esso reca, al di sotto delle tre api d’oro, la
croce lombarda, in omaggio agli antichi immigrati che
rifondarono il borgo.
Questo centro, infatti subì
ricorrenti distruzioni fino a quando, tra la fine del
XIV secolo e l'inizio del XV, venne trasferito sulla
sommità di un colle posto leggermente più
ad occidente, luogo ritenuto più salubre e al
nuovo insediamento venne dato il nome di Santa Maria
Nuova. La fondazione del nuovo centro si fa risalire
al 1472, data ufficiale dell'immigrazione di genti lombarde.
La presenza delle api simboleggia la laboriosità
della popolazione locale (URILEI, 2001).
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Comune di Urbania (PU)
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Lo stemma della città di Urbania (letteralmente
“città di Urbano”) fa riferimento
alla sua origine “pontificia”. Nel 1636,
infatti, papa Urbano VIII (card. Maffeo Barberini) la
rifondò simbolicamente elevandola al grado di
Diocesi e di Città e il suo nome, Castel Durante,
fu mutato in quello attuale di Urbania: gli abitanti
si chiamano, però, ancora durantini (PAOLI, 1984;
POZZI, 1998).
In esso si notano, in campo azzurro, il simbolo
basilicale (“parasole”, detto anche “ombrellino”
e assai raro nell’araldica civica, colorato di
bianco e di rosso, colori caratterizzanti la città)
nascente da un giglio d’oro (guelfo, simbolo di
fedeltà alla Chiesa), fiancheggiato da due chiavi
(una rossa e una argentea, allusive delle chiavi di
San Pietro) e in capo tre api operaie (simbolo di operosità),
richiamo all’emblema della famiglia BarberinI.
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LAZIO
Comune di Collalto Sabino (RI)
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Questa località fino al XIX secolo aveva un
unico nome (Collalto). L’attuale versione dello
stemma (art. 4 dello Statuto comunale) fa riferimento
a questo nome: l’antico “Collis Altus”.
La figurazione “rende bene l’idea”
con la presenza di tre cime azzurre, nella tipica stilizzazione all’italiana, delle quali la centrale
è la più alta; su di esse poggia un cervo
maschio alludente alla posizione elevata della località.
Sullo sfondo è rappresentato lo scudo antico
della comunità (partito d’argento
e di rosso); lo stemma è sormontato, oltre che
dalla corona nobiliare da tre api d’oro allineate
(in fascia) che ricordano la famiglia romana dei Barberini
che, nel maggio 1641, fu investita della Baronìa
di Collalto.
Si segnala la presenza impropria dell’ovale periferico
col nome: in araldica, infatti, vige la norma per cui
non è ammesso quel tipo di nastro ovale; esso
si ispira, probabilmente, alla targa di metallo che
viene abitualmente esposta all’esterno di ogni
Casa Municipale (GHIRARDI, in litteris).
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Comune di Fabrica di Roma (VT)
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Da documenti di Archivio si desume
che lo stemma (art. 6 dello Statuto, deliberazioni C.C.
n. 31 del 5/2/1992 e n 3 del 15/2/2002 ) è antichissimo,
del 1500 circa.
Lo stemma riporta un braccio che sorregge un favo su
cui passeggiano quattro api operaie; altre due api stanno
volando intorno.
Questa posizione richiama certamente la predisposizione
dei Fabrichesi al dono e la loro generosità:
questa, però, è oculata (ciò è
dimostrato dal braccio “vestito”) (BIANCHINI,
1982).
La manica rimboccata è chiara espressione di
un uomo lavoratore; il favo con le api simboleggia il
lavoro intelligente.
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SUD ITALIA E ISOLE
CAMPANIA
Comune di Lapio (AV)
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Lo stemma (art. 2 dello Statuto comunale) presenta
quattro parti (inquartato da un “filetto
in croce d’oro”) posizionate (abbassato)
sotto un capo rosso riportante le due consonanti
presenti nel nome stesso.
Le figure riportate (le api d’oro, le spighe di
frumento, il grande albero e il grappolo d’uva)
richiamano attività economiche, prevalentemente
agricole, che caratterizzano Lapio, dove si producono
cereali, olive, ciliegie, noci, nocciole, miele; questa
località è nota soprattutto per la produzione
di uva Fiana, da cui il rinomato vino bianco D.O.C.
Fiano.
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Comune di Nola (NA)
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Questo stemma rappresenta un caso araldico
molto curioso.
Esso porta, fin dal ‘500, un'aquila bicipite con
corona reale fra le due teste e con uno scudo
sul petto su cui è disegnata quella che sembra
una campana (in realtà è un’arnia!)
a forma allungata, intorno alla quale volteggiano cinque
5 insetti.
Questi sono interpretati ora come “cicale”
(per via forse del Monte Cicala che sovrasta la città),
ora come api.
La prima interpretazione è confortata anche da
leggende locali ma non è sicurissima. In questo
caso si verificò, quindi, una circostanza inversa
a quella napoleonica: sotto il regno borbonico gli insetti
(api o cicale che fossero) furono spesso trasformati
in gigli, in omaggio all’insegna dei re di Napoli.
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Comune di Pietramelara (CE)
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Lo stemma (art. 5 dello Statuto, deliberazione
C.C. n. 13 del 29/4/2003) riporta in campo azzurro tre
api d’oro che sormontano un alvare posto sopra
un mucchio di pietre.
Dalla posizione di queste bottinatrici rivolte verso
l’alveare (di paglia, tipo diffuso in antichità: CONTESSI, 2004) da cui sono uscite,
si può ipotizzare che stiano compiendo i cosiddetti
voli di “orientamento”.
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PUGLIA
Comune di Melissano (LE)
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Il Comune di Melissano, autonomo dal
1° gennaio 1923, solo nel 1958 si occupò
del riconoscimento dello stemma civico (art. 8 dello
Statuto, deliberazione C.C. n. 21 del 9/8/2006); questo
riporta in campo azzurro, un’ape d’oro,
accompagnata da tre carrube (due in capo e una in punta
dello scudo).
Per anni si è ritenuto
che il toponimo “Melissano” derivasse dalla
pianta del gen. Melissa (SCOZZI, 1990), specie vegetale che, contrariamente a quanto
pensassero i locali, è scarsamente visitata dalle
api (RICCIARDELLI D’ALBORE e INTOPPA, 2000); uno stemma civico,
quindi, che solo indirettamente si richiama al nome
del Comune.
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CALABRIA
Comune di Africo (RC)
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Lo stemma (art. 1 dello Statuto, deliberazione
C. C. n. 29 del 31/7/2002) riporta in punta
tre colli cilindrici, disposti a piramide, con la parte
superiore arrotondata che costituiscono il cosiddetto
monte all’italiana (GHIRARDI,
2006); essi ricordano che questo è un Comune
di montagna (670 m. s. l. m.).
Nella parte superiore volano tre api operaie, simbolo
della laboriosità degli Africesi e del loro attaccamento
alla terra.
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Comune di Melissa (KR)
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Secondo alcune leggende il toponimo
“Melissa” deriverebbe da Melisseo, re di
Creta a cui è attribuita la fondazione del paese
e dalla fama della maga Melissa; altri (GASCA
QUEIRAZZA et al., 2003) fanno derivare
il nome dal greco (ape, miele).
Quest’ultima tesi fu preferita dai melissesi che
adottarono nello stemma del Comune le api svolazzanti
accarezzate con la mano destra dalla Ninfa. Infatti,
lo stemma (art. 5 dello Statuto, deliberazione C.C.
n. 11/2005) è uno scudo sormontato da
una corona (originariamente d’oro e ingemmata,
ma lo stemma è stato aggiornato di recente per
cui esso non ha più la corona nobiliare ma quella
ordinaria), nel quale è raffigurata una donna
rappresentante la Ninfa Melissa, protettrice delle api.
La Ninfa, vestita di rosso, appare seduta in un prato
verdissimo nell’atto di accarezzare alcune api
in volo; sulla sinistra, è raffigurato un arbusto
e sullo sfondo il cielo azzurro (in questo caso, in
araldica, si parla di “campo di cielo”)
percorso da nubi bianche.
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SICILIA
Comune di Avola (SR)
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E’ probabile che Avola abbia definito il suo
emblema civico nel sec. XIII; questo rimase, inalterato
fino agli anni ’60 del sec. XIX (GRINGERI
PANTANO, 1987). Lo stemma attuale (D.P.R. 14
marzo 2002 e art. 3 dello Statuto, deliberazione C.C.
n. 17 del 10/2/2005) si concretizzò dopo l’Unità
d’Italia; esso è diviso in due parti da
una fascia che abitualmente è rappresentata
curva (per simboleggiare il campo convesso
dello scudo) ma che, invece, dovrebbe essere
orizzontale. Nella parte superiore è posta una
croce con i quattro bracci uguali (greca),
mentre nello spazio sottostante, sono rappresentate,
con le ali aperte, tre api. La croce è simbolo
della fede cristiana che la popolazione di Avola ha
sempre professato.
Il fatto che le api siano tre (non una) starebbe a indicare
la grande quantità di insetti presenti nella
zona. Esse sono simbolo dell’industria e del lavoro,
come pure della donazione e della vendetta (GUBERNALE,
1912-1937): esse, infatti, danno sì un eccellente
miele – molto apprezzato è il miele dei
Colli Iblei (PERSANO ODDO et al.,
2000) – ma possono procurare qualche problema
con il loro pungiglione (BARBATTINI
e FRILLI, 2004).
Quasi accollate allo stemma vi sono due cornucopie,
simbolo dell’abbondanza e dell’agricoltura
che culminano in una composizione di fiori e frutti.
Esse rendono lo stemma più appariscente, sia
compositivamente sia cromaticamente.
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Comune di Melilli (SR)
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Sullo stemma (art. 9 dello Statuto, deliberazione
C.C. n. 119 del 29/11/2001) è raffigurata un’aquila
coronata, con le ali spiegate, coperta al centro da
due scudi ovali (questa è una composizione assai
diffusa fino al XVIII secolo), sormontati da corona
(fig. 56 a). In quello di sinistra si notano cinque
api che si librano in volo verso il sole splendente,
alcuni ruderi con vegetazione; in quello di destra,
diviso in sette parti, due aquile sormontate da corone,
alcune bande (superiormente e inferiormente, simbolo
della famiglia Aragona), due leoni rampanti coronati
(simbolo del potere della famiglia Moncada dei Principi
di Paternò che possedeva molti feudi), tre foglie,
una colonna (una “Torre”) e un Castello.
La Torre e il Castello sono simboli dei sistemi difensivi
di Melilli che vennero distrutti dal terremoto del 9/11
gennaio 1693 e non furono più ricostruiti (MOLLICA.
1999). Lo stemma a sinistra è certamente quello
del Comune e presenta anche una barca a vela che sembra
muovere dai ruderi verso la vegetazione (e che l’estensore
dello Statuto del Comune ha ignorato).
Il tema delle api, presenti nello stemma, è dovuto
al fatto che il miele ibleo e la sua bontà sono
stati cantati fin dall’antichità e si richiama
alla mitica Ibla, l’attuale Melilli (AREZZO,
1537). Il nome di tale città deriva dal re siculo
Hyblone che abitava nella vicina Pantalica e che diede
ai coloni Megaresi, provenienti dell’Attica nell'antica
Grecia, il terreno per fondare (728 a.C.) Megara Iblea
(MAGNANO, in litteris). Con
grande probabilità questo episodio è richiamato
dalle api rappresentate: esse sarebbero “sciamanti”
e, quindi, Megara Iblea si è originata dall'antica
città di Megara (alla quale alluderebbero i ruderi
sulla scudo di sinistra) per una “sciamatura”.
Lo stemma è racchiuso nella scritta circolare
(araldicamente parlando, è abbastanza anomala
per cui si preferisce riportare l’immagine in
cui essa è stata sostituita con un nastro d’argento,
come prescrive la Regolamentazione) che recita: Maegara
ortum Hiblae leo martem alveare Melilli dat (Megara,
leone di Ibla, dà a Melilli la nascita, la potenza,
la prosperità). |
NOTE
(1) Sul toponimo “Melilli”
si è discusso molto nel corso dei secoli. Per spiegare
l’origine del nome, alcuni studiosi (PALMERI, 1850; AMICO, 1856; RIZZO, 1988) collegarono l’antica Ibla al miele, che si produce
in gran quantità negli Iblei, ricchi di timo. Tutte
le specie del gen. Thymus sono visitatissime dalle
api e assicurano notevoli produzioni di miele uniflorale,
tipica produzione italiana da salvaguardare (PERSANO
ODDO et al., 2000; RICCIARDELLI D’ALBORE e INTOPPA, 2000; ARCULEO e SABATINI, 2007). D’altronde il miele
degli Iblei è stato celebrato, fin dall’antichità,
da poeti e scrittori (RIZZO, 1990; AA.VV., 1992; MAGNANO, 2004). Per
altri studiosi, il toponimo, invece, deriverebbe dall’arabo
e significherebbe sentiero trafficato, a causa della sua posizione
strategica (MAGNANO, in litteris).
FONTE
BARBATTINI R., Le api nell’araldica civica
italiana V. Apitalia, 34 (5) (2008): 35-38. |
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VI PUNTATA
SARDEGNA
Comune di Alà dei Sardi (OT)
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Immagine di Massimo Ghirardi, ispirata all'originale
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Lo stemma e il gonfalone (art. 4 dello
Statuto, deliberazioni C.C. n. 29 del 21/6/2000) sono
stati concessi nel 1999 dal Presidente della Repubblica
C. A. Ciampi. Le figure presenti nello stemma richiamano
gli elementi su cui si fonda tradizionalmente l’economia
del Comune e cioè il grano, il sughero, l’allevamento
delle pecore e l’apicoltura (CECCOMORI,
2005). Infatti, nel vasto territorio di Alà dei
Sardi, ricco di flora, le api producono una gran quantità
di miele (dolce o amaro di corbezzolo, FLORIS
e SATTA, 2007) di ottima qualità.
