COLLABORAZIONI
In questo Settore vengono riportate notizie
e immagini fornite da altri redattori.
Nello specifico, i testi sono stati realizzati da Antonio
Nave, mentre le mmagini e la grafica della pagina
sono state fornite da Cartantica.
Tutti gli articoli degli altri Settori sono state realizzati
da Patrizia di Cartantica che declina ogni responsabilità
su quanto fornito dai collaboratori.
"N.B.: L'Autore prescrive
che qualora vi fosse un'utilizzazione per lavori a stampa
o per lavori/studi diffusi via Internet, da parte di terzi
(sia di parte dei testi sia di qualche immagine) essa potrà
avvenire solo previa richiesta trasmessa a Cartantica e citando
esplicitamente per esteso il lavoro originale (Autore, Titolo,
Periodico) ."
******
MARIO BARBERIS ILLUSTRATORE FRANCESCANO
Antonello Nave
(pubblicato in «Frate Francesco. Rivista di cultura
francescana», 73, 2, novembre 2007, pp. 537-553)
|
Nato a Roma nel 1893 da una famiglia
di origini piemontesi, Mario Barberis scoprì
precocemente la sua vocazione artistica, cominciando
a disegnare con passione centinaia di schizzi, nei quali
fissò scorci della capitale e dei suoi dintorni.
Da quelle opere rimase assai colpito il paesaggista
Filiberto Petitti, tanto da farle conoscere ad Ugo Fleres,
che nel 1911 ne pubblicò alcune sulla rivista
«Roma» e segnalò il talento del diciottenne
autodidatta.
Tale circostanza determinò l’abbandono
degli studi liceali e la partenza alla volta di Torino,
dove fu presentato al pittore Giacomo Grosso, direttore
all’epoca dell’Accademia Albertina. Alla
prova di ammissione Barberis stupì tutti per
l’insospettata padronanza nel disegno architettonico
e ottenne, con apposito decreto ministeriale, l’ammissione
direttamente al corso di perfezionamento in pittura.
Il suo esordio espositivo avvenne nel 1912 alla Amatori
e Cultori di Roma. Fu costretto tuttavia ad interrompere
gli studi accademici per il servizio militare e poi
per la chiamata in guerra nel Genio. Durante gli anni
al fronte poté continuare a dedicarsi all’arte,
anche grazie ad incarichi da parte del suo comando,
documentando così episodi di guerra e fissando
le quotidiane esperienze di patimenti e di morte, in
una serie di disegni, acquarelli e incisioni, che presenterà
con successo nell’immediato dopoguerra. |
|
Si lasciò per qualche tempo suggestionare
dalle sperimentazioni del linguaggio cubo-futurista
in dipinti su tela e in alcune opere polimateriche curiosamente
siglate con una sorta di svastica: recentemente segnalate
nel mercato dell’arte, esse sono ancora in attesa
di adeguato vaglio critico.
Tornato a Roma a guerra finita, Mario Barberis fu costretto
dalle contingenze materiali a dedicarsi in prevalenza
all’attività di illustratore di libri,
riviste, manifesti cinematografici, oltre che alla produzione
di immagini devozionali, dove la sua arte spesso inclinerà
verso esiti decisamente oleografici, adeguati a quanto
espressamente richiestogli da editori e committenti.
|
Il tema religioso, tuttavia, trovava in
lui un’autentica e profonda risonanza interiore, frutto
dell’appassionata lettura del Vangelo e dei Fioretti
già durante le lunghe e inquiete veglie di guerra.
Da quella esperienza era uscito con una spiccata propensione,
spirituale ed esistenziale prima ancora che artistica, per
il tema della vicinanza affettuosa di Cristo al dolore e alla
sofferenza degli uomini, in sintonia con quanto egli stesso
aveva letto e sapeva del messaggio francescano.
Non a caso fu proprio un episodio tratto dai Fioretti ad ispirargli
il suo primo dipinto di soggetto religioso, che presentò
nella primavera del 1921 alla I Biennale d’Arte di Roma.
Traendo spunto dall’episodio dell’estasi di fuoco
sperimentata da Francesco e Chiara nella campagna di Assisi,
nella tela intitolata Il convito di luce Mario Barberis felicemente
traduceva in termini di luce e di colore l’esperienza
mistica dei due santi, raccolti in preghiera in un cascinale
(1).
Sulla scorta di una matura e personale assimilazione del linguaggio
divisionista e delle sue potenzialità espressive, Barberis
riusciva a dare piena spiritualizzazione e diafana bellezza
visiva all’episodio francescano, senza scorie estetizzanti
o retorici compiacimenti dannunziani.
L’opera non a caso ebbe l’apprezzamento di Duilio
Cambellotti e dello stesso Giacomo Balla, che proprio del
secondo divisionismo era stato a suo tempo l’esponente
più autorevole, sulla scena artistica della capitale.
Il fortunato esordio romano garantì all’artista
l’inizio di un’intensa stagione creativa nel campo
della cosiddetta arte sacra, a cominciare dalla chiamata nel
’22 a Gerusalemme per realizzare i cartoni dei mosaici
absidali nella Basilica dell’Orto degli Ulivi. Dall’inizio
di quel decennio, insomma, Mario Barberis diventò presto
uno dei più prolifici e più richiesti specialisti
del genere, sia in Italia che all’estero, portando a
compimento un’ingente quantità di affreschi,
pale d’altare, santini, incisioni e disegni per libri
e quant’altro potesse servire a singoli fedeli, parrocchie,
curie, ordini religiosi ed editori, che operavano nel fruttuoso
campo della devozione popolare.
In linea col tema che ci siamo qui proposti di trattare,
è opportuno menzionare le sette tavole xilografiche
che Barberis incise nel corso del ‘25 per i "Ricordi
di San Francesco d’Assisi", pubblicati
nell’anno successivo a Firenze dal critico e poeta
Giulio Salvadori (1862-1928) in edizione numerata (2).
Dopo un avvio come studioso di letteratura popolare
e di poesia stilnovista, Salvadori aveva dato una buona
prova di sé come giornalista di impronta dannunziana.
