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GIOVANI SANTI, BEATI E SERVI DI DIO
BEATA IMELDA LAMBERTINI
1320 - 1333
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All'inizio
del 1300, viveva a Bologna il Conte Lambertini che con sua
moglie Castora desiderava ardentemente un figlio che però
tardava a venire, nonostante le preghiere e le suppliche
che da loro s'innalzavano al cielo. Finalmente nacque una
bimba, Imelda, che fin da piccola mostrò segni di
grande personalità: invece di apprezzare i giochi
che la circondavano, preferiva i grani del rosario e quando
piangeva per qualche piccolo guaio, l'acquietava solo il
sentir pronunciare il nome di Gesù.
Nonostante la giovane età, essa mostrò subito
i segni di una precoce religiosità, che la vedeva
inginocchiata spesso davanti ad una statua della Vergine,
o recitare il rosario o andare alla Messa di frequente,
guardando con invidia chi poteva ricevere il Corpo e il
Sangue di Gesù. Imparò presto a leggere con
un piccolo Messale e si faceva spiegare i passi della Bibbia
dalle due zie suore, tra cui la sorella del padre che, prima
dedita ai piaceri del mondo, si era tutt'a un tratto ritirata,
coinvolgendo una cinquantina di sue amiche, in un convento
dove visse venti anni in penitenza e contemplazione. |
Quando Imelda compì 10 anni, i suoi
genitori volevano festeggiare il suo compleanno ma ella
rifiutò, chiedendo invece di entrare in convento
presso le suore Domenicane. I genitori, oppressi dal dolore
di perderla, tuttavia la lasciarono partire per la sua nuova
vita. Il convento era regolato da ferree abitudini: bisognava
amare l'obbedienza, la povertà, i digiuni, le veglie,
la mortificazione... ma niente sembrava troppo per la giovanetta
che con grande emozione ricevette il suo nuovo abito e cominciò
a seguire le regole della sua nuova casa, pur pensando spesso
ai genitori e sentendosi stringere il cuore per il loro
dolore. Intanto, faceva tanti progressi ma ancora, purtroppo,
non poteva ricevere Gesù e questo la feriva profondamente.
Un giorno, dopo aver sentito leggere la vita di Sant'Agnese,
il suo sacrificio e il suo amore per Gesù, chiuse
gli occhi immaginandosi la scena e sentì una voce
che le chiedeva: "Figliola, cosa desideri da me?" e vide
chinarsi su di lei la Madonna a cui, pronta, rispose: "Volevo
conoscere la storia di Agnese perchè cerco in cielo
un'amica poichè qui sulla terra non ne ho nessuna".
La Madonna la prese per mano e la condusse in un luogo dove
trovò ad attenderla Maria Maddalena e san Domenico
e successivamente conobbe la piccola santa Agnese. A questa
visione si svegliò. Certo tutto era stato un bel
sogno che l'aveva però molto confortata. Il suo pensiero
fisso, comunque, era quello di ricevere Gesù, ma
sembrava che per questo il tempo non passasse mai; chiedeva
il permesso al cappellano ma questi rifiutava ed ella accettava
la volontà di Dio con rassegnazione, pur struggendosi
nella pena e nella penitenza.
Alla vigilia dell'Ascensione, Imelda era in ginocchio davanti
all'altare mentre una suora più anziana si dava da
fare lì intorno. Ad un tratto ella udì un
leggero fremito e, volgendosi, vide un'Ostia che era sospesa
a mezz'aria sul capo della bambina, mentre Imelda era in
estasi. Corse ad avvertire le altre e tutte si radunarono
nella cappella insiema al cappellano che, tenendo in mano
una patena si diresse verso l'Ostia che discese e si posò
tra le mani del sacerdote. Imelda fece così la sua
prima comunione. Ma quando finalmente tutto fu finito e
la superiora si diresse verso la bimba per rialzarla, la
fanciulla ricadde inerte: era morta d'amore per Gesù
e dal suo viso irraggiava ancora una felicità ineffabile.
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SANTA GIOVANNA D'ARCO
1412 - 1431
All'inizio del 1400, in Francia nel villaggio
di Doremy, una pastorella di nome Giovanna, pascolando le
sue pecore
spesso si fermava presso una piccola chiesa. Nel suo cuore
turbato, il pensiero della guerra che tormentava la Francia,
non la lasciava; sentiva che la sua Patria doveva essere
salvata e pregava costantemente Maria Santissima affinchè
provvedesse in tal senso. Un giorno, mentre pregava ardentemente,
le apparve giovinetto luminoso, l'Arcangelo Michele, il
Guerriero, che le promise la visione di due sante, Santa
Caterina e Santa Margherita, che le avrebbero consigliato
cosa fare per la sua nazione. Esse esortarono la fanciulla
a recarsi dal Re per mettersi a capo delle sue truppe. La
ragazza, confusa, non si riteneva all'altezza della situazione,
non sapendo nemmeno andare a cavallo, figurarsi andare in
guerra. Ma le sante la confortarono e la incoraggiarono. |
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Ovviamente, la sua storia non venne creduta dall'ufficiale
a cui si rivolse, ma Giovanna ritentò caparbiamente,
riuscendo alla fine a parlare con Carlo VII, che, stupefatto
dalla sfrontatezza della giovane, ma colpito dalle sue parole
e dalla sua forza interiore, ordinò che le dessero
un'armatura. Impugnata la spada che era stata di Carlo Martello,
indossato un mantello bianco, ella saltò su un cavallo
sventolando la bandiera con i gigli, marciando verso Orleans,
che stava per cadere in mano nemica.
Tutto l'esercito, come
galvanizzato, la seguì e conseguì la vittoria,
mentre lei incitava le truppe e sventolava lo stendardo,
sempre in prima linea: Orleans fu liberata e gli inglesi
respinti. Il Delfino di Francia - così come da lei
preannunciato - fu incoronato nella cattedrale di Reims.
Quando sentì che la sua missione era ormai compiuta,Giovanna
chiese di poter tornare a casa ma venne ancora trattenuta.
Ferita e catturata dai nemici, fu poi accusata di stregoneria,
venne sottoposta ad un processo da burla, in cui le si fece
firmare con un segno di croce accuse infamanti, e infine
condannata al rogo. La giovanetta, con le mani giunte in
preghiera, si avviò al patibolo, chiedendo ai suoi
persecutori una croce da impugnare mentre moriva. La si
udì invocare il re, i suoi santi, la Francia, poi,
straziata, morì.
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SAN STANISLAO KOSTKA
1550 - 1568
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Verso la metà del 1500, da una nobile
famiglia polacca nacque Stanislao Kostka che sin da bambino
si dimostrò vivace e interessato alle cose che lo
circondavano, con un carattere allegro e fondamentalmente
sano e sempre, infatti, conservò un candore spirituale
sia pur nell'ambiente di liberi costumi che caratterizzava
la sua potente famiglia.
Nel 1564, a 14 anni, Stanislao
fu mandato a Vienna con il fratello maggiore per compiere
gli studi presso i Gesuiti e quella vita regolare del collegio
gli piaceva molto, ascoltava fino a tre Messe al giorno,
tanto che pensò di darsi alla vita religiosa.
Purtroppo
però i Gesuiti dovettero chiudere il collegio e Stanislao,
il fratello e il loro precettore furono costretti ad andar
via, accettando - sia pur contro voglia, almeno per quanto
riguardava Stanislao - l'ospitalità di un senatore
di fede luterana. o del
fratello e degli amici e persino del suo ospite. |
Egli comunque rimase fedele alle sue abitudini
religiose, confessandosi settmanalmente e comunicandosi
alle feste e correndo in chiesa, eludendo la sorveglianza
del fratello che aveva dato alla sua vita un'altra inclinazione
più mondana, conducendo una vita di bagordi, che
in ogni modo osteggiava la sua religiosità e se ne
faceva beffe, insieme ad altri amici come lui dediti solo
al divertimento. Il loro precettore si era schierato dalla
parte del fratello maggiore e non mancava, anche lui, di
riprendere in ogni occasione il giovinetto. Tutto ciò
veniva accettato in silenzio da Stanislao che, spesso, durante
la notte, quando finalmente tutto era calmo in quella casa
sempre in festa, si alzava per pregare e flagellarsi e sempre
senza reagire sopportava quel continuo martellamento.
Questa fu la sua vita dal marzo del 1565
all'agosto del 1567 e la tensione in atto minò la
salute di Stanislao che si ammalò di un forte esaurimento
nervoso che lo portava al delirio: egli vedeva orribili
apparizioni del demonio sotto forma di un grosso cane nero
che riusciva a mettere in fuga col segno della croce. Chiese
quindi il conforto di un sacerdote, ma il suo ospite essendo
luterano, rifiutò questa grazia al ragazzo. Viste
le condizioni del giovanetto, il precettore si mosse a compassione
e spesso durante la notte lo vegliava.
Stanislao faceva parte della confraternita
di santa Barbara, i cui componenti si affidano alla loro
Patrona per avere la comunione in punto di morte; il giovane,
dunque, aveva in lei fiducia che ciò sarebbe avvenuto
e una notte, quando appunto il suo precettore gli era accanto,
questi si sentì afferrare per le spalle e scuotere,
mentre Stanislao che si era a fatica alzato e inginocchiato
diceva: "Ecco santa Barbara! eccola, con due Angeli! Mi
portano il Santissimo Sacramento!". E così fu: gli
angeli si curvarono su di lui e lo comunicarono. Sfinito,
il ragazzo si riadgiò sul letto e presto ci si rese
conto che era arrivato allo stremo. Tuttavia, dopo qualche
giorno di aggravamento, Stanislao si alzò una mattina
perfettamente guarito, affermando che voleva andare personalmente
a ringraziare il Signore. Pensando che ciò non foss'altro
che frutto di eccitazione nervosa, i dottori gli proibirono
di muoversi dal letto.
Nessuno poteva immaginare quello che era
accaduto: durante la notte Stanislao aveva visto la Vergine
con in braccio il Bambino Gesù che aveva deposto
sul letto, proprio vicino al giovane che l'aveva abbracciato,
mentre la Madonna gli preannunciava che sarebbe diventato
un sacerdote Gesuita.
La guarigione fu rapida, Stanislao non perse
tempo e si affrettò a recarsi dal Padre Provinciale
dei Gesuiti che però si rifiutò di prendere
in considerazione il desiderio del giovane, senza il nulla
osta paterno. Pur senza molte speranze, Stanislao non si
perse d'animo e decise che se non gli era permesso questo
a Vienna, ciò sarebbe stato possibile in un altro
posto, in Germania o in Italia. Intanto, i rapporti con
il fratello si erano deteriorati al punto che Stanislao
decise di lasciare il palazzo dove alloggiava e, lasciate
le sue belle vesti e indossate quelle di contadino, si incamminò
verso Augusta dove il Padre Canisio, provinciale della Germania
avrebbe forse accettato la sua richiesta. Scoperta l'assenza,
il fratello lo cercò a lungo e cominciò a
provare rimorsi per la sua condotta. Intanto, il padre,
avvertito della scomparsa andò su tutte le furie
e minacciò rappresaglie verso tutti i conventi dei
Gesuiti se l'avessero accolto.
Nel frattempo, Stanislao compì il
percorso di 750 chilometri, sempre a piedi, che lo portò
ad Augusta ma Padre Canisio non era là, si trovava
a Dillingen, a un'altra giornata di cammino. Il giovane
riprese il suo interminabile viaggio accompagnato da un
Padre Gesuita; davanti ad una chiesetta si fermarono per
pregare mentre Stanislao attendeva con ansia che vi venisse
celebrata la Messa. Ma presto si rese conto che era una
chiesa luterana e scoppiò in pianto; il Padre che
l'accompagnava fece per avvicinarglisi e rincuorarlo, quando
vide che due angeli si avvicinavano al ragazzo e gli porgevano
l'Ostia. Padre Canisio, ricevendolo, gli prospettò
grandi difficoltà sempre a causa dell'avversione
del padre che dalla Polonia faceva sentire la sua collera
e minacciava i Gesuiti se avessero accolto Stanislao come
novizio.
Alla fine il giovane si fece persuaso che
solo a Roma avrebbe potuto finalmente realizzare il suo
sogno e si rimise di nuovo in cammino, da solo, percorrendo
tra ostacoli di varia natura, 900 chilometri. Arrivò
stremato, ma finalmente venne accettato come novizio. Felice
di aver raggiunto il suo scopo egli potè dimenticare
le avversità e vivere una vita di preghiera e di
devozione. Ma ormai la sua salute era minata e quando giunse
il mese di agosto del 1568, peggiorò improvvisamente
ed egli si fece persuaso che per la festa dell'Assunzione
sarebbe salito al cielo. Così fu e mentre spirava
gli apparve la Madonna che l'invitava a seguirla.
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SAN LUIGI GONZAGA
1568 - 1591
Durante la gravidanza, donna Marta Gonzaga
si era data a letture spirituali come mai prima, chiedendo
a Dio un figlio da offrigli, preghiera strana perchè
il nascituro sarebbe stato il primogenito di una nobile
e famosa famiglia e avrebbe dovuto vivere un'esistenza di
lusso, armi, avventure e guerre.
Don Ferrante Gonzaga aveva
illustri antenati ( due imperatrici di Germania, una regina
di Polonia), era uomo di guerra, religioso ma senza grande
devozione, però quando i medici lo avvertirono che
si disperava di salvare madre e figlio, fece voto di recarsi
in pellegrinaggio a Loreto.
Il bimbo nacque sano e godeva di tutto quello
che vedeva. A 5 anni la madre gli insegnò le preghiere
e la vita di Gesù, la cui morte lo colpì vivamente.
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Ricevette un'educazione completa: lettere, arte militare,
equitazione, insomma tutto ciò che poteva servire
a un valoroso guerriero o a un politico e il padre gli fece
costruire una piccola armatura. A 7 anni Luigi cominciò
però a rendersi conto del misero valore delle cose
di questo mondo, accompagnava volentieri la mamma nelle
sue visite caritative e mentre un giorno si trovava in un
convento, presso uno dei padri esorcisti che stava liberando
degli indemoniati, questi si misero a gridare, indicando
Luigi:"Eccolo, il Santo!".
Presa la malaria, Luigi abbandonò
gli esercizi militari e passava lungo tempo in ginocchio,
recitando preghiere e sognando la vita religiosa, ma un
primogenito dei Gonzaga non poteva aspirare a questo. Scoppiata
la peste, la famiglia si trasferì a Firenze e Luigi
e il fratello vennero nominati Paggi di Francesco I de Medici,
rivestiti riccamente e partecipavano ai giochi e alle feste
di Corte, dove dilagavano gli intrighi. Luigi capì
che solo un contatto profondo con Dio avrebbe potuto preservarlo
dal male che gli era intorno e cominciò a rifiutare
gli inviti, i divertimenti e i pranzi. Non poteva accettare
i costumi depravati, le usanze e gli eccessi del lusso.
Cominciò a confessarsi con frequenza e a 10 anni
fece voto di castità alla Madonna. Dopo due anni,
i fratelli passarono alla Corte del Duca Guglielmo di Mantova,
tornando poco dopo a Castiglione.
Luigi non riusciva a staccarsi dalla preghiera
e passava ore ed ore dinanzi al Crocifisso e si mise a spiegare
il catechismo ai bambini dei villaggi, cercando di sollevare
le loro miserie. Nel luglio 1580 il Cardinale Arcivescovo
di Milano, il futuro San Carlo Borromeo, cugino dei Gonzaga,
andò da loro e visto che Luigi non aveva ancora fatto
la Prima Comunione, gliela impartì lui stesso. Luigi
fu molto colpito dalla sua personalità. La famiglia
poi si trasferì a Casale dove Luigi si disinteressò
completamente della vita di corte e del teatro che suo padre
amava molto; si imponeva molte penitenze, digiunava a pane
e acqua tre giorni alla settimana e mangiava poco gli altri,
rinunciando a servirsi dei caminetti e bracieri e si flagellava
e utilizzava ogni mezzo per mortificarsi, pensando durante
il giorno alla Passione del Signore. Il padre era molto
inquieto, la madre si preoccupava, i medici prevedevano
una morte precoce. Luigi chiedeva invece al Signore di guidarlo
verso la perfezione.
Nel 1581 Don Ferrante venne nominato Ciambellano
dell'Imperatrice d'Austria e con tutta la famiglia si trasferì
a Madrid, dove Luigi venne nominato paggio di prima classe,
compagno del Principe delle Asturie, Don Diego. La rigidità
e dignità della corte spagnola non dispiacque, di
primo acchitto, a Luigi, ma ben presto il giovinetto si
accorse che tutto ciò era una facciata dietro cui
si nascondeva un'immoralità profonda. Si diede quindi
allo studio e faceva da segretario al padre ma doveva anche
partecipare alla vita mondana. Non riduceva però
le ore dedicate al Signore e si sentiva sempre più
attratto dalla vita religiosa, una vita che unisse alla
preghiera un'attività apostolica. Decise quindi di
entrare nei Gesuiti, i quali facevano voto di non accettare
nessuna dignità neppure ecclesiastica.
Il 15 Agosto, dopo la Comunione, davanti
alla Vergine, udì una voce che gli confermava la
sua vocazione. Il padre, però, s'inquietò
moltissimo non credendo alla vocazione del figlio, ma dovette
poi convincersi, promettendogli che al rientro in Italia
gli avrebbe permesso di seguire il suo desiderio. Nel 1584
tornarono, fermandosi però presso un nobile, la cui
moglie stava per partorire e le condizioni della madre e
del figlio erano molto gravi; Luigi chiese di cominciare
a pregare ma tutti protestarono indignati. Egli si ritirò
nella cappella e di lì a poco il bambino nacque senza
problemi.
Don Ferrante, pensando di farlo desistere
dai suoi propositi, lo mandò col fratello a fare
un giro di addio tra le corti italiane, ma Luigi rimase
fermo nelle sue idee e infine il padre acconsentì,
cercando almeno di ottenere che entrasse in un Ordine che
lo potesse portare alla nomina ad Arcivescovo, Cardinale
e, perchè no, anche al Papato. Il giovane, però,
non ne voleva sapere e ciò suscitò una profonda
collera nel genitore che mandò il governatore del
castello a parlargli. Questi, non visto, assistette ad una
scena commovente: Luigi, piangendo, si flagellava le spalle.
L'uomo raccontò tutto a Don Ferrante che, sconvolto
e vinto, gli diede il suo assenso, scrivendo al Generale
dei Gesuiti. Luigi sarebbe entrato novizio a S. Andrea in
Roma. Ottenuto il permesso dall'Imperatore per l'abdicazione
in favore del fratello Rodolfo, Luigi pensò che ormai
il suo destino stava per compiersi; tuttavia, il padre aveva
avuto un ripensamento e l'osteggiava ancora accampando scuse.
Il giovane si disperava, imponendosi penitenze sempre più
gravose per la sua salute, finchè, finalmente, il
marchese diede il suo assenso e il 2 novembre 1585 Luigi
sottoscrisse l'atto di rinuncia, spogliandosi dei suoi abiti
sfarzosi e lasciando Mantova per Roma, dove entrò,
finalmente, nel noviziato scoprendo che la Regola era meno
rigorosa di quella che egli si era sempre imposto; due anni
dopo, pronunciò i voti e ricevette gli Ordini Minori.
Nel 1590 a Roma scoppiò la peste e
gli ospedali traboccavano di malati, a cui Luigi ed altri
12 giovani si dedicarono completamente: li lavavano, curavano,
amministravano i Sacramenti. Luigi non sopportava quella
vita ma si dominava e si obbligava a curarli, benchè
gli ripugnassero. I giovani gesuiti si ammalarono uno dopo
l'altro e alla fine anche lui, che aveva insistito nella
sua opera, si ammalò; ad un certo punto sembrò
riprendersi, ma l'infezione ormai gli era entrata nel sangue.
Il suo stato s'aggravò ed ebbe la rivelazione che
sarebbe morto l'ultimo giorno dell'Ottava del Corpus Domini.
Le sue preghiere incessanti perchè gli amministrassero
la Comunione (che si faceva solo di domenica), finalmente
vennero ascoltate, benchè nessuno credesse che fosse
in fin di vita. Poggiata la mano sinistra sul Crocifisso,
gli occhi rivolti ad un quadro di Cristo in Croce, nell'estremo
sforzo di pronunciare il nome di Gesù, Luigi spirava
a 23 anni il 20 giugno del 1591.
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SANTA GERMANA COUSIN
1570 - 1601 ca.
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Lorenzo
Cousin viveva in una fattoria in Linguadoca, Francia, con
la moglie, una donna fragile che diede alla luce una bimba
ancor più delicata, Germana. La piccola crebbe con
problemi di salute ed un braccino mezzo paralizzato e verso
i 4 anni venne colpita dalla scrofala, il collo le si gonfiò
enormemente e le si aprì una piaga purulenta. La
mamma morì presto e Lorenzo si decise a riprender
moglie, Donna Ortensia, una donna forte di costituzione
e di carattere.
Essa non amava Germana e appena ella compì
6 anni la mise a lavorare anche se non poteva far molto,
ma badava al pollame, puliva la verdura, teneva in ordine
la casa.
La vecchia domestica che l'aveva allevata
le dava da mangiare di nascosto e le parlava di Gesù
Bambino che aveva sofferto per noi, di Maria che aveva avuto
il cuore trafitto dal dolore, di Gesù Crocifisso
morto per noi sulla Croce. Allora la piccola si sentiva
rincuorata da quei suoi tormenti fisici e morali.
