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PICCOLI MARTIRI
I SANTI INNOCENTI
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.... Dopo aver adorato il Divino Bambino,
i Magi, che avevano promesso ad Erode di avvertirlo se avessero
trovato il piccolo Re,
ebbero una visione celeste che li convinse a cambiare strada
per ritornare ai loro paesi ed essi, obbedienti, per altre
strade si avviarono verso i loro regni.
Sembra che questi santi Re siano stati
battezzati dall'Apostolo San Tommaso e, ordinati poi vescovi,
lo aiutassero nella sua predicazione.
Non si sa bene se
finirono martirizzati o no, ma si ritiene che morissero
in una città dell'Arabia e che i loro corpi fossero
poi stati trasportati a Milano, nella Basilica di Sant'Eustorgio,
dove le loro spoglie rimasero fino alla distruzione della
città da parte del Barbarossa; egli infatti, le donò
alla città di Colonia, dove tuttora sono conservate
nella chiesa di s. Pietro.
Verso il 1904, in cambio di reliquie
di s. Ambrogio, il Cardinal Ferrari potè ottenere
la restituzione di alcune di esse.
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Ritornando alla loro vita, il re Erode,
intanto, non vedendo tornare i tre re, capì che era
inutile attenderli oltre e la sua ira si scatenò
furibonda e delirante.
Come poteva essere sicuro di trovare
il picolo Re, già così potente da farsi precedere
da una stella e da far venire da lontano dei grandi sapienti?
Decise quindi di uccidere tutti i bimbi
sotto i 2 anni e inviò soldati a Betlemme. Essi entrarono
in città colpendo a morte tutti i bambini piccoli,
che diedero la vita per Gesù prima che Lui la desse
per loro.
Gesù, intanto, era già in
salvo: un angelo aveva avvertito in sogno Giuseppe di fuggire
in Egitto e di rimanervi finchè il pericolo non fosse
passato. |
SANTO STEFANO
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Santo Stefano fu il primo dei martiri che
diedero la vita per il Cristianesimo.
Apparteneva alla prima comunità cristiana creatasi
a Gerusalemme, in cui i beni venivano messi in comune e
servivano poi al sostentamento dei fedeli, mentre il resto
veniva distribuito ai poveri.
Egli svolgeva questo compito
insieme ad altri sei Diaconi consacrati direttamente dagli
Apostoli che non potevano seguire personalmente ogni cosa.
Stefano compiva con impegno questo incarico e in più
non mancava occasione per predicare la Parola di Dio, ispirato
e fervente, cercando di convincere gli ebrei, ostinatamente
radicati nell'Antico Testamento, che con Gesù Cristo
era giunta la Buona Novella.
Ma essi, furenti, lo catturarono
e lo fecero condannare alla lapidazione dal Sinedrio. Mentre
andava al supplizio, Stefano, che non aveva perso la sua
serenità, continuava a consigliar loro di convertirsi
e, benchè morente, ebbe la forza di pregare Dio affinchè
accogliesse il suo spirito e perdonasse loro d'averlo messo
a morte.
Negli Atti degli Apostoli, san Luca sottolinea
la presenza tra gli altri del giovane Saulo, persecutore
di cristiani, che presto, convertito per opera divina, diventerà
l'Apostolo delle genti. |
SAN TARCISIO
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Nel
258 d.C. una moltitudine di persone, in piccoli gruppi,
si recava nel cimitero di san Callisto perchè questo
Santo Papa, fin da quando era diacono della Chiesa di Roma,
ne aveva avuto la custodia dal Pontefice san Zeffirino il
quale, dopo essere stato martirizzato sotto l'imperatore
Eliogabalo, vi era stato sepolto.
Dopo Zeffirino, al soglio
di Pietro era salito Callisto, ucciso nel 219 sotto Alessandro
Severo, sepolto nel cimitero di Calepodio, sulla via Aurelia,
insieme ad altri corpi di cristiani, il cui nome veniva
inciso sulle tombe che racchiudevano i corpi santi ed anche
una ampollina col sangue raccolto durante il supplizio.
Dunque, i fedeli riuniti attorno al Papa
Sisto II, entravano nelle catacombe per pregare e per le
celebrazioni liturgiche comuni, nonchè per ricordare
i fratelli rinchiusi nelle carceri e in attesa di essere
mandati a morte. Il Pontefice li informò che molti
di essi si trovavano presso il Carcere Mamertino e che all'indomani
sarebbero stati dati in pasto alle belve; poi, pregando
per essi, chiese se qualcuno fosse disposto a portar loro,
senza dare nell'occhio, l'Ostia consacrata per l'ultima
comunione.
Molti si fecero avanti, ma quello che
realmente voleva assumersi questo impegno, era un giovanetto
di 14 anni, Tarcisio. Cercò con veemenza di dimostrare
al Papa che la sua giovane età avrebbe confuso le
acque e non avrebbe fatto sospettare che lui portasse il
Corpo di Cristo. |
Nonostante le obiezioni del Papa, egli
insistette, assicurando che si sarebbe rivolto a quelle
guardie di cui conosceva la Fede. Il Pontefice, convinto
dall'ardore del giovinetto, chiuse il Viatico in una teca
d'oro e l'appese al collo del giovinetto che gioioso andò
al suo appuntamento, dirigendosi subito verso il carcere
Tulliano o Mamertino, senza dar retta a nessuno: andava
dritto per la sua strada cercando di preservare su di sè
quel prezioso regalo e quasi difendendolo, incrociò
le mani sul petto.
Quel suo atteggiamento fu notato da varie
persone che subito l'accusarono di essere cristiano e cominciarono
a scagliare delle pietre contro di lui, accerchiandolo e
tempestandolo di pugni e calci, mentre cercavano di fargli
aprire le braccia.
D'un tratto, su di lui s'avventò
la lama d'un cortello che lo colpì a morte e, quando
i suoi persecutori gli si fecero sopra per finirlo e per
strappargli quel tesoro che continuava a serrare coraggiosamente
sul petto, un centurione romano di nome Quadrato, che era
cristiano, mise in fuga quel branco di assalitori, raccolse
il moribondo e lo condusse alle Catacombe dove tentarono
di rianimarlo. Il piccolo Tarcisio era però ormai
morto ma aveva ancora le braccia serrate in croce sul petto
e sull'Ostia e, contento di averla salvata dall'oltraggio,
pareva che sorridesse. |
SAN PANCRAZIO
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Con le mani strette in catene, il giovinetto
che poco prima Diocleziano aveva accolto con segni di amorevolezza verso il figlio del suo amico Cleonio, sorrideva
serenamente. Di quale delitto era accusato?