Già insegnante di scuola superiore ad Ascoli
e ad Albano, aveva poi ottenuto l’incarico alla
Sapienza per la cattedra di stilistica. Al 1884 risaliva
la sua conversione dal positivismo agnostico alla fede
cristiana, con una particolare propensione sia per l’esperienza
ascetica che per una fattiva seppur discreta operosità
evangelica.
Nei suoi saggi e contributi di ricerca nel
campo della storia letteraria, che gli valsero nel ’23
la nomina a docente di letteratura italiana alla Cattolica
di Milano, Giulio Salvadori preferiva un approccio etico-psicologico,
che dava i suoi frutti migliori a confronto con figure
e opere più vicine alla sua personale sensibilità
umana e religiosa. Questo è appunto il caso del
libro dedicato a Francesco d’Assisi, verso il
quale egli sentiva particolare attrazione, come dimostra
il fatto che già da tempo aveva scelto di entrare
nel Terzo Ordine. |
|
L’incarico di illustrare con sobrietà
e insieme con sicurezza di linee il nuovo volume fu
dato, così, all’amico Mario Barberis, che
poi gli renderà un tributo di affetto in occasione
del primo anniversario dalla scomparsa (3). Di particolare
suggestione e limpidezza espressiva sono tre tavole,
in cui Barberis rappresenta lo sposalizio mistico di
Francesco con l’angelicata figura di Madonna Povertà,
il primo presepe di Greccio e la figura del santo nella
beatitudine del creato, circondato da tredici tondi
che illustrano metaforicamente o letteralmente i nuclei
tematici del Cantico. |
Fra le numerose pubblicazioni che
videro la luce nel corso del 1926, in occasione del
settimo centenario dalla morte di Francesco, va senza
dubbio segnalata un’altra opera di argomento
francescano, alla quale Barberis diede il suo apporto
come illustratore gradevole ed efficace.
Si tratta della Fiorita francescana
(4): una ricca e variegata antologia poetica curata
dal sacerdote romagnolo Tommaso Nediani (1871-1934),
che dopo aver vissuto con passione l’esperienza
politica sturziana, si era ritirato nella quiete studiosa
del convento francescano di Zara.
Già nel 1921 Nediani aveva pubblicato un’ampia
selezione di prose, assai varie per epoca e stile,
legate dal fatto di essere riferite a Francesco, alla
sua storia o alla sua spiritualità evangelica
(5).
In vista del settimo centenario, lo stesso Nediani
aveva alacremente atteso all’arduo compito di
raccogliere, selezionare e comporre, in una sapiente
articolazione tematica, un vasto ed eterogeneo materiale
letterario in versi, dal Cantico ai poemetti neo-virgiliani
di Giovanni Pascoli, dalle terzine dantesche alle
elegiache cadenze di Vittoria Aganoor e di Giulio
Salvadori, non trascurando peraltro di includere un
piccolo numero di proprie composizioni.
L’assunto dell’opera e la sua più
profonda motivazione erano dichiarati dall’autore
nella prefazione: “Santo Francesco? Sì:
io l’ho veduto e venerato così; nell’alone
della poesia, come nel grande quadro della storia,
nella psicologia medievale delle corti d’amore,
come nella mistica conventuale. Non è Francesco
d’un secolo o d’una casta isolata, è
di tutti i secoli e di tutti gli uomini” (6).
La struttura della silloge, che raccoglie più
di cento composizioni poetiche, viene articolata in
cinque sezioni, introdotte da altrettante incisioni
monocromatiche, quasi tutte recanti la firma di Barberis.
Pubblicata con raffinata semplicità dall’Istituto
Italiano d’Arti Grafiche di Bergamo, l’antologia
francescana è arricchita da fregi decorativi
e da numerose illustrazioni, che fanno da corredo
alle singole composizioni, oltre a scandire le tappe
stesse del percorso di lettura.
La maggior parte del corredo iconografico è
opera del pittore e illustratore veronese Luigi Zago
(1894-1952), che nel corredare il testo di numerose
figure in sanguigna si attiene ad una assoluta limpidezza
e semplicità di segno e di soluzioni compositive.
Con intrecci decorativi e scenette figurate, volutamente
prive di chiaroscuro, Zago offre alle pagine una grazia
“ingenua” e una sottile eleganza déco,
ben diverse dall’impronta neo-impressionista
dei paesaggi ad olio che egli realizzò per
i tre volumi dei Santuari francescani curati da padre
Vittorino Facchinetti (7).
Quanto all’opera di Barberis, le illustrazioni
per l’antologia di Tommaso Nediani sono senza
dubbio il più significativo contributo che
l’artista romano offrì all’iconografia
francescana, a cominciare dalla copertina a fregi
e caratteri in oro, siglata con le iniziali inframezzate
dal peculiare simbolo solare della svastica: con geometrico
senso di bellezza, un volo di uccelli viene stilizzato
in forma di croce, dentro una cornice circolare in
cui è scritto: “Si divisero in quattro
parti secondo la croce che aveva fatto loro Santo
Francesco”.
Barberis si firma per esteso nella tavola a sanguigna
che apre la prima parte dell’antologia, dove
Nediani aveva raccolto le poesie espressamente dedicate
alla vita e alle opere del santo: in essa viene tratteggiata,
con nitida eleganza e delicatezza di tratto, la figura
serena di Francesco, nel mezzo di un prato erboso
e sullo sfondo di un cielo pieno di uccelli svolazzanti
(8).
La seconda parte del florilegio, intitolata “Aureole
d’oro francescane”, viene illustrata da
Barberis con lo scorcio ravvicinato di un tetto, da
cui numerosissimi uccelli stanno per librarsi in volo,
sulla scia del fitto stormo che già solca il
cielo, come metafora dei tanti frati inviati per le
vie del mondo (9).
Mentre Luigi Zago firma la cornice a motivi geometrici
per il frontespizio della terza parte dell’opera,
che raccoglie i versi danteschi, quelli neo-latini
di Sofia Alessio e un poemetto francescano di Agostino
Fattori (10), a Mario Barberis si devono le tavole
per le due restanti sezioni dell’antologia.
