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PASQUA, RITI E TANTO ALTRO
STORIA E SIGNIFICATO DELL'UOVO DI PASQUA
L’Uovo rappresenta, forse, il simbolo pasquale per eccellenza. L’uovo è simbolo di rinascita in tutte le religioni ed paragonabile ad un sepolcro che possiede in sé il germe del rinnovamento. Se proviamo a rompere un uovo fresco di giornata, osserviamo che il tuorlo è una sfera gialla simile al sole e l’albume di color bianco è di aspetto lunare. Due simboli fondamentali dell’origine vitale; il sole come eroe maschile, la luna come generatrice.
L’uovo di Pasqua è un simbolo che sta a significare Gesù che esce dal sepolcro, come il pulcino che, pronto per la vita, rompe il guscio. La tradizione pasquale dipinge l’uovo con simboli adatti ad esprimere la Resurrezione, come ad esempio le campane. L’uovo rappresenta la Pasqua nel mondo intero: c’è quello dipinto, intagliato, di cioccolato, di terracotta e di cartapesta. Ma, mentre le uova di cartone o di cioccolato sono di origine recente, quelle vere, colorate o dorate hanno un’origine radicata nel lontano passato. Le uova, infatti, forse per la loro forma e sostanza molto particolare, hanno sempre rivestito un ruolo unico, quello del simbolo della vita in sé, ma anche del mistero, quasi della sacralità.
Già al tempo del paganesimo in alcune credenze, il Cielo e la Terra erano ritenuti due metà dello stesso uovo, e le uova erano il simbolo del ritorno della vita. Gli uccelli, infatti, si preparavano il nido e lo utilizzavano per le uova: a quel punto tutti sapevano che l’inverno ed il freddo erano ormai passati.
I Greci, i Cinesi ed i Persiani se li scambiavano come dono per le feste primaverili, così come nell’antico Egitto le uova decorate erano scambiate all’equinozio di primavera, data di inizio del “nuovo anno”, quando ancora l’anno si basava sulle stagioni. L’uovo era visto come simbolo di fertilità e quasi magia, a causa dell’allora inspiegabile nascita di un essere vivente da un oggetto così particolare.
Le uova venivano pertanto considerate oggetti dai poteri speciali, ed erano interrate sotto le fondamenta degli edifici per tenere lontano il male, portate in grembo dalle donne in stato. Le uova, associate per secoli alla primavera, con l’avvento del Cristianesimo, divennero simbolo della rinascita dell’uomo stesso, della Resurrezione di Cristo: come un pulcino esce dell’uovo, oggetto a prima vista inerte, Cristo uscì vivo dalla sua tomba.
Nella simbologia, le uova colorate con colori brillanti rappresentano i colori della primavera e la luce del sole. Quelle colorate di rosso scuro sono invece simbolo del sangue del Cristo.
L’usanza di donare uova decorate con elementi preziosi va molto indietro nel tempo e già, nei libri contabili di Edoardo I di Inghilterra, risulta segnata una spesa per 450 uova rivestite d’oro e decorate da donare come regalo di Pasqua. Il primo uovo con sorpresa fu regalato a Francesco I di Francia agli albori del XVI secolo, da qui probabilmente l’usanza di inserire un dono all’interno dell’uovo di cioccolato.
Le uova più famose furono indubbiamente quelle di un maestro orafo, Peter Carl Fabergé che, nel 1883, realizzò su commissione dello zar Alessandro, per un dono speciale alla zarina Maria Federovna, un uovo di platino che racchiudeva un’aurea chioccia contenente a sua volta una miniatura in diamante della corona imperiale, il quale celava un rubino tagliato a forma d’uovo. Il principio delle bamboline russe, insomma, applicato ad un’autentica opera.
Infine, la scarcella (piccola borsa), uno dei dolci della tradizione pugliese, che è un tipo particolare di ciambella, frutto di un impasto di farina, uova, olio e zucchero, con sopra un numero dispari di uova sode
e abbellita da confettini colorati, che solitamente viene regalata ai bambini.
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PASQUA, TEMPO DI SCARCELLA O SCARCEDDE: CURIOSITA'
Per scarcella si intende una piccola borsa di cuoio che veniva di solito portata appesa alla cintura e nella quale si riponevano piccole somme di denaro.