Cleonio viveva in Frigia ed era morto ancor giovane, affidando
il suo figlioletto Pancrazio al fratello Dionigi che gli aveva
giurato di occuparsene. I due erano pagani ma di buon cuore
ed onesti. Dionigi si occupò del fanciullo a cui erano
passate molte ricchezze e possedimenti anche a Roma, dove
lui e lo zio più tardi si trasferirono, ponendosi sotto
la protezione di Diocleziano.
L'imperatore aveva scatenato contro i cristiani, che si stavano
facendo sempre più numerosi, un' accesa persecuzione.
Dionigi e Pancrazio, con innata bontà, aiutavano poveri
e bisognosi e in una delle loro proprietà si era rifugiato
persino Papa Caio. Saputolo, i due si diressero verso il luogo
dove si trovava, desiderosi di conoscere la verità
ed il Dio che egli adorava. |
Il Pontefice li abbracciò e parlò loro di Gesù;
essi credettero e chiesero il Battesimo che ricevettero dopo
poco. Seguendo il Vangelo, essi donarono le loro ricchezze
ai poveri e liberarono gli schiavi. Dionigi però morì,
lasciando solo il fanciullo, che venne affidato alle cure
del Papa. Il ragazzo, volendo emulare tanti suoi coetanei
che erano morti martiri, si dichiarò apertamente cristiano
e venne imprigionato.
Diocleziano, subito avvertito, convocò Pancrazio alla
sua presenza, per parlargli della sua amicizia verso il padre
e lo zio, pregandolo di sacrificare agli dei. Il fanciullo
però si rifiutò, affermando di essere cristiano
e nè le lusinghe e le promesse di ricchezze e di onori
nè le minacce dell'Imperatore, lo dissuasero dal suo
atteggiamento. Il monarca, allora, decretò la sua morte
sul Campidoglio e mentre andava sul luogo del patibolo, il
fanciullo sorrideva.
A notte, una pia romana, raccolse il corpo del fanciullo
e lo trasportò fuori della Porta Aurelia, dove oggi
è proprio Porta san Pancrazio e lo depose in una tomba
sulla quale venne poi edificata una chiesa che via via nei
secoli diventò sempre più ricca. La testa del
piccolo martire è conservata in S. Giovanni in Laterano.
Romano,
diacono della chiesa di Cesarea, era stato accusato di esortare
i cristiani ad essere fedeli a Dio. Sottoposto a vari tormenti,
tentava di spiegare al Prefetto la bellezza della sua religione,
convincendolo infine a chiamare un bambino innocente, per
domandare a lui da che parte fosse la verità.
Così, il Prefetto fece femare un bimbo di 6 anni di
nome Barulo e sua madre che subito si spaventò, vedendo
le torture a cui era sottoposto Romano. Il Prefetto si avvicinò
al piccolo, chiedendogli chi fosse il vero Dio. e Barulo,
senza esitazioni rispose: "Il Dio dei cristiani!",
guardandosi intorno e professandosi cristiano anche lui. Il
Prefetto lo invitò invece a sacrificare a Giove e il
piccolo rifutò, confermando la sua fede.
Infuriato, il funzionario ordinò ai
suoi uomini di intervenire contro il bimbo, di sospenderlo
in alto e di picchiarlo. Il piccolo corpo venne battuto a
sangue tra lo strazio degli astanti e della mamma che, pur
nell'immensa angoscia, lo incitava a sopportare la pena inflittagli
perchè presto sarebbe stato accanto a Gesù.
Alla fine, il Prefetto decise di punire anche Romano e ordinò
per lui il rogo, mentre destinò Barulo alla decapitazione. |
SAN BARULO
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Romano,
diacono della chiesa di Cesarea, era stato accusato di esortare
i cristiani ad essere fedeli a Dio. Sottoposto a vari tormenti,
tentava di spiegare al Prefetto la bellezza della sua religione,
convincendolo infine a chiamare un bambino innocente, per
domandare a lui da che parte fosse la verità.
Così, il Prefetto fece femare un bimbo di 6 anni di
nome Barulo e sua madre che subito si spaventò, vedendo
le torture a cui era sottoposto Romano. Il Prefetto si avvicinò
al piccolo, chiedendogli chi fosse il vero Dio. e Barulo,
senza esitazioni rispose: "Il Dio dei cristiani!",
guardandosi intorno e professandosi cristiano anche lui. Il
Prefetto lo invitò invece a sacrificare a Giove e il
piccolo rifutò, confermando la sua fede.
Infuriato, il funzionario ordinò ai
suoi uomini di intervenire contro il bimbo, di sospenderlo
in alto e di picchiarlo. Il piccolo corpo venne battuto a
sangue tra lo strazio degli astanti e della mamma che, pur
nell'immensa angoscia, lo incitava a sopportare la pena inflittagli
perchè presto sarebbe stato accanto a Gesù.
Alla fine, il Prefetto decise di punire anche Romano e ordinò
per lui il rogo, mentre destinò Barulo alla decapitazione. |
SANT'AGNESE
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Nel 303 d.C., in mezzo a una gran folla
di una via di Roma, Agnese, una giovinetta di 12 anni avanzava,
accompagnata da una schiava. Aveva una tunica bianca e un
pacco di libri sotto al braccio e tavolette per scrivere,
poichè tornava da scuola.
Dei giovani patrizi la seguirono fino al palazzo di suo
padre, colpiti dalla sua dolcezza, specialmente il giovane
Procopio che innamoratosi a prima vista, decise di sposare
la ragazza e ne parlò col padre, Prefetto della città.
Procopio andò dai genitori della giovane che si rifiutava
categoricamente di sposarlo; essi, ringraziando il Prefetto
dell'onore, dissero che il matrimonio non era possibile
perchè il giovane era pagano ed essi, invece, cristiani.
Poi si ritirarono nella loro villa sulla via Nomentana dove
Agnese passava le giornate a stretto contatto della natura,
ringraziando con tutta la sua anima il suo Dio.