La parte dedicata ai “Conventi e paesaggi francescani”
viene introdotta dalla veduta d’angolo della
basilica e del convento di Assisi, cui stavolta egli
appone la sua inconfondibile sigla (11); mentre quella
dedicata a “La poesia e la leggenda
francescana” viene impreziosita da
un’incisioni color seppia, in cui Barberis tratteggia
un aspro sperone rupestre, su cui è adagiato
un piccolo convento, circondato e in parte avvolto
dalla radura (12).
In questa ultima sezione dell’antologia, Tommaso
Nediani inserì anche una composizione poetica
di cui era autrice Lina Barberis, moglie dell’artista
(13). E che vi fosse un diretto e personale legame
di Mario Barberis con Nediani e la sua cerchia di
letterati di ispirazione francescana, viene confermato
dal fatto che tra gli autori presenti nella raccolta
troviamo la scrittrice Edvige Pesce Gorini (14), di
cui proprio Barberis illustrerà due volumi
di racconti per ragazzi (15).
Allo stesso Barberis appartengono le undici tavole
a colori prive di firma, che illustrano il
Cantico delle Creature e scandiscono con
irregolare cadenza l’intero percorso di lettura
del libro. Si comincia con l’invocazione all’Altissimo
da parte di un angelo a mani giunte, reso con morbida
eleganza di panneggi, cui fa seguito la sineddoche
di due mani in primo piano, realisticamente espressive
ne loro tendersi verso un grande sole stilizzato (16).
Nella xilografia dedicata alla luna e alle stelle,
pur nella densità cromatica dell’ampia
campitura di azzurro, l’artista giunge ai limiti
della rarefazione suprematista; analoga e suggestiva
essenzialità presenta la tavola in verde dedicata
all’acqua, rappresentata mentre scroscia giù
da un folto sperone roccioso (17). Assai efficace
visivamente anche la tavola in cui divampa il rosso
vivido di “frate focu”;
più didascalica appare l’incisione a
sanguigna dedicata alla “madre terra”
e all’“herba”,
con la zolla al cui interno è visibile il seme,
che ha dato vita ad un esile stelo, accanto ad altri
sparsi qua e là sul fertile terreno; di un
verde cupo, invece, la tavola col cipresso piegato
da “frate vento”, sullo
sfondo di maestose nubi (18).
Sicuramente dovuta a Barberis l’ideazione della
tavola dedicata al perdono, condensata in un braccio
che si leva tra le spine per reggere tra le dita un
piccolo fiore, mentre, ad illustrare gli ultimi passi
del Cantico, torna per tre volte la più convenzionale
figura dell’angelo: con le mani chiuse a pugno
sugli occhi; con le braccia levate al cielo nella
consolante certezza che “la morte seconda nol
farà male”; e nell’atto di sostenere,
con ieratica compostezza, un libro aperto coi versi
conclusivi del componimento francescano (19).
|
Un’ulteriore impresa artistica nel segno del francescanesimo
sarà compiuta da Mario Barberis due anni più
tardi. Nel corso del 1928, infatti, egli fu chiamato in Basilicata,
ad Avigliano, per affrescare l’interno della chiesa
di San Filippo Neri, eretta da Filippo Andrea Doria Pamphili
per dare degno completamento al suo vasto insediamento produttivo,
nella conca bonificata di un antico bacino lacustre. Accanto
agli impianti per l’allevamento e la produzione casearia,
era già sorta una scuola agraria e un convitto per
orfani di guerra, che all’epoca era gestito dall’Opera
Nazionale per il Mezzogiorno d’Italia, fondata da Giovanni
Semeria. Probabilmente furono i seguaci del padre barnabita
a indicare in Mario Barberis l’artista più idoneo
per affrescare le pareti della nuova cappella a navata unica.
E su quelle pareti Barberis celebrò il valore etico
e spirituale dell’agricoltura in una serie di figurazioni
allegoriche, corredate da alcuni versi del Cantico francescano
(20).
Nel frattempo l’artista aveva cominciato ad illustrare
libri legati alla politica e alla propaganda del regime fascista.
Dopo aver realizzato, infatti, la copertina e il corredo di
immagini per un discorso di Mussolini (21), Barberis aveva
ottenuto significativi incarichi da parte del Ministero delle
Colonie, di cui soltanto recentemente è stato avviato
il recupero in sede critica e storiografica (22).
Gli anni Trenta videro l’artista romano variamente impegnato
in numerosi e molteplici lavori. Al ’32 risale un’incisione
per la biografia del padre cappuccino Innocenzo da Caltagirone
(1589-1655), redatta da Samuele Cultrera (23), mentre nel
corso dell’anno successivo Barberis accompagnò
con i suoi disegni i poetici itinerari romani tracciati, al
suo esordio, da uno scrittore e critico poliedrico quale Giorgio
Vigolo (24).
Mario Barberis lavorava, intanto, ad una più complessa
e personalissima opera di soggetto religioso, frutto di un’approfondita
meditazione sulla vivificante presenza di Cristo nell’esistenza
umana di ogni tempo. Nacquero così, i quarantacinque
disegni su tavola del Gesù fra noi,
raccolti in cinque “novene”, dove originalmente
si intrecciano icone simboliste e accenti realisti di lontana
ascendenza masaccesca, accompagnate da commenti, riflessioni
e note esplicative dello stesso Barberis (25).
Per opere come queste, così si esprimerà l’amico
e pittore Aristide Capanna: “Nei quadri suoi conserva
la sua libera, talvolta ardita inventiva, […] il suo
anelito di purificazione della materia e di trasfigurazione
della stessa in spirito (26).
Sorvolando su molte imprese pittoriche compiute per ordini
e parrocchie, sia in Italia che all’estero, nel solco
di un descrittivismo spesso alquanto stucchevole e oleografico,
possiamo qui limitarci a segnalare alcune opere grafiche di
soggetto francescano o relative a personaggi e santi appartenenti
agli ordini francescani, a cominciare dalle incisioni per
un opuscolo in cui padre Francesco da Verona ricostruiva la
vita di Raniero da S. Sepolcro (27).
Barberis fu anche illustratore per «Le Missioni
Francescane» (28), la rivista mensile pubblicata
a Roma dai frati minori e diretta da padre Cipriano Silvestri
(1871-1955), che aveva operato per un ventennio in Cina (29).
