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COLLABORAZIONI
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L E P A N T O
La Battaglia di Lepanto di Paolo Veronese
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ANTEFATTO
Quando nel 632 Maometto morì fra le braccia di Aisha la prediletta fra le mogli, la religione da lui predicata era circoscritta alla Penisola Arabica ed in altre piccole zone del Medio Oriente, ma ben presto conobbe una espansione vertiginosa grazie soprattutto alla messa in pratica del concetto di “guerra santa”, mezzo che garantiva a chi vi partecipava la sicurezza della salvezza eterna e l’accesso in Paradiso.
La guerra diventava e diventa tuttora un rito quasi religioso, i soldati musulmani diventavano eroi pronti a qualsiasi azione ed a qualsiasi sacrificio, la morte sul campo di battaglia significava e significa tuttora il premio supremo.
Questo spiega la rapida e sconcertante diffusione dell’islamismo nel mondo con la forza delle armi, ma anche che ciò fu reso possibile grazie al sostegno di un’organizzazione ineccepibile, copiata in parte da quella che regolava l’esercito bizantino e quello persiano.
Grazie a tutto ciò, in breve tempo gli arabi strapparono all’impero bizantino l’Egitto, la Siria, la Palestina ed all’impero persiano la Mesopotamia.
Sotto il califfo OTHMAN tutta l’Africa del Nord e tutto l’impero persiano furono conquistati, ma fu proprio in questo momento di maggiore espansione che si aprì all’interno dell’Islam una grave crisi politica che portò, oltre che ad un momentaneo arresto dell’espansionismo, anche all’uccisione dello stesso Othman in seguito ad una congiura ordita da ALI’, nipote di Maometto, e successivamente dopo vari scontri, alla divisione in due fazioni dei seguaci del Profeta.
Sconfitto, Alì e i suoi seguaci (sciiti) si ritirarono in Iraq separandosi dalla maggioranza dei musulmani ortodossi (sunniti), i quali riconobbero come nuovo califfo MU’WIJA, fondatore della dinastia Ommayyade.
Superata questa difficoltà, sotto questa dinastia l’Islam che ora aveva come capitale Damasco riprese la sua avanzata verso tre direzioni :
- in Asia Minore e verso Costantinopoli.
- In Africa ( Maghreb ) e in Spagna strappata ai visigoti
al principio dell’VIII sec.
- Verso l’Asia centrale e l’India fermandosi però
di fronte all’ostacolo insormontabile dell’impero
cinese.
Ricapitolando, le cause di questa prorompente espansione vanno individuate nell’entusiasmo religioso, nella necessità di dare sfogo all’aumento delle popolazioni arabe ed infine nella debolezza degli imperi bizantino e persiano, quasi sempre in conflitto fra loro.
Nei territori conquistati il dominio arabo fu esercitato in modo abbastanza blando: confische e forti imposizioni fiscali colpirono solo le popolazioni o i soggetti che avevano opposto resistenza agli eserciti islamici; i non musulmani (cristiani ed ebrei) potevano restare indisturbati dietro pagamento di una tassa personale.
Dopo avervi provato più volte senza successo, finalmente il 29 maggio 1453 MAOMETTO II, Sultano Ottomano turco, conquistò Costantinopoli, subito ribattezzata Istanbul, determinando di fatto la fine dell’impero bizantino e consolidando in modo definitivo la civiltà islamica ottomana. |
Maometto II |
Conquistata Costantinopoli, gli ottomani, dopo un breve periodo di stallo all’inizio del XVI secolo sotto la guida di SOLIMANO IL MAGNIFICO, ripresero l’iniziativa e giunsero addirittura fino al cuore dell’Europa: nel 1521 conquistarono Belgrado, nel 1526 sconfissero nella battaglia di Mohacs il re d’Ungheria e di Boemia LUIGI II JAGELLONE, che morì in combattimento, poi risalendo il Danubio nel 1529 attaccarono Vienna che però resistette all’assedio.
In poche parole l’impero ottomano raggiunse il suo apogeo durante il regno di Solimano e la sua potenza non aveva nulla da invidiare a quella dell’impero cinese oppure a quella dell’impero asburgico.