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Nacquero intanto altri fratelli che lei avrebbe
voluto coccolare ma la matrigna non voleva che si avvicinasse
loro e il padre, debole, lasciava fare,non avendo il coraggio
di difenderla, pur pieno di dolore e di rimorsi. A 10 anni
Germana venne mandata a lavorare per i campi, a pascolare
le pecore e a filare la lana ma, quando sentiva la campana
della chiesa, lasciava le pecore e si recava alla Messa,
ritornando di buio con la lana filata e dopo cena accudiva
alla casa, rimettendo tutto in ordine, dormendo nell'ovile.
Il Parroco del villaggio, ammirando la dolcezza e la purezza
della povera bambina, le permise di fare la Comunione, cosa
che la riempì di grande gioia.
Intanto Ortensia s'era accorta che la fanciulla
lasciava solo il gregge per andare in chiesa e un mattino
si recò al pascolo; Germana tornava allora, la vide
e ai suoi rimbrotti per il lavoro non fatto, essa rispose
che durante la sua assenza il suo Angelo vegliava sul gregge.
Sapendo che in un bosco lì vicino c'erano dei lupi
affamati, la matrigna la mandò in quella zona a pascolare.
Germana però aveva trovato la compagnia di un'altra
bambina che vi portava il suo gregge e si misero a filare;
quand'ecco l'ululato dei lupi e l'altra bimba e le pecore
cominciarono ad aver paura. Germana, invece, tracciò
sul branco un gran segno di croce ed essi si fermarono e
scapparono via.
Un'altra volta, essendo il fiume in piena
per il disgelo e dovendolo attraversare per andare a Messa,
Germana venne sollecitata ad andare in chiesa dalla perfida
matrigna; ed eccola camminare tranquilla sulle onde e arrivare
senza pericolo sull'altra sponda.
La leggenda racconta che a 17 anni Germana
che filava seguendo il gregge venisse raggiunta da un cavaliere
che le chiese la strada per Pibrac. I due giovani si guardarono
e si sorrisero. Quel giovane era Vincenzo De Paoli.
Nonostante non avesse nulla Germana trovava
sempre qualcosa, magari solo un pezzo di pane, da dare ai
più poveri; una sera due mendicanti bussarono alla
porta di casa ma la matrigna li scacciò furiosa.
La mattina dopo la fanciulla andò subito a cercarli
dirigendosi verso la chiesa, nascondendo nel grembiule qualche
avanzo, seguita da Ortensia che la rimbrottò dandole
della ladra per quel pane che portava via da casa. Ma da
quel grembiule ch'essa aprì davanti alla matrigna
e ad altri convenuti - che cominciarono a ritenerla Santa
- caddero solo dei fiori bianchi e rossi.
Una sera del giugno del 1601, due monaci
rifugiatisi tra le rovine di un castello adiacente la zona
in cui viveva Germana, videro una gran luce e scorsero due
bei giovani vestiti di bianco che si dirigevano verso il
villaggio, cantando. Poco dopo ripassarono davanti a loro,
ma stavolta erano in tre: avevano una compagna, anch'essa
vestita di bianco, con una corona di fiori in testa. I monaci
capirono allora che i due giovani erano angeli venuti a
prendere una santa. Infatti Germana era appena spirata.
Fu sepolta nella chiesetta del villaggio tra una folla di
contadini e 40 anni più tardi, quando si scavò
per fare delle riparazioni, il suo corpo fu ritrovato intatto,
con le mani piene di fiori ancora freschi.
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SANTA CATERINA TEKAKWITHA
1656 - 1680
Nel
1600 gli Irochesi occupavano le terre ora del Canada e del
Nord degli Stati Uniti ed erano venuti a contatto con la
"civiltà" dei bianchi, che avevano però portato
loro solo dissoluzione e malattie, facendo loro dimenticare
le rigide tradizioni della loro gente.
In una di queste tribù, da una donna
profondamente cattolica era nata Caterina, che però
ben presto divenne orfana di entrambi i genitori per un'epidemia
di vaiolo. Ella stessa fu contagiata dal morbo che le lasciò
problemi alla vista. Di lei si occupò uno zio, un
uomo duro e brutale che trattava le donne come schiave e
che ovviamente non si occupò davvero di dare un'istruzione
cattolica alla piccola.
Un giorno, quando Caterina aveva
quasi 11 anni, un gruppo di missionari si fermò dinanzi
alla sua capanna e quel rapido contatto le lasciò
dentro un'impronta indelebile, che prese un nuovo vigore
l'anno successsivo, quando in quel luogo si stabilì
un sacerdote. Ma lo zio di Caterina, che non voleva avere
niente a che fare con la religione e i religiosi, le proibì
di frequentarlo. |
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Le irochesi venivano sposate dalla famiglia
ad un'età molto giovane e, nonostante Caterina rifiutasse
di accasarsi si cercò di farla sposare con degli
stratagemmi che, fortunatamente, lei riusciva a sventare.
Vista la sua disobbedienza in questo campo, i suoi parenti
la obbligarono a fare ogni sorta di pesanti faccende e a
vestirsi secondo le loro usanze. Un giorno che non si sentiva
bene, aveva ormai 19 anni, e se ne stava nella sua capanna,
il sacerdote entrò e, colpito dalla purezza della
giovane e dal suo desiderio di diventare cristiana, la istruì
nella fede, battezzandola nella Pasqua del 1676.
Essa visse
una vita di penitenza e di preghiera ma la sua vita in famiglia,
diventata sempre più ostile, divenne intollerabile
e irta di difficoltà. Sentendo parlare di una nuova
comunità cristiana fondata sulle rive del fiume San
Lorenzo, ella lasciò la casa natale e si rifugiò
là dove potè consacrarsi ad una vita di preghiera
e passare ore ed ore davanti al SS. Sacramento, lavorando
senza risparmiarsi per la sua nuova tribù, aiutando
in ogni modo lo svolgimento della vita in comune. Desiderando
consacrarsi ancor di più a Dio e negandosi al matrimonio,
ma volendo esser "schiava di Cristo", una notte si bruciò
le piante dei piedi con un tizzone ardente; questo era un
segno di schiavitù presso gli Irochesi. Poi si trascinò
dolorosamente verso la cappella.
Continuò così
a mortificare il suo corpo, prima per reprimere i suoi personali
istinti, dopo per accomunarsi alla Passione del Signore
e cercava tutte le occasioni possibili per umiliarsi. Questo
suo modo d'agire stupiva tutti, poi lo stupore diventò
gelosia e si fecero su di lei chiacchiere poco piacevoli,
calunniandola e anche i missionari che pure apprezzavano
il suo comportamento, prestarono in un primo tempo fede
a queste dicerie e ne furono addolorati.
Caterina ricacciò
in fondo al cuore anche il suo orgoglio fiero e tacque.
Questo suo modo d'agire venne ben presto interpretato positivamente
e tutti capirono che le chiacchiere non avevano alcun fondamento.
Questo fatto increscioso, tuttavia, minò tutte le
difese della giovane, già stremata dalla vita di
penitenze che si infliggeva e dalle privazioni. Caterina
s'indebolì e morì lentamete. Era il Mercoledì
Santo del 1680, quando emise l'ultimo respiro e finalmente
in pace, mostrò nella morte, un viso luminoso e finalmente
felice.
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SANTA MARIA CRESCENZIA HOSS DI KAUFBEUREN
1682 - 1744
Crescenzia nacque il 20-10-1682 a Kaufbeuren,
in Baviera, ultima di otto figli; essendo molto precoce,
a soli cinque anni venne cresimata e a sei si consacrò
totalmente al Signore, mentre a sette fece la Prima Comunione.
Vedeva spesso ed ascoltava il suo Angelo Custode che la
consigliava sul come comportarsi e che le rivelò
che un giorno si sarebbe fatta suora e sarebbe entrata nel
piccolo monastero di suore francescane del suo paese.
Ella
pensava che tutto ciò non sarebbe mai accaduto, ma
un giorno, inginocchiata davanti al Crocifisso del convento
dove si recava spesso, sentì una voce che le prometteva
che quella sarebbe stata la sua casa.
Ammessa, dunque, nel Convento nel 1703, diede
subito prova di straordinario fervore, di pazienza e di
umiltà, specie nei confronti della Madre superiora
che l'aveva accettata a forza e che la sottoponeva ai lavori
pù faticosi ed umilianti; ben presto anche il demonio
cominciò a tentarla, procurandole anche danni fisici,
ma questo non faceva che farla considerare una malata di
mente o addirittura una strega, tanto che la perfida superiora
la fece rinchiudere in una oscura prigione.
Il suo atteggiamento
mansueto e la sua grande disponibilità a tutti i
lavori venivano ritenuti segno di ipocrisia ed anche il
Padre Provinciale ed il suo confessore, per via delle visioni
e degli altri fenomeni, la trattavano con estrema severità.
Essa, comunque, emise i voti nel 1704 e prese il nome di
Suor Maria Crescenzia. Durante la cerimonia cadde in estasi
e vide il Signore che le metteva al dito un anello e diceva
che stava prendendola in sposa. Avrebbe dovuto soffrire
molto, ma Egli avrebbe sempre alleviato le sue pene e anche
la Madonna l'avrebbe presa sotto la sua protezione. Difatti,
spesso Ella le appariva con Gesù Bambino, confortandola
e sostenendola nelle numerose pene che sopravvenivano.
Infatti, spesso era tormentata da scrupoli,
da una "notte spirituale", da dubbi sulla sua salvezza eterna
e un giorno la Madonna, apparendole, le disse che se avesse
compiuto un pellegrinaggio nel suo santuario di Lechfeld,
si sarebbe purificata e non avrebbe avuto più alcun
dubbio. La Madre superiora, però, glielo impedì
ma, finalmente, il suo atteggiamento per niente consono,
venne rilevato ed essa fu sostituita da Madre Giovanna Altweger,
che diresse il convento per 34 anni, facendo rifiorire il
monastero; ella diede il suo assenso per il pellegrinaggio
di suor Crescenzia, che lì fece la comunione ed ebbe
di nuovo la visione della Madonna che le promise la liberazione
da ogni sua pena, fisica e spirituale.
Ella ritornò
sollevata al monastero, pensando solo a fare il suo umile
lavoro in cucina o in infermeria, accettando senza riserve
ogni croce e persecuzione, senza mai perdere la speranza
nell'aiuto di Dio. Dormiva solo poche ore per notte mentre
le altre le dedicava alla preghiera per le anime del purgatorio
che spesso le apparivano per chiederle di salvarle. Umile,
rassegnata, zelante, la sua vita si svolgeva in santità
ed ogni compito veniva da lei svolto con estrema cura; così
quello di portinaia che fece per 16 anni, accogliendo i
poveri, consolandoli, soccorrendoli, a costo di privarsi
di cibo e di vestiti. Venne infatti definita "la madre dei
poveri".
Nel 1716 il P. Provinciale dei Francescani,
ancora dubbioso, decise di sottoporre suor Crescenzia ad
una prova: se la suora gli avesse portato un lume senza
che lui l'avvesse richiesto, quella sarebbe stata la conferma
della santità di quell'anima. Crescenzia gli si presentò,
di lì a poco, con una candela in mano. Anche P. Ignazio
Wagener, che si occupò della sua direzione spirituale
rimase incantato dalla sua santità e quando morì
le apparve sotto forma di bianco fantasma. La beata pregò
per lui per vari giorni, finchè lo vide salire al
cielo.
Le era quasi impossibile stare senza Gesù
e quando poteva si recava davanti al Tabernacolo e rinnovava
con Lui la penosa Via Crucis che l'aveva portato al Calvario.
Avrebbe voluto comunicarsi tutti i giorni, ma non era sempre
possibile a quei tempi e alle volte un Angelo le portava
l'Eucarestia, prodigio che continuò per due anni.
Crescenzia, credendosi indegna di tale favore, chiese a
Gesù di farle vivere la vita comune ma per il gran
dolore di essere distaccata da Lui, si ammalò, tanto
che ebbe poi di nuovo il permesso di comunicarsi tutti i
giorni.
Dopo quasi vent'anni, tutti compresero la
grandezza spirituale di suor Crescenzia e la nominarono
maestra delle novizie, incarico che essa eseguì con
grande senso di responsabilità, esigendo l'osservanza
della regola e insegnando che anche il compimento di piccole
azioni, tese a sconfiggere egoismo ed amor proprio, erano
gradite a Dio, sollecitando le consorelle a pregare per
le necessità della Chiesa, per la conversione dei
peccatori e per le anime del Purgatorio. Spesso, in queste
occasioni, entrava in estasi e subito dopo si avvicinava
all'una o all'altra novizia e le diceva all'orecchio ciò
che nessuno sapeva. Ad alcune persone essa predisse una
morte precoce o altri avvenimenti che dovevano accadere.
Più tardi Suor Crescenzia fu nominata
superiora ed anche quest'incombenza venne da lei svolta
nel migliore dei modi, soprattutto con saggezza ed acume
per quanto riguardava le vocazioni delle postulanti e con
allegrezza incitava le sue sorelle a non preoccuparsi del
domani ma ad affidarsi alla Provvidenza. Dio più
volte premiò la fede di questa sua figlia con svariati
miracoli. Ammalatasi, per esempio, di idropisia, all'inizio
del suo governo, fu consolata e guarita all'istante da Sant'Antonio
di Padova.
Ogni giorno la Beata faceva la Via Crucis,
esortando le monache a meditare spesso la Passione del Signore
e a tenere sempre presente la Sua croce. Madre Crescenzia
non ebbe le stimmate, ma, per molti anni, partecipò
ogni venerdì ai dolori del Figlio di Dio. Nella quaresima
del 1744 la Beata sia ammalò di una strana malattia
che come un fuoco la bruciava internamente, tormentandola
con una sete inestinguibile, poi sopravvenne un gonfiore
sulla spalla e sulla guancia sinistra e quindi le si aprì
una piaga fino al dorso.
Sin dall'inizio ella sapeva che
tale stato l'avrebbe portata alla morte, ma non subito;
tra grandi patimenti accettava la volontà di Dio,
chiedendo altre pene ma anche sopportazione e a chi tentava
di consolarla per i dolori che la straziavano diceva: "La
mia gioia, la mia vita, la mia forza si trovano nell'afflizione
e nell'amore. Se potessi vedermi inchiodata in croce con
il mio Signore, tutti i miei voti sarebbero esauditi: questo
sarebbe il mio paradiso in terra".
Durante la Settimana Santa, guidata a Gerusalemme
dal suo Angelo Custode, ella assistette in estasi allo svolgersi
della Passione di Cristo e poi morì, come aveva predetto,
a mezzanotte del 6 aprile 1744, assistita dall'Arcangelo
Raffaele. Il suo corpo, che non si irrigidì nella
morte e che esalava già da tempo un profumo soave
che continuò a spandere intorno a sé, venne
sepolto nella cappella del monastero.
Venne beatificata
da Papa Leone XIII il 27-7-1900 e dichiarata Santa da Papa giovanni Paolo II nel 2001.
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SAN DOMENICO SAVIO
1842 - 1857
Domenico nacque il 2 Aprile 1842 in un'onesta
famiglia che si stabilì, di lì a poco, a Murialdo,
nei pressi di
Castelnuovo d'Asti. Divenne presto un modello di virtù:
sin da piccolo dimostrò umiltà, pietà
e candore, amore per il lavoro, intelligenza; era un bambino
buono e servizievole, mite di carattere, sempre di buon
umore, aveva però una salute fragile, gli piaceva
molto pregare e quando trovava la porta della chiesa sbarrata,
si metteva in ginocchio pregando, attendendo che l'aprissero.
A 5 anni già serviva Messa ma aveva il cruccio di
essere un pò troppo piccolo per spostare il grosso
Messale da una parte all'altra dell'altare; a 7 conosceva
già tutto il Catechismo ed il suo desiderio più
grande era fare la Prima Comunione, ma a quell'epoca bisognava
avere 11 anni. Il Parroco, che ben lo conosceva, non osava
però prendere questa decisione poi, consultandosi
con altri parroci, gli diede il permesso: Domenico fece
quindi la sua Prima Comunione nel giorno di Pasqua del 1849.
Aveva un quadernetto in cui annotava i suoi propositi spirituali,
a cui si attenne per tutta la sua breve vita. |
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Era molto intelligente e portato agli studi
e per frequentare la scuola, che distava alcuni chilometri
da casa sua, doveva fare molti km; la gran fatica gli minò
la salute tanto che dovette abbandonare gli studi e con
la famiglia si traferì poi a Mondonio. Il suo nuovo
parrocco Don Cugliero, voleva aiutarlo e così si
ricordò di Don Bosco che a Torino dirigeva una scuola.
Egli conobbe Domenico e ne fu subito colpito, decise quindi
di farlo entrare nell'Oratorio di s. Francesco di Sales
(29/10/1854).
Domenico si comportava in maniera esemplare,
avendo deciso di "farsi santo", era assetato di penitenze,
voleva digiunare nonostante l'età e la sua malferma
salute, voleva a tutti i costi poter offrire alla Madonna
qualche piccola privazione. Ma Don Bosco gli disse che l'obbedienza
e l'accettazione paziente delle contrarietà erano
già abbastanza. Molto devoto a Maria SS.ma si preparò
con gran gioia alla proclamazione del Dogma dell'Immacolata
Concezione.
Voleva "salvare le anime dei suoi fratelli, per assicurare
la salvezza della propria", cercava quindi ogni occasione
per dare consigli o impedire cattive azioni e bestemmie.
Fondò una piccola società che si proponeva
di convertire gli alunni cattivi e vi si dedicò con
ardore, cercando di convincerli alla confessione e al cambiamento
del cuore e, inoltre, l'8/6/1856, fondò con alcuni
amici la Compagnia dell'Immacolata Concezione con regole
approvate dai superiori. Il suo amore per Gesù Crocifisso
gli permise la comunione quotidiana.
Aveva spesso visioni che egli chiamava "distrazioni"
in cui gli sembrava di vedere il cielo aperto su di sè
e spesso riuscì ad aiutare delle persone morenti
a ricevere gli ultimi sacramenti.
Nel settembre del 1856 sua madre si ammalò
ma non volle avvertire Domenico per non spaventarlo, tuttavia
egli già sapeva tutto e disse che la Madonna l'avrebbe
guarita; si recò quindi da lei, le mise al collo
lo Scapolare della Madonna ed ella si riprese subito. La
sua, invece, di salute, si deteriorò e fu colpito
da tubercolosi polmonare, per cui fu necessario farlo tornare
a casa.
Sapendo che non sarebbe mai più tornato, salutò
ad uno ad uno i suoi compagni, lasciando in loro un ricordo
indelebile. A casa andò sempre più deperendo
e chiese l'Estrema Unzione, benchè nessuno credesse
che fosse giunto il momento, recitò le Litanie della
Buona Morte, chiuse gli occhi e li riaprì gridando:
"O come è bello ciò che vedo!". E con un sorriso
sulle labbra, spirò.
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I BAMBINI DE LA SALETTE
Massimino - 1935 - 1875
Melania - 1831 - 1904
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Massimino (11 anni) e Melania (15) benchè
abitassero nello stesso villaggio non si conoscevano: il
primo era un bambino grossolano, frequentava scuola e catechismo
saltuariamente e non teneva a mente nemmeno le preghiere
più semplici e pensava solo a giocare; eppure aveva
un animo dolce e generoso ed era intelligente.
Melania era
anch'essa povera e tutt'altro che pia, non andava nè
a scuola
nè a catechismo, era timida e paurosa, pigra e disubbidiente,
chiusa ed ostinata. Tuttavia era ingenua e senza malizia.
Melania si trovava a La Salette e anche Massimino
andò là per lavorare come pastore; così
i due ragazzi si conobbero e pascolarono insieme per un
pò. Dopo aver mangiato si riposarono poi videro una
gran luce all'interno della quale scorsero una Signora,
seduta, che piangeva tenendosi la testa fra le mani. Indossava
un abito bianco con uno scialle bordato d'oro. |
Essi si spaventarono
sentendola parlare e dire: "Se il mio popolo non vorrà
ubbidire dovrò lasciare libero il braccio di mio
Figlio che non riesco più a trattenere. Da tempo
soffro per voi e prego ma voi non pregate, non rispettate
le domeniche, bestemmiate..." I bambini non capivano una
parola perchè la Signora parlava francese ed essi
solo il dialetto; essa quindi ripetè il discorso
in dialetto affinchè essi comprendessero. Ella fece
un lungo discorso in cui parlava del raccolto che l'anno
prima era andato a male e di quello nuovo che stava per
essere seminato, che anche questo sarebbe andato a male
se gli uomini non si fossero decisi a seguire i suoi consigli.
Disse che ci sarebbe stata una grande carestia preceduta
dalla morte di molti bambini...
A un certo punto la Signora venne udita solo
da Massimino, poi solo da Melania: ambedue avevano ricevuto
un segreto. "Se gli uomini si fossero convertiti la messe
sarebbe stata molta". Chiese poi ai due fanciulli se pregassero
ma al loro diniego essa li incitò a farlo e a frequentare
la Messa e disse di rendere note a tutti le sue parole.
I suoi piedi sfioravano appena l'erba e i bimbi la seguirono
per un pò nel suo lieve ondeggiare poi, dopo averli
guardati a lungo, la bella Signora svanì nel sole.
Melania credeva d'essersi trovata davanti
ad una grande santa, Massimino avrebbe desiderato andare
con lei... I due fanciulli non si rendevano assolutamente
conto di quello che era accaduto ma il loro messaggio si
diffuse comunque in tutto il villaggio e poi tra i pellegrini
che subito arrivarono, alle autorità civili e religiose
da cui vennero perseguitati in ogni modo. Ma essi rimasero
fermi nelle loro dichiarazioni e nel corso di 4 lunghi anni
di interrogatori, confermarono sempre il loro racconto.
Le loro risposte erano superiori sia alla loro condizione
che alla loro età.