Per la simbologia araldica, queste figure rappresentano:
la spiga l’abbondanza (la sicura
ricompensa al lavoro) e la pace;
la quercia la forza e la potenza, la
nobiltà, l’antico dominio, nonché
un richiamo ai suoi “prodotti” (ghiande
e sughero);
la pecora i vasti possedimenti, atti
alla pastorizia, e la mansuetudine;
l’ape l’operosità
degli abitanti alaesi.
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Comune di Monti (OT)
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Immagine di Massimo Ghirardi, ispirata all'originale
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Lo stemma è stato riconosciuto
con D.P.C.M. n° 2187 del 31/03/1983.
Questo centro agricolo, posto all’intersecazione
di vie di comunicazione tra le regioni di Gallura, Logudoro
e Barbagia, è importante per la produzione del
pregiato vino Vermentino (CECCOMORI,
2005).
Ad essa, infatti, allude la torre dello stemma avvolta
da una vite “fruttifera” di grappoli d’oro;
alla torre sono associati tradizionali simboli dell’agricoltura
(le spighe) e dell’operosità dell’uomo
(l’alveare con le api).
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Immagine di Massimo Ghirardi, ispirata all'originale
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Lo stemma civico (art. 2 dello Statuto,
deliberazioni C.C. n. 31 del 23/10/1997 e n. 43 del
16/12/1997) porta, superiormente, due grappoli d’uva
e un’ape (1) e, inferiormente,
in verde, il rilievo del Monte Nieddu; le due parti
(in campo rosso e in campo
azzurro) sono suddivise da una fascia
dorata (CECCOMORI, 2005).
Il Comune vive della sua economia agro-pastorale: tra
le attività agricole particolarmente diffuse
sono la viticoltura (le varietà vinicole presenti
sono il Vermentino, il Cannonau, la Vernaccia e l’Aleatico)
e l’apicoltura.
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APPENDICE
Si illustrano anche gli stemmi delle province
di Livorno (Toscana) e di Terni (Umbria).
Provincia di Livorno
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Lo stemma (art. 2 dello Statuto, deliberazione.
n. 25 del 14/2/2002) merita una sottolineatura (per
questo e per gli stemmi di Comuni toscani sopra illustrati,
si veda l’opera coordinata dall’UNITÀ
EDITORIA DELLA GIUNTA REGIONALE pubblicata
nel 1995).
Nella parte superiore dell’emblema viene riportata
la prima bandiera napoleonica dell'isola d'Elba (2):
una banda (cioè una striscia
inclinata in basso verso destra) rossa in campo bianco con tre api dorate (3) che rappresentano
la laboriosità degli elbani e i tre porti all’epoca
più importanti: Portoferraio, Rio Marina (entrambi
legati al trasporto del ferro) e Marciana Marina (porto
utilizzato per il commercio di prodotti agricoli e soprattutto
del vino).
Nella parte inferiore è riportato la fortezza
Vecchia di Livorno (degli inizi del 1600) che esce dal
mare, la cui torre destra porta una bandiera bifida
bianca con la scritta “Fides” (Regio decreto
del 23 febbraio 1902).
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Provincia di Terni
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Fig. 1
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Bene ha fatto l’amministazione
provinciale di Terni a procedere, qualche anno fa, ad
un restyling del proprio stemma. Infatti, gli insetti
riprodotti precedentemente potevano essere facilmente
confusi con mosche (Fig. 1) o con vespe
(Fig. 2).
Nell’attuale versione
(Fig. 3), invece, sono rappresentate,
molto schematicamente, le tre api citate nel decreto
ministeriale del 6/12/1934. Le vecchie versioni sono
state utilizzate dal momento delle concessioni (la prima
il 12 marzo 1936 e la seconda il 27 ottobre 1956) fino
alla ridefinizione effettuata da Michele Spera nel 1987
(BUSSETTI, in litteris).
Nello stemma (art. 5 dello Statuto, deliberazione n.
49 del 7/4/2003) oltre alle api, simbolo della laboriosità
della comunità provinciale, si ritrovano anche
cinque “onde”; esse ricordano l’acqua,
risorsa fondamentale per lo sviluppo industriale e commerciale
del territorio (4).
|
Fig. 2
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Fig. 3
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CONSIDERAZIONI
A conclusione di questa “carrellata” (forse incompleta)
si evidenzia come in gran parte degli stemmi individuati (52
pari all’85 %) siano riportate api operaie (vedi
grafico): questo è un uso abbastanza comune
nell’araldica civica internazionale; infatti, solo eccezionalmente
è rappresentata la regina (VAN LAERE,
1982). E’ corretto, però, dire che le api, come
del resto ogni altro insetto, sono abbastanza rare in araldica,
soprattutto in quella più antica. Per quanto attiene
all’araldica gentilizia, esse sono un po' più
frequenti, ma sempre rare (SAVORELLI, com.
pers.). In Italia la famiglia più famosa che ha
le api nel suo emblema è quella dei Barberini, da cui
proveniva papa Urbano VIII: il suo stemma si vede spesso sia
in Vaticano sia a Roma, come nella nota fontana di piazza
Barberini.
L’ape è sempre vista dal dorso e rappresentata,
come avviene normalmente in araldica, montante, cioè nell’atto di salire, verso la parte alta
dello stemma (capo), con le ali aperte; essa
viene quasi sempre raffigurata “d’oro”,
ma mai su un fiore! L’oro è il primo metallo
nobile usato in araldica e raccoglie in sé ogni significato
buono e glorioso: ricchezza, potenza, magnanimità,
nobiltà, splendore, sovranità, prosperità,
ecc.
Come simbolo, in araldica, l’ape è nobilissima;
essa simboleggia l’industriosità, la fatica “virtuosa”,
la regolarità, la laboriosità e l’operosità
degli abitanti dei Comuni interessati nonché –
di questo era assertore Napoleone – la immortalità
e la resurrezione. E’ quindi un simbolo molto diffuso
su tutto il territorio nazionale.
Da rimarcare è una notazione “mistica”
della simbologia dell’ape; essa, infatti, in Occidente
è anche chiamata ‘Uccello del Signore’
o ‘della Madonna’ e si può considerare
un simbolo dell’anima (BIEDERMANN,
1991). Ciò è valido per quegli stemmi che uniscono
l’aspetto allegorico del lavoro a quello del fedele
(ad esempio quello del Comune ligure di Ceranesi, che ha l’alveare
con le api intorno, simboliche del popolo laborioso per il
bene comune sul quale veglia, in alto, il monogramma di Maria).
Gli usi delle api negli stemmi comunali sono di due tipi:
come parlanti, cioè allusive (come
avviene nei rebus) al nome stesso del Comune, e allegoriche,
come generico simbolo di laboriosità, industriosità,
abbondanza ecc. Questo secondo uso è presente in vari
Comuni, ma è sempre moderno. Per quanto riguarda le
api parlanti si ricordano Avigliana (TO),
Melazzo (AL), Mele (GE), Cassina de’ Pecchi (MI), Melara
(RO), Pietramelara (CE), Melissano (LE), Melissa (KR), Melilli
(SR) e Avola (SR). Tra questi, si sottolinea Melara e Melilli
che devono il loro nome al miele e all’attività
delle api: ciò è motivo d’orgoglio per
gli abitanti (5).
In alcuni casi (Ceranesi, GE; Piario, BG e Ornica, BG) è
più corretto parlare di api alludenti,
in quanto esse “fanno pensare”, per assonanza,
al toponimo.
Quando le api rappresentano una risorsa del territorio, ciò
è evidenziato sullo stemma: questo, infatti, contiene
gli elementi più significativi per identificare il
comune.
Solo in due casi (3,3%), grazie alle scritte interne o esterne,
si fa riferimento al miele; l’alveare (o un suo favo)
è, invece, rappresentato in 7 stemmi (11.7%) a testimoniare
che, fin dall’antichità, in quelle terre si praticava
l’apicoltura.
Last but not least, ci si permette
di esprimere un giudizio sulla rappresentazione grafica, delle
api, in uso in araldica. Le api sono state trattate molto
male dagli araldisti. Spesso, infatti, la morfologia di questi
insetti non è rispettata (FRILLI et al.,
2001): essi, più che api, sembrano mosche!
Quest’affermazione si basa su due constatazioni. La
prima è che, sovente, si vede un paio solo d’ali;
ciò trae in inganno: le api, infatti, sono Imenotteri
e quindi hanno 4 ali ma quando sono a riposo se ne vedono
solo due, richiamando così le mosche che, invece, sono
Ditteri (dotati di un solo paio di ali). La seconda considerazione
è che anche il disegno dell’intero corpo dell’ape
fa assomigliare questi insetti a mosche! |
******
Ringraziamenti
Si desidera ringraziare i sigg. Bruno Fracasso e Massimo
Ghirardi (www.araldicacivica.it),
il sig. Raffaele Ridolfi di Melara (RO), i proff. Pietro Pitruzzello
e Paolo Magnano di Melilli (SR), le Amministrazioni Comunali
e Provinciali che hanno risposto alle richieste loro inviate,
i proff. Pietro Zandigiacomo e Franco Frilli dell’Università
di Udine per la collaborazione prestata.
NOTE
1) Il fatto che l’ape e i grappoli
siano vicini può suscitare alcune perplessità.
La prima può far credere che la vite abbia bisogno
dell’intervento dell’ape per essere impollinata;
essa, invece, è un vegetale dall’irrilevante
secrezione di nettare e i suoi fiori sono visitati solo per
la raccolta di polline (Barbattini, 1995).
La seconda è che l’ape possa provocare, con il
proprio apparato boccale, lesioni agli acini. Ciò è
falso, in quanto essa, essendo dotata di mandibole dal bordo
arrotondato, è incapace di lacerare superfici continue
quale l’epidermide degli acini (Frilli et al., 2001).
2) Pare che Napoleone l’avesse
fatta confezionare per il suo piccolo regno a bordo del vascello
inglese. Essa fu issata sull’isola il 4 maggio 1814,
giorno dello sbarco dell’imperatore a Portoferraio,
e ammainata il 1° marzo 1815, quando egli toccò
il suolo francese a Cap d’Antibes per l'ultima avventura.
Oggi, inalterata, è ancora la bandiera locale dell’Elba.
Essa è conservata presso il Museo Napoleonico Villa
deiMulini (Portoferraio) (così chiamata per la sua
antica struttura che presentava due mulini a vento) che ha
ospitato Napoleone nei dieci mesi di sua permanenza elbana,
dal 4 maggio 1814 al 26 febbraio 1815.
3) Al posto dei gigli dei Borbone, Napoleone
adottò come emblema personale le api, simbolo d’immortalità
e resurrezione. L’ispirazione era venuta ricordandol’offerta
sepolcrale di centinaia d’api dorate - in realtà
delle cicale! - scoperta nella tomba del re merovingio Childerico
I, a Tournai, nel 1653 (se ne conservano due esemplari nella
Biblioteca Nazionale di Parigi). Dal momento che Childerico
era stato il fondatore della dinastia merovingia, le api erano
considerate il più antico emblema dei sovrani francesi.
Allo stesso tempo, le api rappresentavano l’industriosità
dei cittadini di Parigi, che lavoravano fedeli per il loro
imperatore.
4) Nel 1927 (ottanta anni fa) la Provincia
di Terni fu istituita (separandola dalla Provincia dell’Umbria
smembrata nelle tre attuali Province di Perugia, Terni e Rieti)
accorpandola con l’area orvietana, proprio in seguito
allo sviluppo della città, conseguente alla grande
industralizzazione di fine secolo.
5) Già dal ‘700 nella
zona di Melara, quindi non solo in quel paese, ma pure in
quelli vicini, l’attività di apicoltore era diffusissima.
Nel 1877 un noto maestro locale, Cesare Cugola, divulgò
su di un giornale torinese un nuovo modo di costruire le arnie
(Ridolfi, in litteris). Melilli,
purtroppo, a causa della massiccia industrializzazione del
suo territorio, con lo spostamento dalla campagna di moltissima
manodopera, ha perduto l’antica tradizione apicola,
peraltro ancora diffusa negli altri centri iblei (Sortino
ad esempio) (Magnano, 2004).
FONTE
BARBATTINI R., Le api nell'araldica civica italiana
VI, Apitalia, 34 (6) (2008): 35-38
******
Le api nell’araldica civica comunale
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******
LE API NELL'ARALDICA CIVICA - ADDENDA
Pubblicato su Apitalia
L’uomo e l’ape -
10/2009 40
Sapevamo di non aver “esaurito” il nostro viaggio in Italia attraverso le
figure apistiche negli stemmi comunali: le precedenti “tappe” hanno
riscontrato un vivo interesse, e molte segnalazioni ci sono arrivate di
stemmi da inserire nel nostro repertorio. Abbiamo raccolto un primo “aggiornamento” su questo tema che vi proponiamo in questo numero.
Abbiamo verificato come l’ape, e il suo mondo, siano elementi
fondamentale della nostra cultura, che rivestono grande valenza
simbolica e metaforica: per questo le api sono state scelte da numerosi
Comuni italiani per rappresentare la comunità, la solidarietà,
la cooperazione, il lavoro e tutti quei valori che rientrano
nel campo del “civismo” e della convivenza.
Dopo le puntate precedenti sulle figure apistiche negli stemmi delle
Città e dei Comuni italiani (Apitalia 2008, XXXIV, 1, 2, 3, 4, 5, 6), che sapevamo
non essere esaustive del panorama
del nostro Paese, abbiamo
ricevuto diverse segnalazioni d’ulteriori
stemmi “in tema” che ci hanno
confermato nell’interesse riscosso da
questo argomento.