Ma ecco
che un giorno, mentre si trovava là sola, Procopio
le si parò dinanzi per chiederle ancora una volta
di diventare sua sposa; ella, dicendo di essere già
promessa ad un altro ben più potente di lui, rifiutò
ancora energicamente. Il ragazzo se ne andò infuriato
e nei giorni seguenti cercò di distrarsi dal pensiero
di lei, senza riuscirvi. Il padre, allora, gli promise che
avrebbe piegato in ogni modo la ragazza ai suoi voleri. |
Quando Agnese rientrò in città,
venne convocata dal Prefetto che cercò di convincerla
passando dalle blandizie alle minacce; ma ella ancora rifiutò,
affermando che Gesù era lo sposo a cui sarebbe stata
sempre fedele. Il Prefetto le intimò di rinnegarlo
e di adorare gli dei dei romani, altrimenti avrebbe dovuto
subire degli atroci tormenti.
La giovanetta non volle cedere
ed il funzionario la fece quindi spogliare delle vesti e
trascinare per le strade come fosse una prostituta, prima
di condurla alla morte.
Agnese, ricoperta solo dei suoi lunghi
capelli che le ricadevano intorno come uno spesso mantello,
giunse le mani e si affidò a Dio, sopportando le
angherie che stava subendo; lungo la via, alcuni scellerati
volevano avvicinarla ma un angelo con la spada fiammeggiante
scese dal cielo a difenderla ed essi si ritrassero impauriti.
Non così Procopio che tentò di afferrare la
fanciulla e venne trafitto dalla spada dell'angelo, morendo
sul colpo.
Agnese pregò Dio di risparmiarlo e il
giovane tornò in vita, ringraziando il Dio dei cristiani.
La folla si unì a lui mentre i sacerdoti decretarono
la morte della fanciulla sul rogo. Serena, ella si avviò
verso il patibolo, ma le fiamme si allontanarono da lei.
Il Prefetto infuriato decretò che le venisse tagliata
la testa e così fu.
Le sue spoglie vennero sotterrate nella
villa sulla via Nomentana con l'iscrizione "Agne Sanctissima"
e si dice che dopo 8 giorni ella apparve in visione ai suoi
genitori. Venti anni più tardi Costantino Magno andò
ad inginocchiarsi davanti alla sua tomba per ringraziare
la piccola santa di aver guarito sua figlia. |
SANT'EMERENZIANA
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Nelle
catacombe si affollavano i cristiani per seguire le funzioni
e professare la loro fede in Gesù Cristo. Le persecuzioni
contro di essi infuriavano.
Il Papa presenziava la riunione
dei fedeli e dei catecumeni e penitenti e parlò del
passaggio di Gesù sulla terra, dei suoi Apostoli, dei
piccoli martiri che avevano dato la morte per Lui in quei
giorni e nei tempi passati, additandoli come esempio ai presenti
per la loro fede, per la loro fortezza, per l'innocenza.
Tra i catecumeni c'era una bambinetta di 12 anni, Emerenziana,
poveramente vestita ma molto graziosa, che voleva anche lei
essere cristiana, come lo era stata Agnese, la sua sorella
di latte, la sua padroncina, maggiore di lei di un anno, che
le aveva instillato la fede nel Signore e con cui aveva sognato
di andare in Paradiso e che era stata giustiziata per aver
professato la sua fede.
Essa spesso andava a pregare sulla
sua tomba, per affrettare il momento del loro ricongiungimento. |
Dunque, quella mattina, la piccola si avviò verso
quella tomba al cimitero Ostriano e vi pregò a lungo,
ma era stata notata da alcuni pagani pieni di odio contro
i cristiani e che dapprima pensarono di denunziarla ma poi
decisero di farsi giustizia da sè.
Cominciarono dunque
a lanciarle dei sassi ed ella, colpita, cadde; essi seguitarono
con sempre maggior ferocia finchè la piccola, colpita
a morte, capì che stava per lasciare questa terra e,
alzati gli occhi al cielo, si rimise nella mani del suo Signore.
Fu sepolta insieme ad Agnese. |
SAN VENANZIO
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San Venanzio era un giovinetto cristiano
di 15 anni che viveva nella città di Camerino dove
era Prefetto Antioco, nemico giurato dei cristiani che erano perseguitati
ed uccisi con ferocia.
Il ragazzo era uno dei più fervidi
sostenitori della sua fede ed Antioco ordinò quindi
di farlo rinchiudere in prigione e avuta da lui una piena
confessione della sua fede, prima lo blandì cercando
di ricondurlo agli dei pagani, ma al suo rifiuto, lo minacciò
di terribili torture, mentre il ragazzo con grande forza d'animo
continuava a proclamare la sua fedeltà a Cristo.
Il Prefetto ordinò di fustigarlo a sangue senza però
farlo morire, gli vennero strappate le vesti e le sue carni
diventarono livide e sanguinolente, poi venne sottoposto ad
altre innumerevoli torture ed il suo corpo fu tutto una piaga;
così ridotto venne portato in cella dove cominciò
a pregare ardentemente.
Il giorno dopo le sue ferite erano
miracolosamente state sanate ed egli, più fresco di
prima, disse: "Il mio Dio è stato il mio aiuto". |
Venanzio venne ricondotto da Antioco e lui pure stupito ma
furibondo per le nuove attestazioni di fede, lo sottopose
ad altre torture, ma sempre Venanzio veniva sanato, suscitando
con la sua fede e con quei miracolosi interventi divini, nuovi
adepti; anche uno dei suoi carcerieri, Anastasio, si convertì,
venendo subito messo morte.
Il giovane intanto venne condotto davanti ad un altro giudice
a cui parlò della potenza del suo Dio e mentre questi
stava pensando di condannarlo a morte, anch'egli si proclamò
invece nuovo seguace di Cristo, con molti altri presenti.
Infine, Antioco furente per questi atteggiamenti, lo condannò
ad essere portato nell'arena e sbranato dai leoni. Egli sorridente
e calmo si avviò verso l'arena dove però i leoni
gli si gettarono ai piedi come cuccioli.
Il Prefetto rabbioso decise di buttarlo giù da una
rupe ma degli angeli lo sostennero e lo riportarono a Camerino;
di nuovo trascinato su sassi e sterpi, Venanzio si mosse a
compassione dei suoi persecutori e degli astanti che avevano
sete e fece sgorgare una fonte di acqua pura ed essi lo supplicarono
di perdfonarli.
Timoroso di nuove conversioni, Antioco ordinò che gli
venisse tagliata la testa e così fu. La sua uccisione
fu seguita da un intenso terremoto che spaventò Antioco
facendolo fuggire come un pazzo e poco dopo si seppe che era
morto.
Simili portenti si verificarono più
volte nella vita di molti martiri, attestati anche da scrittori
non cristiani.
Il capo mozzato di Venanzio venne onorato nella chiesa innalzata
per lui in Camerino ma più tardi le sue spoglie vennero
traslate in Puglia.
