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COLLABORAZIONI
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PIEMONTESI IN FAMA DI SANTITA’
Questa sezione nasce per risollevare dall’oblio eterno
delle meritevoli e significative figure piemontesi, che la
pietà popolare considera in fama di santità.
Per la gran parte di essi non fu mai avviato un regolare processo
di canonizzazione, almeno come lo si intende oggi. La presente
non vuole sostituirsi al giudizio della Chiesa circa l’effettiva
santità dei personaggi elencati.
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SERVA DI DIO MARIA GIUSEPPINA DI GESU' (LUISA CIPOLLINI D'ALTO E CAPRAUNA)
Albenga, Savona, 1880 - Torino, 21 giugno 1917
La collina torinese pullula di incliti modelli di santità
femminile: Amedea Vercellone, Anna Michelotti, Maria degli
Angeli, Maria Clotilde di Savoia, Maria Consolata Betrone,
Maria Teresa e Maria Adelaide d’Asburgo, Maria Vittoria
Dal Pozzo della Cisterna, Odile Serra, Rosalia Sismonda, Teresa
Miniotti ed infine, non perchè di minor importanza,
Suor Maria Giuseppina di Gesù (al secolo Luisa Maria
Benedetta Cepollini d’Alto e Caprauna), grande mistica,
di nobili origini, religiosa della Congregazione dell’Adorazione
Perpetua del Sacro Cuore, fondata in Francia a Lione nel 1820
dalla giovane religiosa Madre Giovanna Francesca (al secolo
Carolina Boudet Choussy de Grandpré) e dal missionario
Padre Leonardo Furnion.
Nata ad Albenga, in provincia di Savona, dal conte Accelino
Ceppolini e Carolina dei marchesi Corsidi, Luisa ricevette
un accurata educazione e ben presto rivelò un’innata
predisposizione alla vita ascetica. La sua pietà e
la sua disciplina la resero esemplare sin dalla fanciullezza,
durante le scuole elementari frequentate in Albenga e poi
dai 10 ai 18 anni di età presso il neonato Istituto
torinese delle Suore dell’Adorazione Perpetua del Sacro
Cuore, a quel tempo appena giunte nella Villa Schenone, oggi
in viale Curreno 21, sulla collina torinese.
Il 21 giugno 1894 Luisa ottenette di potersi iscrivere alla
Pia Unione delle Figlie di Maria e finalmente il giovedì
santo del 1897, nel corso dell’adorazione notturna,
sentì germogliare in lei la divina vocazione ad entrare
fra le suore adoratrici. Manifestò allora il suo vivo
desiderio ai genitori, ma questi preferirono attendere per
sottoporla all’esame di ecclesiastici di loro fiducia,
onde accertarsi della veridicità della vocazione della
loro figliola. Il 9 aprile 1900 finalmente entrò nell’istituto
di Torino, ma iniziarono per lei anni di continui trasferimenti,
fattore che non mutò però mai la sua esemplarità
di vita: l’11 giugno 1900 passò al noviziato
di Lione, ove l’8 dicembre ebbe luogo la sua vestizione
religiosa ed il 31 maggio 1902 emise i voti temporanei, poi
dopo una breve parentesi atorinese nel 1903 nuovamente a Lione,
sugellando il suo persorso formativo nel settembre 1905 con
i voti perpetui. Con la professione religiosa assunse il nome
di Suor Maria Giuseppina di Gesù.
A causa delle leggi eversive della Francia, il noviziato venne
trasferito per due anni a Torino e proprio a Suor Maria Giuseppina
fu affidata la formazione delle aspiranti religiose, prima
con l’ufficio e poi anche con la qualifica di maestra,
incarico al quale attese sempre con grande zelo, dimostrando
mirabilmente il suo attaccamento ed il suo amore verso la
Regola e concretizzando ciò nella fedele osservanza.
Suo scopo era inculcare nelle ragazze la fedeltà alla
vocazione ricevuta, l’osservanza anche nelle più
piccole cose, uno spirito di fervore e di unione con Dio,
nonchè curare con premura veramente materna tanto la
formazione spirituale quanto la salute delle candidate alla
vita religiosa.
Tuttavia, come talvolta accade in ambito ecclesiastico, Suor
Maria Giuseppina si ritrovò suo malgrado in contrasto
con alcune consorelle in aperto disappunto con la sua rigida
disciplina e la sua totale fedeltà allo spirito dell’istituto.
Di comune accordo con la superiora generale, ella non condivideva
infatti le nuove tendenze secolarizzatrici e si oppose all’invio
delle giovani fresche di noviziato nelle case laicizzate.
Ai vertici dell’istituto prevaleva però una differente
mentalità e Suor Maria Giuseppina fu allora destinata
ad altro incarico e trasferita a Brescia. Qui, accanto alle
consorelle che ammiravano le sue virtù, trovò
anche purtroppo chi non mancò di farla assai soffrire
sia fisicamente che moralmente. L’eccessiva severità
nei suoi confronti ed il sopraggiungere di una grave infermità
segnarono il suo triste destino: trasferitasi un’ultima
volta a Torino, spirò il 21 giugno 1917 in età
ancora giovane.
Circondata da fama di santità, le sue spoglie trovarono
degna sepoltura nella splendida chiesa dell’Istituto
Adorazione di Torino, ma in seguito ai bombardament della
Seconda Guerra Mondiale furono traslate nella cappella interna
ai nuovi edifici del complesso religioso. Trent’anni
dopo la Curia Arcivescovile di Torino diede inizio alla fase
diocesana della causa di beatificazione, i cui atti furo trasmessi
a Roma presso la Congregazione per le Cause dei Santi, che
il 5 luglio 1966 emanò il decreto sugli scritti della
Serva di Dio Maria Giuseppina di Gesù. Da allora la
causa attende nuovo slancio in vista del centenario della
morte di questa piccola grande religiosa.
