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MARIO BARBERIS, PITTORE ROMANO
di
Antonello Nave
(Articolo pubblicato in "LAZIO IERI
E OGGI», XLIII, 5, Maggio 2007, Pp. 155-157)
Da famiglia di origini piemontesi, Mario
Barberis nacque nel 1893 a Roma. Suo padre, funzionario al
Ministero del Tesoro, lo avviò agli studi classici,
ma il ragazzo scoprì precocemente la sua vocazione,
realizzando per proprio diletto centinaia di scorci della
città e dei suoi dintorni.
Quando quegli schizzi furono visionati dal paesaggista Filiberto
Petitti, questi li segnalò ad Ugo Fleres, che ne pubblicò
alcuni sulla rivista «Roma» nel 1911.
Abbandonato il liceo alle soglie della licenza, il promettente
autodidatta fu presentato al pittore Giacomo Grosso, direttore
dell’Accademia Albertina di Torino. Alla prova di ammissione
egli stupì la commissione per l’insospettata
padronanza tecnica nel disegno architettonico e ottenne pertanto
l’ammissione direttamente al corso di perfezionamento
in pittura.
Il suo esordio espositivo fu nel 1912 alla Amatori e Cultori
di Roma. Costretto ad interrompere gli studi per il servizio
militare e poi per la chiamata in guerra nel Genio, grazie
ad incarichi da parte del comando supremo, poté tuttavia
continuare a dedicarsi all’arte, documentando scene
ed episodi di guerra e fissando con lapis e pennelli le quotidiane
esperienze di patimenti e morte, in una serie di disegni,
acquarelli e acqueforti che presenterà con successo
nell’immediato dopoguerra.
Si lasciò per qualche tempo suggestionare dalle sperimentazioni
del linguaggio cubo-futurista in dipinti su tela e in alcune
opere polimateriche (curiosamente firmate con una B stilizzata
in forma di svastica), recentemente segnalate sul mercato
e ancora in attesa di adeguato vaglio critico.
Tornato a Roma a guerra finita, Mario Barberis fu costretto
dalle stringenti necessità materiali a dedicarsi in
prevalenza all’illustrazione di libri, riviste, manifesti
cinematografici, oltre che nel vasto campo delle immaginette
devozionali, dove la sua arte spesso inclinerà verso
stucchevoli e oleografiche composizioni, adeguate a quanto
espressamente richiestogli dalla committenza.
Il tema religioso, tuttavia, trovava in lui autentica risonanza
interiore. Un episodio tratto dai Fioretti gli offrì l’ispirazione per la sua prima opera
di soggetto religioso, realizzata nel 1921 e presentata, nella
primavera di quello stesso anno, alla prima Biennale d’Arte
di Roma: prendendo spunto da quanto narrato dell’estasi
di Francesco e Chiara nella campagna di Assisi, Barberis dipinse
Il convito di luce, in un luminismo privo di compiacimenti
estetizzanti .
Abside della Basilica dell'Agonia - Gerusalemme
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Con la chiamata nel ’22 a Gerusalemme
per i cartoni dei mosaici absidali nella Basilica
dell’Orto degli Ulivi, iniziò per Barberis
la lunga e intensa stagione creativa nel campo dell’arte
di soggetto religioso, di cui diventerà uno
dei più fecondi e più apprezzati artefici,
anche oltre l’ambito nazionale.
Al 1923 risalgono i disegni per l’esordio narrativo
del critico e letterato Giorgio Vigolo, che in nove
poemetti in prosa evocava sogni, memorie storiche
e ricordi personali legati ad altrettanti itinerari
in una Roma magica e rarefatta.
Nel
frattempo Barberis cominciò ad illustrare libri
legati alla politica e alla propaganda fascista.
Dopo aver realizzato, infatti, la copertina per il
libro in cui venne stampato il discorso di Mussolini
"Ai combattenti d’Italia", egli ottenne
significativi incarichi da parte del Ministero delle
Colonie, dei quali soltanto recentemente è
stato avviato il recupero in sede critica e storiografica.
Nel decennio successivo l’artista romano continuò
ad essere impegnato in numerosi e molteplici lavori,
sia come illustratore che come autore di dipinti ed
affreschi di carattere devozionale.
Al ’32 risale la realizzazione di una impegnativa
e articolata opera di carattere religioso, frutto
della sua personale meditazione sulla presenza di
Cristo nell’esistenza umana di ogni tempo: si
trattò di quarantacinque disegni a carboncino
del Gesù fra noi, dove le stilizzazioni simboliste
si intrecciano ad accenti di pacato realismo e vengono
accompagnate da note esplicative e da riflessioni
scritte dallo stesso Barberis.