Intanto le suore di Corps si erano incaricate della loro
educazione, un'impresa lunga e difficile che però
i bambini cercavano con sforzo di affrontare. Benchè
spesso bisticciassero fra loro, Melania divenne pia e Massimino
aperto e simpatico ma non riusciva mai a stare fermo, ma
quando si trattava di parlare della Signora allora assumeva
un atteggiamento calmo e pensoso.
Nessuno dei due è diventato santo. Melania entrò
e poi uscì dal convento, lui invece venne raggirato
da cattive compagnie. Diventarono buoni cristiani e nulla
più e l'apparizione fu un dono umanamente inspiegabile.
Essa provocò nella Regione, ostile
alla Chiesa, un risveglio religioso e molte furono le conversioni.
Le predizioni della Vergine si avverarono: vi fu una malattia
che colpì le patate, in Francia e al'estero, una
nuova malattia della vite, poi quella del noce; nel 1855
in Francia morirono più di 100.000 persone per la
carestia e per un'epidemia di colera altre 100.000, specie
bambini. Poi venne la guerra del 1870, quella del '14, quella
successiva del '39.
"Il braccio di mio figlio è così
pesante che non riesco più a trattenerlo...".
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SANTA BERNADETTE SOUBIROUS
1844 - 1879
Il
7 gennaio 1844, a Lourdes, in una povera famiglia profondamente
cristiana, nasce Bernadette, primogenita di nove figli.
Fin da piccola soffrirà di asma e, proprio a causa
della salute non buona, frequenterà saltuariamente
la scuola, dovendosi anche occupare della piccola casa e
dei fratelli e sorelle.
A 14 anni frequentava ancora la
classe delle bambine di 7 anni, non avendo una gran memoria
e parlando solo il dialetto. Tuttavia era docile, obbediente
e serena.
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L'11 febbraio del 1858, segnerà per sempre la sua
vita: Bernadette con alcune compagne si era recata a raccogliere
della legna secca nella grotta di Massabielle, quando improvvisamente
le apparirà, in una anfratto della roccia, una Signora
bellissima e giovane, dal viso soave, vestita di bianco
con una fascia azzurra attorno alla vita e un velo sulla
testa.
Nonostante la paura, la fanciulla, che sembra l'unica
a vederla, si sente l'animo invaso da una gioia indescrivibile
ed inizia a recitarecon Lei il Rosario. L'apparizione svanisce
quasi subito e la giovane, che era rapita in estasi, si
riscosse e ritornò dalle compagne che le fecero molte
domande e riuscirono a strapparle di bocca quell'esperienza
meravigliosa a cui però non credettero. La "Bella
Signora" che le aveva riempito il cuore di felicità,
forse era stato solo un sogno.
Apprendendo il fatto, la mamma le vietò di tornare
laggiù, ma intanto la notizia si era diffusa nel
paese; alcuni ritenevano Bernadette una bugiarda che voleva
rendersi interessante, tuttavia, la domenica 14 un piccolo
seguito di persone la accompagnò alla grotta, dove
si recò dopo aver ottenuto il permesso materno. L'apparizione
ritornò e così pure il 18 febbraio quando,
finalmente, la Signora parlerà alla giovane, chedendole
di ritornare per quindici giorni consecutivi, aggiungendo:
«Non ti prometto la felicità in questo mondo,
ma nell'altro».
Fedele alla sua promessa, tutte le
mattine ella si recherà in quel luogo dove, il 21
successivo, riceverà questo messaggio:«Prega
Dio per i peccatori» e poi : "Va a dire ai sacerdoti
che qui deve esser costruita una cappella"; il 24, poi,
la Signora pronuncerà ripetutamente le parole: «Penitenza!
Penitenza! Penitenza!».
Intanto le autorità civili e religiose
si preoccupavano e sottoposero Bernadette a lunghi interrogatori,
mentre il Parroco, non convinto della veridicità
delle apparizioni, si teneva in disparte e alla richiesta
della ragazza di erigere una cappella, chiese alla Signora
un miracolo, cosa questa che avverrà solo successivamente.
Il 25 Bernadette, scortata dai soldati, arrivò
sino alla grotta per pregare, poi si alzò dirigendosi
verso il fiume, tornò alla grotta, avanzando in ginocchio
fino al centro, dove la Signora l'aveva preceduta. Sembrava
una piccola demente mentre poi con le unghie scavava la
terra lì intorno, dove una piccola pozza d'acqua
si era aperta la strada fino alla sua mano. Essa bevve di
quell'acqua, si lavò il viso e mangiò, sia
pur riluttante, qualche stelo d'erba. Molti la ritennero
impazzita, ma poco dopo alcuni passanti si accorsero che
un filo d'acqua sgorgava dalla cavità, diventando
poi un ruscello, una sorgente che dovette ben presto essere
incanalata e che ancor oggi produce una grande quantità
d'acqua che è diventata fonte d'inesauribili grazie
e guarigioni.
Il 25 marzo, giorno dell'Annunciazione, la Signora finalmente
si rivela: «Sono l'Immacolata Concezione». Bernadette
corre a ripetere questa frase che non capisce al Parroco
che, svonvolto, crederà alle apparizioni, esclamando:
«È la Santa Vergine!». Pochi anni prima,
Papa Pio IX aveva proclamato il Dogma della completa assenza
di peccato in Maria Vergine. Intanto, tra le alterne vicende
di Bernadette, che era soffocata dalle domande dei curiosi,
pressata dall'opinione pubblica e sorvegliata dalle autorità
che tentavano di porre fine agli affollamenti della gente
che chiedeva miracoli, in giugno il luogo delle apparizioni
venne delimitato da uno steccato ma la folla continuò
a condurre là gli ammalati.
|
L'ultima apparizione della Vergine ebbe luogo il 16 luglio,
festa della Madonna del Carmine: «Non l'ho mai vista
tanto bella», dirà Bernadette, rattristata
dall'annuncio che non avrebbe più rivisto la bella
Signora.
Successivamente a questi fatti, anche il
Vescovo di Tarbes pronuncerà solennemente: «Noi
riteniamo che Maria Immacolata, Madre di Dio, è veramente
apparsa a Bernadette Soubirous, l'11 febbraio 1858 ed i
giorni seguenti, per diciotto volte».
I visitatori si facevano sempre più
numerosi e cercavano di vedere la fanciulla. Temendo per
la sua salute, il parroco e il sindaco la fecero entrare
in un pensionato di suore nel 1860; là ella ritrovò
un pò di calma anche se la gente continuava a cercarla. |
Non diede mai il più piccolo segno di vanità
a proposito dei favori straordinari che aveva ricevuto e
si dimostrò umile ed obbediente come sempre.
Si racconta
che una volta, la superiora dell'Ospizio, cadendo malamente
aveva avuto una forte distorsione al piede e le erano stati
prescritti 40 giorni di riposo. Fece chiamare Bernadette
e le disse: "Figlia mia, io non ho tempo per restare a letto.
va dunque a chiedere alla Madonna che mi faccia subito guarire".
"Va bene Madre" disse Bernadette e il giorno dopo la superiora
era già in piedi.
Sei anni più tardi, dopo aver esitato a lungo su
tale scelta, ritenendosi indegna, nè abile nè
intelligente,la veggente di Lourdes, a 22 anni, verrà
ammessa - con il nome di suor Maria Bernarda - al convento
di S. Gilardo dalle Suore della Carità e dell'Istruzione
cristiana di Nevers: «Sono venuta qui per nascondermi»,
diceva. Nascondersi pe pregare, per soffrire, per sè
e per i peccatori...
Gli inizi della sua nuova vita furono penosi
soffriva di nostalgia dei suoi e per l'assenza della Signora,
per le umiliazioni morali inflittele dalla Madre Superiora,
che non la comprendeva e la trattava con freddezza, non
constatando niente di straordinario in quella “veggente.
Inoltre, sarà tormentata da vari malanni fisici ma
la sua sarà una vita di umiltà e di preghiera,
segnata da grande coraggio e da una forza d'animo fuori
del comune; volenterosamente e sempre sorridendo, compirà
ciò che le verrà chiesto.
Oltre alle continue
crisi d'asma, durante l'inverno del 1877 le si formò
un ascesso tumorale al ginocchio destro, il dolore era atroce
e Bernadetta troverà forza solo in Gesù e,
per amore suo, arriverà al punto di “amare”
la sofferenza: «Sono più felice con il mio
Cristo, sul mio letto, che una regina sul trono» scrive
ad una suora che le aveva mandato un'immagine di Gesù
Crocifisso.
Negli istanti di tregua, si renderà utile
alla comunità, ricamando, disegnando, dipengendo,
ecc. Ben presto, si allettò e, essendo ormai in fin
di vita, chiese insistentemente di pronunciare i voti. Dopo
la cerimonia, officiata dal Vescovo, Monsignor Forcade,
la salute di Bernadette si ristabilirà in maniera
inattesa ed ella vivrà ancora altri 12 anni.
Nel 1879, verso la fine di marzo si aggraverà e il
16 aprile spirerà recitando l'Ave Maria. Umile e
fiduciosa fino alla fine, Suor Maria Bernarda dirà
per due volte: «Santa Maria, Madre di Dio! Prega perme...
povera peccatrice... povera peccatrice». Spirerà
quasi subito dopo, stringendo al cuore il Crocifisso.
Bernadette Soubirous è stata canonizzata
da Papa Pio XI, l'8 dicembre 1933.
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SANTA GERMANA CASTANG
1878 - 1897
Germana nacque a Najals, in Dordogna nel
1878 da una famiglia di ben 12 figli, profondamente cristiana,
molto generosa verso i più poveri. Aveva un carattere
forte e volitivo e spesso ne combinava di tutti i colori.
A 4 anni cadde in un sonno che durò parecchi giorni,
dopodichè le si paralizzò la gamba sinistra
che si deformò, mentre il piede diventava enorme
e successivamente le si formò una piaga inguaribile;
a nulla valsero le cure del dottore e la bambina restò
inferma ma, nonostante tutto non perse mai il suo carattere
battagliero e litigava spesso coi fratelli.
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Tuttavia, piano
piano riuscì a mitigare le asprezze del suo essere,
pensando al Paradiso e alle innumerevoli sofferenze patite
dai santi; era sempre di buon umore e aveva una pazienza
straordinaria. Il Tabernacolo con l'Eucarestia l'attirava
oltremodo e quando la mamma e la sorella si comunicavano,
lei stava loro intorno per tutta la giornata, sognando di
diventare suora e di fare subito la Prima Comunione.
Intanto
la situazione finanziaria della famiglia diventò
disastrosa e presto si ridussero alla carità e dovettero
ritirarsi su un pezzetto di terra, ancora di loro proprietà,
a 4 km da Najals, chiamato ancor oggi "il prato Castang";
là vi era una casupola piccolissima per quel gran
numero di persone, calda d'estate e fredda d'inverno. Il
male di Germana intanto peggiorava e ogni passo era per
lei dolorosissimo e la piaga si allargava sempre più
ma, ciononostante, la volontà era grande ed essa
si mise a girare con una carriola chiedendo la carità,
per aiutare la sua famiglia. Di suo non aveva che la vita
e la immolò, offrendosi in sacrificio per salvare
i suoi cari; di lì a poco il padre trovò un
lavoro a Bordeaux e la piccola non dubitò che la
sua offerta fosse stata gradita al Signore. Nel 1890 ebbero
di nuovo una casa a cui Germana e la mamma accudivano ma
non c'era denaro per curare la sua gamba.
All'inizio dell'anno
successivo, un cane rabbioso la morsicò e fu ricoverata
in ospedale dove i medici le promisero la guarigione completa.
L'operazione riuscì felicemente ma poco dopo, mentre
era ancora là, venne ricoverato il fratellino di
1 anno con la polmonite tubercolare che poco dopo morì
e successivamente il morbillo si portò via altri
2 fratellini. Germana era stata per loro una piccola mamma
e un giorno parlando con un altro ammalato disse: "Oh, guarda,
i miei fratellini sopra il tuo letto, come sono graziosi".
Ella trovava naturale che essi le fossero apparsi per consolarla.
Il fratello più grande era malato di tisi e i genitori
si preoccupavano per lei e la fecero entrare come pensionante
al "Rifugio di Nazareth" che accoglieva le bambine povere,
lavoratrici e carcerate, dove avrebbe potuto apprendere
un lavoro; una compagna le insegnava quel che doveva fare
ma spesso la maltrattava, ma ella tutto accettava e quando
entrava nella cappella tutto il resto le diventava indifferente.
La sua carità divenne proverbiale e tutti la chiamavano
"la buona Germana". Per premio ottenne in chiesa un posto
da cui poteva vedere direttamente il tabernacolo e venne
poi fissato il giorno per la sua Prima Comunione. Per tutta
quella giornata rimase assorta e raggiante e da quel momento
la sua vita fu un'attesa della comunione festiva. Sognava
la vita delle Clarisse ma nel 1892 la mamma morì
ed ella dovette ritornare a casa ad occuparsi del padre
e del fratello malato che di lì a poco morì
anche lui. Fu così che la giovane condusse alla casa
di Nazareth le due sorelline più piccole. Intanto
una piaga purulenta le si era aperta presso la caviglia;
dovette mettersi a letto e per la prima volta pregò
per la sua salute e fece un pellegrinaggio a Lourdes. La
gamba però non guarì.
Nel 1893 ripresentò la domanda per
essere ammessa tra le Clarisse, ma di nuovo venne rifiutata
e nel frattempo rimase sola poichè le due sorelline
vennero trasferite in altro luogo. Conservava però
sempre un volto sereno e si affidava al suo Angelo Custode
che le rendeva molti servizi e una volta, alla festa dell'Immacolata,
cadde in estasi e finì per confessare di aver visto
la santa Vergine che le apparve anche successivamente, per
dirle che sarebbe stata accettata tra le religiose ma che
vi sarebbe rimasta per poco tempo.
Ella attese tranquilla che tutto ciò si avverasse
e alfine il 12 giugno, festa del S. Cuore, venne ammessa
nel convento. Nonostante la durezza della Regola claustrale,
il primo giorno fu per Suor Celina, questo era il suo nuovo
nome, una festa. Mentre attendeva di pronunciare i voti,
che le vennero amministrati in extremis, la giovane cercava
le mortificazioni e praticava la penitenza dello spirito,
ma ben presto ella avvertì un malore, inizio di un
male implacabile che non le diede respiro e si preparò
a lasciare la vita e il convento che amava tanto, ma con
calma e rassegnazione si adattò all'idea. Durante
questo periodo si evidenziarono molti fatti prodigiosi e
veniva spesso turbata da rumori spaventosi provocati dal
demonio che la tormentava e quel fracasso durò fino
alla sua morte e terribili angosce (oltre a quelle fisiche)
turbavano il suo spirito: era ossessionata dal peccato,
pensava al suo destino eterno, era desolata di dover abbandonare
le suore.
ntensi che si diffondevano
per tutto il monastero mentre si levavano musiche celestiali.
Dal 17 al 30 maggio suor Celina fu in una agonia simile
all'estasi che durava diverse ore e avvicinandosi al suo
letto le suore e il capellano provavano strane impressoni
di forza e di dolcezza. Gli ultimi giorni furono terribili,
non poteva nè inghiottire nè masticare mentre
il demonio continuava a tentarla e le appariva di continuo,
finchè un mattino spirò, illuminata dall'
immensa gioia di aver visto la Vergine.. Innumerevoli furono
le grazie ricevute per intercessione della piccola santa,
con manifestazioni di profumi misterosi.
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VENERABILE ANNA DE GUIGNE'
1911 - 1922
|
Anna era la maggiore di 4 fratellini, rimasti
orfani del padre, morto nella guerra appena iniziata nel
1915. Aveva un forte carattere terribilmente geloso, diceva
bugie, faceva capricci, era difficile, ma anche intelligente,
vivace ed orgogliosa.
La morte del papà e il dolore
della mamma la cambiarono: si propose di consolare sua madre
con la dolcezza e con la volontà, offrendo sacrifici
per
la vittoria della Francia. Aveva una gran fede e iniziò
a lottare contro i suoi difetti, mortificandosi in ogni
modo.
|
Cominciò a frequentare la scuola di
catechismo a 4 anni e mezzo e, giunto il momento della Prima
Comunione, che le sarebbe stata amministrata in anticipo
sui tempi grazie alla sua precocità, venne esaminata
dal superiore dei Gesuiti che nonostante la giovane età
e le diffcili domande che le pose, ritenne che essa era
in grado di comprendere e di volere. anna, infatti, teneva
un quadernetto su cui annotava tutto quello che aveva compreso
delle omelie che si tenevano in chiesa.
Il 2 marzo del 1917
Anna fece la sua Prima Comunione e si immerse nel raccoglimento,
dicendo che Gesù parlava al suo cuore. Gli sforzi
per essere buona e per cercare di dominarsi le costavano
molto ma lei offriva tutto a Gesù. Amava il suo Angelo
Custode e consigliava ai suoi fratellini ed amichetti di
invocarlo spesso per essere sempre più bravi. Venerava
molto anche la Madonna dei 7 dolori e le offriva di condividere
il suo dolore perchè "Gesù non era molto amato".
Si dava da fare per tutti: per i fratelli,
per la mamma, per il nonno, per un prozio, faceva la carità
con ardore, pregava con impegno per tutti i peccatori e
per piccoli che fossero i suoi doveri, li compiva alla perfezione
per amore di Dio.
Il 19/12/1921, Nannetta, così la chiamavano,
ebbe forti dolori di testa e di schiena ma continuò
a darsi da fare; l'encefalite che l'aveva colpita fece il
suo corso, procurandole dolori intensi che essa tuttavia
minimizzava, cercando sempre di accettare la volontà
del Signore. Il 28 dicembre si confessò e si comunicò
con gran fervore e il 30 ricevette l'Unzione degli Infermi
e mentre era alla fine, chiese alla mamma di poter seguire
il suo Angelo Custode che le era appena apparso.
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I BAMBINI DI FATIMA
Giacinta 1910 - 1920
Francesco 1908 - 1919
Lucia 1907 - 2005
In
un villaggio vicino a Fatima, in Portogallo, vivevano due
famiglie devote e lavoratrici, imparentate fra loro, i Marto
con 9 bambini e i Dos Santos con 5 figli.
Non tutti i bambini
andavano a scuola e le mamme insegnavano loro le preghiere
e di sera leggevano le vite dei santi o il Vangelo.
Lucia
de Jesus, l'ultima figlia dei Dos Santos era stata per questo
ammessa al Catechismo prima dei 7 anni; era intelligente,
seria e aveva una buona memoria. I suoi cugini Francesco,
un bel bambino silenzioso, pio e caritatevole e Giacinta,
la più piccola, era molto vivace ma pia ed affascinata
da Gesù Eucarestia, le volevano molto bene.
Essi
invidiavano Lucia che aveva fatto la Comunione prima dell'età
prescritta e chiesero il permesso di frequentare il catechismo.
Quando Lucia compì 10 anni, le fu dato l'incarico
di condurre al pascolo le pecore e i due cuginetti la sera
ne aspettavano il ritorno, ma poi si unirono a lei e passarono
insieme le giornate giocando, pregando e guardando le pecore.
Il 13 maggio 1917, dopo la Messa, essi si
diressero verso la Cova de Iria e mentre giocavano, un lampo
accecante illuminò il cielo; radunarono il gregge
pensando che sarebbe piovuto ma si fermarono ad un nuovo
lampo, poi videro una Signora che facevano cenno di avvicinarsi:
aveva i piedi poggiati su una nuvoletta, una tunica e un
velo ornato d'oro. Le bimbe la videro subito mentre Francesco
solo dopo aver pregato, però non intese mai quello
che Lei diceva. Giacinta sentiva tutto, ma solo Lucia parlava
con Lei.
La Signora chiese ai fanciulli di ritornare
in quel luogo il 13 di ogni mese per sei volte; in ottobre,
poi, avrebbe dato un segno, avrebbe detto chi era e che
cosa volesse. La visione raccomandò loro di recitare
il Rosario ogni giorno e chiese se volessero soffrire un
pò per la conversione dei peccatori e fare qualche
sacrificio per salvare le anime; molte si perdevano perchè
nessuno pregava per loro.
La fanciulla accolse con slancio
l'invito e di lì a poco la Signora si allontanò,
lasciando i bambini senza parole; Lucia consigliò
di non rivelare a nessuno ciò che avevano visto,
ma Giacinta non riuscì a mantenere il segreto e raccontò
ogni cosa, poi anche gli altri ammisero di aver avuto un'apparizione.
La notizia si sparse nel paese contrariando la mamma di
Lucia che però, dopo aver parlato col parroco, acconsentì
che la figlia andasse, il mese successivo, alla Cova di
Iria, dove si raccolse una gran folla e dove, dopo il primo
Rosario, la Signora arrivò, tornando a sollecitare
la recita giornaliera delle preghiere, chiedendo ai bambini
d'imparare a leggere e promettendo di ritornare il mese
seguente.
Lucia chiese la guarigione di un malato che
si era rivolto a lei ma la Madonna disse: " Ditegli che
si converta e guarirà entro quest'anno". Lucia supplicò
di portarli con sè in cielo e la Signora le assicurò
che vi sarebbero andati, prima i due più piccoli,
mentre Lucia avrebbe dovuto restare sulla terra più
a lungo, per far conoscere ed amare Gesù che voleva
stabilire nel mondo la devozione al Cuore Immacolato di
Maria. La giovinetta si rammaricò di dover restare
da sola ma la Signora assicurò che il suo Cuore sarebbe
stato il suo rifugio, aprì poi le braccia inondando
i fanciulli di luce ed essi videro nella sua mano destra
un cuore circondato di spine. Gli astanti non avevano ovviamente
visto nulla ma avevano notato che, benchè la giornata
fosse calda e serena, il sole si era indebolito, avevano
sentito un forte colpo e visto una nuvoletta che poi si
era dissolta.
