COLLABORAZIONI
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testi sono stati realizzati da Don Damiano Grenci,
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avvenire solo citando esplicitamente per esteso (Autore, Titolo,
Periodico) il lavoro originale."
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COME LA GINESTRA
Premessa
Quando era bambino, poi ragazzo… avevo la gioia di trascorre
tanti mesi, a casa dei nonni, in estate, a San Sostene (CZ).
Qui partecipavo alla vita cittadina ed ecclesiale. Ricordo
sempre con gioia, emozione e devozione il gesto che facevano
i bambini alla processione del Corpus Domini nel mese di Giugno…
e poi alla festa del Sacro Cuore di Gesù: cospargevano
i vicoli e le strade del paese di petali di ginestra mista
a petali di rose.
Era uno spettacolo… passava il Signore ed allora bisognava
mettere il tappeto per l’Ospite gradito. I Santi credo
siano un po’ come la ginestra, è il tappeto dell’incontro,
attraverso essi passa il Signore! Così sono state le
serve di Dio Mariantonia, Rosella, Concetta e Maria Angelica.
Ma prima di inoltrarci nella santità calabrese, ascoltiamo…
San Francesco di Paola
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San Cipriano di Calamizzi
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San Giovanni Theristi |
La Calabria… così scrive, in una lettera, san
Bruno il certosino a Rodolfo il Verde:
“Abito un eremo, isolato da ogni parte delle dimore
uomini, situato in Calabria, con i miei fratelli religiosi,
di cui alcuni sono molto colti.
Che montando ostinatamente la guardia, aspettano il ritorno
del loro Signore per aprigli immediatamente quando busserà.
Come potrò parlare degnamente della bellezza del luogo
e della dolcezza e salubrità dell’aria, o della
pianura ampia e ridente che si allunga tra i monti, dove si
trovano prati verdeggianti e floridi pascoli? O chi descriverà
adeguatamente la vista dei colli che si ergono da ogni parte
dolcemente, e i recessi delle valli ombrose, con piacevole
abbondanza di fiumi, di rivi e di fonti? Né mancano
orti irrigati e alberi da frutta di ogni genere, con la loro
utile fecondità.
Ciò che la solitudine e il silenzio dell’eremo
danno in fatto di utilità e di letizia divina a coloro
che li amano, lo sa solo chi lo ha sperimentato. Qui infatti
agli uomini forti è lecito raccogliersi quanto desiderano,
e restare con se stessi, e coltivare appassionatamente i germi
della virtù e nutrirsi abbondantemente dei frutti del
paradiso. Qui si cerca di acquistare quell’occhio, il
cui sereno sguardo ferisce lo sposo col suo amore e per mezzo
della cui purezza si vede Dio. Qui si praticano un ozio attivo
e un’attività ordinata e calma. Qui Dio rende
ai suoi atleti, per la fatica della lotta, la ricompensa desiderata,
la pace che il mondo ignora e la gioia nello Spirito”.
San Falco di Taverna (Cz)
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San Nicodemo Abate
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Dall’omelia di mons. Giancarlo Brigantini, vescovo
di Gerace-Locri, del 2 maggio 2000:
“Tertulliano diceva che Dio sa fare grande cose con
povere cose. Ecco la santità: grandi cose con povere
cose. Un po’ di pane diventa il suo Corpo, qualche goccia
di vino diventa il suo sangue, questa nostra comunità
fragile diventa luogo della sua presenza, una giovane ragazza
può diventare modello per tanti altri: questo mistero
di oggi, di una parola che usiamo dal punto di vista affettivo,
non giuridico, la santità… Dio non è passato
invano, ma ha lasciato il suo seme. È entrato nella
storia, nel soffio del suo spirito ha ridato vigore ad ogni
cosa”.
Introduzione
La santità calabrese vede le sue origini nell'apostolo
Paolo e con il suo primo discepolo Stefano di Nicea, protovescovo
di Reggio e di tutti i Bruzii.
Nei secoli lo Spirito ha conquistato molte anime e le ha plasmate
ad immagine di Cristo, vero uomo e vero Dio.
Tra costoro ricordiamo la grande schiera dei martiri di Calabria:
dai martiri locresi a Daniele di Belvedere; lo splendore dei
monaci italo-greci; e le glorie di terra calabra: Francesco
di Paola, Gaetano Catanoso e Umile da Bisignano.
San Ciriaco abate Basiliano
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San Gaetano Catanoso
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Sant'Umile da Bisignano
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Molti altri hanno reso gloria al Padre che è nei cieli,
in questa pagina vogliamo soffermarci su alcuni di loro, meno
conosciuti, però molto amati ed invocati.
PS. Non tutti i testi sono i miei… a ciascuno il suo…
mia solo la ricerca!