PENSIERI DELLA SERVA DI DIO
- Tutta la storia dell’anima mia si riassume nella
parola “Gesù”.
- La croce produce sempre l’amore quando la si porta
con fede e speranza.
- La vita di una Adoratrice è di aspirare l’adorazione
e di respirare l’apostolato.
- Il solo ufficio che mi spetta è quello di servire
e di passare, di non fermarmi mai a nulla e di amare sempre
più.
- Dio è sempre per noi ciò che lo crediamo.
Se sappiamo credere in Lui, non potrà ingannare la
nostra confidenza.
- Sono una creatura ben piccola, ma il mio cuore si sente
più grande del mondo. Non trova riposo che in una preghiera
cattolica, in un’offerta totale di tutta me stessa perchè
si estenda il regno di Cristo, per gl’interessi della
Sua gloria e per le anime.
- Per ora la mia vita è un’adorazione attiva,
adorazione di obbedienza e abnegazione, adorazione al sudore
della fronte ma in un modo o nell’altro, tanto quaggiù
che lassù, l’adoratore è sempre l’Amore.
- Amare un’anima, come Gesù l’ama, è
volere che Dio trovi in essa la sua gloria, è non cercare
altra contentezza che di vedere Dio contento in lei.
PREGHIERA
O Dio che hai arricchito di tante elettissime
grazie
l’anima di Suor Maria Giuseppina di Gesù,
facendone un modello di umiltà, do fortezza e di carità,
concedi a noi di imitarne le virtù,
specialmente il suo figliale abbandono alla tua Provvidenza,
il suo grande amore al Verbo Incarnato,
la sua profonda adorazione alla tua Maestà.
Glorifica, se ti piace, la tua umile Adoratrice:
concedi a Lei di giovare a tutte le anime che invocano il
suo aiuto
e a noi di sperimentare l’efficacia della sua intercessione
presso il tuo trono.
Amen.
Per maggiori informazioni e relazioni di grazie ricevute rivolgersi
a:
Istituto Adorazione
Viale Curreno Giacomo 21 - 10133 Torino
Tel. 0116602802
suore@adorazione.it
oppure:
Istituto Adorazione
Via Pineta Sacchetti 231 - 00168 Roma
Tel. 063053162
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CANONICO FRANCESCO BONO, SACERDOTE
E FONDATORE DELLE SUORE DEL SANTO NATALE
Sommariva Bosco, Cuneo, 1 luglio 1834 – Torino, 4 gennaio
1914
Francesco Bono nacque a Sommariva Bosco (CN) il 1° luglio
1834. Ordinato sacerdote il 18 giugno 1859, perfezionò
la sua formazione pastorale alla scuola di San Giuseppe Cafasso,
di cui egli stesso si definì in una lettera al Beato
Allamano: “uno dei più affezionati discepoli”.
Il 12 aprile 1890 fu nominato Vicario di Santa Maria di Pozzo
Strada, parrocchia alla periferia di Torino, che risentiva
degli squilibri apportati dal processo di industrializzazione
con segente immigrazione, i quali ricadevano soprattutto sui
piccoli. Scriveva Don Bono: “Stringeva il cuore nel
vedere tanti poveri fanciulli girovagare quasi affatto abbandonati
ed esposti a tutti i pericoli...”. Da questo cuore di
padre, e per rispondere alle necessità dei poveri e
dei piccoli soli, scaturì la Congregazione delle Suore
del Santo Natale. Cofondatrice e prima superiora generale
fu Madre Natalina Cavagnero. Il Canonico Francesco Bono morì
il 4 gennaio 1914. I loro resti riposano oggi nella chiesa
della Casa Madre in Torino.
PREGHIERA
O Signore, ti ringraziamo per aver suscitato nella tua Chiesa
il Can. Francesco Bono sacerdote fedele, pastore zelante e
sensibile ai bisogni dei poveri, fondatore di una famiglia
religiosa che, consacrata al mistero del tuo Natale, annuncia
la tua salvezza.
Ascolta la nostra preghiera, degnati di glorificare il tuo
servo qui in terra e, per sua intercessione, concedici la
grazia che, fiduciosi, ti chiediamo.
Per immagini e relazioni di grazie, rivolgersi a:
Suore del Santo Natale
Corso Francia, 164
10145 Torino (Italia)
Tel. 011.74.04.60
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MADRE NATALINA CAVAGNERO, COFONDATRICE DELLE SUORE DEL SANTO NATALE
Asti, 11 maggio 1858 – Torino, 13 giugno 1951
Madre Natalina Cavagnero collaborò il Canonico Francesco
Bono alla fondazione delle Suore del Santo Natale di Torino.
Fu religiosa umile e generosa. Le sue spoglie riposando nella
Cappella della Casa Madre in Corso Francia 164 a Torino.
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ROSINA FERRO, TERZIARIA DOEMNICANA, VEGGENTE, STIGMATIZZATA
Villareggio, Torino, 14 maggio 1851 – Torino, 19 febbraio
1912
Rosina Ferro, nata a Villareggio (TO) nel 1851, era la domestica
del parroco di un paesino vicino. All'età di 24 anni
Rosina ebbe il privilegio di ricevere le apparizioni della
Madonna. La giovane vide al margine della strada la “Madre
dei dolori” silenziosa e circondata dagli Angeli. Per
tutto il mese di luglio e agosto, la vide alle ore 15, sempre
allo stesso posto. Tempo dopo, Rosina ricevette le sante Stigmate
e soffrì ogni venerdì la Passione di Gesù
Cristo, Nostro Signore. La sua vita fu assai travagliata e
dovette più volte trasferirsi. Ebbe anche modo di incontrare
Papa Pio IX. Infine si stabilì a Torino. Entrò
tra le Figlie di Maria, tra i terziari francescani e domenicani.