Vi proponiamo quindi questo “aggiornamento”,
realizzato sempre in collaborazione
con lo staff del Gruppo
Araldica Civica (www.araldicacivica.it).
Anche per la redazione di questo contributo
fondamentali sono stati i contatti
con le Amministrazioni comunali:
la possibilità, infatti, di “navigazione”
nei loro siti internet è stata di grande
importanza. Le stesse hanno fornito
notizie storiche di grand’utilità.
Per uniformità grafica sono state utilizzate
le immagini ridisegnate degli
stemmi inviati dagli Enti contattati
(va precisato anche che alcuni Comuni
non hanno risposto alle richieste
avanzate).
Il grafico, autore del disegno (eseguito
rispettando le caratteristiche araldiche
degli originali) è Massimo Ghirardi,
coautore della ricerca e illustratore araldico.
Come nei precedenti contributi si è seguito
un ordine geografico.
Il linguaggio tecnico araldico si è specializzato
a tal punto da rendersi
spesso, per chi non lo “frequenta”, di
difficile comprensione: per una più facile
lettura, pertanto, i termini tipici
del gergo araldico usati, saranno riportati
in corsivo.
E’ bene ricordare che la parte principale
dello stemma è lo scudo, simbolo
di protezione dei soldati. Esso è il
fondo sul quale sono disegnate le figure
(naturali o ideali) e può essere di
un solo colore o diviso (tecnicamente
si dice partito) in più parti con diversi
colori.
La parte superiore è detta capo, mentre
quella inferiore è chiamata punta. Bisogna
anche ricordare che, in Araldica,
le direzioni destra e sinistra sono riferite
all’ipotetico cavaliere che indossa
lo scudo, quindi invertite rispetto all’osservatore.
Quasi tutti gli stemmi dei Comuni
italiani sono sovrastati (timbrati) da
una corona turrita (simbolo d’autonomia
territoriale), a sottolineare la
dignità del Comune stesso, e contornati
da due rami: uno d’alloro (simbolo
di gloria) e uno di quercia
(simbolo di forza, in senso sia fisico
sia morale).
Se è assodato che l’alloro è simbolo di
gloria, per quanto riguarda la forza è
opportuno riportare la duplice versione
che viene data: secondo alcuni
starebbe a indicare la forza dell’Ente
Comune, secondo altri quella della
Repubblica (Fracasso, in litteris).
|
NORD ITALIA
PIEMONTE
COMUNE DI COGGIOLA (BI) |
Lo stemma (art. 4 dello Statuto, deliberazione
C.C. n. 48 del 28/11/2002) è rappresentato da un leone rampante
e cinque api.
Il leone rampante (che è
la fedele riproduzione di quello della
nobile famiglia Ajamone (1) o Aymone), vuole testimoniare le antiche origini di
questo Comune e le cinque api sono
il segno dell’operosità dei suoi abitanti.
Da questo accostamento tra i due simboli
deriva, non un simbolismo meramente
astratto e retorico, ma una
felice e quanto mai appropriata raffigurazione
sia sul piano storico che su
quello morale del carattere e temperamento
dei Coggiolesi.
Il leone rampante è stato scelto non solo perché era
il simbolo di una delle famiglie che più
hanno contribuito per il bene di questa
comunità, tra il XIV e il XVI secolo,
ma anche perché ben rappresenta
la tenacia, l’indomita perseveranza e la
nobiltà di animo della gente, anche
della più umile, di questa terra. |
|
******
COMUNE DI FAVRIA (TO) |
Favria deriva probabilmente il suo
nome dal latino Fabrica, attraverso il
tardo Faria, che sarebbe riferito alla
presenza in questa zona di un opificio
militare, come recenti scavi archeologici
sembrano confermare: nella attuale
zona di via Battaglia è stato
ritrovato un deposito di munizioni del
periodo romano.
Lo stemma allude al “favo” per assonanza
con il toponimo, ovvero alla più
nobile delle “fabbriche”, quella dell’alveare
delle api.
Le spighe simboleggiano,oltre che l’attività molitoria,
anche la fertilità del suolo; una ruota
dentata di metallo nobile completa
quest’allegoria della produzione e celebra
la laboriosità degli abitanti.
|
|
Il capo con le tre api, ma in campo rosso
e non azzurro, era attributo dell’Araldica
Napoleonica per le città di Prima
Classe. E’ probabile che il disegnatore
dello stemma si sia ispirato a quello per
indicare l’antichità e la “nobiltà” del
Comune. Comunque sia l’ape è il simbolo
civico per eccellenza e Favria lo ha
adottato quasi in guisa di animale totemico (2)
come unico simbolo identificativo
per una intera comunità. Il
Comune, infatti, ha ottenuto la concessione,
oltre che del gonfalone, anche
della bandiera comunale: “di forma rettangolare
con unico sfondo di color avorio
e contenente un’ape d’oro nella parte centrale
di proporzioni adeguate alle dimensioni
della bandiera…”.
Per ciò che concerne lo stemma è stato
concesso dal Presidente della Repubblica
con Decreto del 31 agosto 1955,
così blasonato: “Troncato; nel primo
d’azzurro a tre api d’oro ordinate in fascia;
nel secondo di rosso alla ruota dentata
di nove pezzi, d’argento, accompagnata
da altrettante spighe d’oro, disposte a
raggiera, alternate ai denti della ruota.
Ornamenti esteriori da Comune”. |
LOMBARDIA
COMUNE DI COMERIO (VA) |
Comune montano di probabile origine
celtica, infatti i Celti diedero origine
al nome di Kunmaer sulla
direttrice della grande via gallica Ponte
Tresa-Laveno.
Lo stemma (art. 2 dello Statuto, deliberazione
C.C. n. 25 del 26/9/2002) è
stato adottato con deliberazione C.C.
del 19/12/1959 (approvato con Decreto
del Presidente della Repubblica
del 16/1/1961). La composizione è
simbolica e vuole richiamare la laboriosità
degli abitanti e la collocazione
in un territorio ancora ricco di verde.
Può essere interpretato come se il lavoro
organizzato e sociale sia a “fondamento”
di un ambiente mantenuto
naturale e fruttuoso (tecnicamente in
Araldica si dice che gli alberi sono
nodriti, cioè nutriti, dalla campagna
verde). In effetti, soprattutto in passato,
non erano pochi gli alveari nella
zona dai quali si produceva un miele
millefiori di montagna particolarmente
profumato. |
|
VENETO
EX COMUNE DI AVESA (VR) |
|
Avesa è un piccolo borgo situato nell’omonima
valle poco a nord di Verona;
dagli anni Venti è diventato
frazione del Capoluogo, ma prima era
Apitalia
Comune autonomo.
E’ sempre stato
un centro famoso per l’operosità dei
suoi abitanti, tanto che secondo una
tradizione il nome della località deriva
dal termine dialettale ave (ape) a simboleggiare
l’instancabile operosità
degli Avesani.
Per questo la figura
principale dello stemma era costituita
da un’ape d’oro in campo azzurro.
Oro (che si rappresenta anche col
giallo) e azzurro sono anche i colori
blasonici di Verona (il cui notissimo
stemma è “d’azzurro alla croce piana
d’oro” ). |
******
COMUNE DI PONTELONGO (PD) |
Oggi il Comune ha uno stemma che
nulla ha di pertinente alla nostra ricerca
ma precedentemente, in seguito
ad un’istanza del 21 aprile 1921,
venne concesso con Regio Decreto di
Vittorio Emanuele III del 16 novembre
1933 uno stemma: “Di verde, alla
barbabietola fogliata di verde a sei api
d’oro, tre nella barbabietola e tre disposte
due in capo ed una in punta” ed un
gonfalone “d’azzurro”.
Il provvedimento
araldico non fu mai sottoposto
a formale registrazione e mai adottato
dal Comune.
In seguito alla metà del XX secolo si
preferì un bozzetto diverso: troncato,
cioè diviso orizzontalmente in due
parti.
Nella prima compare un ponte
ad un’arcata con un’edicola recante
l’effigie della Vergine Maria, riferimento
al ponte dell’XI secolo sul
fiume Bacchiglione (che è all’origine
del toponimo) e soprattutto al solenne
voto fatto dalla popolazione in seguito
ad una terribile pestilenza che colpì
Pontelongo nel 1676. |
|
EMILIA ROMAGNA
COMUNE DI SALA BAGANZA (PR) |
L’attinenza di questo stemma con
quelli aventi figure di api è solo indiretta.
Sala Baganza è però uno dei
pochi Comuni italiani che presenta
una variazione del noto campo di Francia;
ha adottato, infatti, uno stemma
con scudo partito con le armi (modificate)
della famiglia feudale dei conti
Sanvitale e dei duchi Borbone di
Parma, ovvero i primi e gli ultimi signori
del paese.
È in particolare lo stemma borbonico
che è derivato dall’arma di Francia Antica
dove il campo azzurro era seminato
di piccoli gigli d’oro (il numero di
fleur-de-lys fu ridotto a tre da Carlo V
nel XIV secolo): i duchi di Borbone
erano un ramo cadetto della dinastia.
Questi gigli, in origine, sarebbero stati
però… delle api! Nel 1653, infatti, a
Tournai furono trovate in gran copia
delle api dorate - anche se qualcuno,
in verità, asserisce che si tratterebbe di
cicale! - nella tomba del re Childerico
I (se ne conservano solo due esemplari
nella Biblioteca Nazionale di Parigi, le
altre sono andate disperse).
Dal momento che Childerico fu il
fondatore della dinastia merovingia, le
api furono considerate il più antico
emblema dei sovrani francesi.
In seguito
la loro forma si sarebbe stilizzata
fino ad esser confusa con quella dei
gigli (con implicazioni legate al culto
della Vergine Maria protettrice del
Regno Francese) (3).
|
|
Napoleone Bonaparte, forse per legittimare
il suo trono imperiale, le fece
ricamare sul manto imperiale (e anche
sulle “robe” da parata, al posto dei gigli
della dinastia che aveva sostituito) e le
fece adottare come emblema caratteristico
dell’araldica imperiale in genere,
dove rappresentavano l’industriosità
dei cittadini che lavoravano fedelmente
per il loro sovrano.
Il Comune di Sala Baganza (fino al
1861 solo Sala) ottenne, con Decreto
Regio di Vittorio Emanuele III del 16
febbraio 1931 lo “scudo d’armi”: partito,
nel primo d’oro alla banda di rosso;
nel secondo d’azzurro ai 9 gigli d’oro disposti
3:3:3).
Il primo campo del partito presenta le
armi, modificate (tecnicamente si
dice brisate) dei Sanvitale, conti di
Sala (il cui campo originale è d’argento);
mentre il secondo porta
quelle, pure modificate, con i gigli dei
Borbone-Parma duchi di Parma e
Piacenza, i quali ereditarono il Ducato
dai Farnese (4) che eressero Sala a “villa ducale” per la loro residenza
estiva. |
CENTRO ITALIA
MARCHE
COMUNE DI
PORTO SANT’ELPIDIO (AP) |
Nello scudo (art. 4 dello Statuto, deliberazione
C.C. n. 1 del 18/5/1953, riconoscimento
del Presidente della
Repubblica con provvedimento del
19/5/1965) si notano:
- nella parte superiore dello scudo, il
cui campo è di smalto “di cielo” (ovvero
azzurro chiaro, con o senza
segni di nuvole), vediamo il mare
fluttuoso su cui naviga una barca peschereccia
dalle candide vele dispiegate;
essa muove verso l’orizzonte
sotto un radioso sole mattutino
(convenzionalmente se il sole è
posto nell’angolo destro superiore
dello scudo si dice levante o nascente,
se è posto nell’angolo sinistro si dice
tramontante, se posto al centro del
capo dello scudo si dice meridiano);
- nella parte inferiore (campagna rossa)è rappresentata un’ape d’oro.
Sotto allo scudo vi è un cartiglio che
reca il motto: “in litore fulget”. La barca
in movimento sta a simboleggiare il“novello” Comune di Porto S. Elpidio
(eretto in Ente autonomo amministrativo
con DPR n. 258 del 10/1/1951).
A questo proposito occorre precisare
che ben sei città del litorale Piceno
hanno la parola “porto” nella loro denominazione.
Ciò farebbe subito pensare
che la loro economia si sia basata
o si basi sulle attività marinare: errato!
Il giudizio potrà valere, tutt’al più, (e
solo in parte e per tempi recenti) per
San Benedetto del Tronto che, tra l'altro,
se ha un porto di fatto, non lo ha
nel nome. |
Per i restanti centri costieri
la denominazione è solo occasionale e
forse anche impropria dal momento
che porti veri e propri in queste zone
non ci sono mai stati: non li permettevano
i bassi fondali e le coste piatte e
sabbiose. Il nome, quindi, deriva ad
essi soltanto dal fatto di essere sorti in
prossimità degli attracchi che altrettante
città dell’interno (nel caso specifico
Sant’Elpidio a Mare) avevano sul
litorale e che, con buona dose di retorica,
venivano detti, appunto, “porti”.
Le nuove città litoranee quasi null’altro,
oltre al nome, hanno ereditato
della originaria funzione portuale.
Mentre l’ape richiama le doti d’operosità
e previdenza che caratterizzano la
popolazione di questo Comune, il
motto “in litore fulget” afferma che Porto
S. Elpidio risplende, e risplenderà, quale
gemma del litorale adriatico. |
|
******
COMUNE DI MERCATINO CONCA (PU) |
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Mercatino Conca, nota sin dal 1272
con la denominazione di Pian di Castello,è uno dei Comuni del Montefeltro
e fino al 1940 fece parte del
Comune di Monte Grimano.