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IL GIGLIO DI STALETTÌ
Come la beata Pierina Morosini (1931-1957), santa Maria Goretti
(1890-1902), la beata Carolina Kozka (1898-1914), anche la
serva di Dio Concetta Lombardo, deve annoverarsi nella lista
delle martiri per la difesa della purezza, di cui più
sopra sono ricordate alcune figure, più vicine a noi
nel tempo.
Concetta Lombardo nacque a Staletti in provincia di Catanzaro,
il 7 luglio 1924, dopo solo sette mesi il padre morì
e la madre con grandi sacrifici, dovette crescere da sola,
le due figlie Concetta e Angela.
Divenuta adolescente veniva ammirata per la sua avvenenza,
ma ancor più stimata per la sua fervida pietà,
per il candore del cuore, lo spirito di sacrificio; la sua
fede semplice e sincera le dava la forza di dedicarsi con
amore alle fatiche domestiche, ai lavori stagionali nei campi
e agli impegni di apprezzata sartina.
Partecipava con entusiasmo alle iniziative pastorali della
parrocchia, membro attivo dell’Azione Cattolica, svolgeva
con zelo il compito di catechista, inoltre aveva professato
la Regola del Terz’Ordine Francescano.
Disposta ad una proposta di matrimonio che le era stata fatta,
sognava di realizzare la sua femminilità con un amore
benedetto dal Sacramento del matrimonio; ma i suoi sogni non
si poterono realizzare, a causa della passione di un uomo
sposato e con figli, che prese a circuirla in tutti i modi,
con la pretesa di portarla a vivere con lui.
Concetta per due anni dovette difendersi con energia da queste
insane profferte, finché il 22 agosto 1948, mentre
era al lavoro nei campi con una zia, sul colle di Copanello,
il pretendente, travolto dalla passione, la raggiunse rinnovandole
l’impossibile proposta; al suo fermissimo rifiuto, le
sparò un colpo di pistola mortale; poi rivolta l’arma
contro sé stesso, si tolse la vita.
Il fatto suscitò grande scalpore e molti considerarono
la morte di Concetta, come un vero martirio; il Terz’Ordine
Francescano, fece sua l’istanza di valorizzare l’eroico
comportamento di questa ragazza di 24 anni, vero modello di
fermezza cristiana e di fedeltà evangelica, da additare
come esempio luminoso al mondo di oggi.
Con l’assistenza dei Frati Minori Conventuali, fu avviata
la causa per la sua beatificazione, poi introdotta dall’arcivescovo
di Catanzaro – Squillace, il 30 gennaio 1990.
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LA MISTICA DI PAPASIDERO
Il 4 febbraio 1851 vide la luce, a Papasidero, da Nicola e
Gaetana Orofino, Maria Angelica Concetta Filomena Mastroti,
che ebbe, tra gli altri, "a sorella Giuseppina e a fratello
Francesco", poi arciprete, "nonché un nipote,
Nicolino, pure lui sacerdote". Maria Angelica Mastroti
(o Mastrioti), piccolissima, era solita fermarsi "dinanzi
al quadro della Madonna col Bambino in braccio e chiedeva,
alla Madonna, che le porgesse il Bambino e, ogni giorno, rinnovava
la richiesta con le parole .
"Una volta la mamma le regalò una moneta, cinque
grana, e Maria Angelica, con la moneta e un foglietto che
aveva riempito di scarabocchi, si pose in ginocchio dinanzi
al quadro della Madonna e "Le" chiese, "paro,
paro, che voleva sposare il Bambino perché ormai aveva
la dote, appunto, cinque grana"! Un giorno, mentre era
in Chiesa, nella Cappella di Santa Maria di Costantinopoli,
"dalla statua dell'Ecce Homo" una voce le disse:
"Figlia sei stata accontentata". Colpita, a circa
sei anni, da una grave malattia, forse tubercolosi polmonare,
fu costretta a letto, "in condizioni di sofferenze indicibili",
per tredici anni, durante i quali incominciò ad avere
le "prime visioni".
Una mattina vide entrare nella stanza una Signora di incomparabile
bellezza che le disse: "Non temere, io sono Maria di
Costantinopoli, tu non morrai, quantunque i tuoi, prevedendo
la tua prossima fine, ti abbiano già fatto costruire
la cassa, io il sabato santo 16 aprile al tramonto verrò
a guarirti". Il 16 aprile, sabato santo, il giorno reclinava:
"la famiglia era in preghiera, Angelica guardava il pendolo
dell'orologio, era l'ora, ma la Madonna non veniva e, poi,
d'un tratto la visione: "Figlia, è l'orologio
che non segna bene le ore. Io sono venuta, eccoti guarita,
domani andrai a ringraziare al Tempio"!.
