COLLABORAZIONI
In questo Settore vengono riportate notizie
e immagini fornite da altri redattori. Nello specifico,
i testi sono stati realizzati da Don Damiano Grenci,
che ha trasmesso anche le foto, mentre la grafica e la rielaborazione
delle immagini è stata curata da Cartantica.
Tutti gli articoli degli altri Settori sono state realizzati
da Patrizia di Cartantica che declina ogni responsabilità
su quanto fornito dai collaboratori.
"N.B.: L'Autore prescrive
che qualora vi fosse un'utilizzazione per lavori a stampa
o per lavori/studi diffusi via Internet, da parte di terzi
(sia di parte dei testi sia di qualche immagine) essa potrà
avvenire solo previa richiesta trasmessa a Cartantica e
citando esplicitamente per esteso il lavoro originale (Autore,
Titolo, Periodico) ."
******
LONGINO, LA SANTITA' SGORGATA DAL CUORE DI CRISTO
Premessa
“Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l'aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.
Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato - era infatti un giorno solenne quel sabato -, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all'uno e all'altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto”. (Gv 19, 28-37)
Introduzione
Nel mio viaggio-pellegrinaggio nelle Marche nel 2010, mi sono recato in visita al santuario del beato Antonio Migliorati da Amandola. Qui ho scattato delle foto tra cui, una, ha una tavola posta tra la chiesa e la cappella della reliquie del beato, che raffigurava la Madre di Dio, il Battista e un santo fin ora sconosciuto.
Questo quaderno vuole raccontare della chiesa agostiniana e del Beato di Amandola, ma anche di quel quadro.
Beato Antonio da Amandola
Il beato Antonio nasce in Amandola, piccolo centro ai piedi dei monti Sibillini, il 17 gennaio 1355 da Simpliciano Migliorati, un contadino nella zona montana, alle pendici del Castel Manardo, presso l'abbazia benedettina dei Ss. Vincenzo e Anastasio. La sua famiglia semplice e povera è ricca però di fede e di onestà; la prima istruzione gli fu impartita dai monaci benedettini che, nei presi della casa natale, avevano l'Abbazia dei santi Vincenzo e Anastasio. La religiosità dei genitori e l'educazione benedettina fecero da sfondo ideale alla sua vocazione e la presenza in Amandola di un eremo agostiniano lo indusse a farsi agostiniano. Sui 20 anni affrontò il normale corso di formazione: noviziato, professorio e finalmente è ordinato sacerdote. Si mostrò subito un uomo di grande maturità spirituale, tutto preso dal sacro ministero e zelante apostolo del Signore, fedele all'osservanza religiosa, molto dedito alla preghiera, alle vegli, alla penitenza raggiungendo così quella libertà interiore che lo conduceva a dare il primato assoluto all'amore di Dio e al servizio della Chiesa sull'esempio di S. Nicola da Tolentino. La fama di santità di Nicola da Tolentino lo attrasse ad entrare tra gli Agostiniani di Amandola.
La santità di questo frate si costruì nel continuo dono di se stesso a Dio e ai fratelli; nella preghiera attingeva luce e forza che trasmetteva nel suo ministero: la S. Messa, la predicazione, il confessionale, la direzione spirituale, l'incontro umano erano tutte occasioni preziose di estendere agli altri la sua esperienza di Dio. I tempi erano difficili, bisognava rimboccarsi le maniche, andare alla questua, assistere i poveri, visitare le famiglie, affrontare il malcostume e ogni forma di violenza. Se nel 1464 il comune gli riconobbe il titolo di difensore del popolo è perché egli invitava alla pacificazione e anche dopo la morte si prodigava a vantaggio di tutti dall'ambito spirituale a quello materiale. Con sapore di leggenda raccontano come egli ad Amandola arrestasse l'orda dei soldatacci che dalla strada del Tenna correvano all'assalto della cittadina: presentandosi con un gesto di comando sulla porta d'ingresso all'istante ecco cavalli che s'impennano, soldati che si danno alla fuga, cavalieri gettati a terra che scampano alla calca e il popolo che dagli spalti delle mura grida al miracolo. Professati i voti e completati gli studi, fu ordinato sacerdote verso il 1380. Verso i trent'anni l'obbedienza lo porta a Tolentino a fare il sacrista presso il sepolcro di San Nicola, rimanendovi 12 anni. Da Tolentino nel 1397 passa nelle Puglie, forse come predicatore o anche come devoto del santo di Bari. Ricco di queste due esperienze nel 1400 all'età di 45 anni, il beato Antonio torna in Amandola: il suo rientro fu un avvenimento festoso per la popolazione che riaveva il concittadino tanto benemerito. Divenne subito un preciso punto di riferimento per chiunque cercasse una soluzione. Riusciva a vivere con piena intensità la vita conventuale come la partecipazione ecclesiale e sociale. Fu più volte priore del convento di S. Agostino che riedificò insieme alla chiesa e la sua popolarità gli guadagnò tanta collaborazione da parte degli amandolesi.