Per i baresi ed i pugliesi, la scarcella, o “scarcèdde”, rappresenta un dolce tipico pasquale preparato da mamme e nonne per figli e nipoti, da consumarsi a Pasqua o il lunedì dell’Angelo, detto anche “Pasquetta”.
Secondo Luigi Sada, la scarcella è chiamata “corruchele” nel Brindisino, “cuddura” o “puddica” nel Leccese o, “chelomme” nel Tarantino, per la forma e per il numero delle uova (che arrivano sino a 21 come a Salice Salentino), che rappresenta un grosso pane che la fidanzata dona al suo amato.
Secondo alcuni, l’origine della scarcella, nasce come impasto di farina di grano duro, olio extravergine di oliva, pepe, lievito e sale, ingredienti di facile reperimento in tutte le case per una ricetta casalinga povera che veniva tramandata da madre in figlia. Nel corso degli anni, con la diffusione dello zucchero, soprattutto nelle famiglie benestanti, la scarcella diventa anche dolce con la sottrazione di alcuni ingredienti come pepe e sale e l’aggiunta di altri, più consoni al dolce e, a mo’ di decorazione, di uno o più uova. Il numero delle uova può arrivare fino ad una decina se la scarcella è destinata alla propria fidanzata. Infatti rappresentava il regalo prediletto tra gli innamorati: un secolo fa le giovanette erano solite donarle ai fidanzati nel giorno di Pasqua e le massaie salentine si riunivano per prepararne in grandissime quantità, mettendo insieme gli ingredienti che ognuna aveva a disposizione e trascorrendo così anche una giornata in compagnia.
Nel barese invece non era la fidanzata a regalare la scarcella al fidanzato, ma la suocera che la donava alla futura nuora come dono benaugurante.
In Puglia la scarcella, si diversifica, a seconda delle zone, ma la sua caratteristica peculiare consiste nelle uova sistemate in superficie, tenute ferme da due strisce di pasta e assume forma di ciambella, di cestino, di colomba o di borsa da donna e, qualunque altra che possa sollecitare la fantasia dei bambini ai quali spesso viene donata.
Secondo alcuni il nome deriverebbe da “scarsella” con riferimento agli ingredienti poveri che la componevano. Più curiosa, invece, è l’ipotesi secondo la quale il termine “scarcella” risalga al verbo “scarcerare”, inteso come liberazione dell’uovo dalla pasta. Questo concetto si collega a un rito che fin dal 1451 si svolgeva presso il Santuario della Madonna dei Martiri di Molfetta. Nella seconda Domenica di Pasqua i catecumeni si recavano in processione al Santuario, in camice bianco, per ricevere il battesimo che li avrebbe “scarcerati” dal peccato originale, portando una scarcella confezionata con pane azzimo che poi consumavano sul posto. Spogliandosi della veste bianca che avevano indossato per tutta la settimana dopo Pasqua, si liberavano simbolicamente dal peccato (da qui Domenica in Albis). In alcuni paesi pugliesi sopravvivono ancor oggi usi e tradizioni legate a questi riti.
Per altri, infine, la scarcella, per la sua forma circolare, simbolo universale antichissimo collegato al movimento della terra e degli astri, era associata anche all’idea del mondo e del destino umano. Una sorta di emblema del movimento e del divenire orientato verso la chiusura del passato e l’attesa del futuro, a r
appresentare la fortuna.
Questo simbolo ricorre nella nostra cultura, come i rosoni che osserviamo sulle facciate delle chiese romaniche e gotiche, ed anche nelle iconografie orientali con analoghi significati di circolarità e di movimento.
Felice Alloggio, noto commediografo e scrittore, non si è fatta sfuggire l’occasione per scrivere una ironica poesia sul tema “scarcella” in dialetto barese.
LE SCARCÈDDE
di Felice Alloggio
Steve a mette tre scarcèdde jìnde a u stipe
addò stèvene taràlle e dolge d’ogne tipe
apprìsse a mè la patròne condrollàve
ca ogne cose, belle belle sestemàve.
A la mbrevvìse m'auandò nu sckande
e m’assedìbbe sùbete sope a na panghe,
pure Rosètte, megghièreme, sckandò brutte
percè addeventàbbe bianghe come a u strutte!
“Ce ha seccìsse? Le fermìche avònne fegghiàte?”
“Ma ce fermìche, nè vècchie nè appèna nate,
però mò ià fa’ u stesse nu quarandòtte.”