Poco dopo la prodigiosa guarigione, altra manifestazione ebbe
Maria Angelica il 2 luglio di quello stesso anno e, nella
occasione, la Madonna le disse: "Come arma potente contro
la tentazione io ti lascio qui sullo sgabello l'impronta del
mio piede" e…l'impronta restò! Il pezzo
di legno era conservato, gelosamente, nella cappella della
famiglia Mastroti a Papasidero. Nel 1871 le capitò
un altro malanno: un calcolo in vescica. Durante questa seconda
malattia, che si protrasse per due anni, il 14 aprile del
1871 le riapparve la Vergine che, rincuorandola, le disse:
"Il prossimo 3 giugno, giorno a me consacrato, alle ore
15, verrò a guarirti. Ti raccomando di avvisarne la
famiglia". Il doloroso calcolo, di 56 grammi, come certificò
il dott. Domenico Pandolfi in una lunga e dettagliata relazione,
fu "espulso d'un sol colpo" e "al di fuori
dell'ordine naturale" proprio in quel giorno e a quell'ora!
Visioni ed interventi divennero ricorrenti: la giovane faceva
il pane e gli angeli l'aiutavano, mangiava in giardino, per
penitenza, delle bacche amare, e la Madonna l'ammoniva: "Figlia,
che fai? Ti sei avvelenata. Tu non avrai più bisogno
di cibo finchè a me piacerà!", la statuetta
in legno del Bambino, cadutale un giorno di mano, non si ruppe
e Maria Angelica udì "non mi sono fatto niente,
non mi sono fatto niente". Secondo la voce popolare,
Maria Angelica, a volte, sollecitata dai contadini del posto,
intercedeva presso il "bambinello" per far scendere
la pioggia, in alcuni periodi di maggior siccità, e…l'acqua
veniva giù dal cielo, ma quando la pioggia, non richiesta,
riversandosi in abbondanza, rischiava di far andare a male
il raccolto, allora la giovane "esponeva" la statua
alle intemperie dicendo:"Adesso prova anche tu come si
sta sotto l'acqua e regolati di conseguenza"! Maria Angelica
era solita distribuire, quasi ogni giorno, sia a Papasidero
che a Castelluccio (ove c'è ancora il forno), del pane
ai poveri che frequentavano numerosi la sua casa: la porta
era sempre aperta a tutti e in ogni ora! Aveva il dono della
"premonizione" e, almeno in una occasione, dall'ostensorio
verso il quale "era rapita in estasi" "spicciarono
goccioline di sangue" provenienti"da un frammento
di ostia consacrata rimasto attaccato al cristallo" che,
come testimoniò poi, furono "raccolte con una
pezzuola dal Rev. P. Fulgenzio, suo confessore"! Nel
1890 Maria Angelica Mastroti si trasferì a Castelluccio
con il nipote Nicolino che, in quel centro, doveva seguire
i corsi di teologia del canonico-arciprete Don Giuseppe Taranto.
A Castelluccio, la famiglia della mamma di Maria Angelica
aveva una casa accanto alla Chiesa Parrocchiale e lì
la giovane, impaziente di ricevere l'eucarestia, ogni mattina,
ebbe più volte somministrata "la comunione da
S. Giovanni della Croce staccatosi da un quadro che era nell'abitazione
da tanti anni" e, dalla Madonna, "preannunciata
la data della morte". Quattro giorni prima annunziò
l'evento al curato don Giacinto Donati, che stava per recarsi
in Agromonte, al "famiglio" Vincenzo Gioia, al falegname
Antonio Rinaldi al quale disse "Tu mi farai la cassa
mortuaria" e a Maria Antonia Gazzaneo di Rotonda che
era venuta per farle visita e alla quale chiese di restare
"perché stanotte devi tener compagnia a mia madre".
Il 26 maggio 1896, alle ore 18,30, in ginocchio, con il volto
rivolto alla Cappella dell'Addolorata, Maria Angelica Mastroti,
serena, rese l'anima a Dio, tenendo fra le braccia il Bambinello
che tanto aveva amato. Con la madre, in casa, si trovava anche
lo zio Angelo Orofino. Il dott. Ignazio Catalano certificò
che "la morte era avvenuta per paralisi cerebrale da
fulminante apoplessia…mentre stava assorta in preghiera".
La salma restò quattro giorni, là dove era spirata,
come riportò l'arciprete Don Biagio De Pasquale, che
era stato testimone oculare di alcuni eventi inspiegabili,
e, al quinto, fu constatato che la rigidità cadaverica
era scomparsa e che "si verificava per tutto il corpo",
dal quale emanava un odore "sui generis", come scrisse
il dott. Pietro Gioia, quasi un profumo, "una grande
flessibilità". Incaricato dai parenti di "salassare
il cadavere", alle ore 18,30 del 31.5.1896, lo stesso
dott. Gioia praticò una piccola puntura su vena cutanea,
sotto il mascellare inferiore, dalla quale "uscì
sangue vivo frammisto a bollicine gassose" ed il fenomeno
durò alcune ore. Anni prima, il 29.2.1828, lo stesso
fenomeno era stato registrato sul cadavere di un sacerdote
di Lauria, Don Domenico Lentini,oggi Beato, morto nella notte
tra il 27 ed il 28 dello stesso mese: flessibilità
delle membra, profumo intenso di rose, sangue vivo nelle vene!
