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L'APE NELL'ARTE
SCENE DI UN PICCOLO POPOLO
La ricerca artistica di Michel Favre, una tragica denuncia della società contemporanea
Renzo Barbattini (1) Massimo Ghirardi (2)
(1) Università di Udine (2) Insegnante atelierista del Comune di Reggio Emilia |
Michel Favre è nato nella città di Losanna (Svizzera) nel 1947. Con la famiglia, a cinque anni, si è trasferito a Martigny.
Talento eclettico: appassionato di fotografia e archeologia, ha frequentato le scuole d’arte di Berna e San Gallo, corsi accademici che ha integrato con viaggi e studi in giro per il mondo, soprattutto in Africa del nord.
Dal 1972 porta avanti la sua ricerca artistica indipendente, in particolare con il linguaggio della scultura, per la qual ha ricevuto diversi riconoscimenti prestigiosi. Espone abitualmente, oltre che nel proprio atelier, anche presso numerose gallerie di mezzo mondo, l’ultima, nel 2019, in ordine di tempo presso la Galerie Grande Fontaine, di Sion.
Nel suo lavoro predilige soprattutto il marmo, il bronzo ma anche materiali particolari come il vetro e non disdegna integrare le sue sculture con componenti elettroniche.
Dettagliate notizie si possono trovare visitando il sito www.michelfavre.ch.
La tecnica adottata dall’artista è una variante della cosiddetta “fusione a cera persa” originariamente introdotta nell’età del bronzo e che nei secoli ha conosciuto una notevole fioritura, soprattutto nell'arte greca, romana e nella scultura monumentale. Esistono due modi di servirsi di questa tecnica.
Modo indiretto - Consiste nel creare un modello di cera e utilizzarlo per farne uno stampo di argilla. Praticando due fori sullo stampo, uno in alto e uno in basso si fa uscire la cera scaldandola e si versa del bronzo fuso al suo posto. Se ne ricava un modello identico a quello di cera.
Modo diretto - Assomiglia al primo metodo, ma il modello di cera è realizzato su di un altro in creta in modo che la statua finale sia vuota all'interno (o meglio, contenga solamente argilla per limitare il peso e la quantità di metallo usata).
Tra gli esempi
antichi meglio conservati ci sono i Bronzi di Riace del Museo di Reggio Calabria.
L’utilizzo di questa tecnica si ridusse nel medioevo, probabilmente perché molto costosa. Tuttavia, ne rimangono esempi eclatanti come la porta in bronzo della chiesa di San Zeno a Verona del 1100 circa, opera di straordinaria bellezza
e tecnica fusoria.
La fusione in bronzo fu utilizzata anche per la realizzazione delle campane medioevali.
Fusioni in bronzo di piccoli oggetti erano sempre praticate, ma si trattava comunque di opere "piene", impensabili su grandi dimensioni. Con il Rinascimento, nel quadro del recupero di tutti gli aspetti della civiltà classica, la tecnica venne ripresa.
La prima statua di grandi dimensioni fusa con la tecnica della cera persa in epoca moderna è il San Giovanni Battista di Lorenzo Ghiberti (1412-1416), che venne prudentemente fatta in più pezzi separati, assemblati in un secondo momento.
La tecnica del bronzo aveva innegabili vantaggi rispetto alla pietra, poiché la maggiore coesione del materiale permetteva un atteggiarsi più libero nello spazio dei soggetti senza timori di fratture, ottenendo risultati di maggiore naturalezza e vivacità. La tecnica usata è descritta in vari trattati.
Per il Rinascimento è una dettagliata testimonianza il Trattato della scultura di Benvenuto Cellini.
Lo scultore svizzero si avvale di valenti fonditori che traducono i bronzo i suoi modelli, che grazie al silicone possono essere riprodotti in molti esemplari.
Osservando le composizioni (per Michelangelo la scultura era l’arte del levare e non dell’aggiungere) di Favre dotato di una solida preparazione artistica, emerge la raffinata tecnica scultorea utilizzata e la magica staticità delle figure che sembrano cristallizzare il momento in un’atmosfera surreale.
L’opera di Michel Favre è una tragica denuncia della società contemporanea e utilizza da figure umane che vivono una vita quotidiana alienante e spesso (auto) distruttiva, caratterizzata dalla sofferenza del vivere. Favre descrive un uomo moderno che, schiacciato dall’incombere della tecnologia e dalle macchine, ha perso se stesso e ricerca, invano, sicurezze nella memoria.
Tra le sue numerose realizzazioni (sculture di bronzo) ricordiamo Il palazzo della regina (fig. 1) in cui un gruppo di persone è al cospetto di un “enorme” telaino di alveare.
Nel campo che ci interessa sono da segnalare anche
Torre a torre (fig. 2),
La boccia (fig. 3),
Sciocco con la pertica (fig. 4)
e Happy culteur (fig. 5).
In tutte queste sculture l’artista ha utilizzato un sapone di marca “l’abeille” (L’ape), notissima marca (nei Paesi francofoni) della più antica saponeria di Marsiglia, fondata nel 1730 da Jean-Baptiste Court e che nel 1886 assumerà la denominazione commerciale di “L’abeille”.