Una bella e antica tradizione affidava i bambini alla protezione
di San Venanzio. Le loro madri appendevano loro al collo una
medaglietta del giovane Santo "Perchè li liberasse
dalle cadute" |
SAN CELSO
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Ha
13 anni Celso, un giovanetto bello e gentile, figlio del Preside
Marciano, ministro dell'Imperatore Massimino che, una mattina,
mentre è a scuola, dove studia con profitto, ode un
clamore salire dalla strada e affacciatosi, vede Giuliano,
un giovane martire condotto al supplizio.
Guardandolo, Celso
si volta verso i compagni dicendo di vedere tante belle cose:
delle persone vestite di bianco che parlano con quel cristiano
e che gli cingono il capo con una corona d'oro tempestata
di pietre preziose.
Vede anche altri 3 esseri che come aquile
si librano su di lui, vegliandolo e confortandolo. Celso afferma
che anche lui vuol essere cristiano e patire come quel giovane!.
I compagni e il maestro ridono di quanto
dice ma egli è fermo nel suo proposito, lascia tutti
e si dirige verso Giuliano, baciandolo e dicendogli di voler
condividere la sua sorte. |
Si confema ancora cristiano davanti
a suo padre che vuole distoglierlo da quest'idea e che lo
supplica, accusando Giuliano di aver convinto il suo ragazzo.
Infine, furioso per il diniego del figlio, fà gettare
i due in una prigione ma appena essi entrano nella cella buia, una luce risplendente li illumina e davanti a questo prodigio
anche i loro carcerieri si convertono e chiedono il Battesimo.
Marciano,su tutte le furie, ordina di rinchiuderli
tutti insieme agli altri martiri che saranno portati tra breve
nell'arena, per esser dati in pasto alla belve o bruciati
vivi, mentre i prigionieri cantano inni e pregano incessantemente.
Celso viene affidato alla madre affinchè lei lo riporti
sulla retta via ma invece anche lei si converte e a questa
notizia, il marito decide di destinare madre e figlio alla
stessa sorte degli altri cristiani, all'arena dove le belve
però si accucciano davanti a loro senza aggredirli.
Di lì a poco, però, tutti i martiri verranno
giustiziati, compresi Celso e sua madre. |
SAN DOMENICHINO DEL VAL
|
Nato a Saragozza nel 1243, da una famiglia
nobile - il padre, che era devoto di San Domenico, era il
Notaio
della Cattedrale - il bimbo cresceva in grazia e bontà
e venne presto ammesso alla schiera dei chierichetti della
Cattedrale.
Nel Giovedì Santo del 1250 nella chiesa
si celebrava la Passione di Cristo e Domenichino, finite le
funzioni, si avviò per tornare a casa, ma in quel periodo
lotte fratricide di religione dividevano i cristiani e i loro
fratelli maggiori, gli ebrei. Un gruppo di israeliti lo rapirono
e lo portarono sulle sponde dell'Ebro.
Spogliato e vituperato, egli invocava il nome di Gesù
e come Gesù egli venne crocifisso su un muro e gli
venne inferta anche una ferita al costato. Il piccolo martire
morì lentamente e i suoi assassini, quando si accorsero
che era ormai morto, lo strapparono dal muro e ne gettarono
il corpo nel vicino fiume.
Intanto i genitori lo cercavano disperati ma lo trovarono
solo quando un pescatore, abbagliato da una luce che splendeva
sulle acque, avvicinatosi con la barca, trovò il piccolo
corpo del martire.
Domenichino venne ben presto onorato in tutta la Spagna, diventando
patrono degli scolari e dei chierichetti. |
In altri tempi nel giorno della sua festa,
i fanciulli potevano adornare la Cappella in cui era sepolto
e offrire ai canonici, sopra un piatto d'argento, dei fiori,
simbolo dela purezza del piccolo martire; poi presentavano
le sue reliquie alla venerazione e al bacio dei devoti.
L'urna
passava per la città portata a spalla dai chierichetti
e l'arcivescovo di Saragozzza accoglieva le reliquie e dopo
forniva ai fanciulli un rinfresco e regalava loro 50 ducati
per le spese sostenute per la festa. Non molti anni dopo il martirio, una sera,
in un angolo della Cappella del piccolo Santo, un uomo era
seduto cupo, solo e piangeva ininterrottamente. Quell'uomo
era uno degli ebrei che avevano ucciso il piccolo, il più
feroce. Il ricordo di quella sera non lo aveva mai abbandonato
e rivedeva chiaramente tutta la scena.
Chiedeva grazia a quel
piccolo martire con tutto il suo cuore e San Domenichino gli
diede la forza di confessare apertamente la sua colpa, di
convertirsi al Cristianesimo, ottenendo il perdono del suo
atto inumano. |
LA BEATA PANASIA
|
Rimasta
orfana da piccolissima, ebbe una vita dura con una matrigna
che la tormentava in ogni modo, caricandola di lavori pesantissimi,
che la maltrattava e la picchiava e quando nacque un'altra
figlia, le due si coalizzarono contro la poverina. Il padre,
che pure l'amava molto, era un debole e sembrava non accorgersi
di quell'atteggiamento.
La giovane pregava in continuazione la Vergine e gli Angeli
affinchè le due diventassero buone ma nulla accadeva,
anzi una volta la matrigna la picchiò tanto che quasi
moriva e per non farla trovare al marito in quello stato la
trascinò nella stalla.
Egli però, sentendo belare
le pecore, accorse all'ovile e trovò la figlia in quello
stato che, pur interrogata, non disse nulla, non accusò
nessuno.
Il padre decise allora che Panasia si trasferisse
a Ghemme, presso i parenti della sua prima moglie, che la
tennero con loro per 2 anni.
Quando ella compì 10 anni, il padre
la richiamò e lei, obbediente, tornò in casa,
ma per allontanarla dalla matrigna le affidò il gregge. |
Panasia quindi trascorreva la maggior parte della giornata
in campagna ma anche se tornava tardi la matrigna riusciva
a caricarla di altri lavori, spesso faticosi e impossibili
che talvolta, però, venivano compiuti dai suoi Angeli
che ella incessantemente pregava.
Una sera era rimasta fuori fino a tardi mentre
il gregge era rientrato all'ovile; la matrigna non vedendola
arrivare le corse incontro, infuriata e trovatala inginocchiata
a pregare, l'afferrò con forza per i capelli, percuotendola
con ferocia e infilzandola con il suo fuso, finchè
non la vide cadere morta. Quando s'accorse di quello che aveva
fatto poi si precipitò da una rupe.