I genitori dei ragazzi, poichè tutto
il paese parlava di loro, pretendevano una ritrattazione
e Lucia venne picchiata più volte dalla madre finchè
il parroco non intervenne e fece chiamare le due famiglie.
Lucia quasi quasi avrebbe voluto arrrendersi e ritrattare,
ma Giacinta la convinse che quella sì, allora, sarebbe
stata una bugia. Il 13 successivo, benchè non volesse
andare all'appuntamento, Lucia si sentì attratta
alla Cova dove si recò, accompagnata dai genitori
e da una folla di 6000 persone; alle 12 precise la Signora
apparve, chiedendo ciò che aveva detto in precedenza:
recitare il Rosario per ottenere la fine della guerra. Lucia
chiese un miracolo affinchè tutti credessero ed essa
ne promise uno per l'ottobre successivo, quando avrebbe
rivelato quello che voleva.
Gli astanti videro il volto
di Lucia rattristarsi, lanciare un grido di terrore, poi
i bambini rimasero in silenzio: avevano visto l'Inferno,
mentre la Signora aveva loro rivelato un segreto, invitandoli
a diffondere il suo messaggio:
" ... Se si farà quello che chiedo molte anime si
salveranno e ci sarà la pace. Ma se non si cesserà
di offendere Dio, sotto il nuovo pontificato vi sarà
un'altra guerra ben peggiore. Quando vedrete una gran luce
misteriosa nella notte, saprete che quello è il segno
di una nuova guerra, di carestie e persecuzioni contro la
chiesa e il Santo Padre.
Per impedire questo Il Signore
chiede la consacrazione del mondo al mio Cuore Immacolato
e la comunione riparatrice ogni primo sabato del mese. Se
ciò avverrà la Russia si convertirà
e si avrà la pace, altrimenti essa diffonderà
i suoi errori nel mondo, portando ancora guerre e persecuzioni
e il S. Padre dovrà molto soffrire, molte nazioni
saranno annientate. Ma alla fine il mio Cuore Immacolato
trionferà e il mondo potrà godere di un periodo
di pace".
La gente notò una nube bianca che avvolgeva i bambini
e una strana colorazione dorata dell'atmosfera.
Nel 1917, a quel momento, non era ancora avvenuta la
Rivoluzione Russa che si sarebbe verificata in ottobre e
quindi dei pastorelli ignoranti non avrebbero potuto inventare
una storia del genere. Aspettando il 13 agosto, molta gente,
anche sollecitata dalla stampa massonica che fece un gran
chiasso su questa vicenda, si recò alla Cova, provocando
problemi alle culture dei Dos Santos e causando problemi
a Lucia che non era ancora creduta dalla madre.
Le autorità
ecclesiastiche non potevano ormai far finta di nulla e decisero
quindi di convocare i bambini e i loro genitori per allontarli
nel giorno previsto per l'apparizione e il Prefetto con
una scusa li portò lontano, chiudendoli in prigione
insieme a detenuti comuni, sorpresi di vedere quei tre bambinetti
che subito si misero in ginocchio a pregare.
I piccoli,
sia pur minacciati e tra le lacrime, sostennero quanto già
detto. Il giorno dell'apparizione i ragazzi non erano al
solito posto ma c'era una gran folla che udì uno
scoppio e vide l'aria diventare dorata, il sole attenuò
i raggi e sulla sommità dell'albero si formò
una nuvoletta. I bimbi si disperarono di non poter essere
presenti ma poi, liberati, nel pomeriggio del 19 agosto
mentre erano al pascolo, ecco apparire di nuovo la Signora.
Essa disse che, a causa degli avvenimenti, il gran miracolo
che si era ripromessa di compiere in ottobre sarebbe stato
meno grandioso.
Dopo aver chiesto di utilizzare il denaro
raccolto dai fedeli per l'acquisto di unn carro per trasportare
la statua della Madonna del Rosario in processione e per
costruire una cappella, ribadì di pregare molto e
di fare sacrifici per i peccatori. Lasciando la Cova, Lucia
portò con sè un ramo dell'albero su cui si
era poggiata la visione, che profumò miracolosamente
tutto il villaggio.
Il 13 successivo vi era già una gran
folla sul luogo delle apparizioni: tutti si inginocchiarono
e alle 12 precise, preceduta da un globo di luce, ecco apparire
la Madonna preceduta che promise ai bambini di tornare il
mese successivo con San Giuseppe e il piccolo Gesù.
Il 13 ottobre era un giorno piovoso eppure la folla si riversò
a frotte all'appuntamento. Lucia comandò di chiudere
gli ombrelli e subito ecco un lampo e per tre volte una
nuvoletta circondò i bambini che erano ormai entrati
in estasi.
La Madonna, sottolineando le troppe offese nei
confronti del Figlio, chiese che in quel luogo venisse eretta
una chiesa in suo onore, poi aprì le mani che brillarono
al sole comparso improvvisamente e ci fu un prodigio: il
sole ballava in un cielo azzurro intenso, sembrava un disco
d'argento che roteando nel cielo lanciava fasci di luce
di tutti i colori. Poi si fermò e ricominciò
di nuovo. Per la terza volta ci fu il prodigio e la luce
sembrava sempre più sfavillante.
La folla guardava
costernata, tutti videro il fenomeno e ad un tratto sembrò
che il sole precipitasse sulla folla che incominciò
a fuggire,ma lentamente esso si rimise al suo posto. Tutti
recitarono il Credo e ognuno si accorse che i suoi vestiti
prima bagnati per la pioggia, si erano improvvisamente asciugati.
Lucia raccontò di aver visto la Vergine dai 7 Dolori
senza la spada conficcata nel petto, la Madonna del Carmine,
la Sacra Famiglia e Nostro Signore benedire la folla, mentre
gli altri due avevano visto solo Maria, San Giuseppe e il
Bambino Gesù.
L'anno dopo, 1918, la spagnola colpì
tutta la famiglia Marto e Francesco che, nonostante la febbre,
continuò a recitare tranquillamente il Rosario, restò
a letto per 5 mesi chiedendo con insistenza di poter fare
la Prima Comunione, prima di morire.
Così fu il 2
aprile e solo dopo due giorni se ne andò in cielo.
Anche Giacinta verrà colpita dalla spagnola che le
provocherà una pleurite; condotta in ospedale, ne
uscirà due mesi dopo con una dolorosa fistola a un
fianco e avendo rivista la Signora, questa le aveva predetto
che sarebbe morta in solitudine, dopo molto penare, in un
un altro ospedale, senza più rivedere i genitori.
La fanciullina accettò tranquillamente la sua sorte.
Nel febbraio del 1920, infatti, un medico di Lisbona giunto
in pellegrinaggio a Fatima, assicurò che Giacinta
avrebbe potuto guarire con un intervento chirurgico. L'operazione
ebbe luogo ma la bimba, di lì a poco, dopo aver avuto
altre apparizioni della Vergine, morì. Il suo piccolo
corpo venne esposto perchè una folla sorprendente
da ogni parte andava a recarle un saluto. Sorrideva come
fosse ancora viva e da lei emanava un odore di fiori. 15
anni dopo la sua salma venne riportata a Fatima e quando
la bara venne riaperta, il suo corpo era ancora intatto.
Qualche anno più tardi, Lucia entrò
nell'Orfanotrofio delle suore di santa Dorotea, a Porto,
dopo aver promesso al Vescovo di non parlare mai a nessuno
di Fatima, promessa a cui terrà fede per 13 anni.
A 18 anni chiese di essere ammessa nella Congregazione delle
suore di Santa Dorotea, a 21 emise i primi voti e nel 34
i voti perpetui. In quest'occasione la consegna del silenzio
fu tolta. Lei, intanto, di Fatima non sapeva più
nulla, ma successivamente seppe del riconoscimento, da parte
della chiesa, della autenticità dei fatti accadutivi;
vi ritornò solo nel maggio del 1946. Entrò
poi nel Carmelo, il giovedì santo del 1948 , a Coimbra,
con il nome di suor Maria Lucia del Cuore Immacolato.
Fatima è divenuta meta di pellegrinaggi
e dal maggio del 1926 al dicembre del 1937 si verificarono
più di 800 guarigioni ritenute inspiegabili. Il Portogallo,
dapprima anticlericale e massonico, divenne sempre più
devoto a Maria e nel 1931 i Vescovi portoghesi consacrarono
al Cuore Immacolato di Maria la loro Nazione, rinnovando
la consacrazione nel 1938 e nel 1940.
Grazie al Cuore Immacolato
di Maria, il Portogallo fu miracolosamente preservato dal
coinvolgimento nella guerra civile spagnola e venne risparmiato
dalla Seconda Guerra Mondiale.
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I BAMBINI DI BEAURAING
Fernande - 1917 - 1979
Gilberte - 1919 - 2003
e
Albert Voisin 1921 - 2003
Andrée - 1918 - 1978
e Gilberte Degeimbre -1923 - 2015
|
A Beauraing, piccolo villaggio francese al
confine con il Belgio, nel 1932 la popolazione era per metà
cattolica e per metà protestante, per lo più
tiepidamente devota. Le famiglie Voisin e Degeimbre, amiche
fra loro, erano cattolici. I Voisin avevano 3 bambini :
Ferdinanda, Gilberta
e Alberto.
La Degeimbre, vedova, aveva Andreina e Gilberta.
I bambini erano sempre insieme e il 29 novembre di quell'anno,
mentre andavano a prendere Gilberta Voisin alla scuola retta
da suore, Alberto vide una luce su un ponte là vicino
e ne restò abbagliato mentre le bambine, distratte,
non davano retta ai suoi richiami. Il piccolo però
insistette e anch'esse si girarono e videro una figura bianca
sul lato di una piccola grotta.
Gilberta, raggiuntili, vide
anch'essa quella candida apparizione.
Nessuno però credette al racconto
dei piccoli, ma poichè quella forma sospesa a mezzaria
con le mani giunte si ripresentò al loro sguardo,
il giorno dopo essi chiesero ai genitori di accompagnarli
di nuovo in quel luogo. |
La visione ora non era più
sospesa nell'aria ma sfiorava il terreno e i bimbi la videro
in vari posti là attorno, potevano osservare il suo
bel volto, l'aureola di raggi dorati intorno alla sua testa,
le mani giunte e gli occhi rivolti al cielo. Essi caddero
in ginocchio pregando. Il 2 dicembre, i bambini ritornarono
là seguiti da altra persone e caddero in ginocchio
di colpo, battendo fortemente sul terreno ma essi non se
ne accorsero nemmeno. Il bimbo le chiese se essa fosse la
santa Vergine ed ella annuì; le domandò cosa
volesse ed essa li spronò ad essere buoni. Essi promisero
e la loro voce risuonava ma quella della Vergine poteva
essere udita solo da loro.
Ella diede un nuovo appuntamento
per l'8, sua festa e in quel giorno si raccolse sul posto
una folla enorme. Non accadde nulla di particolare, tranne
l'estasi dei bimbi che vennero esaminati da alcuni medici
presenti. La Vergine ritornò altre volte e chiese
che in quel luogo venisse costruito un santuario. Mentre
apriva le braccia, i bimbi videro un cuore d'oro sul petto
della Madonna.
Il 3 gennaio ebbe luogo l'ultima sua apparizione.
A Gilberta Degeimbre e ad Alberto la Vergine confidò
un segreto e a Gilberta Voisin un altro, dicendo: "Io convertirò
i peccatori". Ad Andreina disse: "Io sono la Madre di Dio,
la Regina del cielo. Pregate sempre". Solo Fernanda non
aveva visto nè udito nulla ma dopo la visione si
scosse, come colpita e singhiozzò: "Sì, si".
La Vergine le aveva chiesto se volesse bene a Lei e a suo
Figlio e di fare sacrifici.
Le apparizioni di Beauraing sono state molto
contestate poichè i bambini non presentavano particolari
doti di devozione e di fervore. Anche i messaggi della Madonna
non avevano nulla di particolare, a parte forse che la promessa
di salvare le anime e la visione del cuore d'oro non siano
stati un messaggio di speranza. I bimbi comunque crescendo,
hanno condotto una vita profondamente cristiana, responsabile,
onesta, da buoni parrocchiani.
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LA FANCIULLA DI BANNEUX
1921 - 2011
Nella provincia di Liegi, su un terreno poco
lontano dal bosco, vivevaGiuliano Beco, poco credente e
praticante, tuttavia ottima persona, con una numerosa famiglia.
La figlia maggiore, Mariuccia,
frequentava senza gran fervore il catechismo, non sempre
andava a Messa ma conosceva le preghiere.
La domenica 15
gennaio 1933 non vi era stata e a sera attendeva il ritorno
del fratello, quando scorse una luce e vide una signora
luminosa, in piedi, che la guardava con le mani giunte.
La fanciulla prese il Rosario e cominciò a pregare
mentre la Signora le sorrideva e la chiamava a sè,
ma la mamma, che non vedeva nulla, glielo impedì. |
|
La visione scomparve e la mattina la ragazzina raccontò
tutto al padre che le credette subito e ad una sua compagna
che riferì la cosa al Cappellano il quale, poco convinto,
la vide comunque partecipare alla messa del mercoledì.
Quel 18 gennaio faceva molto freddo - 11
gradi sotto zero - e nonostante la paura Mariuccia uscì
di casa mentre il padre la seguiva senza farsi scorgere.
La piccola si mise in ginocchio, recitò il rosario
e a un certo punto tese le braccia: la visione era ricomparsa
e un disco di raggi la circondava, aveva un abito bianco
e un lungo velo.
La bimba continuava a seguire l'apparizione
mentre il padre la chiamava senza che essa lo sentisse,
finchè egli decise di andare a prendere il cappellano
ma, non trovatolo, portò con sè un amico e
il suo figliolo. Mariuccia intanto seguiva gli spostamenti
della visione: ora si inginocchiava, ora si alzava, sorridendo,
si rimetteva in ginocchio e pregava finchè non si
fermò sulla riva di un fossato in cui la fanciulla
bagnò le mani dicendo distintamente, come ripetendo:
"Questa sorgente è riservata a me. Io sono la Vergine
dei Poveri. Questa sorgente è destinata a tutte le
Nazioni per dar sollievo agli ammalati".
Mariuccia poi la salutò mentre essa
si allontanava.
Tutto era durato poco più di mezz'ora.
La visione ricomparve ancora il 19 e il 20 gennaio mentre
la fanciulla recitava tanti rosari, ritornò ancora
l'11 febbraio, anniversario dell'apparizione di Lourdes
e chiese una cappella, poi ancora chiedendo a Mariuccia
di pregare molto. Il 2 marzo si congedò quindi dicendo:
"Io sono la Madre del Salvatore, la Madre di Dio".
Mariuccia non si espose alla curosità
generale, lavorò presso una clinica di suore, si
sposò ed ebbe dei bambini. A Banneux venne costruito
un santuario che è diventato un centro molto frequentato.
Nel 1949 le autorità ecclesiastiche hanno proclamato
la reale apparizione per 8 volte della Vergine Maria ed
è stato approvato il culto a Maria Madre dei Poveri.
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PIERGIORGIO FRASSATI
1901 - 1925
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Piergiorgio
nacque a Pollone in Piemonte, presso un'agiata e distinta
famiglia; suo padre Alfredo era direttore e proprietario
del giornale "La Stampa", scrittore e poi Ambasciatore a
Berlino, dopo la prima guerra mondiale. Già da piccolo
dimostrò buon cuore verso i poveri, non diceva bugie,
era tenace e di temperamento generoso. Gli piacevano tutti
gli sport: calcio, equitazione, ciclismo ma aveva una vera
passione per la montagna.
Ascoltava con intensità il Vangelo che tentava, con
successo, di mettere in pratica.
Fece la sua Prima Comunione nel 1919 con
la sorellina e da allora la fece sempre con freqenza e dall'età
di 16 anni vi si accostava quotidianamente. |
Era fedelissimo
al precetto della Messa festiva e cercava di farlo rispettare
anche ai suoi amici o conoscenti. Era ricco di intenzioni,
di idee, gran lavoratore, si adoperava per il Signore in
ogni modo: nel 1920 si iscrisse, tra i primi, ad una sezione
di Adorazione notturna per gli studenti e si tratteneva
in chiesa per parecchie ore, si incaricava del servizio
d'ordine alle processioni e ai Congressi Eucaristici, era
Terziario dell'Ordine Domenicano, praticava digiuni ed astinenze
e buona parte del suo tempo lo dedicava all'Azione Cattolica.
Nel settembre del 1921 ebbe luogo in Roma
un Congresso Naz.le della Gioventù ed egli era tra
i 50mila giovani convenuti per celebrare una Messa al Colosseo,
ma il Prefetto revocò il permesso. Tuttavia, a mezzogiorno
era prevista la deposizione di una corona al Milite Ignoto
e i giovani, tra cui Piergiorgio che portava la bandiera
del Circolo Cesare Balbo, vennero accerchiati e rinchiusi
nel cortile del Palazzo Altieri. Pierluigi venne interrogato
e si qualificò come figlio dell'ambasciatore a Berlino,
con tale semplicità da lasciar stupiti tutti.
Si interessò al movimento "Pax Romana"
per favorire un aiuto agli studenti, si mise in contatto
con i giovani operai cattolici, si prodigò per il
Primo Congresso della "Pax Romana" e si era anche iscritto
al Partito Popolare, il partito dei cattolici. "La Stampa"
era contraria al regime fascista e i militanti del partito
decisero di punirne il direttore, recandosi a casa sua,
dove però c'erano solo la moglie e Piergiorgio: 4
giovani irruppero e fecero a pezzi tutto ciò che
capitava loro tra le mani. Egli si alzò e li cacciò
fuori, tornando poi tranquillamente a tavola.
Aveva fondato un'allegra società "I
tipi loschi" con un presidente, un segretario, un organizzatore
di gite e altri ragazzi e ragazze chiamati "lestofanti"
o "lestofantesche". Partivano di primo mattino per la montagna
e Piergiorgio, che lungo le salite recitava il Rosario,
si preoccupava affinchè tutti partecipassero alla
Messa festiva. Lui e i suoi amici, con spietata sincerità
sottolineavano i reciproci errori e difetti, chiedendo aiuto
scambievole per migliorare. Rincuorava conoscenti e amici,
si curava poco delle convenienze sociali, si metteva al
servizio dei poveri e dal 1919 fece parte della Conferenza
di San Vincenzo, trovando sempre tempo da dedicare alle
famiglie bisognose e per Natale si dava ancor più
da fare.
Dio era al centro della sua vita anche nei
momenti difficili e rinunciava per Lui a tutto il resto.
Diceva : "Tu mi chiedi se sono allegro; lo sarò finchè
la fede mi dà forza. La tristezza deve essere bandita
dai cattolici. La nostra vita, pur seminata di molte spine,
non è una vita triste. Essa è allegra anche
attraverso il dolore". Pensava alla morte come al preludio
di gioie ben più grandi: "Dopotutto, chi muore raggiunge
il vero fine dell'esistenza, non si dovrebbe temerla ma
invocarla". Tutti i giorni faceva una preparazione per una
buona morte.
Il 30 giugno 1925 andò in gita in
barca con alcuni amici e a un certo momento sentì
delle fitte spaventose alle gambe e ai reni e tornato a
casa fu preso da un violento mal di testa e da febbre. La
crisi però passò inosservata perchè
proprio quel giorno era morta la nonna materna e Piergiorgio
passò tutto il tempo presso il suo letto di morte,
sia pur soffrendo molto. Il medico credette che si trattasse
di una crisi di reumatismi, mentre invece era stato colpito
da una poliomielite infettiva di forma acuta.
Nell'arco
di poco tempo, non riuscì più a stare in piedi,
le gambe avevano già perso ogni sensibilità
e benchè le sofferenze aumentassero e la paralisi
progredisse, Piergiorgio, pur comprendendo la gravità
del male, stava tranquillo; poi, non potendo più
muovere le braccia, chiese a una suora di aiutarlo a farsi
il segno della croce e alle 3 del mattino, dopo aver ricevuto
l'estrema Unzione, morì.
Sulla sua lapide venne incisa una bellissima
epigrafe che riassumeva la sua vita di perfetto cristiano.
Il 20 maggio del 1990 è stato beatificato da Papa
Giovanni Paolo II che lo ha definito: "l'uomo delle
otto beatitudini, che reca con sè la grazia del Vangelo,
della buona novella, la gioia della salvezza offertaci da
Cristo". La sua memoria liturgica viene celebrata il
4 luglio.
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BEATA CHIARA BADANO, LA SANTA DEI GIOVANI
1971 - 1990
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Nata a Sassello in Liguria nel 1971, Chiara era nata dopo molti anni dal matrimonio dei suoi genitori che tanto desideravano un figlio e li aveva subito riempiti di gioia. Sin da piccola entra a far parte del movimento religioso dei Focolari o focolarini come si chiamano abitualmente, creato da Chiara Lubich, composto da famiglie che si impegnano a dare testimonianza del Vangelo... era quindi quella l'aria che Chiara respirava assorbendo in tutte le sue fibre l'amore per Cristo e la volontà di aderire alla sua volontà
Amava il mare, la montagna, il ballo, gli sports e le altre cose belle della vita, verso cui, fiduciosa, si stava incamminando, sempre allegra, sempre vitale. Ma tutta questa carica lei la improntava sui valori religiosi che le aveva trasmesso la sua famiglia. Come ogni ragazza della sua età sognava di trovare un giovane che le potesse vivere accanto animato dai suoi stessi ideali e qualche delusione l'avrà sicuramente avuta visto che marciava in controcorrente, in contrasto coi dettami odierni.