Fornì poi un disegno in bianco e nero per il volumetto
agiografico che lo stesso Silvestri dedicò al beato
francescano Giovanni da Montecorvino (1247-1328), primo apostolo
della Cina. Rispetto alla copertina e alle altre illustrazioni,
eseguite da una mano meno raffinata, quella di Barberis risulta
stilisticamente diversa e piuttosto “eccentrica”
dal punto di vista narrativo: essa illustra, infatti, con
accenti di sobrio realismo, la morte del beato Giovanni da
Parma (1208-1289), il vecchio francescano che morì
a Camerino, mentre avrebbe desiderato seguire il confratello
nel viaggio apostolico in Estremo Oriente (30).
Negli anni del secondo conflitto mondiale Mario Barberis curò
anche l’illustrazione di un opuscolo in cui il frate
minore conventuale Amedeo Sanvidotto raccontò, con
intenti esplicitamente edificanti, la vita del francescano
Giovanni da Chioggia, che visse la sua intensa esperienza
di fede e di carità tra le mura del convento di S.
Maria Gloriosa dei Frari a Venezia (31).
Stampato nel 1942 a Padova dal Messaggero di S. Antonio, nelle
intenzioni del suo autore il libretto doveva servire a far
conoscere la figura del beato Carissimo, di cui assai scarne
sono invero le notizie, ad un maggior numero di fedeli, con
l’auspicio della sua canonizzazione, dopo sei secoli
di devozione popolare. Non essendoci fatti particolari da
illustrare o una specifica iconografia cui attenersi, Mario
Barberis, stavolta, ebbe modo di articolare il proprio racconto
visivo con notevole libertà rispetto al testo scritto.
Poté così evocare, con finezza di tratto e piacevoli
inquadrature scenografiche, alcuni episodi di vita due-trecentesca
per dare forma agli episodi della vocazione e della vestizione
del saio da parte del giovane chioggiotto (32).
Scorrono così le fresche immagini di un’avventura
di fede nel solco della predicazione e della spiritualità
francescana. Il fatto stesso che la figura del beato Carissimo
fosse così esile dal punto di vista storico e addirittura
evanescente da quello iconografico, permise a Barberis di
scandire la sua storia ispirandosi direttamente a quella di
Francesco, riprendendo esplicitamente alcuni episodi e finanche
le fattezze attribuitegli dalla tradizione figurativa.
Fra le strade di Venezia, sullo sfondo di un ponte e di una
fondamenta animata, Barberis tratteggia, pertanto, la serafica
figura del frate che viene avvicinato con affetto e venerazione
da due bambini, né manca il topos agiografico del mantello
che il francescano dona ad un vecchio mendicante (33). Pregnante
di evangelico conforto è poi la scena in cui Barberis
immagina il beato Carissimo che, come novello Cristo o novello
Francesco, conforta un giovane prodigo e lo invita a fare
fiduciosamente ritorno nella casa del padre (34). Nella scena
in cui si vuole evidenziare la dolcezza esortatrice delle
sue prediche, Barberis ricorre ad una soluzione iconografica
a lui particolarmente cara, delineando con chiarezza didascalica
la figura del santo in mezzo ad una piccola e attenta cerchia
di ascoltatori e di fedeli (35). Altrettanto consueta per
lui la scena del commiato dalla vita terrena, con il frate
sul catafalco e un angelo che lo attrae a sé, mentre
dalla finestra si scorgono le gotiche finestre del convento
(36).
Una tavola viene dedicata all’episodio del disseppellimento
del beato, col prodigioso rinvenimento del corpo inconsunto,
inginocchiato e con la destra in atto benedicente (37). Dopo
la scena della traslazione del suo corpo nella basilica (38),
l’ultima tavola illustra la sua solenne deposizione,
il giorno di Pentecoste del 1347, nel sontuoso monumento funebre
del senatore Scipione Bon (39).
Nel corso del 1942 Mario Barberis eseguì anche la copertina
a due colori per un volume in cui erano raccolti i più
importanti sermoni tenuti dal cappuccino Roberto da Nove (1869-1939)
nella sua quarantennale attività di predicatore (40):
con realismo alquanto convenzionale Barberis ritrae così,
nel seppia a contrasto con una campitura di azzurro robbiano,
la severa effige del frate vicentino nell’atto di parlare
dal pulpito, col braccio levato in una posa che ricorda il
celebre Arringatore del Museo Archeologico di Firenze.
Al ’42 risale anche la copertina del volume intitolato
Seguiamo S. Francesco: una raccolta di conferenze
e di tracce di riflessione per i terziari, curata dal frate
minore Bernardino Barban, per conto del Commissariato Generale
del Terz’Ordine Francescano (41). Il libro si fregia
di una sobria e gradevole copertina, messa a punto da Barberis
per dare immediata concretezza d’immagine a quanto indicato
nel titolo, con Francesco elegantemente ritratto mentre volge
un dolce e obliquo sguardo in basso, dove molte mani tendono
a lui.
Gherardo Buonamici |
Per i tipi dell’Unione Francescana, infine, in
quello stesso anno furono pubblicati a Firenze due opuscoli
agiografici di taglio esplicitamente edificante, per
i quali Barberis fornì la sua opera di illustratore.
Si tratta delle incisioni per una biografia del beato
Gherardo Bonamici da S. Miniato, redatta dal cappuccino
Giacinto da Pistoia (42), e di due disegni per il fortunato
opuscolo dedicato dal poligrafo cappuccino Samuele Cultrera
alla figura di Pietro Ballone (1857-1932), un contadino
autodidatta che l’autore aveva casualmente conosciuto
nella campagna agrigentina e che aveva ammirato per
la schiettezza della fede e dell’estro poetico
(43).