Lo
stemma (art. 6 dello Statuto, deliberazione
C.C. n. 24 del 28/7/2004) è
stato concesso con Decreto del Presidente
della Repubblica del 12 febbraio
1962:
“D’azzurro, al ponte mattonato
al naturale di cinque archi, posto a cavallo
di un fiume pure al naturale, accostato
in capo da tre api d’oro al volo
spiegato”. Il ponte è quello sul fiume
Conca, ricordato negli annali per il
suo impetuoso regime torrentizio e
adottato anche in guisa di simbolo
d’unione e fraternità tra la popolazione,
e le tre api sono un’allegoria dell’industria
locale del centro, noto in
passato per essere un luogo di mercato
di bestiame. Ancora oggi è sede d’importanti
fiere stagionali. |
SUD ITALIA E ISOLE
PUGLIA
COMUNE DI MELENDUGNO (LE) |
Melendugno deve il suo nome, quasi
certamente - visto che mancano fonti
ufficiali - al miele e all’attività delle api
(la parola mele, infatti, nel dialetto locale,
significa miele, anticamente prodotto
in abbondanza): ciò è motivo
d’orgoglio per i melendugnesi.
Secondo altri studiosi, il toponimo di
Melendugno nascerebbe dalla radice
del nome di Malennio (re dei Salentini,
discendente da Minosse, fondatore
della città di Lecce), che in seguito
si sarebbe trasformato da Malandugno
(portatore di sventura) a Melendugno
(portatore di dolcezza) (5). |
Tradizionalmente
si ritiene che i primi abitanti
(insediatisi intorno al XII secolo) denominarono questo centro Melendugno
proprio a motivo della copiosa
produzione di miele e dei prodotti derivati
dal latte che qui vengono lavorati:
è, infatti, definita, dai salentini, “la capitale della dolcezza” e, perciò,
detto: Mele - Dono. Lo stemma è previsto
dall’art. 7 dello Statuto comunale
(testo coordinato con le modifiche
adottate con la deliberazione del Consiglio
Comunale n. 70/1999). Lo scudo è occupato dalla figura di un esemplare
di Pino d’Aleppo (Pinus halepensis),
specie molto diffusa lungo la costa
adriatica salentina. Al centro del tronco è collocato non un alveare unico ma un
insieme di alveari (tecnicamente: apiario)
da cui fuoriescono delle api (6).
Pur non avendo sicurezza sulla sua origine,
l’ipotesi più accreditata localmente è quella di aver voluto fare
riferimento ad un’attività (l’apicoltura),
in passato tipica della zona, nonché
al toponimo che è composto con
la radice “mel” di “miele”. |
|
CALABRIA
COMUNE DI MELICUCCÀ (RC) |
|
La convinzione che Melicuccà significhi“conca di miele”, secondo la quale
il toponimo trova origine dal sintagma (7)
latino mellis concha, si è radicata nei
melicucchesi e dura anche ai nostri
giorni. Per questo lo stemma (come riportato
dall’art. 4 dello Statuto del
Comune adottato con delibera n. 5
del 25/3/2002) raffigura una coppa di
miele con sopra delle api, che va interpretata
sia come il risultato del lavoro,
a cui è dedita la popolazione, sia
come ricchezza prodotta da e per la
comunità.
La fascia rossa in capo non è prevista
dal blasone ufficiale: probabilmente è
un “avanzo” del soppresso Capo del
Littorio ovvero quella pezza araldica
ispirata dall’uso Napoleonico che fu
ideata durante il periodo del Fascismo
per contrassegnare tutti gli
stemmi civici, descritta come: “Di
rosso al fascio littorio d’oro circondato
da una corona composta di un ramo
d’alloro e uno di quercia (alias: olivo)
legati da un nastro”.
Mussolini lo rese obbligatorio ma, alla
sua caduta, la norma che lo imponeva
fu cancellata e la figura fu abrasa dagli
stemmi (DLL del 26.10.1944); alcuni
Comuni però si limitarono ad eliminare
il fascio, mantenendo il campo
rosso/porpora. |
SICILIA
COMUNE DI MUSSOMELI (CL) |
In questo stemma (DPR 1° luglio
1952) il monogramma di Maria (formato
da una A intrecciata ad una M
di Ave Maria) con la corona e le dodici
stelle furono aggiunte nel 1949 in seguito
per ricordare la visita della statua
della Madonna di Fatima in Italia.
Le tre torri sono quelle riportate nello
stemma dei Castellar (famiglia d’origine
catalana che s’avvicendò nel possesso
del castrum musumelis) scelte
perché rappresentavano il castello (costruito
tra il 1364 e il 1367), che domina
Mussomeli.
Le tre api si rifanno
all’etimologia Mons Mellis, cioè Monte
del Miele, come anticamente veniva
chiamata la zona dove è sorta la città:
una divertente storiella locale racconta
come l’uomo che costruì la prima abitazione
del luogo vi trovasse degli alveari
e assaggiandone il miele
contenuto si imbrattò la faccia, da cui “muso + melis”. |
|
******
COMUNE DI TRAPPETO (PA) |
In questo stemma (art. 8 dello Statuto)
la figurazione è alquanto convenzionale
e allusiva alle principali risorse del
territorio: commercio, apicoltura, marineria
e agricoltura.
Il blasone, infatti, descrive: “Inquartato:
nel primo, trinciato di azzurro e di
rosso, ai due bisanti d’oro, uno e uno; nel
secondo, di rosso, alle due api d’oro, poste
in palo; nel terzo, d'oro, all'ancora di
nero, con la trave di rosso; nel quarto, di
azzurro, alle cinque spighe di grano, impugnate,
d'oro, legate di argento. |
|
Ornamenti
esteriori da Comune”.
Il primo elemento (tecnicamente dei
bisanti, tondi in metallo che prendono
nome dalle monete auree coniate a Bisanzio/
Costantinopoli) simboleggia la
produttività e, di conseguenza, la prosperità
economica; si dicono bisanti se
rappresentati come piccoli cerchi in
oro o in argento (altrimenti si chiamerebbero
tortelli!) e sono così detti perché
rassomigliano le monete antiche;
il secondo elemento, le api, dichiara la
laboriosità dei trappetesi (al 31 dicembre
2007 a Trappeto risultavano residenti
3.090 persone); il terzo
un’ancora8 che è un richiamo al mare,
su cui si affaccia il paese, un tempo
solcato da velieri che trasportavano
zucchero di cannamela e vino, e oggi
da natanti carichi di turisti e villeggianti;
il quarto un mazzo di spighe di
grano; mentre impugnate vuole dire
che sono raccolte come se fossero tenute
da una mano chiusa (o, come in
questo caso, sono legate dal nastro).
|
CONCLUSIONI
Con questa puntata, si è voluto compiere
un’altra tappa del nostro viaggio
in Italia attraverso gli stemmi che
hanno attinenza al mondo dell’apicoltura.
La ricerca è stata molto complessa
perché sono molti in Italia a
possedere una stemma di questo tipo,
ma non esiste un repertorio aggiornato
dell’esistente: non tutti i Comuni
hanno una regolare concessione
depositata presso l’Archivio Centrale
dello Stato (sede all’EUR, a Roma); la
figura dell’ape è molto diffusa nell’Araldica
Civica e anche recenti concessioni
l’hanno ripresa.
Ci siamo occupati di un ambito ancora
molto vivo e dinamico che spesso
sorprende chi avvicina l’Araldica degli
Enti Territoriali (basta vedere il notevole
numero di richieste di concessione
ancora pendente presso l’Ufficio
Onorificenze e Araldica della Presidenza
del Consiglio 9) per cui ipotizzabile
un ulteriore “aggiornamento” in
futuro. Abbiamo incontrato molti
esempi, alcuni veramente interessanti,
dell’impiego simbolico dell’ape.
Molti
stemmi possono essere ricondotti al
genere Parlante (detta anche Cantante
o Agalmonica); stemmi cioè che, attraverso
gli smalti (cioè i “colori”) o alle
figure, alludono al nome della città.
Oppure giocano sull’assonanza o sulla
similitudine con il nome. Spesso solo
alcuni elementi formano una sorta di“gioco di parole” o stabiliscono una
relazione sonora con il Comune titolare.
In sostanza si tratta di emblemi“basati sulla parola” e illustrano, come
nei rebus, il nome del titolare, magari
in forma variata. Tra i più celebri, esulando
dal nostro campo di ricerca, ricordiamo
quello della famiglia
Canossa di Verona, che ha tutt’ora un
cane tenente un osso tra i denti; quello
degli Scaligeri di Verona che avevano
una scala quale emblema; quello della
famiglia del celebre condottiero Bartolomeo
Colleoni di Bergamo che
aveva, in origine, come simbolo principale
tre coppie di testicoli di leone
(“collioni”: coglioni, testicoli, simboli
di fiera forza); o quello degli Orinali,
che mostrava dei vasi da notte!
Infine, lo stemma dei Barberini, la più
conosciuta tra le famiglie nobili ad
avere le api come simbolo, in origine
aveva dei Tafani, anch’essi con funzione“parlante” perché il loro cognome originale
era Tafani di Barberino.
Al di là
degli esempi citati, questi stemmi assolvevano
al compito di essere facilmente
ricordati e interpretati.
RINGRAZIAMENTI
Sentitamente si ringraziano gli altri
componenti del gruppo Araldica Civica:
Bruno Fracasso (di Aosta, coordinatore
del gruppo), Davide Visentini
(di Curtatone, MN), Giovanni Giovinazzo
(di Torino), Giancarlo Scarpitta
(di Sarmeola di Rubano, PD), Francesco
Maida (di Ranica, BG), nonché le
Amministrazioni Comunali che hanno
risposto alle richieste loro inviate, il
prof. Franco Frilli dell’Università di
Udine e il prof. Alessandro Savorelli
dell’Università di Pisa per la collaborazione
prestata.
Renzo Barbattini*
e Massimo Ghirardi**
*Dipartimento di Biologia
e Protezione delle Piante
Università di Udine
**Insegnante atelierista
del Comune di Reggio Emilia
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manfredonico. In AA.VV. - La Valle del Platani. Gruppo Editoriale Kalos (PA): 37-39.
PARINELLO D., 1998
- La città di pietra. In AA.VV. - Mussomeli. Edizioni Ariete (PA): 6-18.
PASTOREAU M., 2005 - Medioevo
simbolico, Laterza (Bari): 404 pp.
PELLEGRINI G. B., 1991 - Toponomastica Italiana, Hoepli (MI): pp. 234,
272
ZALLOCCO A., 1976 - Nicola Pennesi ed il suo Porto Sant’Elpidio, Ed. La rapida (Fermo): 155 pp.
NOTE
1) - Questa ricca famiglia (1581-1730) aveva come stemma uno scudo avente al centro un leone rampante sormontato da tre stelle.
2) - In antropologia, un totem è un’entità naturale o soprannaturale, che ha un significato simbolico particolare per una singola persona o clan o tribù, e al quale ci si sente legati per
tutta la vita. Il termine deriva dalla parola ototeman, usata dai nativi americani Ojibway.
3) - Il primo sigillo reale con i gigli è del 1211 creato dal principe Luigi, figlio di Filippo Augusto, alla morte del padre divenuto re Luigi VIII (1223-1226). Pare che le originali api stilizzate
si siano volute interpretare come “gigli” per sottolineare la speciale protezione della Vergine sui re di Francia: secondo la leggenda, creata artatamente, il re dei Franchi Clodoveo I
(Clovis, 481-511) avrebbe ricevuto direttamente da un angelo l’emblema del giglio. Ma solo dal 1179 è ufficialmente emblema dei Re di Francia ed è stato assunto, oltre che per il simbolismo
che rimanda alla purezza, anche per la sua similitudine con lo scettro reale.
4) - Anche i Farnese avevano dei gigli nello stemma, con gli smalti invertiti rispetto ai loro successori: gigli d’azzurro in campo d’oro, e anche per questi si “sospetta” che in origine fossero
foglie di quercia (più precisamente Farnia, Quercus robur) e allusive alla località di origine: Farnese, appunto. In questa versione sono stati adottati nello stemma della Provincia di Parma.
5) - A Melendugno successe, quindi, la stessa inversione di tendenza che capitò alla città di Benevento che dall’antico Maleventum passò, in seguito, a Bonum eventum.
6) - Similmente alle “case-apiario” in uso soprattutto in Trentino e in Slovenia.
7) - Combinazione di due o più elementi linguistici dotata di valore sintattico autonomo, compiuto.
8) - Dal dizionario di www.araldicacivica.it: Ancora: pesante arnese munito di bracci ricurvi (marre) atti a far presa sul fondo del mare per trattenere il natante per mezzo di una fune (gòmena)
o una catena, può avere anche una traversa. Se la trave o la gomena sono di colore differente occorre blasonarli.
9) - Il Ministro per la Semplificazione Amministrativa, Calderoli, ha presentato una proposta (già approvata dal Senato) per l’abolizione di questo ufficio. |
******
LE API NELL'ARALDICA CIVICA ITALIANA: CONCLUSIONE
APITALIA N. 9/2011, PAGG. 35-40
Con questa puntata giunge al termine il nostro lungo viaggio
nell'Araldica Civica italiana, alla ricerca degli stemmi
che presentano api o elementi legati alla cultura apistica.
Sicuramente ci sarà sfuggito qualche stemma tra gli oltre
8000 Comuni d'Italia, alcuni dei quali non hanno ancora
adottato nessun emblema civico. Come che sia
il viaggio è stato avventuroso e denso di sorprese
Grazie alle numerose segnalazioni che
ci sono arrivate dopo l’uscita dei precedenti
articoli (Apitalia (2008), 34 (1,
2, 3, 4, 5, 6) e Apitalia (2009), 35
(2010) (1) si propone un’ulteriore selezione
di stemmi di Comuni italiani con figurazioni
inerenti al mondo delle api.