La gente del villaggio, insospettita dalla
sparizione delle due, accorse sul luogo mentre un suono di
campane si spandeva nell'aria. Il padre trovò Panasia
ormai morta stesa al suolo e cercò di sollevarla, senza
però riuscirci, come se il corpo fosse tutt'uno con
la terra. La notizia corse veloce e anche il Pastore constatò
la prodigiosa immobilità della giovinetta.
Però,
dopo aver pregato, in nome di Dio le ordinò di lasciarsi
portare alla sepoltura e si riuscì a trascinarla su
un carro trainato dai buoi, dove però riprese la sua
strana immobilità. Si decise dunque di far andare i
buoi dove volessero ed il carro si diresse verso Ghemme, dov'
era sepolta la sua mamma, e là il carro si fermò. |
SANTA REGINA
|
Piccola
Martire di Alesia. Rimasta orfana di madre da piccolina, venne
allevata dal padre, pagano convinto - che perseguitava i cristiani
con molto furore - il quale la affidò ad una nutrice,
una brava donna nascostamente cristiana che la fece subito
battezzare.
Regina crebbe nella sua fattoria, ascoltando attentamente
la Parola di Dio e i racconti dei martiri... tutto questo
tenendo all'oscuro suo padre, finchè però egli
non ne venne informato e la convocò davanti a sè.
Alle domande di Clemente, che le chiedeva di abiurare, ella
confermò la sua fede ma allo stesso tempo il suo amore
per lui.
Il re, sconvolto, la cacciò di casa e lei
si rifugiò presso la nutrice, conducendo una vita misera
ma piena dell'amore di Cristo.
Essendosi ormai fatta una bella
fanciulla, destò l'interesse del prefetto delle Gallie,
Olibrio, che la convocò per convincerla a lasciare
la sua fede e a diventare sua sposa. Riunì il popolo
e Regina davanti a lui, cercando di convincerla ad adorare
gli idoli pagani, preannunciandole che l'avrebbe torturata.
Ma la fanciulla non desistette.
|
Egli poi, dovendo partire
per una guerra, sperando di trovarla cambiata nelle sue convinzioni,
la fece rinchiudere nel castello di Grignon, in un sotterraneo,
legata ad una catena fissata al muro.
Ritornato Olibio dalla
guerra, liberò Regina, pensando che fosse ormai domata
e le chiese di adorare i suoi dei; ella rifiutò di
nuovo, accendendo l'ira del Prefetto che la condannò
alla tortura.
Nonostante le sofferenze, essa non accettò,
pregando continuamente Dio di darle la forza necessaria a
subire il martirio.
Allora una grande luce illuminò
il suo carcere e Regina vide un'immensa croce che saliva fino
al cielo; a quella vista dimenticò tutti i suoi dolori
e tornò sana come prima delle torture. Olibrio, stupefatto,
le chiese una volta ancora di diventare sua moglie, ma avendo
lei definitivamente rifiutato, la destinò alla morte,
facendole recidere la testa davanti a tutto il popolo a cui
Regina chiedeva, se c'erano dei cristiani, di pregare per
lei.
Il suo corpo venne raccolto insieme alle catene che l'avevano
imprigionata e sepolto. Negli anni poi questo luogo venne
dimenticato, ma nell'894, alcuni monaci benedettini, che si
erano stabiliti a Grignon, chiesero a Dio di far loro ritrovare
il luogo della sepoltura della giovane martire. Dopo aver
digiunato per 3 gg., si avviarono verso il luogo tradizionalmente
ritenuto quello della sepoltura e, mentre cantavano i salmi,
una colomba si posò su un cespuglio. I frati scavarono
in quel punto e presto trovarono il corpo della santa fanciulla
e la catena che l'aveva imprigionata. |
SANTA SOLANGE
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Solange nacque verso l'863 d.C. a Villemont,
vicino a Bourges.
I suoi erano povera gente che viveva alle
dipendenze del Conte di quel luogo.
Ella era forte, gaia e
devota e le piaceva ascoltare le vite dei santi durante le
lunghe sere d'inverno. Le piaceva soprattutto la storia di
sant'Agnese che aveva affrontato un terribile martirio e tra
sè e sè ripeteva che avrebbe seguito le sue
orme.
Diventata più grande si occupò del piccolo
gregge della famiglia: si alzava all'alba, passando davanti
alla piccola chiesa si fermava per portarvi qualche fiore
e poi se ne andava per la campagna dove aveva costruito una
piccola cappellina tutta per sè e là si inginocchiava
pregando con fervore.
Talvolta era rapita in estasi e allora
il tempo le passava velocemente ma gli angeli la richiamavano
alla realtà. Era anche molto generosa nei confronti
dei poveri e diseredati a cui si accostava per sanare qualche
ferita.
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A sedici anni, ormai in età da marito, era
diventata tanto bella che il giovane Rainolfo, figlio del
nuovo conte, che l'aveva vista nelle campagna, decise di farla
sua sposa.
Un giorno, andando a caccia con il pensiero di
incontrarla, la trovò in preghiera nel suo piccolo
oratorio e vedendola assorta non la disturbò nemmeno,
aspettando che lei si rialzasse; quando lei si destò
dalla sua estatica preghiera, riconoscendolo, gli fece un
profondo inchino, ma si incamminò per la sua strada,
restando silenziosa alla sua domanda di matrimonio.
Nonostante
il giovane la pregasse e cercasse di convincerla, lei lo rifiutò
dicendo che era già sposa di Cristo.
Lui sembrò
dapprima rassegnato, ma non abbandonò quel pensiero
che lo tormentava e un giorno, mentre Solange era nel bosco,
cercò di fermarla con la forza; lei riuscì a
svincolarsi dalla sua presa e cominciò a correre, inseguita
dal conte sempre più accecato dall'ira che, alla fine,
sguainò la spada e le recise il capo, dicendo: "Così
non sarai sposa di nessun altro!".
Ma dalla testa, che sembrava
ancora animata, eruppe un grido: "Gesù" e sotto gli
occhi atterrriti del giovane, il corpo riprese vita, afferrò
la testa e continuò la sua strada, giungendo poi nel
luogo in cui sarebbe stata sepolta.