Per tutte le grandi iniziative non mancarono preoccupazioni, problemi e sofferenze, ma tutto fu superato. Per la sua dimestichezza con Dio, i concittadini ricorrevano a lui anche per avere la stagione propizia, in particolare per ottenere la pioggia. Da qui l'appellativo di nubigero e l'iconografia lo ritrasse spesso con le nubi in mano per distribuire la pioggia secondo necessità. Il fisico robusto gli permetteva di realizzare frequenti pellegrinaggi ai santuari mariani, a quello vicino dell'Ambro e a quelli lontani di Loreto e Tolentino, che raggiunse a piedi nel 1432 all'età di 77 anni. Si spense alla bella età di 95 anni il 25 gennaio 1450. Ebbe subito il culto: dopo tre anni si dovette procedere alla esumazione del corpo prelevandolo dal sepolcro comune. Nel 1453 il suo corpo, tolto dal sepolcro comune dei frati, fu sistemato in un'arca di legno sopra un altare, intitolato a suo nome. Nel 1641 fu posto in un sarcofago di legno lavorato da Domenico Malpiedi, che nel 1897 fu sostituito da un altro di marmo, che ora si vede nel coro. Nel 1798 i soldati estrassero il copro dal sarcofago e ne fecero scempio: nel 1899 gli fu recinto il capo con una corona d'oro. A 10 anni dalla morte già il Consiglio Comunale deliberava di festeggiare la sua memoria. Il suo culto venne ufficialmente riconosciuto da Clemente XIII nel 1759 che lo ascrisse nel numero dei beati, riconoscendone il culto ab immemorabili. Vilipeso il corpo nel 1798 dalle truppe francesi, il 20 aprile 1890 papa Leone XIII concesse l'indulgenza plenaria ai visitatori del suo santuario. La memoria liturgica nel calendario agostiniano ricorre il 29 gennaio. Amandola è legatissima al suo beato e lo festeggia con solenne novena dalla data della sua nascita a quella della sua morte: 17- 25 gennaio.
Il convento e la chiesa. Sin dal 1301 l’Ordine agostiniano era insediato nell’attuale sito, lungo il clinale del colle Marrubione, uno dei tre rilievi formanti il territorio comunale (Ferranti, 1985).
Dal primitivo romitorio si svilupperanno, grazie a lasciti privati ed a sussidi comunali, il convento col chiostro e la chiesa monumentale che saranno sottoposti a successive trasformazioni nel corso del tempo: l’ ampliamento sotto il priorato di Antonio Migliorati (n. 17 gennaio. 1355 - m. 25. gennaio 1450); la decorazione barocca con stucchi, figure allegoriche ed affreschi, rappresentanti alcuni miracoli compiuti in vita dal Beato Antonio, eseguiti nell’arco di tempo fra il 1606 ed il 1612 ad opera del Malpiedi; infine i rifacimenti del '700 che mutarono radicalmente lo stile del fabbricato con l'allungamento del corpo verso la piazza ed il completo rinnovo dell'interno nello stile neoclassico, operato dall'architetto Pietro Maggi fra il 1758 ed il 1782.
Un ' ampia scalinata degradante colma attualmente il dislivello fra il piano stradale ed il piano di calpestio della chiesa, esito dei lavori di rimaneggiamento della piazza eseguiti agli inizi del XIX secolo. La planimetria dell’edificio si compone di un’unica navata con copertura a volta ed in corrispondenza del presbiterio, da un breve transetto, illuminato dalle finestre del tiburio ottagonale, affrescato dal tolentinate Francesco Ferranti (1873-1951) agli inizi del '900.