Oltre al ritratto idealizzato e alquanto compassato
del protagonista, Mario Barberis eseguì, con
quel facile realismo che troppo spesso gli veniva richiesto,
una tavola in bianco e nero per illustrare l’incontro,
avvenuto un pomeriggio domenicale dell’aprile
del 1916, tra padre Cultrera, che quell’anno predicava
la Quaresima a Casteltermini, e Pietro Ballone, che
gli si presentò recitando i suoi versi dialettali. |
Dalla stessa tipografia dell’Unione Francescana, nel
corso del 1943 uscì un volumetto dedicato alla figura
di don Luigi Guanella, redatto dal padre cappuccino Luigi
da Gatteo e arricchito da una tavola fuori testo, in bianco
e nero, firmata da Barberis. Nell’ormai consueto gusto
di realismo edulcorato, l’artista romano rappresentava
stavolta Don Guanella nella dolce corona dei suoi beneficati:
i devoti sono tutti rigorosamente a mani giunte e con espressioni
serie e mansuete, mentre don Guanella spicca fra tutti per
dimensioni e postura, con la sua inconfondibile sagoma e uno
sguardo obliquamente rivolto al lettore (44).
Nell’immediato dopoguerra, Mario Barberis continuò
a lavorare intensamente per gli ordini francescani, grazie
soprattutto alla stima e all’amicizia che lo legava
a padre Cipriano Silvestri. Oltre a firmare il corredo illustrativo
per un numero speciale della rivista «Le Missioni Francescane»,
apparso nel ’46 in occasione della beatificazione dei
cosiddetti “Martiri della Cina”,
Barberis fu incaricato di realizzare tavole e disegni in bianco
e nero per alcuni libretti divulgativi curati dallo stesso
Cipriani.
Sulla scorta della sua lunga esperienza missionaria, l’instancabile
frate decise di raccogliere in cinque agili volumi, intitolati
Un vecchio missionario racconta, un’ottantina
di suoi scritti di carattere storico-culturale, aneddotico
e autobiografico, redatti in tempi diversi ma in forma sempre
scorrevole, allo scopo di suscitare interesse e semmai di
far scoprire a qualche giovane lettore la vocazione missionaria.
Pubblicati con successo fra il 1949 e il 1951, essi si fregiano
di una stessa copertina, che dal primo al quinto volume varia
soltanto per la dominante cromatica del fondo e dei caratteri
(45). Aderendo con la consueta e sollecita fedeltà
al contenuto narrativo e alla finalità precipua del
testo, Barberis tratteggiò con nitido segno la figura
di un vecchio e vigoroso francescano, nell’atto di parlare
ad un piccolo gruppo di fedeli tipologicamente esemplari:
il novizio, il giovane sacerdote, una madre col bimbo in braccio,
un giovane borghese e, infine, un vecchio che cerca di ascoltare,
malgrado la sordità incombente.
Barberis realizzò anche la copertina in nero e azzurro
per il volume che padre Cipriani dedicò alla figura
di Tong Weng Siò, che era diventato cristiano col nome
di Giangabriele ed era entrato nella Congregazione di S. Vincenzo
(46).
In questo caso l’artista attinse alla sua giovanile
e mai sopita fascinazione per figure e scorci esotici e indugiò,
con sapiente senso del colore e della linea, sui numerosi
ideogrammi e sulle ombreggiature stilizzate della scena, per
rappresentare il momento crucialei del processo, che portò
alla condanna a morte del missionario.
All’inizio degli anni Cinquanta Barberis risulta impegnato
a realizzare, oltre alla più consueta produzione di
immagini per opuscoli, santini, calendari e altro materiale
a carattere devozionale (47), oltre venti incisioni per un
volume, in cui padre Vittorio da Ceva riassumeva le gesta
compiute dai cappuccini in quattro secoli di attività
missionaria. L’intento era evidentemente apologetico
e propagandistico: la menzione di figure, vicende e martiri
doveva educare i giovani e suscitare nuove vocazioni missionarie,
tali da far rivivere “i tempi gloriosi del Settecento”
(48).
Nella copertina Barberis tratteggia a carboncino l’eloquente
immagine di Francesco che, affiancato da un confratello inginocchiato,
sul limitare di un promontorio leva fiducioso le braccia al
cielo, mentre i velieri con la croce solcano il mare, verso
un orizzonte rischiarato da un grande sole.
Iconograficamente inconsueta l’effige della Vergine
Divina Pastora, patrona della missioni cappuccine, per la
cui ideazione Barberis attinge a moduli e stilemi di chiara
impronta raffaellesca (49).
Il corredo di illustrazioni a carattere propriamente storico-celebrativo
si apre con la scena della tortura patita a Costantinopoli
dal futuro santo Giuseppe da Leonessa (1556-1612): il frate
cappuccino, parzialmente inchiodato alla croce accanto ad
un falò, impugna il crocifisso e sembra librarsi verso
il cielo, mentre un arabo ride alla vista del supplizio e
un minareto si profila minaccioso sullo sfondo (50).
Più consueta, per iconografia e inquadratura, la scena
in cui Il Papa Clemente VIII manda i Cappuccini in Boemia
(1599), mentre in quella dedicata all’uccisione di padre
Bartolomeo da S. Miguel, nel 1737 in Venezuela, torna l’impostazione
eurocentrica e la sottesa mentalità colonialista, con
cui viene presentato il contrasto tra la ferocia di un arciere
indio e l’umana grandezza del missionario europeo, che
nel volto serafico richiama la tradizionale iconografia francescana
(51).
Agatangelo da Vendome e Cassiano da Nantes
|
Nella tavola dedicata ai francesi Agatangelo
da Vendome e Cassiano da Nantes, uccisi in Etiopia nel
1638, l’artista mostra la monumentale figura dei
due beati nell’atto di offrire ai carnefici “fuori
campo” i loro stessi cordigli, come strumento
di supplizio mortale, mentre alle spalle, sullo sfondo
di un’oasi e di un edificio di impronta inequivocabilmente
islamica, avanza un soldato indigeno dal ghigno crudele
(52).
E due feroci drusi, armati di scimitarra, vengono fissati
con aspro realismo da Barberis nella scena dedicata
al martirio di padre Andrea da Loreto e dei suoi confratelli,
uccisi nel maggio del 1845 in Libano (53).
L’umanità dei “selvaggi” diventa
oggetto di attenzione soltanto nel ritratto del cappuccino
Michele da Carbonara (1836-1910), affiancato da due
ragazzi africani, secondo lo stereotipo iconografico
del missionario che si pone come protettore paterno
degli indigeni cristianizzati (54).