Morì abbandonata da tutti in una stanzetta in centro
a Torino nei pressi del Santuario della Consolata. Dopo il
suo decesso il suo corpo mortale tornò miracolosamente
giovane, come le era stato predetto in una delle numerose
apparizioni. La sua salma riposa oggi nel Cimitero Monumentale
di Torino. Fu raccolto tutto il materiale e le testimonianze
necessarie per avviare la sua causa di canonizzazione ed il
tutto fu inviato a Roma. Alla sua memoria fu scritta la biografia:
“Leggenda medioevale in pieno secolo decimonono e vigesimo
ossia cenni biografici di Rosina Ferro da Villareggio”.
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ALESSANDRO DA CEVA, EREMITA CAMALDOLESE
Garessio, Cuneo, 13 gennaio 1538 – Pecetto, Torino,
16 ottobre 1612
Ascanio nacque il 13 gennaio 1538 nel castello di Garessio,
terzogenito di Giovanni Pallavicino e Caterina Scarampi, marchesi
di Ceva e consignori di Garessio e di Ormea. Il primogenito
Giorgi,o uomo di consumata bontà e morigeratezza, fu
consigliere del duca Vittorio Amedeo I di Savoia; il secondogenito,
Pompeo, vestì in giovanissima età l’abito
di frate minore conventuale e si distinse per la sua bontò
e l’integerrima dottrina. Il marchese Giovanni, loro
padre, scorgendo in Ascanio un’indole eccellente ed
una propensione particolare allo studio, lo affidò
dunque alle saggie cure dell’abate Galbiate da Pontremoli,
poi vescovo di Ventimiglia. Terminati gli studi teologici,
per la sua esemplare condotta ed i suoi rari talenti a Roma
colpì l’attenzione del cardinale Alessandro Crivelli,
che lo nominò suo segretario.
Mantenne questo incarico per dieci anni, ma il suo amore per
la solitudine lo spinse a rinunciare alle grandezze del mondo
e chiese di poter passare alla vita religiosa tra i seguaci
di San Romualdo. Non gli fu però semplice convincere
il cardinale a rinunciare ad un così prezioso collaboratore,
ma infine poté finalmente stabilirsi nell’abbazia
di Camaldoli in Toscana. Ascanio vestì l’abito
camaldolese ed asunse il nome religioso di Alessandro. Emise
la professione solenne il 1° novembre 1571 e, per la santità
dei costumi, per la prudenza e la dottrina, nel 1592 fu nominato
procuratore generale dell’ordine ed inviato a Roma per
affari riguardanti il romitaggio di Camaldoli. Nella Città
Eterna fu ben accolto da Papa Clemente VIII, che da cardinale
era molto amico del Crivelli, già suo principale.
I camaldolesi si erano diffusi anche in Piemonte grazie a
San Giovanni Vincenzo, fondatore della celebre Sacra di San
Michele. Nel 1596 Fra’ Alessandro fu eletto priore del
monastero camaldolese di Santa Maria di Pozzo Strada in Torino,
con piena facoltà di ampliarlo ed eventualmente erigerne
di nuovi. Entrò dunque in relazione con l’allora
arcivescovo torinese, monsignor Carlo Broglia, il quale lo
presentò al duca Carlo Emmanuele I di Savoia. Il sovrano
non tardò a conoscerne i distinti meriti e specialmente
la sua eminente pietà. Lo scelse quale suo confessore
e gli propose l’edificazione di un nuovo eremo.
Questo progetto dovette però essere rimandato a tempi
migliori, a causa della terribile peste che colpì Torino.
Chiamò allora Padre Alessandro ad assistere gli appestati
della capitale, che non mancò di dar prova di tanta
carità ed abnegazione di se stesso. Da tutti fu infatti
considerato come un angelo consolatore loro concesso dalla
provvidenza divina. Fece ergere un altare in mezzo alla contrada
di Dora Grossa, odierna Via Garibaldi, ove celebrava messa
con grande edificazione dei desolati cittadini. Il terribile
flagello della peste commosse l’animo religioso del
duca sabaudo, che fece voto solenne di ergere il progettato
eremo se il suo popolo fosse stato liberato dalla grave pestilenza.
Questa cessò e Carlo Emanuele ordinò allora
al suo ambasciatore a Roma, il conte di Verrua, di ottenere
dal Santo Padre il breve di erezione del nuovo eremo facente
capo a Padre Alessandro. Si scelse uno dei punti più
alti della collina torinese, nei pressi di Pecetto, ed il
sito fu visitato dallo stesso duca, dall’arcivescovo
Broglia e dall’ingegnere Ascanio Vitozzi. Il 21 luglio
1602 si pose la prima pietra di quella chiesa, alla presenza
del duca e dei principi reali suoi figli. Stabilito finalmente
l’eremo, ne fu sempre confermato ogni triennio priore
proprio Padre Alessandro. Il sovrano ne apprezzò sempre
più i meriti e lo propose per le sedi episcopali di
Saluzzo, Ivrea e Tarantasia, ma l’umile religioso rifiutò
ripetutamente tali offerte ed addirittura avrebbe voluto rimettere
l’incarico di confessore di Sua Altezza.