Nel corso dell’anno successivo si segnala per
una Via Crucis per la chiesa dell’orfanotrofio
femminile di Amatrice, su incarico del sacerdote reatino
Giovanni Minozzi, assai noto all’epoca per la
sua attività assistenziale al fianco del padre
barnabita Giovanni Semeria.
Nella capitale, invece, Mario Barberis realizzò
opere per le chiese di S. Maria Liberatrice al Testaccio,
di S.
Nicola da Tolentino e di S. Prisca (1938) .
Barberis fu anche illustratore per «Le Missioni
Francescane», la rivista mensile pubblicata
a Roma dai frati minori e diretta da padre Cipriano
Silvestri, che aveva operato per un ventennio in Cina.
Fornì poi un disegno per la monografia che
lo stesso Silvestri dedicò al beato francescano
Giovanni da Montecorvino, primo apostolo della Cina
.
Al 1942 risale la copertina del volume intitolato
Seguiamo S. Francesco, curato dal frate minore Bernardino
Barban per conto del Commissariato Generale del Terz’Ordine
Francescano .
Oltre a firmare il corredo illustrativo per un numero
speciale della rivista «Le Missioni Francescane»,
apparso nel ’46 in occasione della beatificazione
dei cosiddetti “Martiri della Cina”, nel
dopoguerra si segnalò particolarmente per l’opera
Oltre l’offerta (1948) ispirata ai campi di
sterminio nazista e nel ’49 per la serie delle
Essenzialità cromatiche presentate alla galleria
Giosi.
All’inizio degli anni Cinquanta Barberis fu
impegnato a realizzare, oltre alla più consueta
produzione di immagini per opuscoli, santini, calendari
e altro materiale a carattere devozionale, una ventina
di incisioni per un volume in cui padre Vittorio da
Ceva riassumeva le gesta compiute dai cappuccini in
quattro secoli di attività missionaria, con
un intento dichiaratamente apologetico e propagandistico.
Nel 1952 la perdita della moglie gettò l’artista
in una profonda crisi spirituale ed esistenziale,
che ebbe contraccolpi diretti e fatali sul suo stato
di salute. Conservò intatto l’interesse
per la creazione artistica, ma certo non furono frequenti
le occasioni per riprendere una ricerca espressiva
autenticamente personale, nel campo della pittura
di soggetto religioso. Nel corso del 1954 portò
a compimento dodici tavole di devozione mariana per
La Donna vestita di sole e realizzò a carboncino
su cartone una serie dedicata alle stazioni della
Passione spirituale di N. S. Gesù Cristo, frutto
di una meditazione sul tema della sofferenza.
Alla sua morte, avvenuta a Roma il 24 gennaio del
1960, gli fu tempestivamente tributato l’omaggio
di una mostra ricca di opere inedite, selezionate
dalla figlia nel vasto e multiforme patrimonio rimasto
in famiglia. Tra le recensioni favorevoli che riguardarono
la sua opera, spiccarono le parole di elogio dell’amico
pittore Aristide Capanna nella «Strenna dei
Romanisti» e il profilo critico tracciato da
padre Antonino Silli sulla rivista «Arte Cristiana»
.
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VISIONI D'OLTREMARE - DUE ILLUSTRATORI
PER LA "RIVISTA DELLE COLONIE ITALIANE"
Articolo comparso sulla Rivista CHARTA»,
Venezia, XIV, 75, Marzo-Aprile 2005 (pp. 74-77)
"Nel novembre del 1927 esce a Roma il primo numero della
«Rivista delle Colonie Italiane»
diretta da Camillo Manfroni e stampata dal Sindacato Italiano
Arti Grafiche con cadenza bimestrale, a cura dell’ufficio
studi e propaganda del ministero delle colonie... Pur nell’inevitabile
cornice propagandistica e nell’esaltazione di quanto
compiuto oltremare dal regime fascista, la rivista offrirà
contributi di ricerca di livello scientifico e di buona divulgazione.
Ad illustrare i fascicoli, che dal gennaio del ’29 usciranno
mensilmente, oltre alle fotografie ci saranno disegni e incisioni
in bianco e nero, ma quasi esclusivamente per i capopagina
e la chiusa degli articoli. Nel primo numero troviamo subito
un’opera del Barberis: un capopagina con tre palme in
controluce. Poi sarà la volta dello stemma sabaudo
sullo sfondo stilizzato di un paesaggio coloniale, che in
seguito verrà utilizzato più volte... alcuni
articoli sulla prima Fiera Campionaria svoltasi a Tripoli
nel ’30 o... l’occupazione militare di Cufra.