Ancor più apertamente didascalica, del resto,
risulta la tavola in cui Barberis illustra l’opera
di evangelizzazione e di alfabetizzazione svolta dai
cappuccini in Congo (55).
|
Sono ben diciassette, poi, i ritratti che corredano
il volume (56). Alcuni sono alquanto convenzionali e
compassati, avendo Barberis la necessità di corrispondere
a quanto richiestogli e di garantire una fedele trasposizione
grafica di volti e posture, precedentemente fissate
dall’obiettivo fotografico o consolidate dalla
tradizione agiografica. I casi più evidenti -
e opposti - sono relativi alla stucchevole espressività
da immaginetta devozionale riservata a S. Fedele da
Sigmaringa (57), difensore del cattolicesimo tridentino
nella Svizzera del primo Seicento, e a quella del cardinale
Massaia (1809-1889), per il cui ritratto Barberis si
attenne scrupolosamente ad una delle più note
fotografie dell’anziano missionario (58).
Discreto realismo espressivo presenta il ritratto di
monsignor Anastasio Hartmann (1803-1866), infaticabile
apostolo in India (59); di vigore e naturalismo neo-quattrocentesco
ci appare il busto a tre quarti di S. Lorenzo da Brindisi
(1559-1619), che con la sua missione a Praga nel 1599
diede avvio ad una lunga vicenda di scontro con i Riformati
in terra boema (60). Più convenzionale, ma limpidamente
tratteggiato, appare il “piano americano”
riservato al teologo ed erudito Valeriano Magni (1586-1661)
, mentre nell’effigie del cappuccino Giuseppe
da Carabantes (1628-1694) (61) la consueta cifra realista
di Barberis lascia il posto all’ingenuità
pre-moderna di una bocca da cui sgorgano stelle e fasci
di luce astrale, secondo quanto dicevano dell’amato
missionario le comunità indie del Venezuela (62).
Un carattere iconograficamente “eccentrico”
presenta, invece, la tavola che illustra un Soccorso
al passo del San Gottardo da parte di due frati chini
su un viandante smarrito, mentre il loro cane se ne
sta bonariamente accucciato in primo piano (63): costruita
con una doppia piramide di figure umane e gruppi rocciosi,
con questa scena, pregna di ethos espressivo, Barberis
traduceva in immagine una particolare “missione”
svolta dai cappuccini, nel corso del Settecento, in
un importante ospizio alpino.
Restano da menzionare i quattro finalini xilografici,
privi di firma ma sicuramente ascrivibili allo stesso
Barberis: nel primo, alquanto “sporco” nella
resa, si delinea la figura di un nativo d’America,
intento a scrutare il paesaggio a bordo della sua piroga
(64); il secondo e il terzo ci offrono, con tratto veloce
e sicuro, la sagoma di una capanna africana sormontata
da una croce e quella di una chiesetta missionaria accanto
ad un palmizio (65); nell’ultimo, con cui l’artista
si congeda dal lettore, l’elegante scorcio di
un’oasi con dromedari conferma le doti di Barberis
come fascinoso seppur attardato evocatore di orientalismi
e di suggestioni coloniali (66). |
Nel ’52 la perdita della moglie gettò l’artista
in una profonda crisi spirituale ed esistenziale, che ebbe
contraccolpi diretti e fatali sul suo stato di salute. Conservò
intatto l’interesse per la creazione artistica, ma certo
non furono frequenti le occasioni per riprendere una ricerca
espressiva autenticamente personale, nel campo della pittura
di soggetto religioso. Nel corso del 1954 portò a compimento
dodici tavole di sentita devozione mariana per La
Donna vestita di sole (67)e realizzò a carboncino
su cartone una serie dedicata alle stazioni della Passione
spirituale di N. S. Gesù Cristo, frutto di una meditazione
sul tema della sofferenza.
Non mancarono, tuttavia, i preponderanti e consueti incarichi
per libri e opuscoli di carattere convenzionalmente devozionale.
Fra le sue ultime imprese, possiamo ricordare il corredo per
un racconto della vita di padre Gioacchino La Lomia, per lungo
tempo missionario cappuccino in America del Sud, redatto dal
cappuccino Antonio Da Stigliano allo scopo di consolidare
la fama di santità del confratello, a cinquant’anni
dalla sua scomparsa.
Con fedeltà al testo, Barberis approntò ventiquattro
illustrazioni in bianco e nero, tutte firmate, che accompagnano
la lettura edificante come le tavole di un cantastorie o una
serie di ex-voto popolari (68). La narrazione per immagini
comincia con le leziose scenette di un’infanzia generosa
e devota, in cui Gaetanino erige altarini in casa o distribuisce
ai poveri una pentola di brodo tolta ad un vicino distratto
(69); segue le vicende di un appassionato apostolato in Brasile,
dove spicca la masaccesca suggestione della tavola con Padre
Gioacchino che battezza i selvaggi o si scorge il recupero
di topos della pittura ottocentesca di soggetto paleocristiano,
nella scena del missionario alle prese con un giaguaro (70)
Nelle tavole dedicate alla vita e ai miracoli compiuti dal
frate dopo il suo ritorno nella terra natale, Barberis indulge
a una facile e fumettistica narrazione di pesche prodigiose,
paralitici guariti in strada, moribondi salvati nel lindore
di corsie ospedaliere, col realismo didascalico della pubblicistica
cattolica in quegli anni di dura contrapposizione ideologica
(71). Né l’artista si tirò indietro quando
si trattò di rappresentare l’episodio in cui
il vecchio frate, secondo la voce popolare, si sarebbe librato
in volo verso il convento, a braccetto di due contadini che
lo accompagnavano, o nel caso della sua presunta apparizione
ad una giovane donna, nel momento in cui si svolgevano le
sue stesse esequie (72).
Nella copertina a colori, invece, Barberis ci offre la compassata
immagine di padre Gioacchino, colto nella rigida e alquanto
goffa postura con cui egli stesso si era generosamente offerto
all’obiettivo di un fotografo, perché questi
e la sua famiglia potessero risollevarsi dalla miseria (73).