Padre Alessandro fu anche fondatore di altri due eremi in
terra piemontese: quello di Lanzo e quella di Belmonte presso
Busca nel cuneese. Fu amico dei suoi contemporanei papa Paolo
V e San Francesco di Sales. Non poche volte fu sorpreso in
estasi.
Alessandro, ormai carico d’anni ma anche di meriti,
morì in concetto di santità nell’eremo
di Pecetto il 16 ottobre 1612, ove fu sepolto il suo corpo
innanzi all’altar maggiore, poi ritrovato incorrotto
trent’anni dopo la sua morte. Ai suoi funerali prese
parte anche il duca, che fece scortare il feretro da un gran
numero di cavalieri. Continuarono a verificarsi miracoli che
già non erano mancati quando era ancora in vita. Nella
sua città natale, nella cappella dell’Assunta
il Beato Alessandro figura con gli altri tre santi garessini.
Le sue spoglie mortali sono state recentemente traslate nella
chiesa parrocchiale di Pecetto, vista l’incuria che
ha travolto l’antico eremo.
Il Menologio Camaldolese lo commemora quale “beato”
al 6 ottobre, ma il suo culto non ha ancora ricevuto conferma
ufficiale da parte della Chiesa.
Le strutture eremitiche da lui fondate in Piemonte furono
pozzi di nuova fiorente santità e si segnalano in particolare
presso Torino i venerabili Apollinare Chioma (27 gennaio),
Franceschino Garberi (1° febbraio), Tito de Presbyteris
(9 febbraio), Ignazio Carelli (10 aprile), Onofrio Natta (21
maggio), Massimo Soria (24 maggio), Gioacchino Tubassi (25
maggio), Basilio Nicolis de Robilant (12 luglio), Mauro da
Sabina (20 luglio), Benedetto Pettinai (18 agosto), Carlo
Amedeo Botti (19 agosto), Clemente Per lasco (27 agosto),
Giovanni Grisostomo Chieppi (24 settembre), Massimino Chariers
(12 ottobre), Bonifacio Scozia (18 novembre), Prospero Magliano
(1° dicembre) e Pietro Vacca (27 dicembre), mentre altri
due venerabili morirono invece presso l’eremo di Belmonte
presso Busca nel cuneese: Giovanni Chiotassi (17 settembre)
e Bernardino Milano (23 novembre).
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LUIGI CAPPA, LAICO
Cavallermaggiore, Cuneo, 28 aprile 1852 – 28 marzo 1929
In Piemonte non mancano i modelli di santità laicale,
tra i quali tre mirabili esempi per i lavoratori cristiani:
il “ferroviere santo” Paolo Pio Perazzo, il “ciabattino
santo” Giovanni Antonio Panighetti ed il “carradore
santo” Luigi Cappa.
Quest’ultimo nacque a Cavallermaggiore, nel cuneese,
in Borgata Foresto il 28 aprile 1852. Originario di una famiglia
di contadini, ricevette il bateesimo nella parrocchia di Santa
Maria della Pieve. Sin dalla più tenera età
la madre gli inculcò una viva avversione al peccato,
tanto che il piccolo Luigi all’età di soli quattro
anni arrivò a supplicarla affinché pregasse
Dio di volerlo al più presto accogliere in Paradiso.
Da adolescente fu un fedele chierichetto ed amava recarsi
da solo in chiesa per la pratica della Via Crucis.
La sua gioventù fu intessuta di preghiera e lavoro.
Apprese il mestiere di fabbro per onorare San Giuseppe Artigiano
e propiziarsi la sua protezione. Il suo tempo libero lo trascorreva
nella preghiera e nella lettura di libri religiosi, che resero
la sua fede salda e profonda. Ebbe molta cura di conservare
la castità, nonostante potesse risultare difficile
a quell’età. Prestò servizio militare
nella caserma dell’Arsenale di Gaeta, sopportando gli
insulti e le derisioni dei compagni per la sua fedele frequenza
alla Chiesa, ma loro medesimi ed i superiori ebbero infine
nei suoi confronti speciali dimostrazioni di stima.
Grazie ai consigli materni, Luigi riuscì a trovare
una compagna di vita che condividesse i suoi stessi ideali.
Da questo matrimonio nacquero ben otto figli, tra i quali
due suore. In un primo tempo aprì una bottega da carradore
a Foresto, poi a Savigliano, sempre nel cuneese. Su insistenza
però dei suoi compaesani, che tanto stimavano la sua
operosità ed la sua onestà, fece ritorno a Cavallermaggiore
in un officina di proprietà della Confraternita di
San Bernardino. I confratelli stessi prestarono dei carri
per il trasloco degli attrezzi del mestiere. Un amico volle
poi offrire all’intera famiglia Cappa il viaggio per
l’America, ove avrebbero sicuramente potuto avere maggiore
fortuna, ma Luigi rifiutò, timoroso che nel nuovo continente
gli venisse a mancare la sua attiva vita ecclesiale e convinto
che la sua migliore fortuna fosse salvarsi l’anima.
Egli era infatti solito ad entrare per primo ogni mattina
in chiesa dopo il suono dell’Ave Maria. Quotidianamente
ascoltava la Santa Messa e nella vecchiaia quotidianamente
si accostava anche all’Eucaristia. Durante il suo lavoro
non era cosa rara vederlo muovere le labbra in preghiera,
cantare lodi ed inni sacri, ed egli desiderava che anche i
suoi operai lo aiutassero nel lodare Dio. Tutti i venerdì,
al suono delle campane nell’ora della morte di Gesù,
sospendeva il lavoro per ritirarsi in preghiera. Anche al
passaggio del Santo Viatico faceva sospendere il lavoro per
adorarlo sulla soglia della propria bottega. Dopo la recita
serale del Rosario, in famiglia, talvolta trascorreva ancora
ore ed ore in ginocchio. Parecchie volte fu sorpreso dalla
moglie nella notte inginocchiato accanto al letto in preghiera.