“Madònne Giuànne si’ viste na magnòtte?"
“Ma ce magnòtte e magnòtte d’Egìtte,
chiù pesce sora mè, probbie nu delìtte,
a le scarcèdde, acchiamìnde tu stesse
nge ammànghene le buche e pur l’ove allèsse!”
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da “Florilegio barese”, WIP Edizioni. |
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L’uscita dell’Addolorata dal Santuario di Sant’Antonio di Bari dà inizio ai riti della Settimana Santa
I riti della Settimana Santa barese iniziano il Venerdì precedente la Domenica delle Palme, detto anche di Passione, con la solenne processione della Vergine Addolorata in uscita alle ore 10 dal Santuario di Sant’Antonio di Bari per snodarsi lungo le vie della città fermandosi durante il percorso in alcune chiese del centro storico di Bari.
«Il mistero della Passione di Gesù e del dolore di Maria - scrive Anna Maria Tripputi - è uno degli eventi evangelici che si sono maggiormente radicati e diffusi nella devozione popolare, dando luogo a particolari esercizi di pietà e ad una memoria liturgica che ha interessato sia la Chiesa d’Oriente che quella di Occidente. Lo straziante dolore della Madre che sembra cullare, come quando era bambino, il corpo sanguinante del Figlio appena deposto dalla croce è diventato, nell’immaginario collettivo, il prototipo di una universale materna sofferenza che non ha confini spaziali o temporali».
L’Addolorata, accompagnata dai fedeli e dalle bande che intonano musiche sacre e marce funebri, se ne va fra la gente che piange, con il fazzoletto bianco fra le mani ed il suo abito nero che rendono ancor più struggente il dolore.
Con l’occasione ricordo qualche notizia sulla storia del Convento-Parrocchia che ospita l’Addolorata. I padri Francescani vennero a Bari nel XVII secolo ed iniziarono la costruzione del Convento e della Chiesa nell’anno 1617 terminando i lavori nel 1622. In seguito al terremoto del 1831, per le gravi lesioni riportate, la chiesa crollò nel 1834. Negli anni 1836-1839 la chiesa venne riedificata ed ampliata e dedicata a Sant’Antonio di Padova. Nel 1866, in seguito alle disposizioni relative alla soppressione degli ordini religiosi, il Convento fu occupato dalla truppe garibaldine ed adibito a caserma. Nel 1887 nella Chiesa venne eretta la Vicaria Capitolare con il titolo di Sant’Antonio, rimasta in funzione fino al 1930. In quel periodo in tutto il quartiere non c’era alcuna chiesa secolare da destinare a parrocchia.
Nel 1956 l’Arcivescovo di Bari, Enrico Nicodemo, istituì una nuova Parrocchia e la Chiesa di Sant’Antonio divenne per la prima volta parrocchia, retta da padre Bernardo Elia.
Nel 1987 la zona absidale è stata dotata di un bellissimo Crocifisso ligneo del 1600 che la domina ed ai fianchi i mosaici che rappresentano i quattro evangelisti. Nel 1995 la grande statua in gesso di Sant’Antonio viene collocata nel vecchio Battistero, divenuto “Cappella del Santo”.
Il Santuario di Sant’Antonio ha ospitato fin dal 1925 la Pia Associazione di Sant’Antonio ed il 19 marzo 1931 fu dichiarata dall’arcivescovo Augusto Curi “Confraternita di Maria SS. della Pietà e di Sant’Antonio” e dal 10 gennaio 1962 elevata ad Arciconfraternita.
Nell’anno 2011, per iniziativa e sotto la guida di padre Giammaria Apollonio, parroco pro-tempore, la Chiesa è stata totalmente restaurata, tornando così a nuovo splendore.
L’8 dicembre 2015 la Chiesa di Sant’Antonio da Padova di Bari è stata elevata, dall’Arcivescovo di Bari-Bitonto, Monsignor Francesco Cacucci, al rango di Santuario.
Attualmente il Santuario è retto da padre Vito Dipinto.
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Tra la Domenica delle Palme e quella della Resurrezione si pone, al centro delle celebrazioni pasquali, la Settimana Santa. Quest’ultima, nata a Gerusalemme, si diffuse poi in Occidente, anche se con caratteristiche diverse, per celebrare, rivedendoli, gli avvenimenti della Passione» (Vito Lozito).