Là in quel campo
dove soleva soffermarsi in preghiera... |
SAN TOMMASO CESAKI, S. ANTONIO DA NAGASAKI
E S. LODOVICO IBARKI
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Agli inizi del 1597 la cittadina di Osaka
in quella fredda mattina era tutta in fermento: stava per
arrivare
l'imperatore Taicosamaci con il figlioletto di 5 anni; una
lunga processione di soldati precedeva il principino, cavalieri
e dignitari... Ma un altro corteo si snodava invece dall'altra
parte della città: erano 26 persone povere e lacere,
sfinite dal lungo viaggio compiuto, giovani e più anziani;
insomma, erano prigionieri ma le loro facce erano solari,
illuminate da una felicità interiore. Erano cristiani
e venivano oltraggiati per la loro fede, mentre camminavano. Anni prima era arrivata in Giappone una nave
con dei portoghesi che si erano poi stabiliti a Nagasaki ed
avevano dato vita ad una comunità che era diventata
sempre più numerosa, ospitando poi anche dei missionari
e persino S. Francesco Saverio che riuscì a portare
il Cristianesimo in quelle terre. I cristiani si moltiplicarono
ed anche alcuni re vennero battezzati alla nuova Fede e mandarono
ambascerie a Roma. Dopo i Gesuiti arrivarono in Giappone anche
i Francescani e così anche l'Imperatore Taicosamaci
accolse i frati minori nelle sue terre, permettendo loro di
creare case e chiese. |
Avendo però successivamente cambiato
idea, cominciò a perseguitare i missionari e i loro
seguaci, facendoli imprigionare. E così accadde che
vennero presi prigionieri 3 Padri Gesuiti, alcuni catechisti
e terziari che vennero avviati in catene alla città
di Nagasaki dove li avrebbe attesi il carnefice. Mentre andavano,
essi cantavano e salmodiavano gioiosi. Tra gli altri c'erano
i giovani Tommaso di 14 anni, Antonio di 13 e Lodovico di
11. Nel loro lungo cammino attraversarono terre ricoperte
di ghiacci e steppe, passando per innumerevoli città
e paesi, sempre a piedi, dove il loro esempio faceva altri
adepti al Cristianesimo. Il Governatore di Carazu ne ebbe
compassione e voleva salvarli e propose loro di rinnegare
Cristo per aver salva la vita, ma nessuno di essi aderì
alla proposta.
Giunti finalmente a Nagasaki, ripetè
la proposta ma essi rifiutarono ancora e così, sia
pur a malincuore, li fece condurre al luogo del supplizio,
una piccola altura fuori della città dove già
si ergevano 26 croci, un pò diverse da quelle tradizionali.
I genitori di Antonio erano là ad attenderlo per cercare
di convincerlo a salvarsi. Ma egli non voleva e cercava di
incoraggiarli a sopportare il dolore della sua morte, abbracciandoli
e regalando loro la sua sopravveste ed essi lo benedissero.
I 3 piccoli martiri si avviarono verso le loro croci cantando
inni e quando le voci tacquero i carnefici iniziarono il loro
lavoro crudele, trafiggendoli con le lance.
Si dice però che, compiuta la strage,
i fedeli si accostassero alle croci per raccogliere il sangue
di questi martiri e lasciassero il colle, ripromettendosi
di tornarvi per pregare e venerare quei martiri. Vi andarono
difatti il giorno dopo, nell'ora in cui uno dei sacerdote
uccisi soleva dire la Messa, servita dal piccolo Antonio.
Sulle croci i corpi degli uccisi c'erano tutti meno quelli
del sacerdote e di Antonio. Altri fedeli, raccolti nella chiesa
dei francescani, videro invece all'altare, in atto di celebrare
la Messa, il Sacerdote ucciso, servito dal piccolo chierico.
E lo stesso avvenne nei giorni seguenti, finchè le
salme non vennero staccate dalle croci e interrate; il prodigio
finì.
Questo fatto viene attestato da varie persone che avevano
interrogato le guardie per sapere dove avessero deposto i
due corpi, ed essi affermarono di aver veduto i corpi sparire
e ricomparire poi al loro posto. Persino il Papa Benedetto
XIV parlò di questo fatto nella sua "De Canonizzazione
Sanctorum" definendolo "grande miracolo". |
I MARTIRI DELL'UGANDA
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Nel 1886, nel cuore dell'Uganda, alle sorgenti
del misterioso Nilo, viveva la tribù dei Buganda, erede
della razza
Bantù proveniente dall'Etiopia, che si diceva evangelizzata
da san Matteo.
Popolo essenzialmente guerriero, si dedicava
anche all'agricoltura e all'allevamento. Le leggende locali
parlavano di Kintu, fondatore del loro impero, messaggero
del cielo, uomo bianco che aveva orrore del sangue e che chiamava
tutti suoi figli e sarebbe stato lui a portare in dono il
prezioso frutto della banana... insomma leggende e realtà
si intrecciavano, mantenendo intatti alcuni riti cristiani,
come quello di versare sul capo dei nascituri dell'acqua e
credendo che la morte non distruggesse ma piuttosto "custodisse".
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Verso il 1852 il re Suma cominciò però a favorire
l'insediamento degli Arabi nelle sue terre e là essi
costruirono una moschea e cominciarono a diffondere l'islamismo,
facendo molti proseliti anche a causa del fatto che l'Islam
era favorevole alla poligamia, mentre il cristianesimo no.
Quando Stanley, nel
1875, scoprì questo
popolo così curioso e differente dagli altri, si affrettò
a chiedere dei missionari, pensando che in poco tempo egli
sarebbe riuscito a far comprendere la grandezza della Bibbia.
Nel 1877 ne arrivarono alcuni che erano anche ingegneri ed
architetti, desiderosi di mettere a disposizione non solo
il loro zelo apostolico, successivamente coadiuvati da un
missionario che giunse con un Crocifisso in mano e la corona
del Rosario al collo. All'inizio il re provò simpatia
per la religione cattolica ma dopo un pò preferì
l'islam.
Nonostante tutto, la missione prosperava e vi erano
molti catecumeni, ma il re temendo che l'Inghilterra desiderasse
appropriarsi del suo regno allontanò dalla sua tribù
i missionari cristiani. Morto lui, però, il figlio
Mwanga che ne prese il posto, richiamò i Padri ed essi
trovarono una comunità cristiana piuttosto fiorente,
con oltre 800 catecumeni.
Tuttavia gli odi interni e le dissolutezze
del re, portarono ad un triste epilogo; i grandi del regno
e soprattutto il primo ministro decisero di uccidere il loro
capo per poi eleggere il fratello. Un amico intimo del re,
Andrea Kagwa, lo asvvertì, assicurandogli che poteva
contare sull'aiuto di tutti i cristiani della comunità.