Al Barberis sarà affidato un ruolo di spicco nel fascicolo
speciale pubblicato nell’estate del ‘28 in occasione
dell’Esposizione coloniale di Torino, inaugurata...
per il “Decennale della Vittoria”. Ecco allora
i disegni con Suonatori arabi e la festosa Fantasia araba
al suono dei tamburi per uno studio di Angelo Ravenni su modalità
e caratteri di alcuni canti nordafricani, desunti soprattutto
dall’antologia poetica curata a suo tempo da Ferdinando
Martini.
Il tratto sicuro e fluente del Barberis dà ottimi risultati
anche nelle cinque xilografie realizzate a corredo di un lungo
articolo di Vittorio Buti su tradizioni e leggende del Dodecaneso:
un mercante di Rodi, donne in costume tradizionale a Castelrosso
e ad Embona, contadine rodie con un bimbo in braccio, nonché
la curiosa decorazione indigena di un tipico carretto siciliano,
introdotto nell’isola una quindicina d’anni prima.
Il risultato artistico e l’efficacia di quelle incisioni
saranno superiori alle complementari fotografie pubblicate
fuori testo.
In quel fascicolo Mario Barberis firmerà anche le piacevoli
illustrazioni di scene e figure del mondo arabo per tener
dietro con puntualità e freschezza di segno agli aneddotici
schizzi di viaggio di Renzo Sacchetti dalla Tripolitania all’altopiano
del Garian, con il venditore di olio di rose al mercato di
Suk-el-Giuma, il rubicondo lustrascarpe di Tripoli che all’occorrenza
fa affari come mediatore di merci pregiate per facoltosi colonizzatori,
uno sfiduciato coltivatore di melograne e un gruppo di bambini
italiani e libici a giocare insieme sotto una palma nei pressi
di Tarhuma.
In queste scene Barberis dà il meglio di sé
come abile evocatore di atmosfere e musicalità d’oltremare,
con una propensione ad indulgere all’immaginario esotico
ancora ottocentesco, pur adattato agli intenti prevalentemente
documentaristici della rivista. Questo si nota bene nei disegni
che illustrano alcune peculiarità cerimoniali del rito
nuziale a Tripoli, che Barberis tradurrà in immagini
sapientemente sospese tra scrupolo antropologico e suggestioni
da Mille e una notte per un articolo di Elsa Queirolo Ghetti:
l’uscita della sposa dalla casa paterna; la cerimonia
del Sefir, i riti della Négema e della Gèlua,
il sacrificio di un montone sulla soglia della nuova dimora
nuziale.
La ricchezza illustrativa di quel numero speciale, tuttavia,
non avrà seguito. La ragione di questa rapida e pressoché
completa scomparsa di illustrazioni del Barberis dalle pagine
della rivista potrebbe essere in qualche modo connessa ai
rilevanti cambiamenti ai vertici del ministero e dei governatorati
della “Quarta Sponda”.
Proprio un passaggio del discorso programmatico del neo-governatore
libico Pietro Badoglio e una recensione di Orio Vergani sul
«Corriere della Sera» a proposito dei romanzi
di Mario Dei Gaslini, forniranno lo spunto per una riflessione
(e una parziale autocritica) di Renzo Sacchetti nel numero
di marzo del 1929, dove verranno messi al bando e stigmatizzati
i “vieti arabismi” nella letteratura e nelle arti
figurative: le oleografiche immagini esotiche, buone per i
turisti, a suo dire non potevano certo essere all’altezza
dei compiti di civilizzazione che il fascismo si vantava di
aver avviato nelle terre d’oltremare.
Da quel numero non verranno presentati nuovi lavori a firma
di Mario Barberis, che dal canto suo si accingeva ad iniziare
una lunga e intensa stagione creativa in varie parti d’Italia
come apprezzato pittore di soggetti religiosi e di immagini
devozionali. Il ministero delle colonie, invece, si affiderà
ancora a lui per la realizzazione della copertina del calendario
coloniale per l’anno 1930: ma stavolta le allegoriche
figure elegantemente incastonate nei partiti decorativi del
foglio avranno caratteri stilistici di evidente derivazione
manierista, fuori da qualunque residuo ‘arabista’
di temi e stilemi..."
La Donna vestita di sole
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Foto fornite da Cartantica
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