Il Venerdì Santo, ogni regione celebra, secondo le proprie tradizioni, il ciclo e la rievocazione della Passione e Morte di Cristo. Nel tempo della Passione si rievoca il tradimento, la cattura e la crocifissione di Gesù Cristo.
Le rievocazioni della Passione consistono in un solenne corteo in cui sono teatralmente riproposti da gruppi statuari in costume o da personaggi, gli episodi della Passione di Cristo, della cattura nell’Orto del Getsemani e la Crocifissione.
Le manifestazioni religiose sono numerose e suggestive, in alcuni luoghi si svolgono le feste folcloristiche più emozionanti e coinvolgenti del periodo primaverile. In modo particolare in alcune località del Mezzogiorno sfilano in processione i “Flagellati”, incappucciati e armati di fruste di varia foggia, con cui si battono il petto in segno di penitenza.
In alcune zone della Liguria le processioni del Venerdì Santo sono caratterizzate dal fatto che il Crocefisso è rivolto verso la coda del corteo. È una antica usanza che si rifà al tempo delle battaglie navali contro i Turchi, durante le quali i Crocifissi che adornavano le prore delle navi venivano rivoltati affinché gli infedeli, e cioè i Turchi, non potessero vedere il volto di Cristo.
Ad Assisi la Processione del Cristo Morto, è imponente e molto suggestiva. Ha un prologo il giovedì sera, nella Cattedrale di San Rufino, dove si svolge il rito della “scavigliazione” e cioè dello schiodamento della statua lignea dalla croce. Nella mattinata del Venerdì Santo, la statua del Cristo viene trasportata dalla Cattedrale fino al Convento di San Francesco, con tre soste ai Monasteri di Clausura, mentre in serata si svolge la processione vera e propria.
A Chieti, il Venerdì Santo ha luogo la processione più antica d’Italia. Risale infatti alla metà del Cinquecento e da allora la processione si svolge identica, con la partecipazione delle
Congreghe, i cui appartenenti indossano il tradizionale saio dei penitenti, che si compone di una tunica nera con mantella grigia. Gli strumenti musicali che accompagnano i canti appartengono all’artigianato tradizionale e tutto il percorso è illuminato da torce poggiate su treppiedi di ferro.
A Valenzano (Bari), dal 1671 si svolge la processione dei Misteri. Una tradizione molto sentita e suggestiva. Inizia dall’Ultima Cena per finire alla Esaltazione della Croce. La processione, che si svolge nelle vie cittadine, è molto seguita, non solo dai valenzanesi, ma da cittadini di paesi e città limitrofe attratti dalla magnificenza dei gruppi scultorei. Curiosità i “misteri”, che sono circa 45, sono di proprietà dei cittadini e da loro stessi custoditi, ad eccezione dell’Addolorata che esce dalla Chiesa.
A San Marco in Lamis (FG) si svolge una spettacolare processione, dove sacro e profano sono un po’ mescolati. Il corteo della processione viene chiamato delle “Fracchie”, e consistono in grossi coni di rami di albero che vengono infuocati per celebrare il “Rito del Fuoco Sacro”.
A Barile, un piccolo centro nella provincia di Potenza, in occasione del Venerdì Santo, si svolge una “Sacra Rappresentazione” animata da personaggi viventi.
Mi piace allegare a questa nota un testo poetico di Gaetano Bucci, docente e scrittore di Corato, frutto di “vissuti di coscienza” e di “immagini mentali” formatisi diversi decenni fa, quando la fede popolare, a Corato come altrove, specie nel sud Italia era permeata di spirito di autenticità unito a delicatezza, umiltà e discrezione. Un mondo anni luce distante dalla fede un po’ consumistica e spettacolarizzata di oggi.
VENERDÌ SANTO
di Gaetano Bucci
La Madonna era coperta di nero.
E nel viso bianchissimo di cera
portava un dolore profondo,
profondo dolore coperto di nero.
Io alla processione, ricordo,
m’incantavo al rullo del tamburo,
alla luce del mattino, alla croce
e al mistero di donne piangenti.
Dai balconi a cascata cadevano
candide lenzuola di paradiso,
mentre la divina purezza dei gigli
splendeva in marci vasi di latta.
Così la banda andava lenta per strada,
tutta insieme ondeggiava, e suonava.
E appena suonava, erano lacrime
bianche e fazzoletti stretti tra mani.