Dal primitivo romitorio si svilupperà l’attuale convento col chiostro e la chiesa monumentale, grazie a lasciti privati ed a sussidi comunali, che saranno sottoposti a successive trasformazioni nel corso del tempo: l’ ampliamento sotto il priorato di Antonio Migliorati (1355 - 1450), la decorazione barocca con stucchi, figure allegoriche ed affreschi rappresentanti alcuni miracoli del Beato Antonio, ad opera del Malpiedi, nell’arco di tempo fra il 1606 ed il 1612, infine i rifacimenti del '700 che mutarono radicalmente lo stile del fabbricato, con l'allungamento del corpo verso la piazza ed il completo rinnovo dell'interno nello stile neoclassico, operato dall'architetto Pietro Maggi fra il 1758 ed il 1782.
L' esterno si presenta come un blocco compatto di alte mura percorse da costoloni mentre uno svettante campanile, completato nel 1464 da Pietro Lombardo (1435-1515), si pone a coronamento della massa architettonica, terminando con una cuspide ottagonale; l’abside rappresenta la parte più antica della costruzione ed è inglobata nel primo piano della torre campanaria.
Della struttura originale rimane il portale opera di "MARINUS CEDRINUS VENETUS SCULTOR MCCCCLXVIII" come riportato nella fascia dell' arco a tutto sesto interposta fra la doppia ghiera; quella sottostante decorata a giralti condi grappoli e pampini alternati. L' arco poggia su colonnine tortili e pilastrini in travertino terminanti con capitelli a fogliami. Nella fascia esterna, verticale, sono scolpiti due putti che suonano una tromba, sotto a sinistra S. Monica, a destra S. Agostino, infine alcuni strumenti da calzolaio suggeriscono la probabile committenza: JOHANNES (de) VANNIS appartenente, appunto, alla corporazione dei calzolai. Una vetrata policroma raffigurante il Beato Antonio venne commissionata all’Istituto di pittura di Monaco e posta in loco nel 1900 (Marozzi, 1997).
Sempre di Francesco Ferranti sono un "Esaltazione del B. Antonio" che campeggia al centro dell'abside mentre una "Vocazione del Beato" ed una "Madonna della Cintura" ornano i primi due altari laterali (1906-8). Sempre nell'abside, alcune scene del pittore camerinese Orazio Orazi (1903- 6) rappresentano i "Miracoli del Beato". Resti di un coro ligneo del XV sec. con al centro, nella nicchia protetta da una grata in ferro,La "Pietà" in terracotta di arte settentrionale dei primi anni del ' 400 , concludono l'arredo.
Nel 1888 in seguito alla sistemazione della strada provinciale per Macerata, il convento subisce pesanti ristrutturazioni tanto da stravolgerne la struttura; tracce della primitiva decorazione delle lunette (sec. XVII) possono ora scorgersi lungo il corridoio di accesso alla nuova cappella del Beato Antonio ricavata nello spazio sottostante il chiostro originario.
San Longino ad Amandola
Il Martirologio Romano, l’elenco ufficiale dei santi e beati venerati dalla Chiesa cattolica, in data 16 ottobre ricorda: “A Gerusalemme, commemorazione di san Longino, venerato come il soldato che aprì con la lancia il costato del Signore crocifisso”.
Longino, un santo, di cui i testi antichi hanno parlato tra: sinassari orientali, Vangeli, epistole dei Santi Padri, vangeli apocrifi e martirologi sia orientali che occidentali.
Queste fonti hanno dato vita a tre personaggi, in cui Longino viene identificato.
1) Un soldato che con un colpo di lancia squarciò il costato di Cristo sulla croce, il suo nome deriverebbe appunto dalla lancia;
“Uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua”. (Gv 19, 34)
2) un centurione che era presente alla morte di Gesù e che commosso da ciò che vede, ne afferma la divinità, unica voce favorevole in un coro d’insulti e scherni;
“Il centurione, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, alla vista del terremoto e di quello che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: «Davvero costui era Figlio di Dio!»”. (Mt 27,54)
3) un centurione che comandava il picchetto di soldati messo a guardia del sepolcro del crocifisso che comunque secondo alcuni testi, sarebbero gli stessi che avevano presenziato alla crocifissione.
“Mentre esse erano in cammino, ecco, alcune guardie giunsero in città e annunciarono ai capi dei sacerdoti tutto quanto era accaduto. Questi allora si riunirono con gli anziani e, dopo essersi consultati, diedero una buona somma di denaro ai soldati, dicendo: «Dite così: «I suoi discepoli sono venuti di notte e l'hanno rubato, mentre noi dormivamo». E se mai la cosa venisse all'orecchio del governatore, noi lo persuaderemo e vi libereremo da ogni preoccupazione». Quelli presero il denaro e fecero secondo le istruzioni ricevute. Così questo racconto si è divulgato fra i Giudei fino ad oggi”. (Mt 28,11-15)
In Oriente, Longino è il centurione che riconobbe la divinità di Gesù e ne custodì il sepolcro; in Occidente, è il soldato del colpo di lancia, ma anche il centurione che afferma la divinità sotto la croce.