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Solimano
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Intanto nelle acque del Mediterraneo imperversava la flotta dei pirati barbareschi guidati da KHAIR-AD-DIN detto Barbarossa, il quale effettuava continue incursioni e razzie lungo le coste italiane e spagnole. In seguito alle sue fortunate imprese fu nominato dal Sultano Ammiraglio della flotta ottomana
La pressione turca sull’Europa continuò anche con il feroce successore di Solimano: SELIM II, il quale volle intraprendere ancora una volta una spedizione militare in grande stile contro gli infedeli: correva l’anno 1570. |
KHAIR –AD – DIN
detto Barbarossa |
LA BATTAGLIA
Mentre era in allestimento una grande flotta, egli mise a
punto con i suoi consiglieri un piano che prevedeva la conquista
dell’isola di Cipro, dominino veneziano che costituiva
da sempre un ostacolo all’egemonia turca nel Mediterraneo
orientale. Maggior ispiratore del progetto era il visir MUSTAFA’,
colui che qualche anno prima non era riuscito a conquistare
l’isola di Malta e che ora promise al Sultano che quest’isola
non gli sarebbe sfuggita come la precedente.
Conseguentemente in meno che non si dica giunse alla Repubblica
di Venezia la dichiarazione di guerra da parte del Sultano
turco che accusava Venezia di fomentare la pirateria contro
i turchi .
Sbarcato a Cipro, Mustafa’ cinse d’assedio la
capitale Nicosia il 25 luglio e la espugnò il 9 settembre.
Uccisione di Bragadin
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Un più triste destino spettò
alla città di Famagosta che assediata per dieci
lunghi mesi alla fine a corto di cibo e di soldati dovette
arrendersi.
Il suo comandante, il valoroso MARCANTONIO BRAGADIN, che aveva avuto da parte di Mustafà
garanzie di immunità per Lui e la popolazione,
venne invece catturato, arrestato e torturato ed alla
fine scuoiato vivo sulla piazza del mercato.
Insieme a lui furono trucidati un certo numero di nobili
cavalieri.
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Questo orrendo episodio ben presto noto in Europa,
però non fece altro che allarmare i Re cristiani
e soprattutto Papa PIO V, il quale pensò
di dar vita ad una LEGA SANTA, che
venne annunciata il 25 maggio 1571, durante una solenne
cerimonia nella basilica di San Pietro.
Ad essa aderirono il regno di Spagna, la repubblica
di Venezia, lo Stato Pontificio, le repubbliche di Genova
e di Lucca, i Cavalieri di Malta, i Farnese di Parma,
i Gonzaga di Mantova, gli Estensi di Ferrara, i Della
Rovere di Urbino, il duca di Savoia, il granduca di
Toscana.
Le spese furono divise in sei parti: tre a carico della
Spagna, due di Venezia ed una del Papa.
Comandante in capo della flotta cristiana
e del contingente spagnolo fu nominato il figlio naturale
di Carlo V, DON GIOVANNI D’AUSTRIA che era anche fratellastro del re di Spagna FILIPPO
II.
Successivamente fu stabilito che
il luogo di ritrovo della flotta cristiana fosse lo
stretto di Messina.
Mentre tutto questo avveniva la flotta turca al comando
dell’ammiraglio ALI’ non dava tregua a Venezia. Molte isole veneziane venivano
attaccate e saccheggiate con la speranza che tali
incursioni avrebbero costretto Venezia ad inviare
galee in soccorso e così facendo, la si costringeva
ad inviarne di meno al ritrovo di Messina.
Furono
saccheggiate tra le altre l’isola di Corfù,
di Zante e di Cefalonia, uccise migliaia di persone,
catturate decine di migliaia di uomini e donne giovani
il cui destino era quello di essere venduti come schiavi
nei mercati delle città africane e per gli
uomini più robusti di essere utilizzati come
rematori nelle galee.
Dietro ordine di Selim la flotta turca si portò
nella base navale di Lepanto in una piccola baia tra
il golfo di Corinto e quello di Patrasso, per approvvigionarsi
sia di materiali che di soldati e rimanere in attesa
di ordini.
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Papa Pio V |
Don Giovanni d'Austria |
Nella tarda estate del 1571 era ormai chiaro a tutti
che Alì avrebbe svernato a Lepanto. La minaccia
era evidente: l’anno successivo, non soltanto Venezia
e Roma ma anche il regno di Napoli e la Sicilia sarebbero
stati a tiro dell’immensa flotta turca e del
suo esercito.
Stando così le cose, il 16 settembre 1571 dopo
un consiglio di guerra, Don Giovanni comunicò
a tutti i comandanti della flotta la sua decisione
di combattere ed andare a stanare la flotta turca.
