Rubriche di
Patrizia Fontana Roca

COLLABORAZIONI

 

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“PIANO Z” ATTACCO A PEARL HARBOUR

 

 

Il 7 dicembre 2021 ricorrerà l’ottantesimo anniversario dell’attacco giapponese a Pearl Harbour che diede inizio  ad un conflitto molto sanguinoso fra il Giappone e gli Stati Uniti d’America. Questa aggressione faceva parte di un piano  generale elaborato dal Quartier Generale imperiale che prevedeva oltre l’attacco alla base navale americana di Pearl Harbour, anche sbarchi nelle Filippine, nelle Indie Olandesi, la conquista della Malesia con l‘importante base di Sigapore, l’invasione della Birmania e della Nuova Guinea e di numerose isole e atolli strategicamente importanti.

Il 26 novembre 1941, la flotta nipponica destinata ad attaccare Pearl Harbor salpò in gran segreto dal Giappone diretta verso la base americana. Essa era composta da 6 portaerei, 2 corazzate, 3 incrociatori, 11 cacciatorpediniere, vari e sommergibili e alcune navi di appoggio.  La flotta era al comando del vice-Ammiraglio Nagumo.  

Mentre la flotta si dirigeva verso il suo obiettivo, a Washington continuavano i negoziati tra il Giappone e gli Stati Uniti per tentare di ottenere mano libera per il Giappone in Asia.

Se quelle conversazioni avessero inaspettatamente avuto successo, l’attacco alla base navale americana non ci sarebbe stato e Nagumo aveva l’ordine di invertire la rotta. Ma, purtroppo, ciò non si verificò perché i negoziati non andarono a buon fine.


Mentre la flotta si avvicinava a Pearl Harbour, gli americani non si attendevano un attacco nemico, anche se alcuni avvertimenti vi erano stati, ma non furono presi nella dovuta considerazione, sia dall’Ammiraglio Kimmel, comandante della flotta del Pacifico, che dal Gen. Short, comandante dell’esercito nelle Hawai, come per esempio il dispaccio inviato dai Capi di Stato Maggiori della Marina e dell’Esercito, alla fine di novembre 1941, in cui si avvisava delle probabili intenzioni ostili  giapponesi e l’affondamento di un sommergibile “sconosciuto” da parte Ct Word, che avvenne vicino all’entrata della base americana.

Il 2 dicembre 1941 l’Ammiraglio Yamamoto, comandante in capo della flotta nipponica, comunicò al Vice Amm. Nagumo la frase “Scalate il monte Niitaka”, frase convenzionale per indicare che l’attacco alla base americana doveva aver luogo. Di conseguenza, aumentando la velocità, la flotta nipponica si diresse verso Pearl Harbour mantenendo però un silenzio totale, per non essere intercettati dagli americani.

 

 

 



Alle ore 6,00 del 7 dicembre 1941 si levò in volo la prima ondata di 183 velivoli che, al comando del Cap. Fuchida era stata lanciata dalle 6 portaerei di Nagumo. Essa era composta da 40 aereosiluranti, 49 bombardieri, 51 bombardieri in picchiata e 43 Caccia 0, i quali arrivarono presso la costa settentrionale di “Oahu”, isola delle Hawai dov’era la base di Pearl Harbour, alle ore 7,49, iniziando a dividersi, per piombare sugli obiettivi stabiliti: la rada di Pearl Harbour e gli aereoporti di Hicham, Wheeler, Kanehohe e Ewa.

Fuchida, convinto che la sorpresa era riuscita, lanciò alle ore 7,53 la nave ammiraglia di Nagumo (la portaerei Akagi) il famoso segnale: “Tora, tora tora".

Quella mattina erano presenti nel porto 94 unità, tra cui 8 grandi corazzate ma non le portaerei che avrebbero dovuto essere i principali bersagli. Su tutte le navi si stava per officiare l’alza-bandiera e le cerimonie religiose (era domenica), quando, improvvisamente, gli aerei cominciarono a lanciare bombe e siluri tra l’incredulità generale e per alcuni minuti molti americani della base credettero di assistere ad una realistica esercitazione.


Il primo allarme diramato da Pearl Harbour verso il mondo esterno fu quello trasmesso alle ore 7,58 dal C. Amm. Bellinger che informò Washington dell’attacco.

Due minuti più tardi il Comandante Murphy inviò un messaggio rimasto famoso a tutte le forze in mare: ”Attacco aereo contro Pearl Harbour, non è un’esercitazione”.

 

 

 



Mentre gli americani cercavano di correre ai ripari, gli aerei attaccanti colpirono con diversi siluri e bombe molte navi presenti in rada, accanendosi soprattutto, contro le corazzate e i centri di comando.

Verso le 8,30 la prima ondata d’attacco nipponica esaurì la sua missione e manovrò per rientrare a bordo della portaerei, con soltanto 9 aerei perduti.

Nel frattempo, una seconda ondata dì attacco, composta da 167 aerei al comando del Cap. Shimazaki, giunse su Oahu alle 8,40, iniziando la sua incursione. Gli obiettivi di questa seconda ondata erano nel seguente ordine di importanza: le piste di aviazione, le installazioni militari e le navi da guerra. Tra queste ultime fu la corazzata Nevada che fu fortemente colpita e dovette, per evitare di affondare, arenarsi presso l’uscita del porto.

Alle ore 9,55, esattamente due ore dopo l’inizio dell’attacco, l’ultimo aereo nipponico lasciò il cielo di Pearl Harbour per rientrare sulle portaerei, che nel frattempo si erano avvicinate di più a Oahu. Un terzo attacco aereo voluto tenacemente da molti ufficiali nipponici, fu bocciato da Nagumo che diede l’ordine di ritornare in Patria.

Per il Giappone, il costo dell’attacco a Pearl Harbour fu di 29 aerei perduti, di 5 sottomarini tascabili e la morte di 55 piloti e 9 uomini d’equipaggio dei sottomarini tascabili.

 



Il bilancio dell’attacco a Pearl Harbour per gli americani fu molto grave. Furono affondate gravemente danneggiate 18 navi: perdute per sempre le corazzate Arizona, Okhahoma e la nave-bersaglio Utah e le altre 15 furono molto danneggiate, tanto che per alcune le riparazioni durarono anni.

Sui  campi d’aviazione furono distrutti 188 aerei e danneggiati circa 1\60. I campi più duramente colpiti, furono quelli di Kanehohe e Ewa.
I morti americani in tutto furono 2403, di cui quasi a metà causati dallo scoppio dell’Arizona.

Tutta la nazione americana fu colpita profondamente dall’attacco ed esso sollevò nell’opinione pubblica un unanime risentimento contro il nemico e una forte volontà di vendetta.

Il giorno seguente, 8 dicembre 1941, alle ore 13,00, il presidente Roosevelt nell’aula del Congresso pronunciò uno storico discorso, bollando il 7 dicembre 1941 come “il giorno dell’infamia”, proclamando lo stato di guerra con l’impero giapponese.

Una lunga e sanguinosa guerra stava per iniziare e sarebbe terminata con le esplosioni atomiche di Hiroshima e Nagasaki.

 

 

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