L’officina di Luigi Cappa divenne un vero e proprio
centro di apostolato in particolare per gli operai ed i giovani.
Con forza e persuasione rimproverava ogni parola meno riverente,
inculcava la preghiera, vigilava la frequenza al catechismo
ed alle funzioni da parte dei suoi garzoni e chiudeva in anticipo
la bottega per farli partecipare alle prediche serali. Egli
fu inoltre un vero predicatore delle stalle, ove si recava
con alcuni suoi bambini per esporre loro varie narrazioni,
spesso tratte dalle vite dei santi che amava leggere nel tempo
libero. Esercitò il suo apostolato anche nella confraternita
suddetta e nelle associazioni cattoliche. Talvolta si trovò
a contatto cn dei moribondi che preparò a compiere
con fede il grande passo. Prestò gratuitamente la sua
opera nei lavori per l’edificazione della nuova chiesa
e nelle diverse iniziative dell’oratorio parrocchiale.
Estese il suo apostolato anche fra gli altri artigiani della
città, instaurando fra loro un vincolo di cristiana
solidarietà e la vevozione a San Giuseppe loro patrono,
con una Messa celebrata al suo altare appositamente per loro.
Essendo terziario francescano, proprio come il Venerabile
Paolo Pio Perazzo, pose a norma della sua vita gli statuti
ed i regolamenti del Terz’Ordine. Nelle lettere che
scrisse ebbe sempre parole edificanti e di incitamento al
bene. Alle figlie suore raccomandava di farsi sante, asserendo
di desiderare in prima persona la santità, pur ribadendo
sovente di essere un misero peccatore bisognos della preghiera
altrui. Nelle lettere del doloroso dopoguerra pianse amaramente
le aberrazioni del socialismo e per gli insulti alla religione
chiese ripetutamente atti di riparazione. Il suo cuore era
infatti martoriato per le numerose bestemmie che udiva contro
Gesù, il suo “Grande Genero” come amava
definirlo, e scrisse numerose preghiere che avrebbe desiderato
poter distribuire in migliaia di copie.
Durante i sei mesi dell’ultima malattia si abbandonò
ad una santa rassegnazione fatta di preghiera quasi continua,
offrendo a Dio le sue grandi sofferenze per la conversione
dei peccatori ed in suffragio delle anime del Purgatorio.
Era confortato dall’aver esercitato lo stesso mestiere
di Gesù. Spirò infine nel pomeriggio del 28
marzo 1929, Giovedì Santo, e fu sepolto due giorni
dopo. L’artigiano incaricato di scolpire l’iscrizione
posta sulla sua tomba, non avendo conosciuto il defunto chiese
notizie sul suo conto ai conoscenti e raccolse la voce del
popolo con queste parole: “Cappa Luigi – Modello
di cristiana virtù”. La sua prima biografia fu
intitolata “Un modello degli Operai”. Dunque un
grande esempio di santità laicale più che mai
valido nel mondo contemporaneo, alla luce degli insegnamenti
del Concilio Vaticano II e del recente Convegno Ecclesiale
di Verona.
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GIOVANNI ANTONIO PANIGHETTI, LAICO
Varzo, Novara, 11 giugno 1739 – Moncalieri, Torino,
18 febbraio 1785
Giovanni Antonio Panighetti, insieme con altri due laici
piemontesi, Paolo Pio Perazzo e Luigi Cappa, costituisce un
singolare quanto valido modello per i lavoratori cristiani.
Nacque l’11 giugno 1739 a Varzo, nel novarese, in frazione
Durogna, detta anche localmente Luvrogna. La sua casa natale
esiste ancora oggi ed è una stanza in un cortile interno
di Durogna, senza però indicazione alcuna. La sua era
una famiglia di pii ed onesti contadini e, malgrado le cure
sagge dell’ottima madre, la giovinezza di Giovanni Antonio
si contraddistinse per la svogliatezza e la futilità.
Si lasciò sedurre da un compagno a fuggire di casa
e poi iniziò a trascorrere nell’ozio le sue giornate.
Finalmente però un giorno decise di imitare l’esempio
di vita austera condotta dalla madre ed imparò a fare
il ciabattino, mestiere di famiglia.
Trasferitosi poi a Torino, sposò Margherita Cuniberti,
originaria di Govone, fantesca del conte Salasco. La nuova
coppia si stabilì in Valsalice, sulla collina torinese
ed iniziò a girare per i colli e le valli in cerca
di lavoro, siccome a quel tempo le riparazioni si effettuavano
presso le case e le scarpe consistevano solitamente in poveri
zoccoli di legno. Divenne così famoso anche agli occhi
dei nobili delle ville di Moncalieri e tro0vando in questo
antico borgo parecchie occasioni di lavoro, nel 1765 vi si
stabilì con la famiglia nei pressi della chiesa parrocchiale
di Sant’Egidio. Giuseppe Lombardo, fraterno amico del
Panighetti, gli cedette una casupola nella contrada del grano,
presso Porta Navina. La moglie si rivelò però
ben presto la sua nuova croce: era avvenente e vanitosa, goodereccia
e superficiale, appassionata del ballo.