Molti si interrogano, di fronte a queste opere, sul motivo della scelta di questo prodotto, nato come popolare e oggi abbastanza ricercato.
Ci sarà una relazione tra il lavoro di questi piccoli uomini e l’ape? Forse l’idea di un prodotto legato alla “pulizia” determina una connotazione morale alle sculture?
O forse un richiamo all’infanzia?
Il gioco di Favre è proprio quello di provocare domande come questa, senza offrire una risposta univoca. La sua è un’arte interattiva che ci costringe a formulare ipotesi, a proporre interpretazioni ma ad andarcene con interrogativi irrisolti.
Lo sguardo di Favre però è spesso ironico, talvolta comico, anche se spesso con un accento nero non privo di intenti morali e di indagine psicologica.
La fonte di ispirazione è la realtà o, meglio, l’osservazione del comportamento umano, del continuo colloquio tra individuo e gruppo, individuo e massa, individuo e individuo.
Le sue opere sembrano dei piccoli teatri dove viene messa in scena la vita quotidiana, trasfigurata da situazioni improbabili, che restituiscono un senso dell’effimero e dell’affannarsi inutile dell’uomo, che i materiali “forti” come il metallo e la pietra, fissano in un momento preciso, come la fotografia di un affaccendarsi del quale non si capisce il senso, richiamo alla nostra realtà.
L’osservatore si riconosce nei personaggi che sembrano come congelati in un movimento e non è tranquillo, più guarda e scopre dettagli, più si sente ansia e perfino angoscia: un sentimento indefinito che trasmette l’ambiguità del senso dell’esistenza.
Il critico Roland Mattes ha dichiarato che: “Favre rovescia la scala delle grandezze. Le figure sono realistiche e vive; l’uomo diventa piccolo, l’oggetto diventa grande, e tale inversione produce sorpresa atta a scatenare nell’osservatore un processo di riflessione e meditazione.
Gli oggetti sono tutti quelli del nostro mondo, fino all’elettronica. Per via grottesca ci avverte che l’uomo stesso ha ostruito il proprio cammino, eppure simultaneamente tende all’espansione della sua esistenza. Favre tuttavia riserva un posto aperto anche alla speranza”.
Nei suoi lavori gli omuncoli di Favre sono modellati in situazioni assurde, con oggetti sproporzionatamente giganteschi in rapporto a loro, ma in generale di piccole dimensioni, che rendono il tutto spiritoso; questi omini lillipuziani sono pateticamente comici, dediti ad uno sforzo faticoso e inconsapevoli dell’inutilità di quello che fanno.
Non stanno giocando, non assomigliano nemmeno ai criceti che girano nella loro giostra all’interno della gabbia, ma stanno eseguendo un compito, stanno sistemando oggetti o li conducono verso un equilibrio instabile: la palla che viene spinta vero il bordo del precipizio, o un elemento che aggiunto farà crollare tutta la struttura (cosa che non succederà, dato che tutto è fissato nella forma scultorea).
Le opere di Favre, per la loro potenza evocativa e la capacità di indurre riflessione, sono state definite “poesie materiche” e, in ultima analisi, sono una esortazione a farci comprendere che la partecipazione di tutti è indispensabile per costruire una società veramente umana la cui stabilità e forza dipendono dall’energia e dalla volontà di ogni individuo.
Michel Favre ci ha scritto: “Sono sempre stato interessato al mondo delle api dal giorno (dovevo avere sei anni) in cui il nostro vicino di casa stava compiendo l’operazione d’estrazione del miele e me lo ha fatto degustare.
Il sapone di Marsiglia è un oggetto simbolico, e trovo che questo oggetto abbia un'anima. È carico di ricordi d’infanzia. Ogni saponeria aveva un marchio, "il gatto" "la torre" "l'elica"... ecc. e all'epoca avevo scoperto che esisteva anche "l'ape". Lui mi “parlava” e mi ispirava per creare una serie di sculture ...”.
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FIG. 1
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FIG. 2 |
FIG. 3
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FIG. 4
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FIG. 5 |
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RIVISTA NAZIONALE DI APICOLTURA APINSIEME | GIUGNO 2020
BIBLIOGRAFIA
Michel Favre, 1999 - Une situation hautement (im)probable . Edizioni Colomba, LuganoViganello Michel Favre, 2003
- Spazio e paradosso. Edizioni Colomba, Lugano-Viganello Michel Favre,2007
- I significati ulteriori/ Im Moment potentieller Veränderung. Edizioni Colomba, Lugano-ViganellL Michel Favre, 2009- Galerie Strassacker, Süssen/D Michel Favre, 2012
- La possibilità dell'impossibile. Edizioni Colomba, Lugano-Viganello Michel Favre 2015 - Michel Favre o l’apparente ingenuità del racconto. Edizioni Colomba, Lugano-Viganello.
Ringraziamenti Si ringraziano il prof. Santi Longo (Università di Catania) e il maestro Giuliano Zoppi (Parma) per la collaborazione prestata
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