La nostra ricerca si completa quindi
con questa puntata che ci consente di
ringraziare tutti quanti hanno collaborato,
in particolare i “segugi” del
gruppo italiano di Araldica Civica
(www.araldicacivica.it).
Storicamente l’ape ha sempre rappresentato
un importante simbolo culturale:
sacrifica sé stessa per il bene della
collettività, vive in una società organizzata
e armonica, quindi perfetta per
rappresentare l’ideale di convivenza e
di civismo degli Enti Territoriali.
Questi, per definizione, sono stati istituiti
per la promozione e la tutela del
bene “comune” che produce armonia
e pacifica convivenza, valori fondamentali
che bisogna esser pronti a difendere
(proprio come fa l’ape con il
pungiglione). Anche in passato, per via
della rigida gerarchia delle loro colonie,
questi insetti furono adottati come emblema
dagli aristocratici (2) mentre per
la dolcezza del loro “prodotto” sono
stati proposti come simbolo dei poeti,
degli oratori e dei profeti.
L’eloquenza
di certi predicatori, infatti, fu spesso assimilata
alla dolcezza del miele, come
nel caso di alcuni dottori della Chiesa,
quali San Giovanni Crisostomo (bocca
d’oro) e San Bernardo di Chiaravalle
(doctor mellifluus). Questi, per il loro
parlare fluente - simile al miele - ebbero
come attributo le api che nella
tradizione hanno sempre simboleggiato
il Verbo, la Parola e, quindi, il
dolce eloquio.
Per uniformità grafica sono state utilizzate
immagini ridisegnate degli stemmi
inviati dagli Enti contattati (va precisato
che alcuni Comuni non hanno risposto
alle richieste avanzate e talvolta
le immagini ricevute presentavano una
bassa risoluzione e, quindi, non erano
adatte per una buona resa tipografica).
Il grafico, autore del ridisegno (eseguito
rispettando le caratteristiche araldiche
degli originali) è Massimo Ghirardi, coautore
della ricerca e illustratore araldico.
Per la redazione di questo
contributo, ancora una volta, sono stati
fondamentali i contatti con le Amministrazioni
comunali: la possibilità, infatti,
di “navigazione” nei loro siti
internet è stata di grande rilievo. Le
stesse hanno fornito notizie storiche
molto utili.
I termini tipici dell’araldica sono riportati
in carattere corsivo, perché nel
corso del tempo il linguaggio tecnico
araldico si è specializzato al punto tale
da apparire, a chi non lo “frequenta”,
di difficile comprensione.
Come nei precedenti contributi gli
stemmi sono presentati in ordine geografico
da Nord a Sud. |
NORD ITALIA
LIGURIA
COMUNE DI MIOGLIA (SV) |
Il comune è situato sul versante settentrionale
dell’Appennino Ligure, ai
confini con la provincia di Alessandria
in Piemonte, in una vasta piana
attraversata dal torrente omonimo,
affluente destro del torrente Erro.
La
sua storia è documentata già da un
documento imperiale del 967 d.C.
nel quale Ottone I unisce Meolia alla
Marca Aleramica (gli Aleramici, anticamente
noti anche come Aleramidi,
furono un'importante famiglia feudale
piemontese).
La sua storia è legata a quella delle famiglie
dei marchesi che l’hanno governata
lungo i secoli dal castello
(oggi ridotto a ruderi): a partire dai
Del Vasto, attraverso Del Carretto,
per giungere ai marchesi Scarampi.
Annessa al marchesato del Monferrato
nel 1419, passò nel 1521 al
Duca di Milano e infine al Regno di
Sardegna nel 1735, a seguito dei trattati
di pace di Vienna, e dato in
feudo agli Scarnafigi fino al XIX secolo. |
|
La descrizione araldica dello stemma
(previsto dall’art. 6 dello Statuto comunale,
delibera n. 5 del 4/1/2005)
dice: “Troncato, semipartito. Il primo
d’azzurro ai due leoni affrontati d’oro
afferranti con le zampe la lettera capitale
M dello stesso e sostenuti dalla
linea di partizione; il secondo d’oro ai
5 pali di rosso; il terzo di verde alle due
api d’oro ordinate in palo. Ornamenti
esteriori da Comune”.
L’elemento caratterizzante sono i
leoni che sostengono l’iniziale del
Comune, scelta grafica tipica del
XIX secolo, al quale risale la versione
in uso.
Il campo d’oro ai cinque pali di rosso
ricorda l’emblema degli antichi feudatari,
i marchesi Del Vasto e anche
quello dei Del Carretto, questi ultimi
però innalzavano uno scudo d’oro a
cinque bande di rosso (le bande sono
delle fasce inclinate).
Il campo verde, sono un’evidente allusione
alla collocazione del paese in
mezzo al verde, mentre le api simboleggiano
la laboriosità degli abitanti.
|
VENETO
COMUNE DI DOLCÈ (VR) |
|
La fertilità e la morbidezza del terreno
hanno generato il nome antico della
località, DULCIS poi DOLCEI, che
la parlata locale ha infine contratto
nella forma attuale DOLCE’.
Ha uno stemma inquartato con i simboli
dei quattro centri principali che
compongono oggi la circoscrizione
amministrativa dolceata (gli abitanti di
Dolcé si dicono: dolceati), con un
chiaro riferimento ai rispettivi toponimi.
La figurazione è da “leggersi”
quindi come un rebus, e rappresenta
un chiaro esempio di quelle che in
Araldica si definiscono armi parlanti
(o anche cantanti).
Riconosciamo quindi: CERAINO con
l’alveare d’oro (anche se in figurazioni
antecedenti al 1984 è d’argento) vale a
dire con la rappresentazione della “fabbrica”
di cera, che è anche simbolo
dell’operosità dei singoli per il bene comune
(ormai i lettori hanno imparato
a “decrittare” questo simbolo);
VOLARGNE
con l’ala che vola (quando è
singola si definisce semivolo); PERI è
rappresentato dalla pera in metallo nobile
(argento); infine OSSENIGO (anticamente
ORSENIGO) con l’orso
bruno raffigurato in atto di salire su
una montagna erbosa (in questo particolare
tipo di disegno si definisce pianura
posta in sbarra, cioè inclinata nella
posizione che normalmente è propria
della figura della sbarra).
|
Lo stemma, anche se in uso da molto
più tempo, è stato formalmente concesso
dal Presidente della Repubblica
Alessandro Pertini con Decreto del 18
luglio 1984. Dove è così descritto: “Inquartato:
nel primo di rosso, all’alveare
d’oro, accantonato da quattro api dello
stesso; nel secondo d’azzurro al semivolo
spiegato, d’argento; nel terzo d’azzurro,
alla pera d’argento, fogliata di due di
verde; nel quarto di rosso, all’orso di
nero, rivoltato, ritto sulla pianura di
verde, posta in sbarra. Ornamenti esteriori
da Comune”.
Da notare che l’orso è definito rivoltato
non perché raffigurato rampante
(in Araldica si dice che è ritto o levato),
come alcuni pensano, ma perché è rivolto
a sinistra (ricordiamo che, sempre
in Araldica, le direzioni sono
invertite rispetto all’osservatore, perché
sono riferite all’ipotetico cavaliere
che imbraccia lo scudo): per convenzione
tutte le figure hanno una posizione
normale (detta anche naturale)
che per l’orso è quella di essere levato e
volto a destra, da cui la necessaria specificazione
rivoltato. |
ITALIA CENTRALE
PROVINCIA DI FERMO |
La circoscrizione amministrativa della
Provincia di Fermo è stata istituita distaccando
40 Comuni dal territorio
dalla Provincia di Ascoli Piceno con
Legge della Repubblica dell’ 11 giugno
2004 n. 147, ed è divenuta operativa a
tutti gli effetti con le elezioni provinciali
del 6/7 giugno 2009.
Il Consiglio Provinciale ha deciso
l’adozione dello stemma contestualmente
allo Statuto, con Delibera del 7
gennaio 2010, che all’art. 3 descrive
(sommariamente) come segue: “la Provincia
di Fermo utilizza lo stemma ed il
gonfalone le cui caratteristiche sono
quelle della torre rossa su fondo bianco,
dell’aquila su fondo giallo, della croce
bianca su fondo rosso e dei simboli rappresentanti
la spiga, l’ape e l’ancora su
fondo bicolore”.
La croce bianca (antico simbolo della
Marca) e l’aquila (di Federico II) sono i
tradizionali emblemi presenti nello
stemma del capoluogo, ai quali è associata
una torre rossa e i simboli dell’agricoltura,
marineria e lavoro operaio.
|
|
"Lo stemma scelto dal Consiglio Provinciale
e proposto dallo studio Arteficium (3) è suddiviso in quattro quarti.
Nel primo è rappresentata una torre
rossa composta da quaranta mattoni,
tanti quanti sono i Comuni e le Città
che territorialmente e culturalmente
compongono la Provincia di Fermo.
Nel secondo, su fondo oro, è impressa
l’immagine dell’aquila nera, simbolo
di antiche tradizioni della cultura fermana
di vittoria, potenza e prosperità.
Nel terzo è rappresentata la croce patente
(con le braccia che si allargano
verso le estremità), simbolo dell’unità
tradizionale cristiana che ha avvolto
per secoli il territorio fermano e creato
l’humus per la crescita di una società
più giusta.
Nell’ultimo quarto trovano posto ulteriori
forti simboli della tradizione e
della cultura del popolo fermano:
un’ape d’oro a riconoscimento della laboriosità
delle sue genti, una spiga
d’oro a richiamo della forte tradizione
agricola ed un’ancora, sempre d’oro,
per il rimando alla tradizione del
mare” (dal comunicato stampa del
Presidente della Provincia Onorevole
Avvocato Fabrizio Cesetti e del Presidente
del Consiglio Provinciale Dottor
Luigi Marconi).
Lo stemma, il gonfalone e la bandiera
sono stati regolarmente concessi con
Decreto del Presidente della Repubblica
Giorgio Napolitano nell’ottobre
2010. La sigla della provincia che è
stata adottata (FM) è appartenuta in
passato alla Provincia di Fiume (oggi
Rijeka, in Croazia).
|
ITALIA DEL SUD E ISOLE
PUGLIA
COMUNE DI MELPIGNANO (LE) |
Lo stemma civico di Melpignano
(concesso dal presidente della repubblica
Giuseppe Saragat l’8 novembre
1965, trascritto nei registri dell'Ufficio
Araldico il 20 dicembre 1965 e citato
all’art. 6 dello Statuto Comunale,
adottato con deliberazione n. 53 del
30 gennaio 2003) raffigura un albero
di pino d’Italia posto sopra un favo
(così dice lo statuto comunale anche
se, in verità, ha più la foggia di un
apiario a “casetta” (costituito da 18 alveari),
lo smalto dello scudo è normalmente
blu anche se esiste sul sito web
una versione di colore rosso.
Il Comune di Melpignano ha, quindi,
adottato uno stemma parlante che unisce,
anche in questo caso - come fosse
un rebus - , le parole latine mel (miele)
e pinus (pino), attraverso la figura di un
pino nodrito (letteralmente: che lo“nutre”) da un favo (o da un apiario a“casetta”?) d’oro, e alludente per assonanza
al toponimo.
Tra le tante leggende
sullo stemma e sullo nascita
dello stesso paese, la più verosimile potrebbe
essere ricondotta alle origini antiche
del paese di origine contadina: lo
stesso nome, infatti, Melpignano potrebbe
essere composto da due nomi
che in origine erano “mele-pignana”
cioè miele di pino (pigno in dialetto
leccese).
Non c’è quindi una ragione storica per
l’adozione di questa curiosa figurazione:
il nome della cittadina è derivato
probabilmente dal fondo di tale
Melpinius, un oscuro centurione romano
che avrebbe ricevuto terreni in
questa zona come compenso per la
partecipazione alle guerre dell’Impero
Romano.
Di questo stemma se ne conoscono diverse
versioni, una con campo rosso e
una con campo azzurro: pare che la seconda
sia quella effettivamente riconosciuta
dallo Stato (non siamo riusciti a
recuperare il Decreto Presidenziale di
concessione). Oggi il Comune usa
anche un logo, dove le figura del pino
(del tipo “d’Italia” noto anche come“marittimo”) è stilizzata entro un’elegante
figura quadrata.
|
|
L’attuale circoscrizione amministrativa
di Melpignano è stata costituita da re
Ferdinando II delle Due Sicilie con
Decreto Regio del 4 luglio 1836 (entrato
in vigore il 1 gennaio 1837), che
ne ha distaccato il territorio dal Comune
di Castrignano dei Greci, a sua
volta costituito dopo l’abolizione dei
feudi dal governo napoleonico, con
legge 2 agosto 1806 n. 130.
Melpignano è un paese molto laborioso
e nello stemma, probabilmente,
si è dimostrata tale laboriosità mediante
la rappresentazione del favo (?)
sormontato da un pino domestico tipico
della macchia mediterranea che
rappresenta la robustezza e la forza
della comunità melpignanese. Non è
dato sapere se il nome ha origini latine
o greche; quello che quello che si sa
però è che lo stemma araldico del Comuneè così rappresentato in alcune
sculture su pietra locale poste alla base
di alcuni altari nelle chiese comunali
del XVII secolo.