Gaetanino erige altarini in casa
(Immagine tratta dal testo "Nobiltà eroica"
di Padre Antonio da Stigliano, dedicata a Padre Gioacchino
La Lomia, pubblicato sul sito
http://www.canicatti-centrodoc.it
- Centro di Documentazione della Città
di Canicattì
|
Combattendo contro la malattia e il dolore, Mario Barberis
ebbe ancora occasione di confrontarsi saltuariamente con il
prediletto tema francescano nel compendio storico sui tre
ordini, scritto dal cappuccino Daniele Dallai, o nel profilo
dedicato dal frate conventuale Samuele Cultrera al santo di
Assisi (74).
Alla sua morte, avvenuta a Roma il 24 gennaio del 1960, gli
fu tempestivamente tributato l’omaggio di una mostra
ricca di opere inedite, selezionate dalla figlia nel vasto
e multiforme patrimonio rimasto in famiglia. Tra le recensioni
favorevoli che riguardarono la sua opera, basti qui citare,
nella «Strenna dei Romanisti»,
l’elogio dell’amico e collega Aristide Capanna:
“Ha combattuto per un’arte sacra comprensibile,
decorosa, composta, dignitosa, nonché personale, anche
se non geniale” (75).
Più esplicito rammarico fu espresso dall’autorevole
rivista «Arte Cristiana», diretta
da Valerio Vigorelli, che al profilo biografico e critico
tracciato dal domenicano Antonino Silli premetteva queste
considerazioni:
Di Mario Barberis è troppo nota la vastissima produzione
illustrativa con cui il pittore, pur ricco di buone capacità,
si è offuscata la fama artistica per cedere ad una
trita e superficiale religiosità, quale, abbiamo ragione
per pensarlo, gli fu imposta da autori ed editori poco illuminati.
Ci pareva doveroso in qualche modo riabilitare la sua figura
facendo conoscere la sua produzione più seria e più
personale. […] Vogliamo però dire con schiettezza
che miglior ventura sarebbe stata per l’arte sacra s’egli
avesse potuto mantenersi più fedele a se stesso quale
si mostra nella prima delle sue opere che presentiamo, innegabilmente
la migliore (76).
L’opera alla quale si faceva riferimento era proprio
Il convito di luce, la suggestiva visione
francescana con cui Barberis aveva iniziato la sua avventura
nell’ambito dell’arte sacra, a confronto soprattutto
con il santo di Assisi e con le richieste degli ordini che
a lui si richiamano.
******
NOTE
1- L’opera, appartenente all’epoca alla collezione
Palanga, è riprodotta in A. SILLI, Un artista cristiano.
Mario Barberis, in «Arte Cristiana», XLVIII, 11,
novembre 1960, p. 260.
2 - G. SALVADORI, Ricordi di S. Francesco d’Assisi,
Firenze, Barbera, 1926.
3 - M. BARBERIS, Giulio Salvadori terziario francescano. Conferenza,
Roma, Tip. La Precisa, 1929.
4 - T. NEDIANI, La fiorita francescana. Saggio d’una
antologia della poesia francescana, Bergamo, Istituto Italiano
di Arti Grafiche, 1926.
5 - ID., La fiorita francescana. Antologia della prosa e Poesia
francescana antica e moderna, Milano, Vita e Pensiero, 1921.
6 - ID., cit. in nota 4, p. 7.
7 - V. FACCHINETTI, I Santuari francescani. I. La Verna nel
Casentino, Milano, Circolo di Coltura Francescana, 1925; Id.,
I Santuari francescani. II. Assisi nell’Umbria, Milano,
Circolo di Coltura Francescana, 1926; Id., I Santuari francescani.
III. Nella valle reatina, Milano, Circolo di Coltura Francescana,
1927.
8 - T. NEDIANI, cit. in nota 4, p. 19.
9 - Ivi, p. 121.
10 - Ivi, p. 183.
11Ivi, p. 219.
12 - Ivi, p. 289.
13 - L. BARBERIS, In nome di santo Francesco, ivi, pp. 348-349.
14 - E. PESCE GORINI, S. Francesco, ivi, pp. 355-356.
15 - ID., Il tesoro nella Rocca, Milano, Opera Nazionale Mezzogiorno
d’Italia, 1938; Id., La valle delle meraviglie. Racconti
per ragazzi, Milano, Opera Nazionale Mezzogiorno d’Italia,
1940.
16 - T. NEDIANI, cit. in nota 4, pp. 17, 61.
17 - Ivi, pp. 76, 119.
18 - Ivi, pp. 144, 165, 133.
19 - Ivi, pp. 185, 261, 303.
20 - Negli anni successivi, a seguito della chiusura del convitto
e della scuola di agraria, la chiesa fu dismessa e utilizzata
come magazzino, per essere poi riaperta al culto nel 1954.
Un maldestro restauro degli affreschi recò danni irreparabili,
mentre sono ancora in buono stato le tele con S. Giovanni
Battista e S. Pietro, realizzate dallo stesso Barberis.
21 - B. MUSSOLINI, Ai combattenti d’Italia, a cura di
M. Ponzio di S. Sebastiano, Roma 1923.
22 - A. NAVE, Visioni d’oltremare. Due illustratori
per la “Rivista delle Colonie”, in «Charta.
Antiquariato, collezionismo, mercato», XIV, 75, marzo-aprile
2005, pp. 74-77.
23S. CULTRERA, Cenni di vita del servo di Dio P. Innocenzo
da Caltagirone Generale dei Minori Cappuccini, Torino, Berruti,
1932.
24 - G. VIGOLO, La città dell’anima, Roma, Studio
Editoriale Romano, 1933.
25 - Gesù fra noi. Figurazioni religiose di Mario Barberis,
con cenni illustrativi dell’autore, Viterbo, Casa Editrice
Cultura Religiosa Popolare, 1932. Purtroppo l’esemplare
da noi consultato presso la Biblioteca Nazionale Centrale
è parzialmente deteriorato e privo della copertina
con il Misereor super turbam.
26 - A. CAPANNA, Mario Barberis, in «Strenna dei Romanisti»,
XXI, 1961, pp. 177-179.