Diciamo che comunque entrambi i coniugi non spiccavano per
le loro virtù: anche Giovanni Antonio talvolta era
ancora in preda ai vizi giovanili, frequntando osterie e sciupando
i suoi guadagni nel gioco. Dopo la lettura del “Penitente
intruso”, scritto dal Padre Segneri, egli si sentì
trasformato nel suo intimo, fece una confessione generale
e si propose di condure nel futuro una vita sempre più
perfetta. In realtà, già prima della conversione
e del matrimonio il suo desiderio di fuggire dal mondo e consacrarsi
interamente a Dio lo aveva spinto a battere alla porta di
vari conventi, ma non era stato accolto.
Erano ormai nati tre figli e Giovanni Antonio, in comune accordo
con la moglie, si diede alla castità ed in breve tempo
raggiunse un grado eroico anche nelle altre virtù.
Per tenere a freno la moglie, le aprì una bottega di
rivendita, mentre a Moncalieri trovò in Don Filiberto
Marucchi, parroco di Sant’Egidio, la sua guida alla
santità. L’umile ciabattino stava piegato sul
piccolo deschetto per mantenere i figli e la moglie spendacciona,
ma anche per confezionare zoccoli per i poveri. Sopra la sua
testa teneva un cartello: “Chi opera qualcosa che non
sia fatto per puro e netto amor di Dio è un ingrato
e non merita di vivere”. Era solito salutare tutti dicendo
“Sia lodato Gesù Cristo”.
Questi suoi atteggiamenti, ritenuti da qualcuno eccessivi,
scatenarono nei suoi confronti sarcasmo e violenza, ma la
sua costanza fu premiata dalla santa morte della moglie nel
1780, mentre la sua fama di santità dilagava ormai
anche fuori Moncalieri. La Venerabile Maria Clotilde, regina
di Sardegna, che nutriva nei suoi confronti una profonda venerazione,
lo mandava achiamare per ottenere da lui saggi consigli, mentre
la principessa Maria Carolina di Savoia si prese cura di Maddalena,
figlia del Panighetti. Il santo ciabattino passava di villa
in villa, richesto dal Cardinal Vittorio Amedeo delle Lanze,
dal marchese di Cravanzana, dalla contessa Salmatoris e molti
altri.
Operai laboriosissimo, distribuiva i suoi guadagni tra la
famigli ed i poveri, santificava la festa assistendo a tutte
le funzioni parrocchiali e praticando altre forme devozionali.
La sua bottege era ornata di immagini sacre e vi risuonavano
continue preghiere, ma tra le sue devozioni la più
amata era la compassione a Gesù Crocifisso, che gli
faceva versare copiose lacrime nelle frequenti Vie Crucis
e nel venerare la Sindone durante l’ostensione del 1775.
In questa occasione, la folla vide riverberarsi nei geniti
e nelle preghiere di quest’umile operaio la Passione
del Signore. Ma se il popolo già lo considerava santo,
egli non si riconosceva che peccatore ed infliggeva al suo
corpo aspre penitenze.
Il 1° ottobre 1783, rincasando dai suoi giri, Giovanni
Antonio fu colto da un violento temporale: fu dunque costretto
a letto e, dopo oltre un anno di sofferenze, spirò
in pace il 18 febbraio 1785. Il cordoglio fu generale, nelle
esequie si manifestò la gratitudine di tutti coloro
che avevano beneficiato della sua bontà ed il defunto
fu ricoperto dalla coltre funebre che già era servita
per il sovrano Carlo Emanuele III di Savoia.
Il “ciabattino santo di Moncalieri”, come ormai
era comunemente conosciuto, fu sepolto in Sant’Egidio
nella tomba della famiglia Salmatoris, ove ancora oggi è
oggetto di venerazione. Varzo, suo paese natale, con un pò
di sano campalinismo ne rivendica le origini e per tramandarne
la memoria gli ha dedicato la piazza antistante la chiesa
parrocchiale. Il suo ultimo discendente, ormai ottuagenario,
viveva ancora in valle Anzasca nel 1999, con una somiglianza
straordinaria ai ritratti conosciuti. Il Vaudagnotti testimoniò
in una sua opera: “Anche a Varzo, almeno nella frazione
Durogna, le famiglie ne serbano in capo al letto l’incisione
e lo chiamano tutt’ora “il beato Panighetti”.
In realtà il titolo di “beato” non è
ancora stato ufficialmente confermato dalla Chiesa, nonostante
gli venga tributato da tempo immemorabile, ma ben lo meriterebbe
soprattutto oggi che la società tende a dissociare
i valori cristiani dal mondo del lavoro, dimenticando invece
l’universalità della chiamata di Cristo alla
santità.
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DOMENICA ACTIS ALESINA, LAICA
Vallo di Caluso, Torino, 1 novembre 1856 – 29 ottobre
1917
Il Concilio Vaticano II ed il recente Convegno Ecclesiale
di Verona hanno rivalutato il ruolo dei fedeli laici nella
vita della Chiesa ed in tale direzione si colloca l’apertura
di numerose cause di canonizzazione relative a significative
figure del mondo laicale come la Serva di Dio oggetto della
presente.
Domenica Actis Alesina, chiamata in piemontese Minchin, nacque
a Vallo di Caluso, nel Canavese, il 1° novembre 1856 da
una famiglia di poveri contadini. Sin dalla più tenera
età si rivelo una bambina piissima e crebbe sana ed
operosa sino all’età di diciott’anni. Fu
poi colta da un male isterioso, terribile e ribelle ad ogni
cura tentata, iniziando così un lungo e dolorosissimo
calvario che si protrasse per ben quarantatrè anni,
sino alla morte avvenuta nel suo paese natale il 29 ottobre
1917.
In mezzo alle indicibili sofferenze fisiche e morali che la
straziarono senza tregua, essa non si lasciò mai sfuggire
un lamento o attegiamenti di impazienza, trovando addirittura
la forza di mostrarsi sempre a tutti sorridente e confortare
le pene altrui. San Giovanni Bosco, che la visitò agli
inizi della sua malattia, commentò: “Questa inferma
sta diventando una gran santa”.