E’ da tener presente, anche, che Melpignano
attualmente fa parte della
Unione della Grecìa Salentina (4) assieme
ad altri otto Comuni ellenofoni
in cui ancora in parte si parla il griko,
anche se nei secoli passati la Grecìa Salentina
era molto più vasta.
|
COMUNE DI PULSANO (TA)
|
Lo stemma del Comune di Pulsano è
un esempio molto interessante, per la
nostra ricerca, perché è l’unico (che ci
risulta) raffigurante l’ape in volo vista
di profilo. Sul significato di questo
raro emblema civico lo storico locale
Andrea De Marco riporta:“…è nato [refuso: probabilmente intende“noto”] fin dalla nascita dei Comuni
di Pulsano e Leporano. Esso è
formato da tre fiori posti in campo verde
e cielo azzurro. Vi sono tre ciliege poste
in alto, un ape svolazzante e tre fiori con
una corolla finale di rami di leccio. Il
tutto sormontato da una grande corona
principesca d’oro. Questo simbolo rappresenta
la fertilità, l’amore, la modestia,
l’ubbidienza e il lavoro.
Infatti:
LE TRE CILIEGIE stanno ad indicare la
fertilità dei giardini della terra di Pulsano;
LA ROSA: il simbolo dell’amore. È questo
il fiore che forma l’idea della fragranza
tanto che viene chiamata regina dei
fiori. Anche gli antichi profeti la definivano
tale; LA MARGHERITA: ha il disco della sua corolla
in oro ed è l’emblema della modestia,
sentimento nobile ed immacolato
che sorge dal cuore;
IL TULIPANO: il simbolo dell’ubbidienza.
Essa frena la volontà della via del male
indirizzandola in quella del bene;
L’APE: la laboriosità dei concittadini che
con la loro fatica succhiano il miele prodotto
dalla terra; I DUE RAMI DI LECCIO: indicano la meravigliosa
foresta di leccio, allora esistente
tra Pulsano e il Bosco Cagione;
IL CAMPO VERDE: sta alla magnifica distesa
di campi sempre verdi;
IL FONDO AZZURRO: sta ad indicare il
cielo sereno, pieno di luce”.
|
|
La descrizione, dal punto di vista araldico,
non è molto precisa. Con il termine
campo si indica il fondo dello
scudo (in questo caso: azzurro) e i fiori
si definiscono come nodriti dalla campagna
(o, meglio ancora, da una terrazza)
erbosa di verde.
Il vigente Statuto del Comune (art. 4)
descrive lo stemma con alcune piccole
varianti: il tulipano è diventato un gladiolo
giallo (alias: oro), e l’emblema è
stato recentemente ridisegnato con la
corona di città, titolo del quale il Presidente
della Repubblica ha insignito
il Comune: “Lo stemma del Comune di
Pulsano è costituito da uno scudo sormontato
da un’aurea corona regale. Lo
scudo illustra un cielo azzurro su campo
verde sul quale insistono tre fiori: un gladiolo
giallo, un papavero rosso [sic. In
realtà è una rosa da giardino] al centro
ed una margherita bianca. Sul papavero
volteggia un’ape. Dalla parte superiore
dello scudo pendono tre ciliegie”. Attualmenteè in corso la pratica per il conferimento
a Pulsano del titolo di“città” per meriti sociali, per cui l’emblema è stato ridisegnato da noi con la
corona di quel rango.
|
COMUNE DI ORTUERI (NU)
|
Ortueri è un borgo di origine altomedioevale:
i primi abitanti si insediarono
nelle località Travi ed Alas Ruinas che erano state colonizzate già dai Romani.
Oggi è un centro importante
della provincia di Nuoro, situato a 586
metri sul versante occidentale dei
monti del Gennargentu. Nel Medioevo
apparteneva alla curatoria del
Mandrolisai, nel Giudicato di Arborea
(i Giudicati erano i quattro “regni” autonomi
che componevano la Sardegna
medievale). In seguito fece parte del
Marchesato di Oristano ed infine della
Contea di San Martino fino all’abolizione
dei feudi nel XIX secolo. Il territorio
di Ortueri è ricco di vigneti e
di foreste di leccio e sughero.
Lo stemma di Ortueri è stato adottato
nel 2009 con una sfarzosa cerimonia
avvenuta il 26 agosto 2009 presso il
Municipio del paese per la consegna
ufficiale del gonfalone civico da parte
del Prefetto al sindaco. Il nuovo
stemma richiama gli elementi più caratteristici
del piccolo centro del Mandrolisai.
|
|
Il tipico scudo sannitico dell’araldica
civica italiana, pressoché rettangolare,
sormontato dalla corona turrita d’argento
del rango di Comune, propone
nel primo campo azzurro del partito-semitroncato
(vale a dire: diviso per metà
in senso sia verticale, sia orizzontale
nella metà di destra, che in Araldica
corrisponde alla sinistra!), tre monti
d’oro sui quali cresce una vite fruttifera
(“portante frutti”) d’uva di color porpora
(come si definisce, in Araldica, il
colore violaceo), riferimento al vino,
uno dei prodotti locali più importanti
(novantamila litri l’anno) che porta a
definire Ortueri “La città del vino”. Su
sfondo rosso, nel secondo campo, si
evidenzia una mitria vescovile simbolo
del patrono San Nicola, vescovo di
Myra (noto anche come San Nicola di
Bari). Indirettamente ricorda anche la
vicenda accaduta all’arcivescovo Zunnùi
da Fonni il quale, durante la visita
pastorale fatta in Ortueri nel 1896, ricordò
l’affettuosa ospitalità che egli,
piccolo studente, ebbe in Ortueri.
Nel terzo campo, di verde si mostrano
quattro api dorate che simboleggiano
l’operosità della comunità ortuerese
nei settori dell’agricoltura, della pastorizia,
dell’artigianato e della cultura. Il
tutto è ornato dal serto d’ordinanza
formato da un ramo d’alloro e da uno
di quercia annodati dal nastro con i
colori nazionali. Il motto, Laetus Hortus
Herìlis, è un richiamo alla monumentale
opera dello storico locale
monsignor Raimondo Bonu che, giocando
sull’etimologia del toponimo,
propone Ortueri come un “ameno
giardino del Signore”.
|
A conclusione di questa lunga carrellata
sugli stemmi di Comuni e Province
italiane con riferimenti apistici
si desidera accomiatarci dai lettori riportando
l’immagine dello stemma
della Comunità Montana del Giovo,
che, pur non essendo un Comune, è
pur sempre un Ente territoriale (essendo
formata dall’associazione di diversi
Comuni), in Provincia di Savona:
COMUNITÀ MONTANA DEL GIOVO |
|
La Comunità Montana del Giovo
(Legge n. 1102 del 3 dicembre 1971.
Istituzione delle Comunità Montane)
ha un proprio stemma e un proprio
gonfalone.
Lo stemma e il gonfalone sono formati
da uno scudo partito (il primo rosso con
cinque api ordinate, d’oro al naturale, il
secondo semigrembiato (5) di azzurro, verde e oro) coronato con rami di ulivo
e di quercia legati dal nastro tricolore.
La Comunità Montana del Giovo è un
comprensorio montano della Liguria,
in provincia di Savona, formato dai
comuni di: Giusvalla, Mioglia, Pontinvrea,
Sassello, Stella e Urbe. Con la
disciplina di riordino delle comunità
montane, regolamentate con la Legge
Regionale n. 24 del 4 luglio 2008 e in
vigore dal 1 gennaio 2009, non fanno
più parte dell’originaria comunità
montana i comuni di Albisola Superiore,
Albissola Marina, Bergeggi,
Celle Ligure, Quiliano, Vado Ligure e
Varazze che hanno delegato la stessa
Comunità Montana del Giovo alle
funzioni amministrative in materia di
agricoltura, sviluppo rurale, foreste e
antincendio boschivo.
Una parte importante dell’economia
locale, in generale basata sull’agricoltura,è rappresentata dall’industria dolciaria
(famosi gli amaretti di Sassello)
alla quale alludono le api dello
stemma, che sono anche il simbolo
dell’operosità degli abitanti.
|
******
RINGRAZIAMENTI
Sentitamente si ringraziano gli altri
componenti del gruppo Araldica Civica:
Bruno Fracasso (coordinatore),
Giovanni Giovinazzo, Giancarlo Scarpitta,
Francesco Maida; nonché le
Amministrazioni Comunali che
hanno risposto alle richieste loro inviate;
un ringraziamento anche a Tiziana
Di Biaso della biblioteca
comunale di Pulsano, al prof. Franco
Frilli dell’Università di Udine e al prof.
Alessandro Savorelli dell’Università di
Pisa per la collaborazione prestata.
******
NOTE
1) In questa puntata è stato citato lo stemma del Comune di Melicuccà (RC). Il 20/6/2010 è
stato presentato alla cittadinanza il nuovo Stemma (D.P.R. 3/11/2009). Esso, seppur siano
state apportate alcune modifiche imposte dal regolamento araldico, ha mantenuto la vecchia
raffigurazione di una coppa di miele con sopra numerose api. Questa raffigurazioneè ispirata da un episodio narrato nel “Bios” di Sant’Elia lo Speleota (= abitatore di grotte,
Reggio Calabria, 863 - Melicuccà, 11/9/960) ove il calice simboleggia la grotta del Santo e
le api i monaci e le multitudini che egli attrae.
2) Maffeo Vincenzo Barberini, elevato al soglio pontificio col nome di Urbano VIII, sostituì i
tafani dello stemma di famiglia con delle più nobili api d’oro. I tafani erano assonanti col
cognome antico della famiglia: Tafani (o Tavani) da Barberino, e adottate da Taddeo diCecco, avo del papa, che le aveva scelte in abbinamento ad un paio di forbici, essendo
egli tessitore.
3) la Società Arteficium, è risultata prima classificata nell’apposito concorso indetto dalla Provincia.
4) Unione tra alcuni Comuni della Provincia di Lecce costituitasi il 28 settembre 2001; iniziamente ad aderirono questi Comuni: Calimera,
Castrignano dei Greci, Corigliano d’Otranto, Martignano Martano, Melpignano, Soleto, Sternatia. Zollino. Il 1/1/2005 ha aderito il Comune
di Carpignano Salentino e l’1/1/2007 il Comune di Cutrofiano.
5) Si definisce grembio (o anche gherone)
ognuno dei triangoli formati dalle linee
di partizione mediane (verticale e orizzontali)
e diagonali dello scudo intersecantesi
al centro, che risulta quindi
suddiviso in otto spazi triangolari, in una
figura che rassomiglia una “girandola”.
Semigrembiato significa quindi che la figura
così ottenuta appare come tagliata
a metà lungo la linea mediana verticale
dello scudo.