La flotta cristiana salpò lo stesso 16 settembre
dirigendosi verso Corfù, avendo le navi esploratrici
confermato che la flotta nemica era nei pressi del
golfo di Lepanto, e ivi entrò il 27 settembre.
Intanto i turchi, informati dalle loro spie disseminate nella
zona, vennero a conoscenza dell’avvicinarsi della flotta
cristiana e misero in allarme tutta la flotta e i soldati
in essa imbarcati.
Il 5 ottobre la flotta della Lega Santa fu costretta a fermarsi
a causa della nebbia e del forte vento nel porto di Visacando
– non lontano dal luogo ove si svolse la battaglia di
Azio – e anche non molto lontano da dove era la flotta
nemica.
Il giorno dopo le navi salparono velocemente verso Lepanto
da cui nel frattempo, nella notte tra il 6 ed il 7 ottobre,
la flotta turca era uscita dirigendosi verso Patrasso, pronta
allo scontro decisivo con i cristiani. Finalmente domenica
7 ottobre 1571 le due flotte si avvistarono: stava per iniziare
una battaglia epica, uno scontro di civiltà che avrebbe
determinato in modo definitivo chi sarebbe stato il dominatore
del Mediterraneo negli anni a venire.
Sebastiano Venier
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La flotta cristiana composta da
195 navi fu fatta schierare da Giovanni d’Austria
in una formazione a croce, al centro della quale si
pose lo stesso Giovanni d’Austria con 64 galee.
La sua nave ammiraglia era la Real.
Al suo fianco si pose quella del veneziano Sebastiano
Venier mentre l'ammiraglia pontificia era comandata
dal principe romano Marcantonio Colonna.
Sull’ammiraglia di Savoia il conte Provana di
Lejni e su quella di Genova Ettore Spinola.
Due galeazze furono poste davanti al centro della flotta.
L’ala sinistra venne affidata
principalmente ai veneziani sotto il comando di Agostino
Barbarigo. Al lato più estremo si pose Marcantonio
Quercini. Davanti alle galee veneziane furono posizionate
due galeazze al comando di Antonio e Ambrogio Bragadin,
parenti del senatore scorticato vivo
All’ala destra si schierarono galee e combattenti
di diverse nazionalità, sotto il comando del
genovese Gian Andrea Doria.
Erano presenti anche molti volontari tra cui Alessandro
Farnese, il francese Carillon e l’inglese sir
Thomas Stukeley. Anche qui due galeazze veneziane furono
collocate davanti alla flotta.
La retroguardia venne posta sotto il comando di Santa
Cruz con tre galee dei Cavalieri di Malta.
A sua volta la flotta turca con 274 navi da guerra
si dispose a mezzaluna. Il centro turco, al comando
diretto di Mehmet Alì, era costituito da 96 galee.
Di fronte ai veneziani era Muhammad Sauluk detto anche
Maometto Scirocco, governatore dell’Egitto, con
56 galee.
Il pirata rinnegato Occhialì (Uluj Alì), con 63 galee e galeotte era di fronte a Gian Andrea
Doria, mentre una forte riserva comandata da Amurat
Dragut era dietro la linea delle galee turche.
Sull’ammiraglia Alì fece issare e sventolare
il vessillo verde del Profeta, su cui era scritto 28.900
volte a caratteri d’oro il nome di Allah.
La flotta cristiana con un abile manovra bloccò
l’ingresso del golfo di Lepanto e i musulmani
obbedendo ad un ordine del sultano accettarono la battaglia.
Mentre le due flotte si stavano avvicinando per combattersi,
improvvisamente il vento che fino ad allora aveva favorito
i turchi, cambiò direzione agevolando la flotta
cristiana che con le vele gonfiate velocemente si avvicinò
al nemico.
Questo improvviso cambio di vento dalla totalità
dei cristiani fu interpretato come un intervento divino. Caso molto raro nelle battaglie navali, le due navi ammiraglie
stavano puntando direttamente l’una contro l’altra.
Il primo sparo che diede inizio alla battaglia, partì
dalla nave ammiraglia Real, che velocemente e coraggiosamente
puntò verso la nave di Alì, quasi in una sfida
personale.
Le ammiraglie si urtarono violentemente; lo sperone
della Sultana (l’ammiraglia di Alì) penetrò
nel castello di prua della Real mentre il picco dell’ammiraglia
di Don Giovanni si conficcò fra il sartiame di quella
di Alì
I turchi sotto un fuoco micidiale si lanciarono
in massa all’arrembaggio della Real ma furono trattenuti
da un ostacolo che non conosceva: le reti anti –
arrembaggio.