...Poi la malattia, che l'ha portata alla morte prima che potesse compiere i 20 anni e attraverso cui ha dimostrato ampiamente di essere seguace di Cristo non solo nelle piccole ma soprattutto nelle grandi sfide.
Quando seppe di avere un tumore alle ossa, terribile prova, dapprima si spaventò, poi aderì alla volontà di Dio, affrontando questa prova come soleva dire sin da piccola: "Se lo vuoi Tu, Gesù, lo voglio anch'io!" e affrontò due lunghi anni di ricoveri, operazioni, di medici, di dolori insopportabili senza perdere nè la fede, nè la pazienza nè il suo sorriso.
La malattia progressiva la portò per sempre a letto con dolori incessanti che le squassavano il giovane corpo ma per controbattere i quali rifiutava i forti antidolorifici che le proponevano. |
Sul suo comodino un'immagine di Cristo che la sosteneva e le dava forza in questa impresa più grande di lei: accettare il dolore, la malattia, offrirla per gli altri, confortare i suoi genitori che, grazie alla loro fede hanno superato la triste vicenda.. E' morta nel 1990 rivolgendo parole di conforto a sua madre.
Di lei Chiara Lubich, la fondatrice del movimento dei focolari, che conosceva sin da piccola Chiara, alla conclusione della fase diocesana del processo, così aveva detto: “Quanta luce in questa nostra Chiara! La si legge sul suo volto, nelle sue parole, nelle sue lettere, nella sua vita tutta protesa ad amare concretamente tanti! Possiamo bere alla sua vita.
E’ modello e testimone per giovani e anziani: ha saputo trasformare la sua 'passione' in un canto nuziale!”.
Mons. Livio Maritano, il Vescovo che le aveva impartito la Cresima ha detto: “Mi è parso che la sua testimonianza fosse significativa in particolare per i giovani. C’è bisogno di santità anche oggi. C’è bisogno di aiutare i giovani a trovare un orientamento, uno scopo, a superare insicurezze e solitudine, i loro enigmi di fronte agli insuccessi, al dolore, alla morte, a tutte le loro inquietudini”.
“E’ sorprendente – ha aggiunto – questa testimonianza di fede, di fortezza da parte di una giovane di oggi: colpisce, determina molte persone a cambiare vita, ne abbiamo testimonianza quasi quotidiana”.
L'ha definita " apostola in un mondo malato di infelicità", mentre l'Osservatore Romano ha intitolato il suo articolo a lei dedicato "Modello per tempi difficili".
Molte le conversioni che le vengono attribuite eppoi il miracolo che l'ha fatta salire agli onori degli altari.
Si tratta della guarigione di un bambino di Trieste colpito da meningite, ricoverato in gravissime condizioni e per cui i medici davano poche speranze perchè c'era poco da fare... se non pregare!
Lo zio del ragazzo, che faceva parte del Movimento dei Focolari si affidò dunque all'intercessione di Chiara Badano, di cui conosceva la limpida vita, e dopo la notte, al mattino successivo il bambino presentava segni di netto miglioramento e ben presto potè dimostrare di essere pienamente guarito.
Quanti amici si è fatta in questi anni Chiara con la sua vita e da tutto il mondo sono arrivati a Roma per la sua beatificazione, inondando anche l'etere con i mezzi più usati dai giovani: sms, e-mail e altro.
La cerimonia di beatificazione, che si è tenuta al santuario del Divino Amore (Roma ) è stata condotta da mons. Angelo Amato, prefetto per le Cause dei Santi delegato da papa Benedetto XVI.
La Messa è stata officiata da più di 100 sacerdoti.
I presenti, circa 25.000 erano per lo più giovani di tutte le nazionalità.
Restano di lei i suoi scritti che rendono piena testimonianza della sua fede ed il ricordo del suo sorriso solare.
Dichiarata venerabile il 3 luglio 2008, è stata proclamata beata il 25 settembre 2010.
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ALDO MARCHETTI
1920 - 1940
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Nato a Trieste il 3 agosto del 1920, fu bambino giudizioso ed intelligente che ben presto venne avviato agli studi presso il Convitto Nazionale di Cividale. Nel luglio del 1929, però, si manifestarono i primi sintomi di una poliartrite deformante che l'avrebbe portato ad una morte precoce.
Tuttavia, il piccolo sembrava interiormente saldo e quando riuscì ad andare a Lourdes per chiedere la grazia della guarigione fisica, ebbe a dire che non l'aveva ricevuta ma gli era stata donata una cosa ancora più grande: la forza di soffrire. Egli, infatti, fu sempre sereno e gioioso nonostante tutto.
Dal 1937 fu fermo a letto e da lì non si rialzò più. Girato sul fianco destro rimase così per tre anni tormentato da atroci dolori di cui non si lamentava, non poteva più far nulla neanche leggere ma fece anche di questo un'oblazione, sospirando di vedere le bellezze del Paradiso.
Nel marzo del 1939 ricevette, come fosse una festa, l''Estrema Unzione e si rallegrò tutto perchè era pronto a compiere la volontà di Dio. Il suo atteggiamento diveniva sempre più virile e, offrendo le sue pene al Signore, non voleva alcuna medicina che potesse renderlo incosciente.
Gli venne somministrata una nuova estrema unzione, dopodichè cercando di confortare sua madre passò gli ultimi momenti della sua breve vita pensando al Paradiso; il 25 gennaio 1940, dopo aver alzato la testa che da tempo non poteva più muovere ed esortando i presenti alla fede e alla preghiera, prese la S. Comunione e continuò a pregare, baciando il Crocifisso. Spirò dopo aver riconfermato di voler fare la volontà di Dio, con un sorriso estatico sul volto che guardava in alto...
I suoi pensieri sono dedicati alla sua alta missione:
"Le sofferenze sono sante. Sta a noi ammalati santrificarci con esse oppure farne oggetto di tortura".
"Dio sa quello che fa... Dio è certezza!"
"Prego Gesù perchè io sia sempre degno di soffrire per Lui. Non voglio essere solo rassegnato... voglio soffrire con amore... A quante anime dieci minuti di sincera meditazione basterebbero per arrestarle nella folle corsa verso la notte eterna!". |
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DOMENICO ZAMBERLETTI
1936 – 1950
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Nato tra le Prealpi, vicino alla Madonna del Sacro Monte di Varese, sin da piccolo manifestò un grande amore per Dio e la Madonna. Bimbo vivace, precoce, aveva un vero talento per la musica, ma tutto venne interrotto dalla malattia e dalla morte.
Nonostante le sofferenze della pleurite prima e della leucemia poi, manifestò sempre una gioia non comune, sorridendo nonostante i dolori, sempre obbediente e generoso come quando era in salute.
Diceva:
"Per me è ugualmente bello vivere come è bello morire"
"Il Signore mi ha dato tutto ed è giusto che ora mi dia la malattia..."
"...Non lo sapete che grazia sia morire a tredici anni! Il Paradiso è assicurato!".
Per otto lunghi mesi le sofferenze lo torturarono, ma quando i dolori si calmavano era allegro e ridanciano come sempre, voleva che la gioia che era nel suo cuore si comunicasse a tutti.
Era devoto del S. Cuore e passava lunghe ore davanti a quell'immagine con cui silenziosamente comunicava. Le sue ultime parole furono la rivelazione che la Madonna era andata a prenderlo per portarlo in Paradiso. |
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BEATO JOSE' SANCHEZ DEL RIO, MARTIRE
1913 - 1928
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José Luis Sanchez Del Rio era nato in Messico (Michoacán), a Sahuayo, il 28 marzo 1913 e sin da piccolissimo mostrò segni di forte attaccamento alla fede cristiana, avvicinando i suoi compagni alla Eucaristia ed alla preghiera. Un anno prima di morire, nel 1927, era riuscito dopo tante insistenze a farsi accettare nell'esercito del generale Prudenzio Mendoza, che combatteva contro le leggi antireligiose instaurate dal governo, come aiutante di campo, portabiandiera e clarinettista.
Visitando la tomba del beato martire Anacleto González Flores, aveva chiesto a Dio di poter morire in difesa della fede. E così fu.
Preso prigioniero dalle truppe federali, venne blandito in vari modi affinchè rinnegasse Cristo ma egli non volle accettare l'apostasia, rifiutando di far pagare il riscatto ai suoi genitori.
Nonostante lo avessero torturato in vari modi, pur piangendo dall'intenso dolore non cedeva ai suoi torturatori che lo incoraggiavano a maledire Cristo, ma egli per tutta risposta sia pur con poca voce riusciva a gridare "Viva Cristo Re !".
Quelli continuarono nel loro infame intento chiedendogli di rinnegare la sua fede ma egli preferì morire con il grido che inneggiava a Cristo re dell'universo e alla Santa Vergine di Guadalupe.
La sua morte avvenne il 10 febbraio 1928 davanti a due bambini che successivamente si convertirono diventando cristiani e fondatori di due congregazioni religiose e che confermarono che la sua prigionia doveva scoraggiare la popolazione che parteggiava per le forze cristiane.
Il suo martirio dovuto a persecuzione religiosa è stato riconosciuto nel 2004 da Giovanni Paolo II, mentre la sua beatificazione è avvenuta ad opera di Papa Benedetto XVI il 20 novembre 2005, assieme ad altri tre martiri messicani morti nella persecuzione contro i cristiani in Messico, due sacerdoti José Trinidad Rangel Montaño e Andrés Sola Molist, missionario ed un laico, Leonardo Pérez Larios.
E' sepolto presso la chiesa del Sacro Cuore di Gesù nel suo villaggio.
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SERVO DI DIO ANTONIO MOLLE LAZO
1915 - 1936
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Nato in provincia di Cadice (Arcos de la Frontera), il 2 aprile 1915, presto si trasferì con la famiglia a Jerez dove crebbe e dove più tardi frequentò con ottimi risultati un collegio dei Lasalliani. Aveva un buon carattere e cercava sempre di metter pace ed allegria tra i suoi amici. Sin da piccolo non ammetteva che qualcuno bestemmiasse in sua presenza e cercava di riprenderlo con vigore.
Finiti gli studi iniziò a lavorare con impegno, cambiando spesso tipo di lavoro ma guadagnandosi simpatia e fiducia da parte deii suoi compagni. Intanto era diventato Terziario Carmelitano e cercava in ogni modo di di catechizzare i suoi coetanei; nel 1931 si iscrisse al Circolo della Gioventù Tradizionalista, lavorando per la gloria di Dio, con impegno, dedizione ed allegria, ma intanto i rivoluzionari prendevano sempre più piede e a causa del suo impegno religioso venne rinchiuso in carcere, dove non potendo ascoltare la Messa e cantare inni religiosi si diede alla recita del Rosario o a scrivere poesie sui muri della prigione.
Dopo qualche mese venne rilasciato, ma intanto la situazione politica era precipitata e Antonio, assieme ai suoi due fratelli, si presentò alle armi come volontario, entrando a far parte del “Tercio de Requeté” che sosteneva la monarchia, intitolato a Nostra Signora della Mercede, patrona di Jerez.
Portò a termine alcune azioni impegnative e pericolose in varie città, finchè non si ritrovò coinvolto nella liberazione di Peñanflor e nella successiva occupazione della città ad opera dei comunisti che lo presero prigioniero, cercando di costringerlo, dopo vari maltrattamenti ed imprecazioni, ad abiurare alla sua fede e a bestemmiare.
Antonio, invece, coraggiosamente inneggiava a Cristo Re, mentre i suoi nemici cominciarono a torturarlo brutalmente, facendolo letteralmente a pezzi mentre lui non aveva sulla bocca che il nome di Gesù e quando si accorse che stava per essere fucilato, aprì le braccia in croce abbracciando il suo destino. Era il 10 agosto 1936.
E' sepolto nella chiesa carmelitana di Jerez de la Frontera. La causa di beatificazione è iniziata il 22 giugno 2007. |
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VENERABILE FRA' LUIGI M. LO VERDE O.F.M. Conv.
1910 – 1932
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Nato in Tunisia da genitori italiani, tornò quasi subito a Palermo, città d’origine della sua famiglia.
Animato da un forte spirito religioso, entrò nel seminario diocesano, ma la sua aspirazione era quella di diventare sacerdote religioso. Frequentò dunque il seminario dei Frati Minori Conventuali di Mussomeli e di Montevago ed il 21 gennaio 1923 divenne francescano con il nome di frà Luigi.
Purtroppo, pochi mesi dopo, ebbe i sintomi di una grave forma di anemia, che bloccò i suoi studi, ripresi solo nell’ottobre del 1929, fino a riuscire a ricevere la tonsura e gli ordini minori.
Qualche anno dopo, mentre era in visita dai suoi a Palermo, svenne e fu obbligato a restare a letto: morì il 12 febbraio 1932, a neanche 22 anni ed il suo corpo venne traslato nella cappella dell’Immacolata nella chiesa parrocchiale del Sacro Cuore di Gesù alla Noce, a Palermo.
Fra Luigi Lo Verde è stato dichiarato Venerabile da Papa Francesco nel giugno del 2016.
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SERVA DI DIO MONSERRAT GRASES
1941- 1959
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María Montserrat Grases García, detta Montse, nacque a Barcellona in una famiglia cristiana.
Nel 1954 venne a contatto con l’Opus Dei in cui trovò la via per meglio contattare Dio ed offrirGli la sua esistenza, pur seguendo una vita ordinaria di studio, a contatto con la famiglia e con le cose della sua età, dando gioia a chi la conosceva e avvicinandosi sempre più al Creatore.
Si ammalò di una forma aggressiva di cancro osseo ma questo non le impedì di restare in contatto con le sue amicizie a cui donava gioia e forza. A 17 anni, nel 1959, morì lasciando ai suoi giovani amici il modello di una vita offerta a Dio con semplicità e forza di volontà.
Riposa nella cappella del Colegio Mayor Bonaigua a Barcellona.
Nell'aprile del 2016 Papa Francesco l'ha dichiarata Venerabile.
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SERVO DI DIO ISMAEL DE TOMELLOSO
1917 - 1938
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Nato a Tomelloso, il I° Maggio1917 era il quinto di una famiglia di 11 fratelli. Studiò al Collegio della Milagrosa ma dovette abbandonare gli studi per aiutare la sua famiglia, lavorando come dipendente in un negozio, a cui attraverso il suo carattere, la sua allegria e disponibilità, portava molti clienti.
A 17 anni entrò, tramite un amico, nella Gioventù Cattolica a cui porterà tante sue conoscenze. Si impegnerà per gli anziani abbandonati dell'Ospizio-Ospedale.
A 20 anni, in piena guerra civile, viene reclutato e prende parte al combattimento di Teruel, dove consacra la sua vita a Dio per la pace.
Fatto prigioniero, ammalato molto gravemente di tubercolosi, offre la sua malattia e la sua vita che si concluderà di lì a poco, il 5 maggio 1938, a soli 21 anni. |
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BEATO FRANCISCO CASTELLO
1914 - 1936
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Nacque ad Alicante nel 1914 e a soli due mesi rimase orfano del padre. Sua madre tornò nella casa natale di Juneda dove i suoi tre figli crebbero e Francisco ricevette la sua Prima Comunione nel 1924.
Dopo poco gli morì anche la mamma.
Conseguì gli studi presso un istituto religioso di Leida e successivamente frequentò l'Istituto chimico de Sarrià a Barcellona. Fece amicizia con il gesuita Romàn Galàn che influenzò la sua vita spirituale, facendolo diventare un apostolo tra i poveri e gli operai della società presso cui lavorava,
Si fidanzò con Maria Pelegrì, fu membro della Congregazione Mariana, della A.C. e della Federazione Cattolica dei giovani della Catalogna.
Nel luglio del 1936 venne incarcerato per dieci settimane e testimoniò la sua fede dinanzi al Tribunale Popolare. Morì martire nel cimitero di Lleida il 29 settembre 1936.
Anni più tardi venne introdotta la sua causa di beatificazione coronatasi nel marzo del 2001 a Roma, con la benedizione di Papa Giovanni Paolo II. |
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BEATO NUNZIO SURPRIZIO
1817 - 1895
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Nunzio Sulprizio era nato a Pescosansonesco, provincia di Pescara, il 13 aprile 1817. Rimasto orfano sin da piccolo, a nove anni, venne affidato alla nonna che, però, anche lei morì di lì a poco, restando sotto la tutela di uno zio che lo prese con sé nella sua officina di fabbro ferraio.
il lavoro, però, per lui era troppo pesante e minò il suo fisico. Infatti, nel 1831, venne colpito da una malattia alla tibia, una dolorosa cancrena, con conseguente ricovero in ospedale, prima a L'Aquila, poi a Napoli, dove il colonnello Felice Wochinger si prese cura di lui e iniziò a trattarlo come un figlio, conducendolo presso di sè, al Maschio Angionino, allora caserma, dove però dovette sopportare altre prove a cui lui rispose con grande pazienza.
Si mise a scrivere un regolamento di vita che osservò con fedeltà, cercando di evitare anche i più piccoli difetti, mentre si affidava con amore alla Madonna, cercando di sopportare tutto con serenità, mentre consolava gli altri ammalati sofferenti ed aiutava tutti i poveri.
Nonostante i terribili dolori, Nunzio affrontò la malattia con pazienza e offerta a Dio e tutti quelli che gli furono vicini erano colpiti dal suo modo di affrontare quella disgrazia.
Nell'autunno del 1895, i medici avrebbero voluto amputargli una gamba ma dovettero desistere per le sue condizioni di salute, che si aggravarono, procurandogli terribili dolori.
Morl il 5 maggio 1838, a soli diciannove anni e Pio IX nel 1859 lo dichiarò già venerabile, Leone XIII lo propose come modello alla gioventù operaia, Giovanni XXIII approvò il decreto sui miracoli che gli erano stati attribuiti, Paolo VI lo dichiarò beato, il 1° dicembre 1963, davanti al Concilio Ecumenico Vaticano II.
Il suo corpo, prima inumato in un'urna nella chiesa di san Domenico Soriano a Napoli, venne poi traslato nel paese natio, Pescocostanzo.
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VENERABILE GALILEO NICOLINI
1882 - 1897
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Nato a Capranica, Viterbo, il 17 giugno 1882, da un impresario edile, sin da piccolo sentì il desiderio di dedicarsi a Dio, ascoltando la chiamata alla vita passionista.
I suoi genitori, orgogliosi di lui, lo coinvolgevano nella loro vita quotidana, visto che aveva notevolissimi successi nell'apprendimento, superando senza problemi elementari e medie, crescendo al contempo nella vita cristiana, affrontando sacrifici per partecipare quotidianamente alla Messa.
Ci sono varie e fedeli testimonianze di alcuni suoi interventi, effettuati in giovanissima età verso coloro che denigravano la Chiesa, tenendo testa a molti più saccenti di lui.
All'età di sei anni farà la sua prima confessione e a 9 avrà già un direttore spirituale francescano, e nel 1894 avrà la sua Prima Comunione presso i Passionisti di Vetralla, dopo un ritiro di dieci giorni, in cui parteciperà alle preghiere ed alla vita della comunità.
Galileo pregava intensamente, mentre la sua salute però ne soffriva ed egli deperiva. I Passionisti gli consigliarono una Novena per ricorrere all'aiuto della Madonna.
Tutto sembrò sbloccarsi ed i suoi furono d'accordo di rispondere positivamente al suo desiderio: Galileo partì per il Seminario di Rocca di Papa (Roma) felice e pieno di ottime intenzioni, migliorandosi ancora più, prendendo ad esempio San Gabriele dell'Addolorata e, finalmente, dopo 13 mesi entrerà nel Noviziato di Lucca ed il 9 luglio 1896 vestirà l'abito passionista, dimostrando le sue innate doti di maturità di spirito e di obbedienza.
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Nasce il 17 giugno 1882 a Capranica (Viterbo). Inizia la scuola a 4 anni e si impegna a fondo, facendo da segretario a suo padre e scrivendogli le lettere di affari sotto dettatura.
In due anni, supera quattro classi (le ultime elementari e le prime due delle medie, diremmo oggi). Per gli esami di terza, è mandato al regio ginnasio di Viterbo. Meraviglia i professori per l'eccellente preparazione.
Cresce ogni giorno nella vita cristiana. Ha scoperto che nel Tabernacolo c'è Gesù e con Lui si intrattiene in lunghi colloqui e non si cura affatto dei sorrisi ironici di alcuni compagni. Chi l'ha conosciuto, dirà di lui: "Alla mattina, appena alzato, andava alla chiesa della Madonna del Piano a fare le devozioni.
Alle 6,30 di mattina si trova in raccoglimento, in ginocchio con il suo libricino, affronta disagi e sacrifici per non mancare mai alla Messa, "Sacrificio del Signore Crocifisso".
A sei anni, comincia a confessarsi, a 9 ha dotto francescano come direttore spirituale, P. Bonaventura Ahern. Legge libri di intensa vita spirituale e pone domande sorprendenti e profonde. Nel febbraio 1894, i Passionisti predicano una "missione popolare" a Capranica. Galileo si entusiasma a quei Missionari dal saio nero, con il Cuore di Gesù e i segni della sua Passione sul petto, ardenti nella parola e nella vita. Il successivo 26 agosto 1894, riceve la prima Comunione nella chiesa dei Passionisti a Vetralla.
Il Signore gli parla trovando un cuore docile e aperto. Essere Sacerdote e religioso passionista diventa il suo unico desiderio e ogni giorno medita la Passione di Gesù, faceva spesso Confessione e Comunione, e, sicuro della sua chiamata, confida ai genitori la sua decisione, nonostante essi avrebbero voluto per lui un'altra strada, magari da ingegnere, da dirigente della loro ditta... Inoltre, era ancora troppo piccolo per entrare nell'Ordine. Il confessore lo inviterà a fare una novena allo Spirito Santo per allontanare ogni dubbio. Il ragazzo obbedisce ed è sempre più sicuro della chiamata di Dio.