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L’ELENCO DEI COMUNI TRATTATI
• Acquasanta Terme (AP, Marche) Apitalia 5/2008 - pag.35
• Africo (RC, Calabria).- Apitalia5/2008 - pag.37
• Alà dei Sardi (OT, Sardegna) - Apitalia 6/2008 - pag. 35
• Annicco (CR, Lombardia) - Apitalia 2/2008 - pag. 35
• Avesa (VR, Veneto) - Apitalia 10/2009 - pag. 36
• Avigliana (TO, Piemonte) - Apitalia 1/2008 - pag. 36
• Avola (SR, Sicilia) - Apitalia 5/2008 - pag. 38
• Barghe (BS, Lombardia) - Apitalia 2/2008 - pag. 35
• Brenta (VA, Lombardia) - Apitalia 2/2008 - pag. 35
• Brusaporto (BG, Lombardia) - Apitalia 2/2008 - pag. 35
• Burago di Molgora (MI, Lombardia) - Apitalia 2/2008 - pag. 36
• Campertogno (VC, Piemonte) - Apitalia 1/2008 - pag. 36
• Campo nell’Elba (LI, Toscana) - Apitalia 4/2008 - pag. 38
• Canzo (CO, Lombardia) - Apitalia 2/2008 - pag. 36
• Cappella Maggiore (TV, Veneto) - Apitalia 4/2008 - pag. 35
• Caravate (VA, Lombardia) Apitalia 2/2008 - pag. 36
• Carugo (CO, Lombardia) - Apitalia 2/2008 - pag. 37
• Casirate d’Adda (BG, Lombardia) - Apitalia 2/2008 - pag. 37
• Cassina de’ Pecchi (MI, Lombardia) - Apitalia 2/2008 - pag. 38
• Castel Maggiore (BO, Emilia Romagna) - Apitalia 4/2008 - pag. 36
• Castello di Brianza (LC, Lombardia) - Apitalia 2/2008 - pag. 38
• Ceranesi (GE, Liguria) - Apitalia 4/2008 - pag. 37
• Coggiola (BI, Piemonte) - Apitalia 10/2009 - pag. 35
• Collalto Sabino (RI, Lazio) - Apitalia 5/2008 - pag. 36
• Comerio (VA, Lombardia) - Apitalia 10/2009 - pag. 36
• Dolcè (VR, Veneto) - Apitalia 9/2011 - pag. 36
• Fabrica di Roma (VT, Lazio) - Apitalia 5/2008 - pag. 36
• Favria (TO, Piemonte) - Apitalia, 10/2009 - pag. 36
• Lapio (AV. Campania,) - Apitalia 5/2008 - pag. 36
• Limbiate (MI, Lombardia) Apitalia 2/2008 - pag. 38
• Marciana Marina (LI, Toscana) - Apitalia 4/2008 - pag. 38
• Mariano del Friuli (GO, Friuli Venezia Giulia) - Apitalia 4/2008 - pag. 36
• Melara (RO, Veneto) - Apitalia 4/2008 - pag. 35
• Melazzo (AL, Piemonte) - Apitalia 1/2008 - pag. 36
• Mele (GE, Liguria) - Apitalia 4/2008 - pag. 37
• Melendugno (LE, Puglia) - Apitalia 10/2009 - pag. 38
• Melicuccà (RC, Calabria) - Apitalia 10/2009 - pag. 39
• Melilli (SR, Sicilia) Apitalia 5/2008 - pag. 38
• Melissa (KR, Calabria) - Apitalia 5/2008 - pag. 37
• Melissano (LE, Puglia) Apitalia 5/2008 - pag. 37
• Melpignano (LE, Puglia) - Apitalia 9/2011 - pag. 37
• Mercatino Conca (PU, Marche) - Apitalia 10/2009 - pag. 38
• Mezzoldo (BG, Lombardia) - Apitalia 4/2008 - pag. 35
• Mioglia (SV, Liguria) - Apitalia 9/2011- pag. 35
• Monti (OT, Sardegna) - Apitalia 6/2008 - pag. 35
• Mozzate (CO, Lombardia) - Apitalia 4/2008 - pag. 35
• Mussomeli (CL, Sicilia) - Apitalia 10/2009 - pag. 39
• Nola (NA, Campania) Apitalia 5/2008 - pag. 36
• Offlaga (BS, Lombardia) - Apitalia 4/2008 - pag. 35
• Olgiate Comasco (CO, Lombardia) - Apitalia 4/2008 - pag. 36
• Oliveto Lario (LC, Lombardia) - Apitalia 4/2008 - pag. 36
• Ornica (BG, Lombardia) - Apitalia 4/2008 - pag. 36
• Ortisei / St. Ulrich (BZ, Trentino Alto Adige) - Apitalia 4/2008 - pag. 35
• Ortueri (NU, Sardegna) - Apitalia 9/2011 - pag. 38
• Padru (OT, Sardegna) - Apitalia 6/2008 - pag. 35
• Palagano (MO, Emilia Romagna) - Apitalia 4/2008 - pag. 36
• Pedrengo (BG, Lombardia) - Apitalia 4/2008 - pag. 36
• Piario (BG, Lombardia) - Apitalia 4/2008 - pag. 37
• Piatto (BI, Piemonte) - Apitalia 1/2008 - pag. 37
• Pietramelara (CE, Campania) - Apitalia 5/2008 - pag. 37
• Pontelongo (PD, Veneto) - Apitalia 10/2009 - pag. 37
• Porto Sant’Elpidio (AP, Marche) - Apitalia 10/2009 - pag. 38
• Pragelato (TO, Piemonte) - Apitalia 1/2008 - pag. 37
• Pulsano (TA, Puglia) - Apitalia 9/2011 - pag. 38
• Rio Marina (LI, Toscana) - Apitalia 4/2008 - pag. 38
• Sala Baganza (PR, Emilia Romagna) - Apitalia 10/2009 - pag. 37
• San Paolo d’Argon (BG, Lombardia) - Apitalia 4/2008 - pag. 37
• San Possidonio (MO, Emilia Romagna) - Apitalia 4/2008 - pag. 37
• Santa Maria Nuova (AN, Marche) - Apitalia 5/2008 - pag. 35
• Segrate (MI, Lombardia) Apitalia 4/2008 - pag. 38
• Suello (LC, Lombardia) - Apitalia 4/2008 - pag. 38
• Trappeto (PA, Sicilia) - Apitalia 10/2009 - pag. 39
• Urbania (PU, Marche) - Apitalia 5/2008 - pag. 35
• Veniano (CO, Lombardia) - Apitalia 4/2008 - pag. 38
• Vezza d’Alba (CN, Piemonte) - Apitalia 1/2008 - pag. 38
• Vignole Borbera (AL, Piemonte) - Apitalia 1/2008 - pag. 38
• Provincia di Livorno (Toscana) - Apitalia 6/2008 - pag. 36
• Provincia di Terni (Umbria) - Apitalia 6/2008 - pag. 36
• Provincia di Fermo (Marche) - Apitalia 9/2011 - pag. 36
• Comunità Montana del Giovo - Apitalia 9/2011- pag. 39
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NUOVE SEGNALAZIONI
da "APITALIA, N. 1, 2015
Si conclude, con questa “puntata” il lungo viaggio
attraverso la raffigurazione
del mondo dell’ape
negli stemmi dell’araldica
civica italiana.
La nostra rassegna è una sorta di “anteprima”
di una ricerca assai
dettagliata e puntuale
sull’araldica “apistica”
degli enti locali, condivisa
e indirettamente promossa
da "Apitalia" ,
che i due autori stanno concludendo
e che potrebbe a breve
uscire come pubblicazione. |
Rieccoci con un’altra “puntata”
(probabilmente l’ultima, riguardo
agli stemmi di Enti) della nostra
rassegna sugli stemmi apistici italiani: grazie
all’aiuto degli amici del Gruppo Italiano
di Araldica Civica (www.araldicacivica.it)
abbiamo “scandagliato” il mare magnum dei
circa diecimila stemmi degli Enti Locali italiani
(e forse più, contando anche quelli
degli enti scomparsi) per individuarne pressoché
la totalità (Apitalia (2008) 34 (1, 2,
3, 4, 5, 6); Apitalia (2009) 35 (10); Apitalia
(2011) 37 (9)).
Certo qualche “esemplare”
può esserci sfuggito, e non si può
prevedere se le nuove “concessioni” o “revisioni”
privilegeranno o no le nostre care api
come simbolo (non tutti i Comuni sono attualmente
dotati di stemma proprio). Nel
caso, sarà occasione per un nuovo articolo
su Apitalia.
Questa rassegna di stemmi di Comuni italiani
con soggetti legati al mondo dell’ape e
dell’apicoltura presenta gli ultimi “ritrovamenti”
eseguiti dai nostri collaboratori
presso gli Archivi Storici e, in particolare,
presso l’Archivio Centrale dello Stato di
Roma (EUR), dove è conservato il Registro
degli Enti Morali dello Stato (anche soppressi)
e i numerosi faldoni dell’Ufficio
Onorificenze e Araldica della Presidenza del
Consiglio dei Ministri (che ha “ereditato” le
mansioni della scomparsa Consulta Araldica
del Regno d’Italia) con i bozzetti dei
disegni originali (di solito realizzati in due
copie: una su pergamena che è allegata al
Decreto Presidenziale di Concessione dello
stemma, per la consegna da parte del Prefetto
al Sindaco del Comune interessato, e
un’altra per l’Archivio dello Stato)
Ancora
una volta, probabilmente anche per via della “fonte” istituzionale delle nostre immagini,
si tratta di stemmi “conformi” alla regolamentazione
vigente: uno scudo pressoché
rettangolare (tecnicamente definito “sannitico”,
perché si crede rassomigliante a quello
in uso presso i Sanniti, considerati popolazione “italica” per eccellenza) nel quale si dispongono
le “pezze” (figure geometriche) e
le figure araldiche; sormontato (“timbrato”)
da una corona di rango (d’argento e merlata
per i Comuni, d’oro con cinque torri visibili
per le Città; oppure, ma raramente, una di
tipo nobiliare: nobile, cavaliere, barone,
conte, marchese, duca, principe, monarca…)
e il serto vegetale formato da un ramo di
quercia con ghiande e uno d’alloro con bacche
(essenze simboliche di forza e gloria) legati
da un nastro che il Regolamento
Tecnico-Araldico, vigente dal 1943, prevede
nei colori della bandiera nazionale.
È da ricordare
agli amici lettori che il linguaggio
tecnico araldico si è talmente specializzato
nel tempo da essere, per chi non lo “frequenta”,
di difficile comprensione: per una
più facile lettura, pertanto, i termini tipici
del gergo usati, saranno riportati in corsivo.
Per uniformità grafica sono state utilizzate
le immagini ridisegnate degli stemmi inviati
dagli Archivi contattati.
Il grafico, autore del disegno (eseguito rispettando
le caratteristiche araldiche degli
originali) è Massimo Ghirardi, coautore
della ricerca e illustratore araldico. |
BRIGA MARITTIMA
(oggi La Brigue) (1) |
|
Attualmente si trova in territorio francese
nel Dipartimento delle Alpes Maritimes
nella Regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra,
Comune della Contea di Nizza, non
seguì quest’ultima quando, con il Trattato
di Torino del 1860, passò all’Impero Francese
diNapoleone III. Il suo territorio fu
occupato da truppe francesi alla fine della Seconda Guerra mondiale e annesso, dopo il
referendum che diede esisto positivo, allo
Francia.
Tre frazioni (dell’ormai ex Comune):
Piaggia, Upega e Carnino, rimaste
in territorio italiano, dal 1947 formano il
Comune di Briga Alta, in Provincia di
Cuneo.
Lo stemma “italiano” di Briga (il determinante
Marittima indica la posizione sulle
Alpi Marittime), era stato regolarmente
concesso con R.D. del 7 febbraio 1938 edè l’esito di tre diverse proposte avanzate al
Re per ottenere uno stemma civico (con
lettera del 18 novembre 1933 si proponeva
l’adozione di un “nuovo stemma, nel quale
l’arma dei Lascaris di Ventimiglia, antichi signori
del luogo - che è di rosso al capo d’oro -è spezzata da tre api d’oro sul rosso, male ordinate,
allusione alla locale industria del
miele” ).
|
La proposta fu esaminata durante
la seduta della Commissione Araldica
Piemontese del 23 dicembre 1933 e,
modificata come nell’illustrazione, che i
documenti blasonano: “troncato: sopra d’oro;
sotto di rosso, a tre api d’oro, disposte in fascia,
il tutto sotto il capo del Littorio”.
Le api sono un riferimento alla locale industria
del miele: già Amato Amati nel 1878
riportava che nel territorio di Briga si produceva
un “miele ricercatissimo in Francia e
Inghilterra”, produzione di qualità che tuttora
continua. Il Capo del Littorio era una
pezza araldica ispirata dall’uso Napoleonico
che fu ideata per contrassegnare tutti gli
stemmi civici; si presenta: Di porpora al fascio
littorio d’oro circondato da una corona
composta di un ramo d’alloro e uno di quercia
legati da un nastro con i colori nazionali (2).
L’attuale comunità di La Brigue, ha un emblema
completamente differente: il blasoneè: Inquartato: il primo e il quarto
all’aquila bicipite coronata, d’oro; il secondo
e il terzo d’azzurro al San Martino a cavallo
d’argento nell’atto di partire il suo mantello
con il povero; sul tutto lo scudetto d’oro al
montone di rosso. |
******
CAPODAGLIO
(oggi Cap-d’Ail) (3)
|
|
Anche questa località è
stata italiana col nome
di Capodaglio (o Capo
d’Aglio, documentato
già nel 1407), appartenente
al Regno di Sardegna
fino al 1860,
quando passò alla Francia con quasi tutta la Contea di Nizza.
Faceva parte del Comune di Turbia (oggi
La Turbie) assieme a Beausoleil, oggi tutti “Communes” autonomi Per un breve periodo
tra il 1705 e il 1713 fece parte anche
del principato di Monaco ed è oggi una
nota località turistica francese di circa 4500
abitanti situato, come La Brigue, nel dipartimento
delle Alpi Marittime della Regione
della Provenza-Alpi-Costa Azzurra.
Secondo
alcune ricerche etimologiche il toponimo
deriverebbe da Cap des Abeilles
(letteralmente “Capo delle Api”), come ricordano
le api d’oro presenti nello stemma
del Comune. Probabilmente è invece un
derivato da “veille” dal latino “veglio”, col
significato di “luogo di avvistamento posto
su un punto elevato”.
|
Popolarmente si ritiene
che le api siano state adottate dal Comune
a ricordo di Napoleone, qui sbarcato
al ritorno dell’esilio all’Elba. La torre rimanda
alla storica torre d’avvistamento
contro le incursioni dei Saraceni: ancora
oggi esistono le rovine della Torre d’Abeglio,
che si vuole sia quella rappresentata
sullo stemma civico.
Blasone: D’azzurro alla torre merlata d’argento,
murata di nero, posta su una campagna
di verde movente dalla punta e
accompagnata da tre api d’oro al volo chiuso,
due ai fianchi e una in capo. |
******
DAVERIO (VA) |
|
Secondo la tradizione,
il capoluogo prende
nome da un oscuro
personaggio romano,
Verius (da cui “da Verius”)
mentre un’ipotesi
alternativa propone la
derivazione dalla famiglia “romana” dei Veri (da cui “de Veriis”),
che si sarebbe insediata nella zona in epoca
augustea.
Il Comune di Daverio si trova nella Valbossa,
che prende nome dalla nobile famiglia
dei marchesi Bossi (oggi Bossi-
Fedrigotti), una delle due principali che
esercitavano la signoria feudale sul territorio
dell’attuale circoscrizione amministrativa,
l’altra era quella dei Sessa. Ecclesiasticamente
dipendeva dalla pieve di Varese.
Nel 1757 fu unito a Dobbiate, andando a
formare il Comune di Daverio con Dobbiate,
e nel 1786 fu aggregato dall’amministrazione
austriaca alla Provincia di
Gallarate. Quindi, nel 1791, a quella di Milano.
Dal 26 marzo 1798 fu parte del Dipartimento
(francese) del Verbano,
Distretto di Varese; mentre dal 26 settembre
1798 del Dipartimento dell’Olona, sempre
nel Distretto di Varese.
Nel 1801 entrò a far
parte del Distretto del Lario (capoluogo
Como) aggregando nel 1808 i Comuni di
Gagliate (oggi Galliate) e Crosio, ai quali si
unirono nel 1812 Bodio e Lomnago.
|
Nel
1816 il Dipartimento del Lario (ritornato
austriaco) assunse la denominazione di Provincia
di Como.
Il Regno d’Italia l’ha restituito
come Comune il 18 marzo 1861; Con
il DPR n. 1 del 2 gennaio 1927 è entrato a
far parte della nuova Provincia di Varese,
istituita distaccandone il territorio da quella
di Como.