Il 1 giugno, giorno dei funerali, un fatto inspiegabile sconvolse
i castelluccesi e i tantissimi pellegrini venuti da Papasidero.
Questi ultimi, dopo aver partecipato alle esequie, si erano
fermati in una locanda per rifocillarsi e, prima di intraprendere
la via del ritorno, si recarono in chiesa, ove furono testimoni
di un evento straordinario: "le pupille della SS. Addolorata
di Castelluccio Inferiore si muovevano e da esse sgorgavano
lacrime"! L'arciprete Taranto, avvertito di tanto, si
recò immediatamente, con altri sacerdoti, in parrocchia
ed ebbe modo di constatare, di persona, un tale evento e raccolse
"le preziose stille". La luce di quel giorno, secondo
il semplice e stupefatto racconto dei testimoni del tempo,
"durò più a lungo forse per permettere
il ritorno a Papasidero senza paura"! Il Bambinello,
appartenuto a Maria Angelica Mastroti, con le sue cose personali,
è oggi gelosamente custodito, sotto la guida scrupolosa
del parroco, dalle Suore del Preziosissimo Sangue di Castelluccio,
che hanno rischiato o rischiano, purtroppo, di chiudere "la
loro casa di accoglienza". La piccola icona, ancora con
le vesti che le aveva cucito Maria Angelica, "compie",
secondo numerose testimonianze …al di sopra di ogni
sospetto, "fatti inspiegabili": si afferma, per
esempio, che quando deve accadere, a Castelluccio o a Papasidero
o in Italia o nel mondo, un evento straordinario e allora,
al mattino, si ritrovano, al piede del Bambinello, puntualmente,
i lacci della scarpetta…sciolti! Guida spirituale di
Maria Angelica Mastroti, per molti anni, proprio a Castelluccio,
fu il sac. Biagio Arciprete De Pasquale, originario di Praja
d'Ajeta, ove poi rientrò da Parroco, già professore
al Seminario di Rotonda. Maria Angelica Mastroti, Serva di
Dio, è tumulata nel cimitero di Castelluccio Superiore,
in una cappella fatta costruire dal nipote D. Nicolino: vi
fiorisce, in ogni stagione, un bel cespuglio di rose e in
quel camposanto, ogni anno, nella ricorrenza della morte,
il popolo, semplice e devoto, dalla Calabria e dalla Lucania,
accorre numeroso a commemorare "quella pia donna",
alla quale chiede, ancora e con forza, di intercedere per
i suoi tanti e tanti bisogni! Giovanni Celico” Ancora
oggi nei paesi del Pollino si raccontano di miracoli ottenuti
per intercessione della Beata Mastroti in cui onore il 26
maggio a Castelluccio Superiore (PZ) si celebra una festa
con una fiera ed una Messa in suffragio con visita alla Sua
tomba con grande partecipazione anche di pellegrini da Papasidero,
luogo di nascita della Beata.
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LA “CONSOLAZIONE” DI SANT'ANDREA
JONIO
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Mariantonia Samà nacque
il 2 marzo 1875 in Sant'Andrea Ionio, piccolo paese
in provincia di Catanzaro e visse in condizioni di estrema
povertà, in una cameretta simile ad una cella.
All'età di dodici anni, seguendo la madre in
campagna, fu invasa dallo spirito "maligno",
dopo aver bevuto dell'acqua corrente tra i sassi.
Viste le inutili benedizioni impartitele anche dai frati
del convento del vicino comune di Badolato, si ricorse
all'esorcismo presso la Certosa di Serra San Bruno (ora
in provincia di Vibo Valentia).
Dopo alcuni tentativi del Padre certosino, Mariantonia
fu liberata dal "maligno", ma si narra che
lo stesso pronunciò la frase: "La lascio
viva, ma storpia".
Trascorsi un paio di anni, Mariantonia -- non si sa
se per "vendetta" di Satana... -- rimase immobile
a letto, fino alla morte e, quindi, per oltre sessant'anni,
in posizione supina, con le ginocchia sempre alzate
e contratte.
Iniziò per lei un lungo e doloroso calvario che
sopportò con la forza dell'amore, con lo sguardo
sempre rivolto al Crocifisso appeso alla parete di fronte
al letto. |
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Guidata dallo Spirito Santo nella comprensione
del "mistero della Croce", considerò, quindi,
un dono la sua malattia, accettando con serena rassegnazione
la definitiva immobilità, che offriva a Dio per la
conversione dei peccatori, in riparazione delle loro offese
e per ottenere risposta alle richieste di coloro che cercavano
conforto presso di lei.