27 - P. FRANCESCO DA VICENZA, Fra Raniero da S. Sepolcro laico
cappuccino (1511-1589), Torino, Berruti, 1938.
28 - Cfr. www.cartantica.it/pages/Barberis.asp#.
29 - D. NERI, Una grande figura di missionario. P. Cipriano
Silvestri OFM. Appunti biografici, Pistoia 1959.
30 - C. SILVESTRI, Il primo apostolo della Cina, Roma, Scuola
Tipografica Don Luigi Guanella, 1941. Le altre illustrazioni
nel testo sono di un imprecisato artista che si firma con
le iniziali A.B.
31 - A. SANVIDOTTO, Cenni sulla vita del B. Carissimo da Chioggia
francescano, Padova, Il Messaggero di S. Antonio, 1942.
32 - Ivi, p. 13.
33 - Ivi, p. 34.
34 - Ivi, p. 45.
35 - Ivi, p. 31.
36 - Ivi, p. 49.
37 - Ivi, p. 52.
38 - Ivi, p. 57.
39 - Ivi, p. 61.
40 - ROBERTO DA NOVE, Panegirici e discorsi, Venezia, Provincia
Veneta dei FF. MM. Cappuccini, 1942. L’opera viene introdotta
da una biografia a cura di padre Clemente da S. Maria.
41 - B. BARBAN, Seguiamo S. Francesco. I. Schemi e conferenze
per terziari, Roma, Commissariato Generale del Terz’Ordine
Francescano dei Frati Minori, 1942. Mario Barberis disegnò
anche la copertina per il secondo volume dell’opera
di padre Bernardino Barban, che purtroppo non abbiamo trovato
nel catalogo della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze
(ID., Sotto le insegne del Poverello. II. Schemi e conferenze
per terziari, Roma, Commissariato Generale del Terz’Ordine
Francescano dei Frati Minori, 1945).
42 . GIACINTO DA PISTOIA, Il B. Gherardo Bonamici da San Miniato,
Firenze, Unione Francescana, 1942.
43 - S. CULTRERA, Un contadino santo. Pietro Ballone, Firenze,
Unione Francescana, 1942.
44 - LUIGI DA GATTEO, Il Servo della Carità don Luigi
Guanella, Firenze, Unione Francescana, 1943, tav. f.t., tra
pp. 32-33.
45 - C. SILVESTRI, Un vecchio missionario racconta…
Cina, vol. 1, Roma, Scuola Tip. Don Luigi Guanella, [1949];
vol. 2, Roma, Scuola Tip. Don Luigi Guanella, [1949]; vol.
3, Roma, Tip. Esquilino, [1950]; vol. 4, Roma, Tip. La Precisa,
[1950]; vol. 5, Roma, Tip. La Precisa, [1951]. La distribuzione
e la vendita dei volumetti era curata dal Centro nazionale
di Propaganda Missionaria Francescana, ubicato al n. 124 di
via Merulana a Roma.
46 - ID., Un vecchio missionario scrive…Tong Weng Siò.
Racconto storico della Chiesa Cinese alla metà del
secolo scorso, Roma, Tip. La Precisa, [1952]. Le venti illustrazioni
nel testo, non firmate, per ragioni stilistiche non ci sembra
possano essere attribuite a Mario Barberis.
47 - Ampia documentazione iconografica è reperibile
in www.cartantica.it/pages/Barberis.asp#, compreso il frontespizio
di un calendarietto Pro Missioni Apostoliche Francescane per
l’anno 1952.
48 - VITTORIO DA CEVA, Messaggieri del Vangelo… Sguardo
storico alle Missioni estere dei FF.MM. Cappuccini, Roma,
Segretariato delle Missioni, [1952], p. 11
49 - Ivi, p. 12.
50 - Ivi, p. 17.
51 - Ivi, pp. 21, 45.
52 - Ivi, p. 49.
53 - Ivi, p. 71.
54 - Ivi, p. 97.
55 - Ivi, p. 53.
56 - Noteremo per inciso che l’unica tavola che, oltre
a recare la consueta firma per esteso, indica anche luogo
e anno di realizzazione è il ritratto del cardinale
Ignazio Persico (1823-1895), eseguito da Mario Barberis nel
1952 a Roma (ivi, p. 83).
57 - Ivi, p. 33.
58 - Ivi, p. 79.
59 - Ivi, p. 75.
60 - Ivi, p. 25.
61 - Ivi, p. 29. Analoga inquadratura viene scelta anche per
il ritratto di padre Martino da Cochem (ivi, p. 37).
62 - Ivi, p. 41.
63 - Ivi, p. 61.
64 - Ivi, pp. 63, 89.
65 - Ivi, pp. 86, 110.
66 - Ivi, p. 128.
67 - M. BARBERIS, La Donna vestita di sole, Perugia, Edizioni
Frate Indovino, 1954.
68 - ANTONIO DA STIGLIANO, Nobiltà eroica. Note biografiche
di p Gioacchino La Lomia da Canicattì, Missionario
Apostolico cappuccino, Canicattì, Convento dei Padri
Cappuccini, 1955. L’opera verrà ristampata nel
1978 e nel 2004.
69 - Ivi, pp. 19,23.
70 - Ivi, pp. 61,69.
71 - Ivi, pp. 86, 92, 104
72 - Ivi, p. 141.
La scena è illustrata a p. 125. Nella ristampa del
2004 la copertina di Mario Barberis è stata espunta.
73 - D. DALLARI, Breve storia del francescanesimo. Sviluppo
dei Tre Ordini, Torino, Berruti, 1957; S. 74 - CULTRERA, San
Francesco d’Assisi Patrono d’Italia, Roma, Il
Massaia, s.d.
75 - A. CAPANNA , Mario Barberis, in «Strenna dei Romanisti»,
XXI, 1961, pp. 177-179.
76 - A. SILLI, Un artista cristiano. Mario Barberis, in «Arte
Cristiana», XLVIII, 11, novembre 1960, pp. 259-262
Foto fornite da Cartantica
Dello stesso Autore:
Per ulteriori informazioni vedere:
Per ulteriori immagini vedere anche:
|