Galileo pregava intensamente, mentre la sua salute però ne soffriva ed egli deperiva. I Passionisti gli consigliarono una Novena per ricorrere all'aiuto della Madonna.
Tutto sembrò sbloccarsi ed i suoi furono d'accordo di rispondere positivamente al suo desiderio:il 15 marzo 1895, Galileo partì per il Seminario di Rocca di Papa (Roma), dove altri ragazzi come lui si preparano alla vita religiosa, felice e pieno di ottime intenzioni, migliorandosi ancora più, prendendo ad esempio San Gabriele dell'Addolorata. Gli pare di toccare il cielo con il dito. Anzi si sente già in cielo: "Non smetto - scrive ai suoi cari - di ringraziare Dio che si è degnato di rivolgere su di me il suo sguardo benigno. Noi qui siamo in un piccolo paradiso terrestre". Dopo 13 mesi entrerà nel Noviziato di Lucca ed il 9 luglio 1896 vestirà l'abito passionista,
Da lì scrive ai genitori: "Da tempo desideravo essere inviato al noviziato. Eccomi finalmente appagato. Già vi sono con grandissimo mio piacere". Il 19 luglio 1896 veste l'abito passionista, dimostrando le sue innate doti di maturità di spirito e di obbedienza.
Cambierà il nome, ma tutti continueranno a chiamarlo Galileo, perchè è il più piccolo della Congregazione e poi quel nome raro fa pensare a Gesù.
Purtroppo, però, alla fine di febbraio del 1897, Galileo, si ammalerà di tisi, il sangue gli verrà alla bocca, perchè la tisi lo ha già afferrato. il Generale, P. Bernardo Silvestrelli (oggi "beato"), che vuole un gran bene a Galileo, informato della malattia, vorrebbe mandarlo a casa per un breve periodo, sperando nel miracolo della guarigione "all'aria natia".
Galileo, però, rifiuta per poter morire tra i confratelli, accettando, perà, di trasferirsi al Monte Argentario, nella prima casa aperta dal S. Paolo della Croce, fondatore dei Passionisti, dove l'aria era più fina.
Tutti pregavano per lui, per la sua guarigione, con Novene alla Madonna, a cui anche lui si rivolgeva
Tutti pregano per la sua guarigione a cominciare dai superiori che ordinano una novena solenne alla Madonna per lui. Galileo, da parte sua, prega soltanto così: "Mamma mia, io sono molto malato nè altri può guarirmi se non Tu. Guariscimi se è per la maggior gloria di Dio e per il bene dell'anima mia", offrendo a tutti esempio di rassegnazione e di perfetta letizia.
I confratelli si alternano al suo letto diventato altare, per assisterlo.
Alla sua mamma terrena domandò se il papà e lo zio si fossero confessati a Pasqua, affidandole un messaggio in cui li esortava a non piangere su di lui perchè presto sarebbe andato in Paradiso.
Con un permesso speciale, in punto di morte, potrà fare la sua professione religiosa, "in articulo mortis", offfrendo al Signore castità, obbedienza e povertà ed il voto proprio dei Passionisti di meditare e annunciare la Passione del Signore.
Quindi, subito rivolto al Fondatore, S. Paolo della Croce, lo chiamò “Babbone mio!”.
Si preparò approfonditamente per ricevere l'ultima Eucaristia, dicendo che era bello andare da Gesù, in Paradiso e alle 3,00 del 13 maggio 1897 morì, col volto sereno, mentre un profumo di gigli inondava la sua stanza.
Avrà solenni funerali, come già santificato, a detta di tutti. Papa Giovanni Paolo II, il 27 novembre 1981, dichiamandolo “eroico nelle virtù”, lo farà “Venerabile”.
Mons. Luigi Olivares, salesiano e Vescovo di Nepi e Sutri, diocesi di Galileo, lo definì "un altro Domenico Savio, entrambi ragazzi santi".
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Il suo corpo si trova nella chiesa della Presentazione.
http://web.tiscali.it/sfat_home/La_nostra_famiglia/Santi/Galileo.htm
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BEATI FANCIULLI DI TLAXCALA
1514/15 -1916/17 - 1527/1529
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Al tempo dei conquistadores spagnoli, il cui primo sbarco di Cortez e dei suoi marinai avvenne nel 1519, la popolazione del Messico, in particolare degli Aztechi, era dominata dalla casta dei sacerdoti, dedita al culto delle divinità, che spesso prevedeva un gran numero di sacrifici umani.
Questo, benchè contrastato dai sacerdoti atzechi. favorì il diffondersi della nuova cultura cristiana, anche se spesso imposta alle popolazioni locali con la forza.
Verso il 1524, i primi missionari Francescani, seguiti poi dai Domenicani, arrivarono a Tenochtitlán, disperdendosi in quattro regioni: Mexico, Texcoco, Huetzingo e Tlaxcala. Essi per prima cosa vollero eliminare le statuette delle divinità adorate dai nativi, lavorando per la promozione umana degli Indios - così li chiamavano - per difenderli da tutta quella serie di riti sanguinari.
Tutto questo portò ad una reazione di buona parte dei nativi, che si sfogò anche su tre adolescenti, Cristoforo, Antonio e Giovanni, educati alla scuola francescana di Tlaxcala e considerati i protomartiri del continente americano
Il loro martirio si verificò tra il 1527 e il 1529, pochi decenni dopo la scoperta del Nuovo Mondo e l’inizio dell’evangelizzazione di quelle terre ed è necessario inquadrare questa situazione nel contesto storico in cui essi vissero ed anche nelle forme adottate dai primi missionari che, al seguito dei conquistatori spagnoli, si adoperavano per le conversione, sia con il convincimento ma anche con la forza. Ovviamente la loro opera evangelizzatrice andava di pari passo con la distruzione degli antichi templi e delle statue dei loro dei ed idoli.
Il primo di questi martiri, nato nel 1514-15, era di una nobile famiglia, erede del più importante “cacico” di Atlihuetzia (Tlaxcala). Assieme ai suoi fratelli, frequentava la scuola dei missionari francescani, istruendosi nella fede e chiedendo il Battesimo, con cui prenderà il nome di Cristoforo o Cristobalito.
Sostenuto dalla sua fede e dall'entusiasmo dei giovani, avrebbe voluto convertire tutti, a cominciare dai suoi parenti, soprattutto da suo padre, dedito all'ubriachezza, ma non avendo avuto una risposta positiva, egli cominciò a distruggere le statuette degli idoli presenti in casa.
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Le prime volte questi suoi atteggiamenti vennero accettati dal padre ma poi, egli stesso lo condannerà a morte, facendolo tornare a casa assieme ai suoi fratelli. Dapprima lo gettò a terrà, poi lo prese a pugni e bastonate, fino a rompergli le ossa sino a bruciarlo vivo, anche se sotto tutte queste torture lui continuava a pregare. Cristoforo aveva 13 anni.
Pochi giorni dopo, sua moglie, che aveva tentato di difendere il figlio, farà la stessa brutta fine.
Il francescano, Andrea da Cordoba, scopri successivamente il luogo della sepoltura e fece trasportare il corpo incorrotto del giovane martire nel convento di Tlaxcala e successivamente un altro frate, Toribio da Benevento, che compose anche il racconto del suo martirio, lo seppellì nella chiesa di Santa Maria a Tlaxcala.
Antonio, nato nel 1516-17 a Tizatlán (Tlaxcala), era nipote ed erede
del “cacico” di Tizatiàn, mentre Giovanni era suo servo, ma nonostante il diverso lignaggio essi si sentivano fratelli nella fede e frequentavano la stessa scuola dei missionari francescani, fino a convertirsi e a ricevere il Battesimo assieme. Sempre d'accordo, decisero di seguire alcuni padri domenicani verso una nuova missione - piuttosto pericolosa - ad Oaxaca, servendo loro da interpreti e aiutandoli nella predicazione.
Essi si recavano di casa in casa per prendere le statuette degli antichi idoli e distruggerle. Antonio era di solito quello che entrava nelle case, mentre Giovanni lo proteggeva in attesa all'ingresso.
Nel 1529, durante una di queste visite, arrivarono gli indios che con una bastonata uccisero Giovanni sul colpo e poi Antonio, accorso in difesa dell’amico.
I loro corpi vennero poi gettati in una scarpata vicino a Decalco. Il domenicano padre Bernardino li recuperò e li trasferì a Tepeaca, dove vennero sepolti in una cappella.
Martiri di un'epoca lontana, forse, primo seme della grandissima fioritura del cattolicesimo nel loro Paese. testimoni e protomartiri non solo del Messico, ma dell'intero continente americano, simboli dell'evangelizzazione del Nuovo Mondo, che, grazie al lavoro dei missionari che aprirono scuole, stamparono libri, condividendo vita e miserie degli indios, difendendoli anche dalle angherie dei coloni spagnoli, li affrancarono dalla schiavizzazione.
Giovanni Paolo II nel 1990 ha voluto proclamare beati i tre giovani atzechi, per ricordare che i cristiani debbono sempre testimoniare con coraggio la loro fede. La ricorrenza della loro festa è il 23 settembre. Sono stati beatificati da papa Francesco, il 15 ottobre 2017.
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VENERABILE NICOLA D'ONOFRIO
1943 - 1964
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Nasce a Villamagna, Chieti, il 24 marzo 1943.
Sin da piccolo sente la vocazione per il sacerdozio e vorrebbe farsi Camilliano - San Camillo era nato a pochi km. di distanza - ma i suoi si oppongono, sia la padre che vede venir meno due braccia che lo aiutano nel lavoro, sia le zie che gli promettono un'eredità, ma dopo un lungo periodo di preghiera e sacrifici, nell’autunno del ’55 finalmente entrerà nello studentato camilliano di Roma.
Il 7 ottobre 1961 fa la prima professione, con i tre voti comuni a tutte le Congregazioni religiose - povertà, castità e obbedienza - , a cui i Camilliani ne aggiungono un quarto, di servizio agli ammalati e sofferenti, a cui egli si dedicherà prontamente.
Resta di lui un piccolo diario che mostra il cammino gioioso e faticoso verso Dio di un'anima che si sacrifica e lotta ed arriva al cuore di Gesù e della Madonna. Spiritualmente attratto da Santa Teresa di Lisieux, ne segue il cammino con impegno e dedizione.
Verso la fine del ‘62 però, purtroppo, sente i primi sintomi della malattia, un teratosarcoma per cui subirà un intervento chirurgico, si sottoporrà alla cobaltoterapia, affronterà cure dolorose per obbedienza ai superiori, pur convinto che se fosse per lui andrebbe subito a raggiungere la Madonna. Andrà anche pellegrino a Lourdes ed a Lisieux, per chiedere il miracolo come vogliono i superiori, dicendo però di non voler chiedere la guarigione ma di voler compiere la volontà di Dio.
il grande suo dispiacere è quello di non poter arrivare al Sacerdozio, ma Il 28 maggio 1964, con dispensa della Santa Sede, emetterà i voti perpetui, morendo poi la sera del 12 giugno, a soli 21 anni.
Il suo corpo si trova a Bucchianico, presso la cripta del santuario di san Camillo, meta di pellegrinaggi.
Nel giugno 2000 si è aperto presso il Vicariato di Roma il suo processo di beatificazione. |
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VENERABILE MARIA CARMEN GONZALES VALERIO
1930 - 1939
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La venerabile Mari Carmen Gonzalez-Valerio, nacque il 14 marzo 1930, mentre in Spagna si stava preparando la sanguinosa guerra civile che portò orribili frutti di dolore e di morte e che negli anni '36-39 si estrinsecò con la massima ferocia, specialmente verso gli Ordini Religiosi, maschili e femminili - incendi nei conventi, espulsioni, scioglimento della compagnia di Gesù - e contro coloro che vivevano una vita che seguiva gli ideali del Cristianesimo.
Ella nacque, dunque, da due nobili. Il padre aveva lasciato la carriera militare ed era diventato ingegnere presso le Ferrovie dello Stato.
Appena nata Mari Carmen venne consacrata alla Madonna, battezzata e a soli due anni ricevette la Cresima col permesso del Nunzio apostolico Todeschini, amico della famiglia, che vedeva la situazione del Paese veramente critica.
Mari Carmen crebbe dunque in questa atmosfera, con grande volontà e temperamento e misurata nei modi. Aveva partecipato intensamente alla Comunione del fratelo Julio, avvenuta nella Grotta della Madonna di Lourdes e sentìva il desiderio anche lei di ricevere al più presto Gesù, col supporto di tutta la sua famiglia e di una monaca in convalescenza che al momento viveva in casa sua.
Così anche lei arriverà a questo grande inconrro, ricevendo tra l'alro un libretto "Mi Jesus" che successivamente terrà sempre stretto a sè. Sentiva già, anche alla sua tenera età, il desiderio di essere santa, ben sapendo che forse avrebbe molto sofferto. Si dedicava anche alla diffusione di foglietti di devozioni che offriva ai passanti.
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Suo padre come ex-ufficiale e nobile venne preso di mira dai miliziani che il 15 di Agosto del 1936 lo preleveranno, portandolo in una vicina prigione in cui i suoi familiari potevano anche vederlo, ma dopo qualche giorno venne poi ucciso.
La bimba pregò intensamente per lui ed anche per il suo assassino, il capo del governo rivoluzionario Azana, L'l'intera famiglia era sotto il mirino dei rivoluzionari perchè imparentata con Primo de Rivera, ex Capo del Governo. Andarono dunque a rifugiarsi presso l'ambasciata belga a Madrid dove erano nascosti anche quattro sacerdoti che dicevano Messa e distribuivano la Comunione.
La famiglia, poi riuscì ad arrivare a Valencia viaggiando su un camion e da lì, via mare, a raggiungere Marsiglia ed infine San Sebastian.
Mari Carmen intanto viveva quella vita con ricchezza interiore e pensieri delicati per tutti. Ad ottobre del 1938 venne sistemata presso un istituto di suore irlandesi dove si distinse anche perchè era la sola a frequentare la messa del mattino. Trascorse le vacanze pasquali in famiglia e nel giovedì santo di quell'anno la piccola offrì la sua vita al Signore.
Tornata in collegio subito dopo si ammalò di scarlattina, con complicanze varie e grandi sofferenze che sopportò stoicamente, poi trasferita a Madrid dove venne operata per un tumore all'orecchio e successivamente e inutilmente riportata a casa, dove morì il 17 luglio 1939.
L'insigne dottore che la visitò sottolineò il suo comportamento eroico.
Morì il 17 Luglio 1939.
E' stata dichiarata Venerabile da papa Giovanni Paolo II nel 1996. |
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SERVO DI DIO FRA' ANTONINO PISANO
1907 - 1927
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Nato a Cagliari, nel 1907, Antonino Pisano, terzo di sette figli, visse in una famiglia poverissima. Poco tempo dopo la sua nascita, si ammalò di morbillo, una malattia all'epoca parecchio grave, ma ne venne fuori dopo un voto della madre a Sant'Antonio, di cui era molto devota, così com'era devota alla Madonna.
Il bimbo cresceva, devoto ma anche biricchino e la sua esuberanza infastidiva il fratello maggiore che spesso lo picchiava.
Iniziò le elementari con una maestra privata, poi frequentò la scuola pubblica.
Lui ed il fratelo maggiore si iscrissero al circolo Cattolico San Luigi, presso il convento dei Mercedari annesso al Santuario di Ns. Signora di Bonaria e lui iniziò a servire Messa con grande zelo e puntualità, svegliandosi all'alba per arrivare in tempo.
Era generoso, affabile con tutti, riprendendo chi pronunciava parolacce o bestemmie.
Nel marzo del 1918 ricevette la sua Prima Comunione e poco dopo anche la Cresima, si confessava spesso. Capì che la sua sola strada era quella verso Dio e a 13 anni decise di entrare come Aspirante nei Mercedari, nel convento vicino al santuario di Nostra Signora di Bonaria, ma dovette uscirne per una grave forma di miopia e di astigmatismo. Tuttavia la mamma riuscì a fargli fare un'altra visita da cui uscì con degli occhiali speciali.
Si trasferì poi presso i Cappuccini, nel convento di San Benedetto, applicandosi a norme e a studio con grande impegno, ma anche da qui dovette andar via a causa di alcune false calunnie di alcuni compagni, che gli facevano scherzi paurosi e lo accusavano di mancanze. Egli non si difese e venne quindi respinto dai frati.
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Riconosciuto innocente nel 1922 venne ripreso dai Mercedari del convento di Bonaria dove voleva solo concentrarsi nell'essere, in futuro, sacerdote, offrendosi come vittima all’Amore Misericordioso, sull'esempio di santa Teresa di Gesù Bambino, in favore della salvezza dei peccatori. Iniziò il Noviziato e vestì l'abito dell'Ordine, facendo molti propositi ed emettendo i voti semplici triennali, più quello specifico dei Mercedari, dare, cioè, la vita per la conversione dei peccatori.
Inziò gli studi di Teologia, leggendo intanto le vite dei santi che sempre l'avevano appassionato, offrendosi come Santa Teresa del Bambino Gesù, vittima per l'Amore misericordioso.
Si ammalò di tubercolosi, non riuscì ad alzarsi dal letto, si trasferì di nuovo in casa, lasciando il suo abito per cui aveva lottato tanto, dopo qualche settimana in un sanatorio, venne di nuovo riportato in casa, dove poco dopo morì, il 6 agosto 1927, a vent’anni e là riposa,
o nel santuario di Nostra Signora di Bonaria a Cagliari.
Venne sepolto nel cimitero del convento di Bonaria, ma i nell'aprile del 1938 venne traslato nel santuario, accanto alla cappella del Crocifissoe successivamente sistemato nella parete della balaustra dell’altare maggiore.
Nel 1945 iniziò il processo diocesano per la sua beatificazione, interrotto dalla seconda guerra mondiale, che si concluse nel 1957. Passata la causa nella fase romana, si ebbe il decreto sugli scritti il 25 ottobre 1961.
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SERVA DI DIO REBECA ROCAMORA NADAL
1975 - 1996
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Rebecca nasce il 7 settembre 1975 a Granja Rocamora, un piccolo villaggio a sud di Alicante, in Spagna. E' una bimba bella, bionda, con occhi azzurri, già preceduta da una sorellina e seguita poi da altre due e crescerà in una famiglia profondamente religiosa, ricca di fede e di impegno cristiano.
E' una bimba vivace ma al tempo stesso riflessiva e religiosa. All'età di 10 anni viene colpita da un tumore all'ipofisi che le porterà una grave forma di diabete ed una paralisi agli occhi con conseguenti cure dolorose di radioterapia. Tuttavia lei reagisce con grande coraggio, cercando di alleviare le sofferenze dei suoi compagni, anch'essi ammalati, aiutata anche da un sacerdote di Madrid che la sta facendo crescere spiritualmente.
Arriverà poi il momento della guarigione del tumore e della paralisi agli occhi. Così come si sta irrobustendo nel fisico, si fortifica interiormente, soprattutto dopo aver fatto la Cresima, rendendosi conto che deve impegnarsi personalmente nella diffusione della fede e a 16 anni diventa catechista, coinvolgendo i piccoli a lei affidati, on tutto il suo essere, con grande amore, con tutto il suo comportamento.
Nel 1995 un tumore del sistema nervoso centrale la costringerà a letto, impedendole i movimenti, tuttavia lei riesce comunque a trasmettere a tutti pace ed armonia. La sua stanza, dove si celebra la Messa ed avvengono conversioni, è sempre piena di persone che vanno per consolare e ne escono consolate.
Il 26 maggio 1996 muore e attorno a lei si infittisce la fama della sua santità.
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VENERABILE CARLA RONCI
1936 - 1970
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Era nata a Torre Pedrera, nei pressi di Rimini, l’11 aprile 1936.
Era una bambina vitale e sorridente, diligente negli studi, che si darà da fare per la sua famiglia, che conquisterà con grandi sforzi un pò di agiatezza, anche grazie al suo lavoro di sarta ed altri lavori sporadici.
Vive gioiosamente la sua gioventù tra balli ed amicizie, ma ben presto si chiede quale sia il vero senso della vita, iniziando un cammino verso Gesù che diventerà il centro della sua esistenza, grazie anche all'aiuto del parroco.
Si iscriverà all'Azione Cattolica dove le affideranno le "Beniamine", e prenderà sempre più contatto con le Orsoline che diventeranno un punto di riferimento nella sua vita.
Emette un voto tutto suo di castità e più tardi quello di povertà, distaccandosi dalle cose terrene, donando ai poveri quello che guadagna coi suoi lavori di sarta, che effettua dopo quelli della giornata che la vedono impegnata nel negozio di famiglia.
Vorrebbe entrare nelle Orsoline, ma i genitori si oppongono a questo suo desiderio, soprattutto il padre che è di tutt'altra tendenza, tuttavia ci prova, va via di casa, complice la mamma, diretta verso il noviziato delle Orsoline, ma le insistenze del padre convincono la superiora che forse quella non è la volontà di Dio per Carla.
Ritorna in famiglia, riprende il suo posto in parrocchia, creando animazione, cinema, biblioteca, ecc., e si dà soprattutto all'Azione Cattolica
La giovane in questo suo cammino ripone una grande fiducia in Maria - al cui Cuore Immacolato la giovane si era consacrata nello spirito della Milizia dell’Immacolata.- che, ne è sicura, non farà cadere nel vuoto il suo desiderio di consacrarsi a Dio.