La sua vita fu dunque una continua “preghiera”
che la unì a Dio ed un’incessante “sofferenza”
con cui poté immolarsi per la conversione dei peccatori,
conformemente al desiderio espresso dalla Madonna nelle celebri
apparizzioni nella grotta di Lourdes.
Schiere innumerevoli di persone di ogni condizione sociale
giunsero pellegrine anche da lontano per incontrare la santina
di Vallo nella sua casa, gremendo il cortile in lunghe ore
di attesa per attendere il proprio turno. Questi fedeli speravano,
non invano, di rivevere da Minchin parole di consiglio e di
conforto, nonché preghiera fautrice di miracoli.
Era solita non accettare offerte, se non dopo parecchie insistenze
e comunque solo per servirsene in soccorso delle molte miserie
che le venivano confidate. Minchin infatti visse e morì
poverissima. I suoi funerali furono un trionfo indescrivibile
e numerose persone giunsero da lontano per parteciparvi. La
sua tomba a Vallo di Caluso è tutt’ora meta di
devoti pellegrinaggi e luogo di ffiduciose preghiere.
PREGHIERA PER LA BEATIFICAZIONE:
O Signore, umilmente prostrati dinnanzi alla Tua Divina Maestà,
noi Ti eleviamo la nostra ardente invocazione,
perchè voglia concedere alla tua Serva fedele
Actis Alesina Domenica l’aureola dei Beati.
La glorificazione sua renderà ancor più splendente
il volto della tua mistica Sposa la Chiesa
e sarà per molti monito e incitamento a praticare la
virtù.
Signore, esaudisci la nostra preghiera.
- Per maggiori informazioni:
Parrocchia San Grato Vescovo
Vallo di Caluso (TO)
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ROSA GOVONE TERZIARIA DOMENICANA
Mondovì, 26 novembre 1716 - Torino, 28 febbraio 1776
Filantropa. Donna piemontese nota per il suo animo molto
generoso, nel 1742 aprì la sua casa ad alcune ragazze
orfane o di famiglie molto povere e ad alcune ragazze di strada
e le istruì al lavoro avviandole alla fede cristiana.
Dopo il suo trasferimento a Torino, con l'aiuto di Carlo Emanuele
III, fondò un istituto molto importante (1755) in quella
città e poi altri nei dintorni. Le ragazze che decidevano
di unirsi alla comunità erano dette le "rosine",
dal nome della fondatrice, non erano tenute a fare voti religiosi
ed erano completamente libere.
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MARIA BRUNERI, RIFORMATRICE DELLE ORSOLINE DI TORINO, STIGMATIZZATA
Torino, 5 settembre 1881 – 14 gennaio 1948
Maria Bruneri nacque a Torino il 5 settembre 1881 in una
famiglia profondamente cristiana. Nella sua giovinezza si
distinse per le croci che dovette portare, ma anche per la
traboccante grazia che la animò, sempre tutta tesa
verso Dio. Giovanissima consacrò il suo cuore al Signore
con il voto di castità. Ciò fu per lei nient’altro
che una sorta di preparazione all’opera cui Dio l’aveva
chiamata: la fondazione in Torino della Compagnia di Santa
Orsola, figlie di Sant’Angela Merici. Maria divenne
così madre di uno stuolo di vergini consacrate e grazie
al suo mirabile impegno la famiglia religiosa si organizzò
e si espanse nell’archidiocesi torinese.
Parlò, insegnò, spronò al bene dando
sempre in prima persona il buon esempio con costanza, convinzione
e trascinando il prosimo nella sua fede. Si spense infine
nel capoluogo piemontese il 14 gennaio 1948, serbando in cuore
la pace dei giusti e con la gioia di aver posto la sua vita
al servizio del prossimo. I sacri resti di Madre Maria Bruneri
vennero tumulati nella cappella di Casa Sant’Angela
in Torino, ove ancora oggi riposano circondati dall’affetto
e dalla venerazione delle sue figlie spirituali, nell’attesa
che un giorno la Serva di Dio possa essere proposta quale
modello dalla Chiesa.
Degni di nota sono i brevi versi riportati dal santino realizzato
per promuovere il suo ricordo: Anima fiammante, intelligente,
affabile, generosa, unile, accettò con spirito di fede
e di amore “come dono di Dio” responsabilità,
dolore, lavoro. Bruciò silenziosamente nell’ombra,
consumandosi in un lungo “Amen” di adorazione
e di olocausto per la Chiesa e per le anime nella scia di
Sant’Angela Merici.
SUOI PENSIERI
- “Nella croce è la mia gioia”.
- “Il Buon Dio mi nasconde nell’umiliazione: è
il tesoro più grande che abbia ricevuto”.
- “Signore, dammi la volontà del sorriso a oltranza!”.
- “Signore, non ho più cuore: me lo hai rubato
Tu!”.
Per maggiori informazioni rivolgersi a:
Figlie Di Sant’Angela Merici
Via Casalis Goffredo, 36
10143 Torino (TO)
Tel. 0117495419
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MARGHERITA TUNINETTI. SOSTITUTA ORSOLINA
Polonghera, Torino, 26 maggio 1881 – 6 settembre 1933
Margherita Tuninetti nacque a Polonghera, nel torinese, il
26 maggio 1881. Figlia dei campi, si rivelò però
tersa quanto l’azzurro dei suoi splendidi cieli. Grazie
alla fondatrice, Madre Maria Bruneri, conobbe la Compagnia
di Santa Orsola, le Figlie di Sant’Angela Merici, e
vi entrò il 28 novembre 1920, sentendosi quanto mai
impegnata nell’apostolato per correre così sulla
via del Cristo. La superiora e le consorelle la lasciavano
agire abbastanza autonomamente, in quanto la loro Regola era
improntata principalmente sullo “spingere” piuttosto
che sul “trattenere”.