Allora furono i cristiani che balzarono all’arrembaggio
della Sultana dando vita a sanguinosi scontri.
I due ammiragli
combatterono anch’essi: Don Giovanni fu ferito ad una
gamba ma Alì ebbe un destino più crudele; infatti
mentre scoccava frecce contro i nemici fu colpito alla fronte
da una pallottola di archibugio e morì.
Un soldato cristiano in un attimo gli fu addosso e gli tagliò
la testa infilzandola sulla sua piccola alabarda portandola
di corsa al Quartier Generale della Real che la fece issare
in alto in modo che tutti potessero vederla.
Questa improvvisa apparizione demoralizzò i turchi
e la Sultana fu rapidamente sopraffatta, il verde vessillo
della Mecca venne ammainato ed al suo posto fu issata la bandiera
pontificia.
Mentre tutto questo avveniva, le navi di Maometto Scirocco
posizionate di fronte a quelle veneziane scatenarono un violento
attacco riuscendo addirittura ad aggirarle e metterle in seria
difficoltà. Il comandante Barbarigo ferito ad un occhio,
fu costretto a cedere il comando a Federico Nani. La situazione
per le navi veneziane si stava facendo tragica (già
più di sei erano affondate e molte altre erano state
danneggiate), quando sulle navi turche una gran massa di rematori
cristiani si ammutinarono ed al segnale dei capi del complotto
arrivarono alle spalle dei turchi che stavano combattendo. |
Marcantonio Colonna |
Agostino Barbarigo |
Gian Andrea Doria
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Uluji Ali - Occhiali
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La sollevazione dei rematori delle galee diede il colpo di
grazia ai turchi facendo in modo che fossero respinti e che
i veneziani prendessero il sopravvento. Maometto Scirocco
rimase ucciso durante un corpo a corpo ed il suo cadavere
galleggiante sul mare fu riconosciuto e come successe per
Alì ebbe tagliata la testa che fu issata in alto ad
un pennone. A tale vista i turchi già in difficoltà
si persero d’animo e cominciarono a ritirarsi: la battaglia
lungo l’ala sinistra era vinta!
All’ala destra Occhialì e Gian Andrea Doria intanto
stavano manovrando per trovarsi in posizione di vantaggio.
Il Doria spostò le sue galee verso destra per fermare
i turchi lasciando però aperto un varco tra il centro
e l’ala destra.
Giovanni d’Austria ordinò al Doria di
ricompattare lo schieramento, ma Occhialì fu
veloce ad infilarsi nel varco aperto aggredendo da dietro
la Capitana, la nave ammiraglia dei Cavalieri di Malta,
al cui comando era Pietro Giustiniani priore dell’Ordine. La nave fu circondata e catturata e catturati furono
pure il vessillo dei Cavalieri di Malta e lo stesso
Giustiniani che era stato ferito ben sette volte.
Per
fortuna accortosi della grave situazione in cui si trovava
il Doria, in suo aiuto accorse l’ammiraglio Santa
Cruz che raggiunta la Capitana l’abbordò
e dopo un violento combattimento la riconquistò.
Occhialì fu costretto ad abbandonare la preda
fuggendo velocemente verso Costantinopoli portando con
sé però il vessillo dei Cavalieri di Malta
Alle quattro del pomeriggio i Turchi erano completamente
sconfitti e i pochi superstiti si ritirarono verso l’interno
del golfo.
Il bilancio finale delle perdite fu spaventoso: i turchi
ebbero 80 galee e 27 galeotte affondate, 130 catturate,
circa 30.000 uomini uccisi e più di 8.000 fatti
prigionieri.
Vennero inoltre liberati 15.000 schiavi cristiani che
erano incatenati alle galee. Anche per i cristiani la
vittoria fu sanguinosa: 15 galee furono affondate e
molte altre danneggiate, circa 8000 uomini morirono
e altrettanti furono feriti, tra i quali Miguel De Cervantes
il futuro autore del Don Chisciotte.
Felice per la grande vittoria delle armi cristiane,
Pio V stabilì che il 7 ottobre fosse un
giorno festivo consacrato a S. Maria delle Vittorie.
Grazie a questa vittoria, il Mediterraneo fu liberato
dalla presenza dell’Islam e l’Europa evitò
di cadere sotto il dominio degli Ottomani.
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Miguel de Cervantes
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Foto fornite da Cartantica
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dello stesso Autore:
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