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Ben presto Carla comprende che il suo convento sarà il piccolo mondo di Torre Pedrera, il suo paese natale, dove lei si farà limpida testimone del Vangelo, nella nuova condizione di laica consacrata, all’interno dell’istituto secolare Ancelle Mater Misericordiae di Macerata, dove entra nel 1961, dopo aver scoperto in loro un apostolato di presenza e testimonianza nel mondo, che è precisamente quanto ha cercato di fare fino ad allora ed è gioiosa testimone in ogni campo della sua vita.
Il 6 gennaio 1963, nel fare la professione dei voti, Carla diede alla propria consacrazione un significato ben specifico, offrendosi a Dio per la santità dei sacerdoti e nell'agosto del
1969 una colica di fegato annuncia l’inizio della sua malattia: un cancro dei polmoni contro cui c'è poco da fare, se non alleviare il dolore che comunque è tanto e che i numerosi esami forse acuiscono.
Ma lei affronta anche questo con amore e con il sorriso sulle labbra, morendo il 2 aprile 1970, nella casa di salute “Villa Maria”, a soli trentaquattro anni..
Viene chiamata anche “santa della Vespa” perchè le piaceva questo mezzo moderno per spostarsi, viene ricordata come una ragazza piena di vita, sorridente, femminile, che ha cura del suo fisico, "perchè la sposa di Gesù deve essere sempre elegante e bella.
E' stata dichiarata Venerabile da Giovanni Paolo II nel 1997 e la sua causa di beatificazione procede assai speditamente.
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BEATA CECILIA EUSEPI
1910 - 1928
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Nata a Monte Romano, in provincia di Viterbo, nel 1910, in una famiglia povera, ma ricca di fede, undicesima figlia, rimase orfana di padre ben presto e venne affidata alle cure di uno zio materno.
Si trasferì a Nepi presso la tenuta dei duchi Grazioli Lante della Rovere detta La Massa, dove già lo zio Filippo lavorava e dove lei visse a contatto con la natura, cogliendo fiori da dedicare alla Madonna.
Lo zio la porterà a studiare presso le Monache Circerstensi dove si troverà a suo agio
Le suore pensavano che forse avrebbe potuto far parte della loro Ccngregazione ma lei non era ancora in grado di prendere una deciisone, mentre si dedicava comunque ad approfondire le vite dei Santi, sentendosi soprattutto legata alla di Santa Teresina di Lisieux, e a quella di San Gabriele dell'Addolorata, sempre più attratta dalla spiritualità dei Servi di Maria- Chiese, a soli 12 anni, di entrare nel Terz’Ordine dei Serviti, mentre si iscriveva all’Azione Cattolica, affascinata dagli ideali che questa proponeva: “Eucaristia, purezza e apostolato”-
Era totalmente di Gesù nonostante tutto.
Nonostante l'età e la fragile salute, si impegnò nella catechesi e nell'animazione della vita parrocchiale, tanto che due anni più tardi il Vescovo le permetterà di entrare come postulante nelle Suore Mantellate Serve di Maria, pur con tante difficoltà che troverà nel suo cammino, proprio a causa della sua salute già minata.
Infatti, dopo tre anni, una tubercolosi intestinale la costringerà a lasciare quanto fino allora costruito. per tornare a casa dove si offrirà totalmente a Gesù, affinchè Lui fosse riconosciuto da tutti e, pur ritenendosi una piccola cosa, si proporrà di arrivare a Lui attraverso l'insegnamento di Teresa di Lisieux, facendo della sua vita, in adorazione di Dio, un'offerta totale, espiando in favore dei peccatori, dedicando i suoi dolori alle missioni.
Intanto su lei dilagarono maldicenze e menzogne, mentre la presenza di Gesù si allontanava sempre più e tutto si faceva più scuro intorno a lei, mentre lei si sforzava di pregare sempre e sotto pressione del suo confessore si mise a scrivere un diario in cui narrava il suo rapporto con Dio e la difficoltà della sua offerta, che si concluderà con la sua morte, il 1° ottobre del 1928.
E' stata sepolta a Nepi, nella chiesa di San Tolomeo dei Servi di Maria.
E' stata dichiarata venerabile da Giovanni Paolo II nel 1987 e beatificata nel 2012.
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SERVO DI DIO GUIDO VIDAL FRANCA SCHAFFER
SEMINARISTA
Nato il 22 Maggio 1974 a Volta Redonda, in Brasile e morto a Rio de Janeiro, il !° Maggio 2019, Guido Vidal, si laureò in Medicina nel 1998, iniziando la sua formazione medica presso l’ospedale “Santa Casa da Misericórdia”.
Cattolico, figlio di un medico e di França Schäffer, membro della Comunità Bom Pastor del Rinnovamento Carismatico Cattolico, che lavorava come volontaria per l’evangelizzazione nelle scuole pubbliche, frequentò scuole elementari e medie presso l’istituto Sacro Cuore di Maria dal 1979 al 1991.
Iniziò ad assistere la gente di strada assiene alle suore Missionarie della Carità.
Figlio di Guido Manoel Vidal Schäffer, medico, e di Maria Nazareth França Schäffer, Guido nacque il 22 maggio 1974, nella città di Volta Redonda, nello stato di Rio de Janeiro, dove visse fin dall'infanzia.
Venne battezzato nella Chiesa Matrice di Santa Cecília, a Volta Redonda, il 22 dicembre 1974 e ricevette la Prima Comunione l’11 dicembre 1983 e la Cresima il 2 dicembre 1990, entrambe nella parrocchia di Nostra Signora di Copacabana, a Rio de Janeiro.
Era un ragazzino allegro e in buona salute, tranquillo e molto attratto dallo sport e dal mare.
Dal 1993 al 1998 frequentò la facoltà di medicina e iniziò un gruppo del Rinnovamento, chiamato “Fuoco dello Spirito Santo”, aiutato da padre Jorge Luis Peres Mereira da Silva.
Dal 1999 al 2001 seguì un corso post-laurea presso l’ospedale “Santa Casa da Misericórdia” a Rio, dove entrò e nel 2001. Decise di occuparsi di medicina generale, vivendo in conformità a quanto credeva, esercitando giustizia e carità. Venneavvicinato da alcuni incaricati della Pastorale della Salute, che erano rimasti colpiti dall’amore con cui si accostava ai pazienti, prese a collaborare con loro.
Quando immaginava il suo futuro, si vedeva sposato (all’epoca, era fidanzato) e medico. Nel tempo libero, amava cavalcare le onde con la sua tavola da surf, avvicinando i giovani e parlando loro di Gesù.
Nel 2001, entrò nel personale clinico della “Santa Casa” ed iniziò ad operare nella Pastorale della Salute, sentendo già viva l’inclinazione al sacerdozio. Così, nel 2002 iniziò, a Rio, gli studi preparatori presso la Facoltà Teologica del Monastero di San Benedetto.
Nel 2008, entrò nel Seminario diocesano, disitnguendosi per il suo amore all’Eucaristia, per una vita di intensa preghiera e per la sua dedizione verso i poveri e i malati e il suo impegno missionario.
La sua breve vita terrena si concluse il 1 maggio 2009, a trentaquattro anni, a causa di un incidente occorsogli mentre praticava il surf, sulla spiaggia di Rio de Janeiro, dove si è svolta la sua causa di beatificazione dal 17 gennaio 2015 all’8 ottobre 2017.
Partecipando a un ritiro spirituale presso la comunità Canção Nova, udì un sacerdote pregare un passo del libro di Tobia (Tb 4, 7): «Non distogliere lo sguardo da ogni povero e Dio non distoglierà da te il suo». Folgorato da quell’espressione, si rese conto di quanto, nella sua attività medica, avesse tenuto in scarsa considerazione i poveri e formulò un’invocazione: «Gesù, aiutami a prendermi cura dei poveri».
Una settimana dopo, conobbe le suore Missionarie della Carità di madre Teresa di Calcutta e le affiancò nella loro assistenza ai poveri della strada, aiutato dagli amici del gruppo di preghiera e dai colleghi della “Santa Casa”.
Una delle Missionarie, suor Caritas, dichiarò per iscritto che la sua unica preoccupazione era salvare le anime e condurle a un incontro personale con Cristo e non risparmiava sforzi, dialogando di continuo con Lui, non smettendo mai di proclamarlo, con le parole o con l' esempio.
Col tempo, capì che Dio lo chiamava personalmente anche grazie all’aiuto del vescovo ausiliare della diocesi di Rio de Janeiro, dom Karl Josef Romer. Continuando la sua attività in clinica e quella di medico volontario, intraprese gli studi di Filosofia (dal 2002 al 2004) e Teologia (dal 2006 al 2007), presso l’Istituto di Filosofia e Teologia del Monastero di San Benedetto a Rio de Janeiro.
Aveva voglia ed ansia nell’attuare le più disparate iniziative per avvicinare le persone a Dio, pur essendo disposto ad accettare i “no” che potevano frenarle. Era amichevole, sincero e pronto ad aiutare i suoi compagni, facendo affidamento sulla sua straordinaria memoria, che gli permetteva di ricordare correttamente le citazioni dalla Scrittura.
Aveva ardente amore per l’Eucaristia e per il suo semplice stile di preghiera. Non tralasciava mai la Liturgia delle Ore e la preghiera del Rosario; in più, ogni giorno, pregava tre Ave Maria per chiedere la forza di proseguire nel cammino della santità. I suoi modelli spirituali eramo san Francesco d’Assisi, san Pio da Pietrelcina e, ovviamente, santa Teresa di Calcutta.
Nel 2008 entrò nel Seminario di San Giuseppe a Rio, per compiere i due anni di vita comune necessari prima dell’ordinazione, ma il 1 maggio 2009, mentre praticava il surf, Guido subì una contusione alla nuca, svenne e annegò. Spesso aveva dichiarato ad alcuni amici che gli sarebbe piaciuto andarsene proprio così, nel luogo dove maggiormente sentiva la presenza di Dio.
I suoi funerali si svolsero presso la chiesa di Nostra Signora di Copacabana, in presenza di circa settanta sacerdoti, di cui sessantadue concelebranti. Era la vigilia della Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni, come l’arcivescovo Tempesta, che presiedeva il rito, fece notare. A un certo punto, nel dichiarare l’ardente desiderio di essere sacerdote che il giovane aveva, scese verso il suo corpo e gli pose una stola fra le mani.
Nel luglio 2013 è uscita la sua prima biografia, «O Anjo Surfista» («L’angelo surfista»), mentre nel corso della Giornata Mondiale della Gioventù, svoltasi nella sua Rio, sono stati proiettati i primi minuti di un documentario sulla sua vita.
Il ricordo di Guido, ancora molto vivo nelle comunità che frequentò e nei luoghi del suo servizio ai poveri, ha portato, nel maggio 2014, alla richiesta, da parte della diocesi di Rio de Janeiro, dell’apertura di un’indagine circa l’eroicità delle sue virtù.
Il 16 ottobre 2014 è stato ottenuto il nulla osta dalla Santa Sede per l’avvio del suo processo di beatificazione, iniziato il 17 gennaio 2015 presso la basilica dell’Immacolata Concezione a Botafogo e concluso l’8 ottobre 2017.
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ELISA GIAMBELLUCA
SERVA DI DIO
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Elisa Giambelluca nacque a Isnello il 30 aprile 1941, ultima di sette figli di una famiglia credente. Ebbe preparazione cristiana e culturale: infatti frequentò la Scuola Elementare a Isnello, il suo paese, che però a quell’epoca era sprovvisto di scuole medie e superiori. I suoi genitori, notando la sua predisposizione allo studio, fecero il sacrificio di mantenerla agli studi in centri più importanti.
Per la Media e il Liceo Classico la misero a convitto presso le Suore del Collegio di Maria, a Cefalù e successivamente, terminato con successo questo percorso, lei stessa scelse la facoltà di Matematica e Fisica dell’Università di Palermo. Trovò alloggio presso la “Casa dell’Universitaria” dell’Istituzione Teresiana, dove si lasciò conquistare dal carisma di San Pedro Poveda, una vocazione laicale di servizio al Vangelo a partire dall'istruzione. Ed è qui che avviene la scelta fondamentale della sua vita.
L’équipe che guida quella “Casa” è composta da donne giovani, laiche, alcune studentesse, altre professioniste, appartenenti all’Opera del Poveda. Esse sanno trasmettere quel carisma, non tanto con le parole, quanto con la vita quotidiana, con l’ambiente stesso che creano: è un ambiente molto sereno, di gioia e di espansione – ma anche di impegno serio – che induce a prepararsi bene per la vita che attende ciascuna delle ragazze, nella vocazione che ognuna scoprirà in sé.
Già in questi anni universitari le studentesse potranno associare allo studio esperienze di appartenenza ad associazioni missionarie ed anche di aiuto concreto a chi ha bisogno, perché meno fortunato di loro. Ma tutto questo si deve compiere con semplicità: la cultura non dovrà offuscare né la naturalezza del comportamento, né la gioia di vivere e di vivere “impegnate”: ne sono esempio quelle stesse persone che guidano la residenza e sono membri appunto dell’Istituzione Teresiana. |
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Così, senza bisogno di troppe spiegazioni teoriche, Elisa resta conquistata dal carisma povedano e decide di fare dono completo di sé, in seno a questa comunità di laiche pienamente inserite nel mondo e pienamente impegnate col Signore.
Questa volta i genitori, a cui lei comunica la sua decisione, non sono per niente contenti. E’ comprensibile: ora non si tratta di scelte di studi, al termine dei quali la figliola tornerà in seno alla famiglia, per seguire poi una vita “normale”, come hanno fatto i fratelli e le sorelle maggiori. Ora la figlia la “perdono” per sempre: va via per seguire una chiamata per loro sconosciuta: la consacrazione a Dio in un Istituto che tuttavia non la toglierà dal mondo, ma a quanto pare la separerà dalla sua famiglia naturale.
Elisa non fa una tragedia per questa opposizione, piuttosto tenta di convincere soprattutto sua madre, la persona che sembra la più rattristata e ostile, che non vi sono motivi per essere così contrari.
La strada di Elisa continua: allo studio e alle attività della Residenza Universitaria, si unisce ora il suo cammino nell’appartenenza all’Istituzione Teresiana. La sua famiglia naturale tuttavia non viene mai dimenticata: le lettere, l’interessamento ad ogni vicenda che lì avviene, dimostrano che nel suo cuore nessun affetto è cancellato. E l’intelligenza, la cultura, la spiritualità, gli affetti umani, la serietà nel lavoro, tutto si armonizza naturalmente. Anche questo rientra perfettamente nella fisionomia che il Fondatore desiderava caratterizzasse i membri della sua Opera. In una meditazione molto conosciuta illustra infatti un aspetto della Patrona che egli ha scelto per l’Istituzione Teresiana: Santa Teresa d’Avila. Questa grande Santa, egli dice, è stata “tutta di Dio ed eminentemente umana”. Da questa considerazione egli passa a meditare sul mistero dell’Incarnazione: il Figlio di Dio che si fa perfettamente uomo. Così, in ogni membro dell’Opera, la piena donazione a Dio si coniugherà con tutto ciò che può rendere completa e gradevole la sua personalità. Per questo, una delle doti, da conservare sempre, anche da parte di chi raggiungesse livelli altissimi di cultura accademica, è la “naturalezza”, compagna sempre della gioia e dell’apertura ai rapporti umani più schietti.
Elisa si laurea nel 1965 ed iniziò a lavorare a Rossano (Cosenza) come docente all'Istituto San Pio X.
Nel 1968 si trasferì a Torino, dove andò a insegnare in un istituto tecnico industriale pubblico. Diresse anche una scuola media aggregata all'“Educatorio della Provvidenza”. Si recò poi a Roma, collaborando alla residenza universitaria dell'Istituzione Teresiana e insegnando in un liceo. Tra il 1972 e il 1973 svolse un corso di approfondimento spirituale e culturale al Centro Internazionale di Formazione dell'Istituzione Teresiana a Poggio Mirteto (Rieti).
Tornò a Rossano come docente e preside dell'istituto per il Magistero, in cui sviluppò un interessante progetto di innovazione educativa. Nel 1983 si trasferì a Vescovio (Rieti), vicino al Santuario della “Madonna della Lode”, ma iniziò ad avere problemi di salute a causa di un tumore.
Continuò a insegnare in un istituto professionale per l'Agricoltura a Forano, ma le sue condizioni peggiorarono notevolmente. Offrì la sua vita per i sacerdoti in situazioni difficili e per le vocazioni
Elisa morì a Roma il 5 luglio 1986, a 45 anni. La sua vita semplice è stata una testimonianza preziosa per molte persone che hanno riconosciuto in lei i valori evangelici vissuti in modo naturale e radicale. Viene ricordata come una persona accogliente, sempre sorridente e serena, anche nel duro periodo della malattia. Il 20 febbraio 2021 papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui Elisa è stata dichiarata Venerabile.
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M- ISABEL LETE LANDA
Serva di Dio, Mercedaria
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La Serva di Dio nacque il 7 settembre 1913 nel paese di Osintxu (Vergara) in Spagna e venne battezzata due giorni dopo, il 9 settembre con il nome di Regina Lete Landa.
Nel 1918 il padre morì vittima di un’epidemia e la madre per la disperazione finì internata in un Ospedale psichiatrico.
Regina visse per un periodo ad Azpeitia (Guipuzcoa), in casa di zii che avevano dieci figli e assieme ai cugini venne educata nel collegio delle Schiave del Sacro Cuore.
Il 7 giugno 1929 entrò nel noviziato delle suore Mercedarie della Carità di Zumarraga, emise la sua Professione ò il 2 gennaio 1931, prendendo il nome di Suor Maria Isabella di Gesù.
Sempre serena, allegra, si dedicava agli altri con grande amore e con l'ideale di pregare per i sacerdoti e offrire tutto per le missioni.
In seguito come Santa Teresa di Lisieux offrì se stessa in olocausto all’amore misericordioso e fu da Dio ascoltata perché nel 1939 si ammalò gravemente.
Con gioia visse gli ultimi due anni nella malattia (tubercolosi), sapendo che il Signore aveva accettato il suo sacrificio.
Alla giovane età di 28 anni morì il 13 ottobre 1941. Dal 1972 i suoi resti riposano nella chiesa del convento di Zumarraga. |
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MATTEO FARINA
19 Settembre 1990 - Brindisi, 24 aprile 2009
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Matteo Farina nasce a Brindisi il 19 settembre 1990; il 28 ottobre 1990 venne battezzato nella Parrocchia “Ave Maris Stella” di Brindisi, parrocchia con cui egli ebbe sempre un profondo legame, affidata alla cura pastorale dei Padri Cappuccini che trasmisero a Matteo, come agli altri giovani, lo spirito di san Francesco e la devozione verso san Pio da Pietrelcina.
Matteo crebbe in una famiglia molto unita e di solidi valori cristiani; con la sorella Erika ebbe sempre un legame speciale, reso ancora più saldo nella fede e nella malattia. Fin da subito si dimostrò un bambino ubbidiente, sereno, socievole e curioso per tutto ciò che lo circondava, rivelando attenzione e cura per tutte le creature, anche le più piccole.
Chi lo ha conosciuto lo definisce “la dolcezza fatta persona”, una caratteristica, questa, che lo accompagnò in ogni momento della sua vita. Già dal primo anno della scuola elementare “G. Calò”, Matteo manifestò il desiderio di imparare, di conoscere cose nuove e belle, rivelando un forte e serio impegno sia nelle attività scolastiche, sia nello sport, praticando diverse discipline, sia nella passione per la musica, trasmessagli dal papà, imparando a suonare alcuni strumenti.
Cresciuto in una famiglia che viveva fortemente la fede cristiana, Matteo, a differenza di molti bambini della sua età, si mostrava entusiasta nella partecipazione al catechismo e alla Santa Messa. All’età di otto anni ricevette per la prima volta il Sacramento della Riconciliazione, a cui si sarebbe accostato con serietà e frequenza costante, soprattutto a seguito del sogno fatto nella notte tra il 2 e il 3 gennaio del 2000 in cui san Pio da Pietrelcina, a cui egli fu molto legato, proferiva: “Se sei riuscito a capire che chi è senza peccato è felice, devi farlo capire agli altri, in modo che potremo andare tutti insieme, felici, nel regno dei cieli”.
Iniziò così, spontaneamente, all’età di nove anni, il bisogno di Matteo di evangelizzare, garbatamente, tutti coloro che gli erano intorno, dalla famiglia agli amici più stretti, ai conoscenti e, in particolar modo, ai suoi coetanei. Scriveva: “Spero di riuscire a realizzare la mia missione di ‘infiltrato’ tra i giovani, parlando loro di Dio (illuminato proprio da Lui); osservo chi mi sta intorno, per entrare tra loro silenzioso come un virus e contagiarli di una malattia senza cura, l’Amore!”.
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Una missione, la sua, che sarà accompagnata da un quotidiano ascolto e lettura della Parola di Dio (all’età di nove anni, come impegno quaresimale, lesse tutto il Vangelo di Matteo), ma soprattutto dal vivere la Parola in prima persona. La preghiera quotidiana fu, per Matteo, un strumento efficace e, durante la recita del Santo Rosario, affidava alla Vergine Maria i bisogni di coloro che lo circondavano.
Il 4 giugno 2000 Matteo ricevette il Sacramento della Prima Comunione. Il suo sentimento per Gesù, da questo momento in poi, crebbe sempre di più, alimentato dalla Santa Messa e dalla S. Comunione tutte le domeniche, dalla confessione assidua, dalla visita a Gesù Sacramento, dalla devozione al Cuore di Gesù con la pratica dei primi venerdì del mese e dalla recita del S. Rosario in onore della “Madonnina”.
Il 10 maggio 2003 ricevette il Sacramento della Santa Cresima dall’Arcivescovo Mons. Settimo Todisco e volle come madrina la sorella Erika, a motivo del loro indissolubile legame.