Il suo piccolo letto divenne un altare di offerta e di partecipazione
alla Passione ed alla Croce di Gesù: "non sono
più io che vivo, ma è Cristo che vive in me"
(Paolo - Gal.2,20).
Fu sempre assistita da volontarie, sotto il costante controllo
delle Suore Riparatrici del Sacro Cuore, che curarono anche
la sua preparazione spirituale, trasmettendole una sentita
devozione verso lo Spirito Santo ed il Sacro Cuore di Gesù,
al quale Mariantonia si rivolse per tutta la vita con spirito
di "riparazione eucaristica".
Le Suore decisero di aggregarla alla loro Congregazione e,
dopo i voti, Mariantonia divenne per tutti la "Monachella
di San Bruno".
Le virtù che hanno caratterizzato la sua vita sono
numerose:
la semplicità d'animo; l'umiltà; la modestia;
la serenità, che traspariva dal suo volto anche nei
momenti di maggior sofferenza; la disponibilità; la
generosità ed un'immensa fiducia nella Divina Provvidenza.
Lei, che poteva vivere solo di offerte, divideva con gli altri
bisognosi del paese tutto quanto riceveva, sicura che il giorno
successivo vi avrebbe comunque provveduto il buon Dio e dimostrando,
così, la verità delle parole di San Paolo: "Si
è più felici nel dare che nel ricevere"
(At. 20,35).
La virtù esercitata da Mariantonia in maniera estremamente
eroica è stata senz'altro la pazienza che le impedì
non solo di ribellarsi alla sua infermità, ma anche
di lamentarsi quando i dolori lancinanti, specie durante la
Quaresima, da lei sempre sofferta in condivisione con Cristo,
martoriavano il suo esile corpo.
Viceversa, il suo spirito era forte, perché lo alimentava
quotidianamente con la preghiera e con l'ostia che le portava
puntualmente il suo confessore e dalla quale attingeva sostegno
per sopportare la sofferenza, per lottare contro il male e
per vivere in perenne amicizia con il Signore.
La sua cameretta, con le pareti tappezzate da molte immagini
sacre, sembrava un piccolo "tempio", soprattutto
quando, per ben tre volte al giorno, vi era la recita comunitaria
del Santo Rosario, essendo Mariantonia "calamita"
di preghiere.
Già durante la vita, la sua fama di santità
si era diffusa tra gli abitanti del paese, molti dei quali
avevano sperimentato i suoi doni della profezia e della guarigione.
Ma oltre a questi, tanti altri sono stati i carismi concessi
a lei dallo Spirito Santo: il dono dell'estasi; dell'introspezione;
della bilocazione; dell'apparizione; del profumo, sempre presente
nella sua camera; della condivisione delle sofferenze di Gesù
durante la Quaresima e la Passione e, infine, il dono dell'immunità
da piaghe da decubito, anche questo scientificamente inspiegabile,
benché fenomeno oggettivo e visibile a tutti.
Mariantonia
esalò l'ultimo respiro la mattina del 27 maggio 1953.
Le esequie si svolsero nel pomeriggio dello stesso giorno
e l'Arciprete, don Andrea Samà, in considerazione della
fama di santità, ordinò che la salma, deposta
nella bara aperta, per consentire l'ultimo saluto dei compaesani,
venisse accompagnata in processione per alcune vie del paese,
prima di raggiungere il Cimitero.
Qui rimase esposta ai fedeli fino al mattino del 29 maggio
e molti attestano di aver visto, nel baciarla, che le sue
palpebre si alzavano ed abbassavano e di aver sentito un delizioso
profumo di rose, non proveniente da fiori...
Attualmente, i sacri resti della Serva di Dio Mariantonia
Samà, assieme alla sua inseparabile corona del Rosario,
si trovano nella Chiesa Parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo,
dove sono stati traslati il 3 agosto 2003.
Il 5 agosto 2007 è stato aperto il processo di beatificazione
e canonizzazione presso l’Arcidiocesi di Catanzaro-Squillace.
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IL FIORE MISTICO DI ANTONIMINA
Rosella Stàltari si può senz'altro definire
figlia del suo tempo e dell'ambiente meridionale in cui nata
e vissuta.
In una località aspra ed impervia, denominata infatti
"Cacciagrande", in contrada Antonimina (RC), si
schiude e passa come un soffio la vita di questa tenera fanciulla.
Proprio a Cacciagrande, meritevole per questo di uno sguardo
di ammirazione, il 3 maggio 1951 nasce terzogenita, da Antonio
e Maria Reale, la nostra Rosella.