Il ministro riuscì a farsi perdonare dal re ma il suo
odio contro i cristiani si inasprì e cominciò
a cercare ogni pretesto per rovinarli, suggerendo al sovrano
che se il loro numero fosse aumentato, essi l'avrebbero senza
dubbio scalzato dal trono per eleggere uno di loro.
Un giorno
del 1885, poichè il Re soffriva di un male agli occhi,
mandò Giuseppe Mukasa, precettore cristiano che vegliava
sui paggi cercando di tenerli lontani dall'atmosfera pericolosa
della corte, a chiedere al vecchio missionario, Padre Lourdel,
un calmante che però gli provocò un grande malessere.
Nulla di meglio, per il primo ministro, per accusare il prete
ed i cristiani di aver voluto uccidere il re. Ciò scatenò
nel sovrano un'ingiustificato odio: Giuseppe venne arso vivo
sul rogo, a un paggio che non aveva risposto subito ad una
sua chiamata vennero tagliate le orecchie, poi si incattivì
contro gli altri paggi che non volevano abiurare alla loro
fede e soprattutto s'inasprì dopo aver saputo che anche
una delle sue figlie si era convertita al cattolicesimo.
Come
un pazzo il re afferrò una lancia avvelenata con cui
ferì, condannandoli a morte, alcuni dei giovani, dando
inizio ad uno spaventoso massacro. Visto che la situazione
precipitava, i paggi che erano ancora catecumeni vennero subito
battezzati e si riunirono davanti al re, attendendo che si
compisse la loro sorte, mentre tutti i guerrieri della tribù
si erano intanto radunati per dare inizio ai rituali dell'esecuzione.
I condannati furono tutti legati e portati verso il luogo
dove si effettuavano le uccisioni, posto che raggiunsero solo
dopo molti giorni di cammino e di torture, mentre alcuni di
essi, stremati, morivano per strada....
La sera del settimo
giorno i carnefici si riunirono al suono del tamburi e i giovinetti
vennero condotti al rogo ed arsi lentamente mentre le loro
giovani voci si alzavano oranti al cielo. Solo tre di essi
vennero chissà per quale ragione risparmiati e non
si davano pace di ciò, ma la loro salvezza diede modo
al mondo di conoscere l'esempio di fede dei piccoli perseguitati.
La missione cattolica, da quel momento si sviluppò
ulteriormente, mentre i persecutori fecero una tragica fine. |
SANTA MARIA GORETTI
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Maria
Goretti, nata nel 1890, è un limpido esempio di purezza.
Era originaria con la sua famiglia, povera ma religiosa, di
Corinaldo nelle Marche, dove però non riuscivano più
ad andare avanti e quindi, per cercare di migliorare la situazione,
si trasferirono, insieme ad un'altra famiglia amica, i Cimarelli,
prima vicino Roma alle dipendenze del Conte Selsi e successivamente
alle Ferriere di Ronco, vicino Nettuno, di proprietà
del Conte Mazzoleni.
Maria era la secondogenita, assennata e devota
sin da piccolina, di indole dolce ed affettuosa, si occupava
della casa e dei fratellini più piccoli. Aveva occhi
azzurri, carnagione chiara, capelli biondi, era molto devota
alla Vergine, a S. Giuseppe e al S. Cuore e non dimenticava
mai le preghiere quotidiane.
La fattoria dei Goretti era isolata e confinava
solo con l'altra affittata ai Cimarelli; intorno, un paesaggio
squallido di paludi, pochi alberi, terra riarsa e dura da
dissodare e per ascoltare la Messa, che veniva celebrata saltuariamente,
si doveva camminare molto.
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Ben presto però il gran lavoro e l'aria
insalubre minarono la salute di Luigi, il padre, e per non
abbandonare il raccolto, il proprietario gli mandò
due operai che avrebbero diviso con loro il guadagno dell'annata:
Giovanni e Alessandro Serenelli; il primo, il padre, robusto
e autoritario, la cui moglie era morta in manicomio e l'altro,
il figlio, un ragazzo forte e silenzioso che non aveva l'anima
del contadino e che spesso sfuggiva la compagnia per rinchiudersi
in equivoche fantasie.
Con il passare del tempo, poichè
Luigi aveva sempre poche forze per via della malaria, i due
Serenelli divennero arroganti e pretendevano sempre di più.
La situazione peggiorò ulteriormente quando Luigi morì,
consigliando la moglie di tornare a Corinaldo. Ma come poteva
con i piccoli e dovendo ancora pagare i debiti? Lei si rimboccò
le maniche e prese nei campi il posto del marito, lasciando
la conduzione della casa a Maria che lo faceva con grande
amore.
Una volta andando alla Messa una vipera si
levò fischiando sul sentiero e la piccola si slanciò
in avanti per proteggere la mamma. La vipera indietreggiò
e scomparve sibilando. Maria desiderava ardentemente fare
la Prima Comunione e con molti sacrifici riuscì a frequentare,
insieme al fratellino, la dottrina che si teneva presso la
sarta del Conte.
Nel giorno previsto, nonostante non avesse
i soldi, ebbe in prestito il vestito, il velo, le scarpe.
Prima di andare alla Messa chiese perdono a tutti quelli che
credeva di avere offeso e fece la comunione con uno straordinario
raccoglimento, tenendo a mente le parole dell'Arciprete: "Ad
ogni costo dovete restare puri e per questo affidatevi alla
Vergine Maria".
Alessandro intanto aveva cominciato a guardare
Maria con interesse e poichè passavano molte ore insieme
lavorando nei campi - Maria aveva dato il cambio a sua madre
- un giorno le si avvicinò per attirarla a sè,
lei si divincolò sfuggendogli e avvertendolo che avrebbe
raccontato tutto alla mamma. Il giovane la minacciò
ed ella ebbe paura di confidarsi e non parlò, ripromettendosi
di non restare mai più sola con lui, vivendo però
nel terrore e non osando più uscire da sola.
Altre volte il giovane tentò di circuirla
ma lei gli sfuggì, fino a quel 5 luglio, un giorno
d'afa pesante in cui tutti erano al lavoro meno Giovanni che
era ammalato e Alessandro che voleva approfittare di quel
momento: di forza portò Maria in cucina e poichè
lei si difendeva, avvertendolo che stava commettendo un grosso
peccato, infuriatosi, prese un coltello sul tavolo e le inflisse
8 coltellate, mentre lei continuava a dire, sempre più
debolmente: "E' peccato, tu andrai all'inferno!". Impressionato,
il giovane fuggì dalla stanza ma, alle grida di Maria
che lo accusava, ritornò a colpirla altre 6 volte.