Dopo l’incontro con Cristo, nel momento della sua glorificazione, la Croce, “volgeranno lo sguarda a colui che hanno trafitto”, sia nella trazione orientale che occidentale Longino abbandona l’attività militare, viene istruito nella fede dagli apostoli e se ne va a Cesarea di Cappadocia (da dove forse, secondo alcuni racconti, era nativo) dove conduce una vita di santità, prodigandosi per la conversione dei gentili, ed infine subisce il martirio morendo decapitato.
La passio del martire è diversa a seconda delle due tradizioni succitate: in quella occidentale egli è un soldato isaurico (cioè dell'Isauria, regione nel sud della penisola anatolica), che viene arrestato e processato dal preside di Cesarea di Cappadocia, Ottavio che a sua volta si converte come pure il suo segretario Afrodisio che subisce anch’egli il martirio; in quella orientale egli è nativo di Cesarea, dove infatti si ritira in un possedimento paterno, poi sobillato dai giudei, Ponzio Pilato lo denuncia all’imperatore come disertore e lo fa uccidere da due sicari, la testa del martire viene portata a Gerusalemme e mostrata a Pilato e poi gettata nell’immondizia, in seguito viene recuperata da una vedova miracolosamente guarita dalla cecità.
Il primo testo letterario che parla di Longino è una lettera di s. Gregorio Nisseno (m. 394 ca.), definendolo l’evangelizzatore della Cappadocia come gli Apostoli, che singolarmente lo erano di altre regioni.
Secondo una certa tradizione locale, la città di Mantova, lo ritiene evangelizzatore e donatore della reliquia del Preziosissimo Sangue di N.S. Gesù Cristo custodita nella Chiesa di Sant’Andrea, e suppone che il suo martirio sia avvenuto in loco.
Secondo questa tradizione, una chiesa denominata Santa Maria in Campo Santo sarebbe sorta qui già in età paleocristiana, presso il luogo dove avrebbero reso la suprema testimonianza San Longino ed altri martiri. Le notizie certe la danno costruita nel 1256.
Nell’arte lo hanno raffigurato abbinandolo alla scena della crocifissione con lancia o senza lancia, con l’armatura o senza armatura (in virtù del fatto che aveva abbandonato l’esercito per vivere da “milite di Cristo”).
L’opera più famosa è la grande statua del Bernini nella grande basilica di S. Pietro, alla base di uno dei quattro enormi piloni che sorreggono l’immensa cupola e che circondano lo spazio dell’altare con il baldacchino.
Un’opera sconosciuta e curiosa è invece una tavola custodita presso il santuario del beato Antonio in Amandola (FM), che lo rappresenta nella classica sacra conversazione con San Giovanni Battista e la Madonna con Gesù Bambino. Nella scena il Battista, guardato fuori dall’opera, indica nel Santo Bambino l’Agnello di Dio: “Ecce Agnus Dei”, come recita il cartiglio nella mano. L’altro personaggio invece, riconducibile a San Longino, vestendo non sa soldato, ha in mano la lancia e ha due simboli curiosi: il libro, simbolo della sua evangelizzazione della Cappadocia (forse anche Mantova?) e un cuore. Il cuore però è in realtà un Cuore di Cristo (il Sacro Cuore di Gesù), che è segnato dalla ferita della lancia e il santo indica con la mano mostrandolo al Santo Bambino che egli sta mirando. Per cui tutta l’opera torna all’essenza del cartiglio del Battista. Quel cuore è il Cuore di Cristo, il cuore dell’Agnello di Dio che ha tanto amato gli uomini e che Longino racconterà, lui che lo aveva trafitto e contemplato, nella sua opera di evangelizzazione.
“Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Davvero quest'uomo era Figlio di Dio!»”. (Mt 15,19)
BIBLIOGRAFIA E SITI
- AA. VV. - Biblioteca Sanctorum (Enciclopedia dei Santi) – Voll. 1-12 e I-II appendice – Ed. Città Nuova
- C.E.I. - Martirologio Romano - Libreria Editrice Vaticana – 2007 - pp. 1142
- Grenci Damiano Marco – Archivio privato iconografico e agiografico: 1977 – 2011
- Sito web di comuneamandola.it
- Sito web di cassiciaco.it
|