A distanza di pochi mesi, per, a causa di un'alluvione abbattutasi
sul territorio, la famiglia Staltari, già duramente
colpita dalla povertà, costretta a scappare e trova
rifugio in Via Marrapodi prima e successivamente in Via Littorio
ad Antonimina (RC). Rosella, a soli due anni e cinque mesi,
perde tragicamente la mamma per una banale caduta.
Rimasta orfana, la bambina trova accoglienza presso l'Istituto
"Scannapieco" di Locri (RC), dove resta fino all'età
di 14 anni. Nel corso di questa dimessa esposizione, saranno
citati (nella forma originale, per non sciuparne il fascino,
il profumo e la freschezza) alcuni passi dell'epistolario
e del suo diario spirituale.
Gli anni della crescita e dell' adolescenza di Rosella sono
caratterizzati da sofferenze e privazioni e da una terribile
carenza d'affetto. Tutto ci incide profondamente nell'animo
della ragazza e la rende ipersensibile e probabilmente mina
anche la sua salute. Simile tempratura, ricevuta nella prima
infanzia, la matura precocemente. Eccone subito la conferma
da una rievocazione del suo passato, fatta da Rosella all'età
di 16 anni:
"Ero ancora bambina e mi sembrava d'aver vissuto abbastanza,
mi sembrava di esser più grande da non aver bisogno
d'alcuno; ma non mi accorgevo, che il dolore mi accresceva
l'età".
Conseguita a Locri (RC) la licenza media, Rosella viene trasferita
a Reggio Calabria, dove operano le Figlie di Maria SS. Corredentrice,
che gestiscono una Casa-Famiglia in cui vengono accolte ragazze
assistite da Enti vari perché orfane, bisognose o con
situazioni familiari difficili.
L'ingresso nel nuovo Istituto, avvenuto in data 15 ottobre
1965, sprona Rosella a recuperare luce, ordine e un deciso
orientamento ai genuini valori nascosti nel suo profondo come
perle preziose. L si troverà accanto un Sacerdote santo,
Padre Vittorio Dante Forno, Fondatore della Congregazione
religiosa, dal cuore di padre, ed una Direttrice, sig.na Maria
Salemi, collaboratrice al Progetto di Fondazione e colma di
maternità, i quali la guideranno sapientemente nel
suo cammino ascetico - mistico.
Nel nuovo ambiente, gratificante ed accogliente, ben diverso
da quello in cui era vissuta precedentemente, Rosella completa
il suo Corso di Studi, conseguendo prima il Diploma di Segretaria
d'Azienda e successivamente quello di Maestra di Scuola Materna.
Rosella non appare diversa dalle altre, svolge la sua vita
con le difficoltà comuni alle compagne della sua età,
ritiene di avere un carattere difficile e si definisce "selvaggia".
Interiormente, per, ella diversa dalle altre: rivela una tempra
eccezionale, una capacità di autocontrollo e di dimenticanza
di s non comuni ed una instancabile disponibilità al
sacrificio. Non ama attirare su di s l'attenzione altrui,
come emerge da un anelito della sua adolescenza, rinvenuto
nel diario:
"Fa o mio Dio che io passi sulla terra senza che si badi
a me".
Frase simbolica per la sua vita spirituale. Padre Graziano
Pesenti, dell'Ordine dei Carmelitani, d una sua connotazione:
"Sorriso, serenità di volto, graziosità
di tratto segnavano una delicata percettività d'animo"
Rosella mantiene una fitta corrispondenza con i suoi Superiori
dell'Istituto, poiché ella stessa afferma che a causa
del suo "pessimo" carattere non riesce ad esprimersi
a voce e ricorre allo scritto per farsi aiutare nella vita
spirituale.
Due brevissimi pensieri motivano tale scelta: il primo tratto
da una lettera a Padre Forno nel 1968, all'età di 17
anni:
"Padre carissimo, vorrei che Lei diventi il mio Direttore
Spirituale, affinché venendo a conoscenza della mia
anima, possa Lei strappare qualsiasi cosa che possa minimamente
farla distrarre o allontanare dalla vera Luce che è
Gesù"
Successivamente, nello stesso anno, scrive alla Direttrice:
"Vorrei affidarmi a Lei, vorrei che Lei mi insegnasse
ad amare Gesù, a seguirlo e ad essere tutta Sua".
Amore - Luce: coordinate di base, nel linguaggio di Rosella,
che s'intersecano e si rincorrono, senza pausa, sino a raggiungere
proporzioni sconfinate e prorompenti.