In quel periodo frequentava la Scuola Media “J. F. Kennedy”, dando grandi soddisfazioni alla sua famiglia per i risultati scolastici raggiunti e facendo emergere, sempre di più, la sua capacità di stringere relazioni di amicizia basate sulla fiducia e sulla sua innata disponibilità verso il prossimo.
Dopo un’estate trascorsa in maniera spensierata, Matteo, nel settembre 2003, a causa di forti attacchi di mal di testa e di problemi alla vista, partì con i propri genitori e lo zio Rosario, per una serie di controlli, dapprima in Italia, negli Ospedali di Avellino e di Verona, e successivamente presso la clinica INI in Hannover, dove venne sottoposto ad un intervento di biopsia al cervello. In questo periodo iniziò a scrivere un diario perché sperava di “riuscire a dare gioia e forza a chi ne ha bisogno”, definendo quello che stava vivendo come “una di quelle avventure che cambiano la tua vita e quella degli altri. Ti aiuta ad essere più forte e a crescere, soprattutto, nella fede (…) Questo è il diario di un bambino tredicenne in un’esperienza spettacolare (…). Ed è proprio il bello di questa avventura: sembra un sogno, ma è tutto vero”.
Le pagine del suo diario ci rivelano un Matteo che affronta il tutto con coraggio, sempre attento alla cura e alla serenità dell’altro, in continuo dialogo con Gesù; non rinuncia, infatti, alla recita quotidiana del Santo Rosario. Un’esperienza, la sua, che gli consentì di maturare velocemente sia dal punto di vista umano che dal punto di vista spirituale.
Dopo una degenza di circa due settimane ad Hannover, Matteo tornò a casa, accolto e circondato dall’amore della sua famiglia e dei suoi amici, convinto che fosse tutto finito. Gli esiti degli esami, purtroppo, indicavano un edema esteso nella zona temporo-occipitale destra del cervello, al di sotto della quale si sospettava la presenza di cellule maligne. Ciononostante, Matteo riprese la sua vita normalmente, impegnandosi con fervore negli esami di terza media, che superò con risultati eccellenti. Si rafforzò poi, in questo periodo, il suo amore per la “Madonnina”, tanto da consacrarsi al Cuore Immacolato di Maria con la pratica dei primi sabati del mese, e ritrovando piena consolazione e forza nelle parole della Madonna di Fatima.
Sempre fedele al vivere quotidianamente la Parola di Dio, Matteo creò un fondo per le missioni africane del Mozambico, nel quale non solo depositava i suoi risparmi, ma convinse i suoi familiari a rinunziare agli acquisti natalizi, commutandoli in offerta per i bisognosi dell’Africa.
Dopo appena dieci mesi dal ritorno a Brindisi, Matteo ebbe una forte crisi convulsiva, a seguito della quale la sua vista rimase danneggiata, ma questo non lo fermò; continuava, infatti, ad essere un adolescente innamorato della vita. Appassionato di computer, si iscrisse all’ ITIS “G. Giorgi” di Brindisi, ma purtroppo una risonanza magnetica rivelò la necessità di ritornare in Germania per sostenere il primo intervento di craniotomia per l’asportazione di un tumore celebrale di terzo grado. Era il gennaio 2005 e Matteo affrontò tutto con un abbandono incondizionato a Dio e al rispetto della sua volontà.
Dopo 40 giorni di chemio e radioterapia presso l’Istituto “Carlo Besta” di Milano, Matteo rientrò a Brindisi il 2 aprile 2005. Qui riprese progressivamente la sua vita di adolescente, rimettendosi alla pari con il programma scolastico con ottimi risultati, e avendo come sua prima preoccupazione la serenità dei suoi familiari, che confortava con profonda maturità, dimostrandosi mite e premuroso. Amico di tutti, disponibile verso l’altro, Matteo venne soprannominato dai suoi compagni “il moralizzatore”, perché sempre pronto a parlare di Dio e ad incoraggiare la pace nei rapporti di amicizia.
Terminato il biennio, Matteo si trasferì all’ITIS “Majorana” di Brindisi, per coltivare e approfondire la sua passione per la chimica, potendo così studiare la perfezione dell’atomo, in cui percepiva la grandezza di Dio. Il 19 settembre 2005 compiva 15 anni e, in una sua riflessione, manifestava una preoccupazione che gli stava molto a cuore: “Mi piacerebbe riuscire ad integrarmi con i miei coetanei senza essere però costretto a imitarli negli sbagli. Vorrei sentirmi più partecipe nel gruppo, senza però dover rinunciare ai miei principi cristiani. È difficile. Difficile ma non impossibile”.
Matteo continua la sua vita di adolescente sereno e francescano nell’animo, eccellendo negli studi, stringendo amicizie fondate sulla fiducia e il reciproco rispetto e, infine, dedicandosi alla sua grande passione per la musica, con la formazione di un gruppo, i “No Name”, di cui sarà il cantante. Non si allentava, tuttavia, il forte legame che sentiva verso il Signore, anzi, questo si intensificava ancora di più, perché Matteo avvertì la presenza e la guida di Gesù in ogni sua scelta. Ancora non gli era chiaro cosa il Signore volesse da lui come scelta di vita; si sentiva attirato verso il sacerdozio, ma era consapevole delle sue difficili condizioni di salute.
Dopo circa due anni, in seguito ai controlli periodici, iniziava a farsi strada la speranza che la malattia stesse regredendo. Nell’aprile 2007 Matteo conobbe e si innamorò, ricambiato, di Serena, che definirà “il dono più bello che il Signore potesse dargli”, vivendo con lei una relazione di amore puro, fondata sui principi cristiani. I due giovani sarebbero rimasti insieme fino alla fine, sostenendosi a vicenda, anche quando la malattia avrebbe preso il sopravvento, accogliendo il tutto con grande maturità e fede, come volontà del Signore.
Nell’ottobre 2008, mentre si apprestava a frequentare l’ultimo anno delle scuole superiori per poi sostenere l’esame di stato, Matteo partì nuovamente per Hannover perché, dai controlli periodici, risultava una seconda recidiva. La mamma Paola sentì il bisogno di far impartire al figlio l’Unzione degli infermi. Il 9 dicembre dello stesso anno, presso la Clinica INI, Matteo venne sottoposto al primo di tre interventi, che miravano a rimuovere il tumore al cervello.
Le condizioni di Matteo andarono peggiorando e nel gennaio 2009 egli venne sottoposto ad un terzo intervento, finalizzato a consentirgli il ritorno a casa, data, ormai, la constatata impotenza della medicina. Il 13 febbraio dello stesso anno, Matteo rientrava a Brindisi con una paralisi al braccio e alla gamba sinistra, conseguenza delle operazioni a cui era stato sottoposto. Pur costretto ad utilizzare la sedia a rotelle per muoversi, continuava a dimostrare tanta forza e, soprattutto, tanta fede, affidando tutto al Padre e ripetendo spesso: “Dobbiamo vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo, ma non nella tristezza della morte, bensì nella gioia di essere pronti all’incontro con il Signore!”.
Alla fine del mese di marzo, a causa di una forte febbre e della sopraggiunta diminuzione della funzionalità degli arti, Matteo venne ricoverato all’Ospedale Perrino, dove ricevette la visita e la benedizione pasquale da parte dell’Arcivescovo Mons. Rocco Talucci. I medici, non potendo far più nulla per lui, consigliarono il ritorno a casa di Matteo, che, ormai, aveva solo brevi momenti di lucidità. Ricevette la sua ultima Comunione il 13 aprile 2009. Sempre fedele al suo amore per il Signore, per la “Madonnina” e per il suo prossimo, pur non potendo più esprimersi con le parole, Matteo, alla domanda della mamma di offrire la sua grande sofferenza per la salvezza delle anime, fece cenno di sì con la testa e con gli occhi. Fino all’ultimo fu attorniato dalla presenza, dall’amore e dalla preghiera dei suoi familiari e amici.
Il Servo di Dio morì il 24 aprile 2009.
È molto importante nel contesto di complessità che viviamo, evidenziare come questo giovane si sia distinto non solo nell’affrontare con serietà, impegno e consapevolezza la vita quotidiana, ma anche il delicato passaggio dall’essere ragazzo all’essere giovane, più maturo, più adulto. È affascinante seguire la crescita personale di Matteo, la sua sorpresa nell’apprendere qualcosa di nuovo, il suo percorso interiore.
Sembra che ogni giorno, ogni esperienza gli abbia insegnato qualcosa sulla vita e su Dio; qualcosa di cui lui fa tesoro e che lo aiuta pian piano a scoprire e costruire attivamente la casa del progetto del Signore sulla sua vita, che non vuole mai minimamente contrastare. In un testo scritto a dodici anni si esprime dicendo che «ha imparato a vivere».
La vita, anche nella situazione di malattia o con altre difficoltà, è la sua maestra che a sua volta gli insegna a vivere meglio. In questo modo, quasi naturale, si accorge di diventare gradualmente e spontaneamente uno strumento di edificazione anche per gli altri. Matteo si accorge che crescere e migliorare comporta delle difficoltà da affrontare, ma è animato da un costante spirito di fortezza che lo spinge a non arrendersi.
In Matteo emerge un profondo impegno interiore orientato a purificare il cuore da ogni peccato. Il giovane vive questa dinamica spirituale non con pesantezza, sforzo o pessimismo; anzi, dalle sue parole emergono costante fiducia in Dio, sguardo tenace, determinato e sereno rivolto al futuro, accolto come una nuova occasione data per migliorare e far fiorire in lui i doni ricevuti dal Signore. Egli avverte fortemente la necessità di allontanare anche il più piccolo male dalla sua vita, per rispondere con maggiore radicalità e purezza all’amore di Dio e condividere relazioni serene, solidali, gioiose con gli altri.
Da questo impegno di Matteo scaturiscono sentimenti di felicità che sa godere delle bellezze semplici e autentiche della vita: l’amicizia e l’amore, il gioco, il riposo, il viaggio, il creato, la preghiera, la scrittura e la comunicazione.
Infine Matteo ama condividere la sua vita con gli altri. Le cose importanti e belle che ha scoperto per sé le propone e le diffonde perché tutto questo si possa arricchire e dilatare nella gioia della compagnia. Ma a questo si aggiunge per lui un fattore imprescindibile: la fede, i sacramenti, le intuizioni spirituali, il suo rapporto personale con Dio Trinità, con Maria Santissima, con i Santi (particolarmente San Pio da Pietrelcina e San Francesco d’Assisi), non sono tesori da custodire nel chiuso della propria interiorità, ma esperienze da testimoniare e annunciare a tutti, particolarmente ai suoi coetanei e amici, con spirito missionario.
Sia nel periodo precedente alla scoperta della malattia che in seguito, Matteo è sempre attento alle relazioni con gli altri, in particolare con gli amici. Esse sono espressioni della vicinanza di Dio. Se si può riconoscere in lui qualche preferenza o sensibilità maggiore, certamente l’ha avuta ed espressa verso persone e situazioni che richiedevano maggior aiuto e attenzione. Infatti manifesta la sua visione dell’amicizia come promozione del bene dell’altro, aiuto altruistico, incoraggiamento e sostegno verso l’amico. Gli “antipatici” o coloro che ci fanno “alterare” non sono esclusi dalla cerchia delle relazioni di Matteo.
Il suo sguardo, la sua attenzione sono attirati dalla debolezza, dalla fragilità, dalla mancanza di fede degli altri e dal loro stato di difficoltà. Matteo le prende a cuore e mostra premura, tenerezza, compassione per loro. La vera solitudine per Matteo è non aver nessuno da amare, nessuno a cui dare.
È presente in lui un’alta valorizzazione della prossimità, della vicinanza, considerata come dono, possibilità buona di vita condivisa, di incontro, scambio, relazione. Ma Matteo non si lascia trascinare dalla goliardia dello stare insieme. Sa valutare la qualità delle scelte, degli atteggiamenti, e del modo di vivere. C’è un’uguaglianza fondamentale nella dignità che lega ogni uomo ad un altro, anche se di ceto, cultura, provenienza sociale diversa.
Se però avesse dovuto scegliere fra mantenere un’amicizia a discapito della fede e della coerenza dell’essere cristiano e di manifestarlo apertamente, Matteo stesso dice: “L’amicizia, invece, è un sentimento che va coltivato e che deve nascere spontaneamente, perché l’amico vero è difficile da trovare, ma “chi trova un amico trova un tesoro”. Non colpevolizzo quindi chi mi è vicino e non riesce ad essere mio amico. Concludendo quindi è sì difficile essere cristiano e quindi farsi degli amici (a volte per sostenere la propria fede si possono anche spezzare delle amicizie), ma non dobbiamo temere a manifestare la nostra fede. Anche se tutti ci abbandonassero rimarrebbe sempre Lui, il nostro Dio, il nostro Padre celeste, il nostro migliore amico. Dio!”.
Oltre all’amicizia, per Matteo c’è un tipo di relazione che è particolarmente importante ed è quella tra gli sposi. Egli rappresenta questa relazione attraverso l’immagine della «mano nella mano». In quel gesto, che per Matteo accompagna tutta la vita coniugale di uomo e donna, c’è il mistero del loro amore fatto di compagnia, condivisione, unità profonda
Una difficoltà che Matteo riscontra nello stare con gli altri, soprattutto i suoi coetanei, è quella di non riuscire sempre a condividere con loro la bellezza della fede.
Lui stesso si chiede cosa sia la fede. Non è capace di dare una definizione: “di preciso non lo so”, scrive; poi riflettendo dà alla fede questo significato:
“La fede non è però attendere grazie da Dio. No!
La fede è aggrapparsi a Dio per diffondere la sua Parola.
È pregare per nutrirsi del suo cibo, quello che servirà per sempre; è mettersi d’impegno per seguire i piani di Dio nel modo migliore; è chinare il capo senza rialzarlo con orgoglio; è fare il bene nel silenzio e riflettere sul male compiuto”.
Matteo cerca il modo di partecipare e proporre loro la sua fede in Dio, ma è consapevole delle tante resistenze che incontra nel cuore dei suoi amici, ma non li colpevolizza.
Si impegna nel comprendere, studia, si industria per fare breccia nel cuore dei suoi giovani coetanei e far entrare Gesù (si definirà l’«Infiltrato»). La loro difficoltà nella fede diventa nel suo cuore interrogativo e progetto per riuscire nell’intento di farli sentire raggiunti dal Vangelo. Egli constata con preoccupazione che la fede oggi è ostacolata dalla «difficoltà ad andare contro corrente» e la mancanza di attenzione degli adulti, nell’educare alla vita cristiana. E comincerà lui, da giovane verso i giovani, a mostrare la sua personale attenzione per loro.
Egli prega continuamente per i giovani e arriva a dire: “Per quanto mi riguarda spero di riuscire a realizzare la mia missione di “Infiltrato” tra i giovani, parlando loro di Dio (illuminato proprio da Lui)…osservo chi mi sta intorno per entrare tra loro silenzioso come un virus e contagiarli di una malattia senza cura, l’Amore”.
La malattia è arrivata senza preavviso; era un ragazzo pieno di vita, allegro con i suoi progetti per l’avvenire, una ragazza, la musica, lo sport…
Tutto, all’improvviso sembrò cambiare; ma Matteo trovò nella preghiera e nell’amicizia con Gesù la sua forza; è lui stesso che parla del suo cammino nella malattia e dell’incontro con il sacerdote che lo ha aiutato a leggere anche in quello dolora esperienza un sego dell’amore di Dio:
“Un giorno giochi con i tuoi amici, ridi e sei felice. Poi all’improvviso lei, la sofferenza, la malattia. Senza neanche accorgertene vieni catapultato in un mondo che non ti sembra il tuo.
Sembra tutto impossibile, credi che queste cose accadano solo nei film.
Finalmente torni a casa: il Signore è grande, che gioia. Credi di essere guarito, ma poco dopo ti ritrovi di nuovo a soffrire. Non riesci a crederci. Credi che tutto ti stia crollando addosso.
Inaspettatamente, in un pomeriggio che avresti definito comune, che avresti sprecato come al solito a rattristarti, incontri un umile sacerdote, semplice ma saggio. Sotto la sua guida ti riagganci a Dio; ritrovi la gioia, la speranza. Torni a casa, tra parenti e amici, e tutto va splendidamente, sempre meglio. I medici non si spiegano i miglioramenti; ma tu invece lo sai, e ridi…
Vorresti gridare al mondo che faresti tutto per il tuo Salvatore, che sei pronto a soffrire per la salvezza delle anime, a morire per Lui.
Avrai modo di dimostrargli il tuo amore…”
Certamente, con il passare del tempo e la inutilità delle cure, ha sentito il peso della malattia che via via gli sottraeva la vita: la compagnia degli amici, l’amore della fidanzata Serena; ogni giorno aveva la sua fatica; eppure sapeva che Dio, nel suo amore, non lo aveva lasciato solo:
“Quando senti che non ce la fai, quando il mondo ti cade addosso, quando ogni scelta è una decisione critica, quando ogni azione è un fallimento… … e vorresti buttare via tutto, quando il lavoro intenso ti riduce allo stremo delle forze, sottraendoti tempo per prenderti cura della tua anima, amare Dio con tutto te stesso e riflettere il suo amore agli altri. Fatica. Stringi i denti… eppure non ce la fai. Dio ti ha lasciato solo? No! In silenzio ti sta sempre accanto asciugando le tue lacrime e tenendoti in braccio, finché non avrai la forza di camminare con i tuoi piedi, tenendolo con vigore per mano
Fatica. “Accucciati” umile tra le sue braccia e lì sarai protetto finché non torna il bel tempo. Tornerai allora a splendere del suo amore, donando anche una carezza, un sorriso, il tuo piccolo contributo per aiutare chi è come te nella difficoltà, nella fatica; portalo da Dio… Risorgerà anche lui con il Nostro Signore ad una vita d’amore”.
Per quanto possa sembrare sorprendente in un giovane di appena 19 anni, Matteo aveva colto in profondità il valore della vita, la responsabilità di avere ricevuto il dono della fede, della famiglia; l’impegno a non buttare via la vita in cose futili, ma vivere in pienezza in senso umano e cristiano:
“Perché mi hai scelto? Perché la fede e tutti i tuoi doni? Chi sono io per meritare questo? Sono un servo inutile.
Ma non è questa la domanda giusta.
Chi sei Tu? Chi sei Tu per accontentarti di me?
Quanto è grande il tuo amore se nonostante i miei peccati mi scegli come tuo servo?
Perché me e non altri?
Vorrei immergermi nel tuo amore mio Dio, per poter vedere il mondo come lo vedi tu, anche per poco, per capire come fai a vincere tutto con l’amore.
Sono in mezzo a tanta gente che non crede in Te.
Perché chiami me a testimoniarti?
Ti basta il mio nulla?
Quali sono i tuoi progetti per me?
Come posso servirti?
E’ difficile vivere nel mondo quando la fede ci dice che non siamo del mondo.
Ma se me lo chiedi, se è per questo che mi hai voluto, non è impossibile. Conosci i miei limiti, meglio di me.
Mio Dio ho due mani, fa che una sia sempre stretta a te sicché in qualunque prova io non possa mai allontanarmi da te, ma stringerti sempre più; e l’altra mano, ti prego, se è tua volontà, lasciala cadere nel mondo… perché come io ho conosciuto te per mezzo di altri così anche chi non crede possa conoscerti attraverso me. Voglio essere uno specchio, il più limpido possibile, e, se è la tua volontà, riflettere la Tua luce nel cuore di ogni uomo.
Grazie, per la vita. Grazie, per la fede. Grazie, per l’amore.
Sono tuo”.
Matteo con la sua vita testimonia le parole di san Giovanni Paolo II alla GMG del 2000:
“In realtà, è Gesù che cercate quando sognate la felicità; è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare. È Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, la volontà di seguire un ideale, il rifiuto di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità, il coraggio di impegnarvi con umiltà e perseveranza per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna>> (Tor Vergata, sabato 19 agosto 2000).
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SANTA NARCISA DE JESUS
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Nacque da una famiglia di agricoltori che morirono, però quand'era ancora molto giovane.
Si trasferì, quindi, nel 1851, a Guayaquil, da alcuni parenti. Divenuta sarta per poter essere indipendente, decide di consacrarsi a Dio mediante la verginità e la penitenza, seguendo come modello santa Mariana de Paredes y Flores, che offrì se stessa in espiazione per la propria città.
Il vescovo le propose di entrare in un monastero di carmelitane scalze, ma Narcisa scelse di rimanere a Guayaquil per aiutare la sua amica Mercedes Molina y Ayala, poi beata, ad organizzare un orfanotrofio.
Nel 1868 su consiglio del suo direttore spirituale, il francescano Pietro Gual, si trasferi a Lima in un convento di terziarie domenicane. Morirà, dopo un'intensa vita di preghiera e penitenza, l'8 dicembre 1869. Il suo corpo incorrotto fu poi sepolto in un santuario a lei dedicato nella città natale.
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BEATA MARIA DI GESU' CROCIFISSO - MARYAM BAOUARDY
Al secolo, Miriarn Baouardy, nacque in Palestina
nel 1846 e morì a soli 32 anni a Betlemme,
dopo una vita costellata di grandi dolori: orfana
sin da piccolissima, affidata ad uno zio che, secondo
le usanze, l'aveva promessa sposa ad un giovane che
al suo rifiuto la ferì gravemente alla gola.
Guarità miracolosamente dalla Madonna si diede
ad umili lavori, finchè non riuscì ad
entrare in convento.
La sua breve vita è stata punteggiata da variegati
doni mistici, tra cui: le estasi, la levitazione,
le stigmate, la trasverberazione del cuore, apparizioni,
profezie, bilocazioni, ecc. |
Sulla Santa Infanzia vedere:
In relazione all'ultima voce, vedere in Collaborazioni:
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