Dopo molte ore Maria venne trasportata in ospedale
e operata senza neanche essere narcotizzata, ma a nulla valsero
le cure, morì il giorno seguente, festa del Preziosissimo
Sangue di Cristo, dopo essersi comunicata ed aver perdonato
volentieri al suo assalitore, perchè "voleva che anche
lui un giorno la raggiungesse in Paradiso". Aveva solo 11
anni.
Una folla immensa accompagnò la sua bara e due anni
dopo le venne eretto un monumento nella chiesa di Ns. Signora
della Grazia. Il 5/6/1950 fu dichiarata Santa da Papa Pio
XII.
Alessandro, che allora aveva 20 anni, negò
anche l'evidenza dei fatti, poi confessò con cinismo
il suo delitto e venne condannato a 30 anni di lavori forzati
in Sicilia. Nei primi tempi faceva lo spavaldo ma una notte
sognò Maria trasfigurata che gli porgeva dei gigli
che lui prese tra le mani, ma al contatto, essi si traformarono
in fiamme.
Questo sogno lo mutò radicalmente e divenne
così esemplare che venne scarcerato 4 anni prima del
previsto. Passò il resto della sua vita in un convento,
diventando terziario, occupandosi del giardino e morendo santamente.
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SANTA CIRIACA
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Ciriaca, vergine e martire era una giovinetta di dodici o tredici anni, figlia di nobili patrizi del III secolo, periodo in cui la religione cristiana era vietata, perchè si professava ancora il culto alle divinità pagane.
Nel marzo del 1834 frà Giuseppangelo de Fazio di Pianella, cappuccino, vescovo missionario e visitatore apostolico, ottenne da papa Gregorio XVIIl il permesso di prendere il corpo di una martire dalle catacombe per esporlo nella città di Pianella alla pubblica venerazione.
Ma non era facile scegliere tra i tanti corpi presenti e pare che il vescovo - così come raccontò poi ai suoi familiari - scese nella Catacomba di Priscilla ripetendo ad alta voce: "Quale santo vuol venire con me?".
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Avvicinatosi al loculo in cui era sepolta la giovane martire Ciriaca sentì come una chiamata e sentì che qualcuno tirava la sua tonaca da una parte e gli parse quello il segno che attendeva.
Aperta la tomba, vide il corpo avvolto in eleganti vesti di seta, segno che era di nobile famiglia, con accanto un'ampolla con del sangue rappreso, segno evidente di martirio, come denotavano anche le incisioni nel marmo di un cuore trafitto, di una palma e la dicitura:: QUIRACÆ IN PACE (Ciriaca riposa in pace).
Il corpo venne trasferito a Cittaducale eppoi su una carrozza, seguita da molti fedeli e devoti che recitavano preghiere, cantavano inni ed offrivano numerosi oggetti in oro, venne portata a Pianella, dove fu accolto con gioia della folla. Successivamente il santo corpo venne ricoperto di un nuovo sontuoso vestito ed in ricordo di tale sosta, durante la processione che ogni anno si tiene in onore della Santa, si fa una breve fermata dinanzi a questa antica casa.
Un'indulgenza di 12 anni, applicabile anche ai defunti, venne elargita da Papa Gregorio XVI a tutti quelli che visitando il corpo della Vergine e Martire avrebbero pregato per la propagazione della fede. Papa Leone XIII, invece, diede l'indulgenza plenaria, applicabile anche ai defunti, a tutti quelli che avrebbero visitato il corpo della Vergine e Martire dai primi ai secondi vespri della sua festa. |
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BEATO ANDREA DEL RINN
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Il controverso culto del beato bambino martire Andrea Del Rinn, si rifà, per lo più, ad antiche fonti, arricchitesi successivamente di particolari, che però non si ritengono veritiere, ma che si rifanno ad antiche dicerie che demonizzavano gli Ebrei.
Sembra che Andrea Oxner fosse nato il 16 novembre 1459 ed aveva circa due anni quando perse il padre. La madre decise di affidarlo ad uno zio, Meyer, che divenne suo tutore e che aveva una locanda a Rinn, vicino Innsbruck.
Dopo qualche tempo, alcuni commercianti ebrei di Nurberg di passaggio nella locanda, diretti a Posen per la fiera annuale, notarono il piccolo Andrea e decisero di rapirlo.
Offrirono al Meyer una somma di denaro contro la vita del nipote ed egli accettò, dicendo che il fanciullo sarebbe stato disponibile al loro ritorno dalla fiera; il venerdì seguente essi tornarono nuovamente alla locanda, presero con loro il bambino, versando allo zio la somma pattuita.
Poi, lo portarono in un boschetto di betulle, vicino al paese e lo uccisero, appendendolo ad un ramo, allontanandosi indisturbati, senza lasciare tracce. Era il 12 luglio 1462.
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Fu solo tempo dopo, sotto il Vescovo di Bressanone, Mons. Giorgio Golser, che l’arciduchessa Maria Cristina volle un’inchiesta, condotta a Rinn e ad Ampass, che non diede alcun risultato concreto né lasciò significative tracce scritte.
Non si parlò subito di martirio né di culto al piccolo Andrea Oxne, ma poi, in occasione di un altro omicidio cosiddetto rituale, avvenuto a Trento nel 1475, riguardante il piccolo Simone, che la cittadina di Rinn decise di onorare il piccolo tirolese con culto pubblico, seppellendo i suoi resti nella chiesa di S. Andrea apostolo in Rinn e realizzando un’epigrafe che indicava, per la prima volta, le circostanze della morte di Andrea.
Numerosi furono i pellegrini che arrivarono alla sua tomba, chiedendo miracoli e tra di essi anche l’imperatore Massimiliano d’Asburgo (morto nel 1519).
Sul luogo dell'uccisione venne poi eretta una cappella dove vennero portati i resti del piccolo martire, più tardi poi trasferito nel cimitero comunale, dove sarà sempre oggetto di culto, benchè la chiesa lo abbia abolito.
La sua festa è il 12 luglio.
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Bibliografia: |
Piccoli Santi - di Eliseo Battaglia
- Edizioni Ancore Azzurre - L.E.F. Firenze
I Santi Fanciulli di Margherita de Felcourt - Ed. Ugo
Munier, 1962 |
Sulla Santa Infanzia vedere:
e, in relazione ai Giovani Santi, vedere in Collaborazioni:
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