Da uno studio condotto sulla spiritualità di Rosella,
la nota scrittrice Maria Papasoli cos si esprime circa la
corrispondenza:
" Tale corrispondenza sarà per noi il filo conduttore
per seguire il cammino di una piccola vita, non di un'anima
piccola, di una vita fatta di nulla sotto il profilo esterno,
se non del monotono quotidiano ripetersi di atti e abitudini,
che, però, destavano in lei una risonanza viva e profonda,
come qualunque grande evento avrebbe potuto fare"
Sono esemplari i sentimenti di fiducia, di rispetto, di totale
sottomissione e di sincera benevolenza che Rosella nutre verso
i Superiori: le lettere a loro rivolte sono dettate da estrema
semplicità, da una confidenza umile e filiale: Ella
si aggancia docilmente ai loro sentimenti, traducendoli senza
esitazione in fatti concreti, dimostrando di credere alle
parole di Gesù nel Vangelo di Luca (cap. 10, 16): "Chi
ascolta voi, ascolta me".
Rosella fin dalla fanciullezza ha una devozione sincera e
robusta verso la Madonna; ogni ricorrenza mariana da lei vissuta
con visibile e straordinario zelo. Ogni lettera o pagina di
diario porta scritto il saluto "Ave Maria" . Ecco
una delle sue innumerevoli invocazioni:
"Dammi tanto amore Vergine SS., Amore puro che lascia
nell'anima l'impronta del Tuo Gesù".
La configurazione a Cristo nel dolore costante nella vita
di Rosella. E' lei stessa lo afferma:
" Il mio dolore nascosto, nessuno lo vede, ma ugualmente
mi tormenta".
La sofferenza pi acuta tempra e purifica lo spirito di Rosella
e lo dispone verso scalate sempre pi ripide e scoscese. Ecco
l'intensità del suo travaglio interiore:
"Dove sei, o Gesù, quando mi sento terribilmente
e tremendamente sola? Perché ti nascondi?".
Rosella sempre proiettata verso i valori soprannaturali, verso
una continua elevazione, e matura nel suo cuore il desiderio
di abbracciare la vita religiosa.
Padre Carlo Cremona sigla con questi termini l'intento di
Rosella:
"Rosella camminava tracciandosi un sentiero sui rovi
e nella sua "selvaggia" sensibilità, si era
innamorata di Gesù come una mistica".
Percorsi a grandi passi i tempi prestabiliti, il 2 luglio
1973, Rosella fa prorompere vigoroso e solenne dal suo spirito
il canto del giubilo perché, con la Professione religiosa
può finalmente pronunciare a Gesù il suo SI
con tali accenti e dimensioni:
"Questo SI quello che mi legherà a Te per sempre
e quindi voglio pronunciarlo grande, generoso, illimitato
e amante soprattutto di Te e della Tua Croce".
Rosella s'innesta speditamente nella spiritualità delle
Figlie di Maria SS. Corredentrice che ha come scopo quello
di "Formare anime che si offrano Ostie per il Sacerdozio,
nell'atteggiamento della Vergine Corredentrice, ciò
nel nascondimento, nel silenzio, nella contemplazione, nel
lavoro, nella immolazione alla volontà di Dio conosciuta,
amata ed accettata".
Rosella crede fermamente che per seguire Cristo in maniera
radicale bisogna spogliarsi di tutti e di tutto e con toni
sapienziali, con la maturità tipica di una donna ormai
addentrata nelle Vie dello Spirito, impronta un testamento
spirituale, a soli 22 anni, pochi mesi prima della morte:
Rosella se ti sei data tutta a Gesù devi saper trovare
tutto in Gesù, ciò che troverai lontano da Gesù
sarà niente. Rosella devi trovare tutto in Comunità
perché altrimenti la tua anima cadrà infallibilmente
in tutto senza trovare niente. Rosella fai di tutto per essere
religiosa di nome e di fatto altrimenti sarai niente. Per
evitare ciò Rosella devi sempre trovarti a dare ed
Amare Gesù in tutto. Da un intreccio di pensieri, elevazioni,
colloqui, disposti quasi a mosaico, emergono, in maniera chiara
ed inconfondibile, l'audacia di Rosella nell'amor di Dio,
il suo desiderio che la propria volontà "si spezzi"
a quella di Dio, quindi la corsa sempre pi ardita verso nuovi
orizzonti, lo stato di unione intima e trasformante che ormai
la separano solo per poco dall'unione eterna con lo Sposo
Divino.