La sua vita fu intessuta di assiduo lavoro e di intensa preghiera,
tutto ciò sempre in silenzio ed accompagnato da un
amabile sorriso. La sua attività non doveva essere
encomiata che dal suo Signore. Questi infatti dimostrò
alla sua serva la sua benedizione, chiamandola ad un’intensa
vita di unione, di fusione con il suo Sacratissimo Cuore che
a lei parlò e si rivelò come già aveva
fatto con Santa Margherita Alacoque. La religiosa morì
infine il 6 settembre 1933, ancor prima della fondatrice,
prima santa della sua comunità religiosa.
I sacri resti di Margherita Tuninetti vennero tumulati nella
cappella di Casa Sant’Angela in Torino, ove ancora oggi
riposano circondati dall’affetto e dalla venerazione
delle sue consorelle, nell’attesa che un giorno la Serva
di Dio possa essere proposta quale modello dalla Chiesa.
Degni di nota sono i brevi versi riportati dal santino realizzato
per promuovere il suo ricordo: Il Concilio Ecumenico Vaticano
II, animato da volontà di rinnovamento interiore, servizio
di carità apostolica in mezzo al mondo, approva in
lei interiorità e testimonianza di fede che spira preghiera,
grazia che fiorisce in virtù, zelo amichevole che diventa
dialogo efficace all’insegna di Sant’Angela Merici.
SUOI PENSIERI
- “Come sono belli e cari, o Gesù, i tuoi segreti
con le anime che vengono a chiederti amore!”.
- “Lavoro sempre conversando con Gesù. Così
le ore del giorno e della notte trascorrono veloci e sereni,
pieni di luce, coraggio, amore”.
Per maggiori informazioni rivolgersi a:
Figlie Di Sant’Angela Merici
Via Casalis Goffredo, 36
10143 Torino (TO)
Tel. 0117495419
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VENERABILE GIOVANI BATTISTA RUBINO,
FONDATORE DELLE SUORE OBLATE DI SAN LUIGI GONZAGA
Giovanni Battista Rubino nacque a La Morra, in provincia di Cuneo, il 12 febbraio 1776. Frequentò le scuole prima del paese di cui il padre era sindaco e poi al Real Collegio di Alba. Proprio ad Alba entrò in seminario ma i suoi studi furono più volte interrotti. Visse infatti anch’egli i tempi dolorosi del dominio napoleonico in Italia, che provocò la persecuzione contro la Chiesa e l’arresto di Papa Pio VII, con un conseguente momentaneo sbandamento del clero e dei fedeli. In tale contesto, a causa dei rivoluzionari francesi il seminario fu chiuso per ben cinque volte, ma pur in mezzo alle molteplici prove il Rubino poté essere ordinato sacerdote il 9 Marzo 1799.
Dotato di fede solida e profonda, il novello presbitero costituì un saldo punto di riferimento per molti in questo periodo di degrado morale e spirituale. Si dedicò particolarmente alla formazione dei giovani. Intuendo la necessità di un’azione diretta, scese in campo affiancandosi al Venerabile Pio Brunone Lanteri, con il quale si adoperò per la liberazione del pontefice Pio VII, prigionieri dei francesi, ed a lui portarono aiuti in Liguria. I due santi sacerdoti piemontesi si attivarono inoltre per la rianimazione del clero, arginando e combattendo le idee eretiche dilaganti a quel tempo.
Nel 1814, tornata la pace, mentre il Congresso di Vienna si stabiliva un nuovo ordine politico per le nazioni europee sconvolte da anni di rivoluzioni, Don Rubino fece ritorno al suo paese natale per proseguire la sua missione. Maestro insegnò nelle scuole, sacerdote condusse le anime sulle strade di Dio. Intenzionato inoltre a fondare un ordine di suore avente l’unico scopo della preghiera continua per la pace, nel 1815 fondò le Suore Oblate di San Luigi Gonzaga con il particolare scopo di educare la gioventù abbandonata, curare gli infermi ed ottenere da Dio con le loro opere e sacrifici la pace per tutti i popoli, tutto ciò in piena obbedienza alla Chiesa ed in comunione con il Papa, i Vescovi ed i Parroci.
Per tutta la sua vita ebbe sempre grande influenza su di lui il rapporto di profonda amicizia spirituale con il suddetto Padre Pio Brunone Lanteri, fondatore degli Oblati di Maria Vergine ed anch’egli originario della cosiddetta “Provincia Granda”.
Giovanni Battista Rubino morì nel paese natio l’11 febbraio 1853, senza poter certamente immaginare che la sua opera si sarebbe diffusa, seppur nella sua piccolezza, fuori della Diocesi di Alba ed addirittura all’estero. Due cose gli furono però ben certe, come recita anche il santino in suo ricordo: “che l’ideale più cattolico è promuovere la gloria di Dio mediante la salvezza delle anime e che nell’essere minimi si attira su di sè il sorriso dell’Onnipotente. Le sue spoglie mortali furono traslate nel 1953 nella casa delle Luigine presso La Morra. Papa Giovanni Paolo II lo dichiarò “venerabile” il 13 giugno 1992.
FOTO DA http://www.inchiostrofresco.it/blog/2015/02/12/bicentenario-suore-oblate-di-san-luigi-gonzaga/
- dello stesso Autore:
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