Lo stemma presenta una torre merlata, vista
in prospettiva, d’argento: un tradizionale
simbolo d’autonomia e di difesa (quindi per
esteso dell’autorità comunale in difesa dei
cittadini) fondata sulla campagna (eloquente
simbolo dell’economia locale), alla quale sono affiancate due api (il circonvoluto
linguaggio araldico del blasone probabilmente
riporta un errore di trascrizione,
dovrebbe essere: “accostata nei cantoni del
capo da un’ape d’oro…”, non specificando
né destro né sinistro) allusive, come solito,
della laboriosità degli abitanti e non, come
sostenuto da alcuni, del dominio napoleonico
sulla località. Questo stemma è stato
concesso dal Presidente della Repubblica
con Decreto del 29 maggio 1963.
Blasone: D’azzurro, alla torre d’argento in
prospettiva, merlata di tre alla guelfa, murata
di nero, aperta e finestrata, fondata su campagna
di verde ed accostata nel cantone del
capo da un’ape d’oro dal volo spiegato. Ornamenti
esteriori da Comune. |
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MOLLIA (VC) |
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Mollia (il cui nome deriverebbe
da mòjia che
vale “aquitrinoso,
umido, probabilmente
per le condizioni del
terreno in tempi antichi”)
è un piccolo Comune
dell’alta Valgrande in Valsesia, divenuto
autonomo nel 1722, quando la Squadra
Superiore della Comunità di
Campertogno venne separata contestualmente
all’istituzione della parrocchia.
L’ape presente nello stemma è simbolo della
laboriosità della popolazione, storicamente
spinta all’emigrazione dalle scarse risorse locali,
inoltre pare un riferimento al patrono
san Giovanni Battista, il cui cibo erano “locuste
e miele selvatico”; particolare curioso
gli abitanti di una delle frazioni, Grampa,
erano nei tempi passati soprannominati
Avìji (api) o Vèspi (vespe).
La squadra è un
probabile riferimento alla Squadra Superiore
di Campertogno, e la sua raffigurazione
insieme al compasso potrebbe
ricordare la Scuola di Disegno istituita da
Pietro Giacomo Bello nel 1807 e rimasta
in attività fino al 1895.
Decreto: stemma liberamente adottato dal
Comune.
Blasone: D’azzurro, al compasso e alla squadra
scalena, il primo con l’asta sinistra piegabile,
la seconda posta in banda sul primo, con
il lato graduato all’ingiù e forata del campo
all’angolo retto; all’ape posta nel cantone sinistro
del capo, il tutto d’oro.
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SAN PANCRAZIO PARMENSE (PR) |
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Il borgo che, in epoca
cristiana, diverrà San
Pancrazio si sviluppò
intorno ad un fondo
agricolo, sorto in seguito
alla colonizzazione
romana del 183
a.C. assegnato alla gens
romana Pollia col criterio
di “otto iugeri per ciascun colono”.
In
seguito, il borgo s’ingrandì e divenne importante
lungo la Via Emilia (così chiamata
dal nome del promotore della sua
costruzione, il console Marco Emilio Lepido)
fino a diventare una statio di posta,
con magazzino merci, stalla e un piccolo
luogo di culto.
Successivamente diventerà
un grosso villaggio e il tempio pagano sarà
trasformato in chiesa cristiana che, per la
presenza di una reliquia di quel santo, diverrà
la pieve di San Pancrazio.
|
Il Comune di San Pancrazio (solo dopo il
1861 fu aggiunto il determinante toponomastico “Parmense” per distinguerlo da
altri Comuni omonimi) fu istituito dal Prefetto
Ugo Eugenio Nardon, dell’Amministrazione
francese del Dipartimento del
Taro nel 1806, insieme a quelli di Golese,
San Lazzaro Parmense, Vigatto e Cortile
San Martino, con territori già del Comune
di Parma.
Nel 1943 tutti questi Comuni
vennero soppressi e tornarono a far parte
del territorio comunale urbano del quale,
attualmente, sono Circoscrizioni (“Quartieri”)
essendo i territori pressoché inglobati
nell’area urbana di Parma.
Sulla torre dell’ex casa municipale posta
sulla Via Emilia Est, attuale sede del Quartiere
di Crocetta-San Lazzaro, è scolpito lo
stemma civico (senza Capo del Littorio,
previsto all’epoca della formale concessione
ottenuta con Regio Decreto di Vittorio
Emanuele III del 19 febbraio 1934); lo
stemma si presentava tagliato da una sbarra
d’oro, simbolica della Via Emilia lungo la
quale si dispone il territorio, accompagnata
in capo da una cornucopia d’oro in palo
(cioè in verticale) in campo verde e in punta
da un piccolo tempio accostato da tre api,
una in capo e due ai lati, d’oro, in campo
azzurro. Tutti simboli di laboriosità e prosperità
(le api, tenendo presente anche
l’epoca dell’erezione del Comune, sono
anche un richiamo all’Impero Francese Napoleonico).
Blasone: Tagliato dalla sbarra d’oro, il primo
di verde alla cornucopia fruttifera del primo
posta in palo; nel secondo d’azzurro, al tempio
pagano accostato da tre api, una in capo e due
ai lati, il tutto d’oro. |
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TORBOLA CASAGLIA (BS) |
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Il Comune è stato
costituito nel 1872
(Regio Decreto n. 644
del 04 gennaio 1872)
unendo al territorio
del Comune di Torbole
quello del soppresso
Casaglio (da
Casalium, nel significato di “ospitale per
viandanti”, poi modificato in Casaglia).
Lo stemma è stato concesso con Decreto
del Presidente della Repubblica dell’8 settembre
1965 e rappresenta l’impegno
degli abitanti (simboleggiati dalle api),
che uniti nel lavoro producono frutto (il
covone).
Il campo azzurro richiama le acque del latino
turbulae aquae (“[luogo delle] acque
torbide”) che si ritiene all’origine del toponimo.
La zona era, in effetti, acquitrinosa
fino al XIX secolo, quando furono
intrapresi grandi lavori di bonifica per ricavarne
campi coltivabili (altro simbolismo
implicito nel covone) oggi la zona è
ormai inglobata nella periferia produttiva
ovest di Brescia.
|
La stella d’argento, invece, simboleggia
(uso abbastanza frequente nell’araldica civica)
l’antico territorio del soppresso Comune
di Casaglio che è stato unito a
quello di Torbole (il covone è pure simbolo rafforzativo di unità) ed è anche beneaugurante:
raffigura, infatti, la “buona
stella” o la “giusta direzione” (verso la
quale sono orientate le api) a sua volta allusiva
alla “stella della sera”, Venere, che
compare per prima all’orizzonte ed è l’emblema
principale della Repubblica Italiana.
Blasone:
D’azzurro al covone di grano d’oro accompagnato
da tre api dello stesso poste ai lati e in
punta, e da una stella di sei raggi d’argento
posta in capo. |
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CONCLUSIONE
In generale abbiamo privilegiato gli
stemmi che hanno, tra le figure simboliche
scelte, le api o gli strumenti dell’apicoltore;
solo in rari casi abbiamo testimoniato alcune
variazioni “grafiche” che hanno stravolto
le figure apistiche fino a renderle
irriconoscibili (ad es. api d’oro che nel
tempo si sono trasformate in fleur-de-lys, i
noti “gigli araldici” cari alla monarchia
francese).
Abbiamo, d’abitudine, preferito le figure
che si ricollegano direttamente al mondo
dell’ape, tralasciando ad esempio gli
stemmi che mostrano essenze vegetali con
un’attinenza particolare con l’ape (e soprattutto
alle diverse varietà di mieli ottenute)
o ai cosiddetti “nemici” di quest’insetto.
|
Concludiamo però la nostra trattazione
con due esempi di questo tipo di stemmi,
quello del Comune di Lusevera e quello
del Comune di Taipana (entrambi in provincia
d’Udine), amene località montane
nelle Prealpi Giulie, non distanti dai confini
con la Repubblica di Slovenia.
Il primo (figura a
lato) mostra, tra gli
altri emblemi, un
ramo fiorito di tiglio
(Tilia sp.). Secondo la
tradizione slovena (Lusevera
e Taipana sono
Comuni nei quali è insediata da secoli una“minoranza” linguistica slava, circa il 70%
dei residenti), il tiglio è l’albero sacro simbolo
della vita, dell’amicizia, della fedeltà e
dell’ospitalità; tradizionalmente si piantava
al centro di ogni villaggio e sotto a esso si
riunivano i residenti per prendere decisioni
relative a tutta la comunità (4). Da quest’essenza,
però, si ricavava (e si ricava ancor
oggi) un tipo di miele (5) particolarmente
pregiato e profumato, con caratteristiche
particolari, che ha avuto un suo ruolo
nell’economia rurale della zona.
Nello stemma di Lusevera è associato a
due stelle d’oro, che ricordano il fiore
della stella alpina (Leontopodium alpinum,
specie detta anche Edelweiss), simbolo
delle Alpi. Ciascuna di esse ha otto punte,
tante quante sono le frazioni che formano
il Comune: Lusevera/Bardo, Villanova delle
Grotte/Zavarh, Micottis/Sedlišča, Vedronza/
Njivica, Pradielis/Ter, Cesariis/Posbardo,
Pers/Brieh, Musi/Mužac.
La catena montuosa bianco/argentea di
montagne simboleggia la catena del massiccio
del monte Musi, che si staglia nel
paesaggio a dominio del capoluogo, mentre
i due declivi rappresentano rispettivamente
a destra i prati sfalciati, e a sinistra i
boschi) (6).
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|
Lo stemma comunale di Taipana (7), invece,
mostra un orso bruno (8), rappresentante tipico
della fauna delle
Alpi Giulie, che tiene
con una zampa un
ramo di tiglio (figura a
lato): un altro esempio
di stemma non direttamente
legato al tema
dell’ape, ma interessante
per la nostra ricerca... perché oltre ai
richiami simbolici già evidenziati per lo
stemma precedente, potrebbe alludere al
pregiato miele di tiglio nonché alla nota
ghiottoneria dei plantigradi per il miele.
Abbiamo quindi ribadito quanto la figura
dell’ape sia ricca di simbologie e richiamo
ai più nobili valori, innanzitutto quelli legati
al lavoro e al sacrificio per il bene comune;
la presenza di questi insetti, oltre ad
essere indispensabile per la nostra sopravvivenza,
ci ricorda anche un’etica differente
da quella imperante oggi e ci invita a riflettere,
anche sugli emblemi che assumiamo
come comunità e come amministrazione
del bene pubblico. |
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RINGRAZIAMENTI
A conclusione di questo lungo e (ci auguriamo)
piacevole percorso ci preme ringraziare
anche quanti, tra i lettori e non, ci
hanno segnalato note e precisazioni in merito
alla nostra ricerca, unica (vogliamo ricordare)
nel suo genere condotta fino ad
ora nel nostro Paese.
Tra i tanti interlocutori di questa puntata
non possiamo dimenticare Igor Cerno, del
Comune di Lusevera, i ricercatori del
Gruppo Italiano di Araldica Civica (Antonio
Conti, Pasquale Fiumanò, Bruno Fracasso,
Giovanni Giovinazzo, Giancarlo
Scarpitta), il dott. Rinaldo Nicoli Aldini
dell’Università Cattolica (Piacenza) e il prof
Pietro Zandigiacomo dell’Università di
Udine.
|
NOTE
(1) Si cita questo Comune, pur essendo “passato” da italiano, a francese per “dovere di completezza” e informazione storica
(2) Il fascio è un’insegna d’origine etrusca costituito da un mazzo di verghe e da una scure, tenute insieme per mezzo di corregge: è il simbolo del potere coercitivo della legge, quindi dell’autorità dello Stato. Era portato da Littori,
ufficiali di scorta al servizio degli alti magistrati Romani che, con il loro ufficio, comminavano pene corporali e capitali. Mussolini lo rese obbligatorio negli stemmi degli enti territoriali (R.D. n. 1440 del 12 ottobre 1933) ma, alla
sua caduta, la norma che lo imponeva fu cancellata e la figura abrasa dagli stemmi (D.L. del 26.10.1944).
(3) Anche in questo caso, si cita questo Comune, pur essendo “passato” da italiano, a francese per “dovere di completezza” e informazione storica.
(4) Anche in Friuli era riconosciuto il valore simbolico del Tiglio, piantato nella piazza del paese e sotto il quale si riunivano i “decani” e i “vicini”. Era famoso quello “millenario” di Moruzzo. http://www.vivimoruzzo.it
(5) Le piante di castagno e di tiglio condividono spesso gli stessi habitat e hanno fioriture concomitanti. In Friuli Venezia Giulia è abbastanza facile riscontrare dei mieli di castagno/tiglio che presentano caratteristiche intermedie rispetto
ai mieli uniflorali.
(6) In Araldica le direzioni destra/sinistra sono invertite rispetto all’osservatore, perché riferite all’ipotetico cavaliere che imbraccia lo scudo.
(7) Formalmente lo stemma Comunale si può intendere come uno scudo rosso sul quale è applicata una pezza triangolare d’argento simbolica dei monti alpini; rosso e argento, tra l’altro sono i colori dell’Austria, alla quale è stato
lungamente soggetto il territorio. La figura triangolare, sulla quale si staglia l’orso levato, richiama anche lo scaglione dello stemma di Udine, storico capoluogo del Friuli.
(8) L’orso è altresì animale totemico della cultura alpina, non solo slovena, e simboleggia la forza e l’indipendenza degli abitanti. “Valli dell’orso” è una denominazione popolare del territorio del Comune di Taipana.
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BIBLIOGRAFIA CONSULTATA
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- aa. vv., 1997 - Dizionario di toponomastica. Storia e significato dei nomi geografici italiani. UTET, Torino.
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Renzo Barbattini*
e Massimo Ghirardi**
*Dipartimento di Scienze
Agrarie e Ambientali
Università di Udine
**insegnante atelierista
del Comune di Reggio Emilia
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