Presumibilmente nell'anno 1970, in una lettera ai Superiori,
Rosella afferma che sente il bisogno di trafficare i talenti
ricevuti perché "il giorno in cui il Re arriva
si fa sempre pi vicino". A quale giorno allude? Ancora
dal binomio "Anch'io se voglio posso", scaturisce
la volontà risoluta e ferrea a coronamento della sua
vita spirituale. Altra richiesta di notevole valore rivolta
ai Superiori:
"Beneditemi ed aiutatemi ad abbreviare la breve distanza
che mi separa da Gesù". A pochi mesi dalla sua
morte, in data 9 ottobre 1973: "Io però, Gesù,
voglio essere Tua e non ti darò pace, finché
non mi vedrò accanto a Te". L'alternanza quasi
cadenzata delle sue elevazioni fa vibrare il nostro spirito
e ci avvia verso altre ancora pi travolgenti. Dall'ultima
lettera ai Superiori (24 dicembre 1973): "Ho bisogno
che voi stessi mi guidiate verso la Strada della vera Luce,
quella Luce che non ha ombre di nessun genere". Sempre
nella medesima lettera: "Mi dispiace il non essermi ancora
incontrata con la Direttrice. Tu sai, Gesù come e quanto
desidero saperle dire o riuscire almeno a farle capire ciò
che sento in fondo alla mia anima, dove io m'incontro a faccia
a faccia con Te o mio Gesù". Sembra opportuno
inserire una brevissima spiegazione che d il Dottore della
Chiesa San Giovanni della Croce, Frate Carmelitano, nell'Opera
"Notte Oscura", Libro II, Cap. 19-20.
La scala dell'Amore divino, attraverso la quale l'anima sale
gradatamente a Dio, ha dieci gradini. L'ultimo gradino rende
l'anima simile a Dio, per la visione che, ormai libera dal
corpo, ha lei faccia a faccia. L'ultima affermazione fa capire
che Rosella ha percorso tutti i gradini fino all'ultimo, allorquando
spicca il volo verso lo Sposo Divino. Giorno 4 gennaio 1974,
il mistero che ha avvolto la vita di Rosella in parte svelato.
Alle ore sette del mattino, Rosella trovata dalla sua consorella
immobile nel suo letto, con una statuina della Madonna stretta
tra le mani e il Crocifisso della Professione pendente dal
collo: nel viso impressa una struggente bellezza, senza alcuna
risposta alle domande ed agli scuotimenti. La constatazione
di simile trapasso a soli 22 anni, non forse l'appagamento
dell'anelito espresso nell'adolescenza? "Fa’ o
mio Dio che io passi sulla terra senza che si badi a me".
Sembra compiersi in lei il gemito del profeta Geremia: "Mi
hai sedotto, Signore, ed io mi sono lasciata sedurre; mi hai
fatto forza ed hai prevalso". La Congregazione delle
Figlie di Maria SS. Corredentrice, col capo chino, contempla,
stupefatta, le meraviglie operate dallo Spirito di Rosella
e offre a noi tutti questo Fiore mistico di Antonimina (RC),
perché, dopo essersi dischiuso nell'ombra e nel silenzio.
possa adesso irradiare il nostro cammino: ultimo scritto su
un calendarietto del 1974: "Luce di fede: cammino di
pace incontro a Gesù".
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Bibliografia e fonti
- P. Ghedda e F. Polimeri, Rosella Stàltari: una contemplativa
alle soglie del Duemila, Ed. Rubettino
- G. Mongiardo, Mariantonia Samà “la monachella
di San Bruno” (1875 – 1953) – 60 anni di
Amore – Crocifisso, Ed. Parrocchia Santi Pietro e Paolo
in S. Andrea s/Jonio
- Diocesi di Catanzaro - Squillace, Concetta Lombardo, Ed.
Dehoniane Napoli
- G. Celico, L’originale storia di una mistica Calabro-Lucana,
in L’Eco di Basilicata Campania e Calabria del 15 marzo
2006.
- Film: “La Monachella di San Bruno”, regia Enzo
Samà e Gualtiero Manozzi (Luglio 2004).
- Dora Samà, La vita nascosta in Cristo – La
Monachella di San Bruno, Sud Grafica Marina di Davoli (2006)
Conclusione…
“A molti sembra che i Santi siano lontani. Ma essi sono
lontani da coloro che si sono allontanati, e sono invece vicinissimi
a chi osserva i comandamenti di Cristo e possiede la grazia
dello Spirito santo. Nei cieli tutto vive e si muove per mezzo
dello Spirito Santo. Ma anche sulla terra c’è
lo Spirito Santo. Vive nella nostra Chiesa, opera nei sacramenti,
ispira la sacra Scrittura, vive nelle anime dei fedeli. Lo
Spirito Santo unisce tutti gli uomini, per questo i santi
sono vicini a noi. E quando noi li preghiamo essi, nello Spirito
Santo, ascoltano le nostre preghiere, e le nostre anime percepiscono
la loro intercessione per noi. Così fortunati e beati
siamo noi, Cristiani, perché il Signore ci ha donato
la vita nello Spirito Santo…
Signore Misericordioso insegna a tutti noi, per mezzo dello
Spirito Santo, a vivere secondo la tua volontà, così
che tutti nella tua luce conosciamo te vero Dio, perché
senza la tua luce non possiamo capire la pienezza del tuo
amore. Illuminaci con la tua grazia ed essa riscalderà
i nostri cuori affinché noi Ti amiamo”.
(san Silvano del Monte Athos)
da: Quaderno 23 – Santità calabrese
(2006)
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