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La Pasqua cattolica si celebra, secondo il decreto del concilio di Nicea del 325 d.C., seguendo criteri astronomici, la prima Domenica di plenilunio dopo l’equinozio di primavera. Ogni anno ha quindi un posto diverso nel calendario. La solennità pasquale rappresenta il momento più importante di tutte le celebrazioni liturgiche, perché si celebra il rito e il mistero della morte e resurrezione di Gesù Cristo. Il triduo, che va da Giovedì Santo a Sabato Santo, a cui si aggiungono la Veglia pasquale e le celebrazioni della Domenica di Pasqua, costituiscono l’evento di maggior importanza per la religione cattolica.
Il periodo pasquale è preceduto dalla Quaresima, periodo di 40 giorni che comincia con il mercoledì delle ceneri. La Domenica precedente la Pasqua è detta delle Palme e in quel giorno si ricorda l’accoglienza trionfale di Gesù a Gerusalemme fra ali di folla osannante. Nelle chiese vengono distribuiti ramoscelli di ulivo benedetti. La settimana successiva è detta Settimana Santa perché si rivive la passione e la morte e resurrezione di nostro Signore. Numerose le rievocazioni in tutto il mondo cattolico.
A Bari si inizia il Venerdì di Passione con l’uscita della Madonna Addolorata, una delle più belle della città, dal Santuario di Sant’Antonio, percorrendo le vie della città vecchia e nuova, per poi fare ritorno in serata nella propria chiesa. Il Venerdì Santo, si snoda tra le vie cittadine la processione dei Misteri. Questa importante processione esce ad anni alterni da due chiese diverse: dalla Vallisa (gli anni pari) e da San Gregorio (gli anni dispari). Un decreto del 1825 di Mons. Michele Basilio Clary, per evitare frequenti rivalità fra le due confraternite interessate, pose così fine alle continue liti.
Alberobello si anima di suoni, colori e preghiere che fanno rivivere a credenti e turisti uno dei momenti religiosi più intensi dell’anno liturgico cristiano. Non si tratta solo di un’intensa occasione spirituale, ma anche di un suggestivo momento in cui arte e cultura si incontrano nella capitale dei trulli. Qui si svolge una Passione Vivente ambientata tra i trulli e che coinvolge l’intera città nella organizzazione e allestimento di questo importante evento.
Bitonto è coinvolta nelle tradizionali processioni del Venerdì di Passione e del Venerdì Santo. Tra sentimento religioso e folklore, il Venerdì di Passione, l’Addolorata nel suo abito nero si avvia dalla Cattedrale e percorre le vie del centro storico accompagnata dai bambini delle scuole elementari della città. Il Venerdì Santo, in piena notte, dalla quattrocentesca chiesa di San Domenico inizia la Processione dei Misteri. Il rito, tra i più antichi, vede sfilare in processione 8 immagini rappresentanti alcuni momenti della Passione di Cristo.
Anche Molfetta rivive la Passione del Signore con tre importanti appuntamenti. Il Venerdì di Passione, che precede la Domenica delle Palme, si potrà assistere al rito della “Sventurata”, processione in onore della Beata Vergine Addolorata che ha inizio alle ore 17 nel piazzale antistante la Chiesa del Purgatorio. Il Venerdì Santo si svolge la Processione dei Misteri, il più antico rito religioso della città organizzato dall’Arciconfraternita di Santo Stefano, a partire dalle ore 3,00 del mattino dal sagrato della Chiesa di Santo Stefano. Ultimo rito della settimana è la processione della Pietà che si tiene il Sabato Santo, con splendide statue in cartapesta realizzate da Giulio Cozzoli, trasportate a spalla dai confratelli dell’Arciconfraternita della Morte
A Noicattaro sono numerosi gli appuntamenti per la celebrazione della Passione di Cristo; si inizia la sera del Giovedì Santo con l’accensione dei falò sul sagrato della chiesa della Madonna della Lama. A seguire, sempre nella stessa giornata, la Processione del Primo Crocifero ed il Pellegrinaggio dei Crociferi agli Altari della “Reposizione”. Il giorno successivo si tiene la Processione della Naka: durante la notte il sarcofago di Cristo viene condotto tra le vie del paese a passo lento e grave.
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https://www.giornaledipuglia.com/2019/03/i-riti-della-settimana-santa-di-ieri-e.html
I RITI DELLA SETTIMANA SANTA DI IERI E DI OGGI IN ALCUNE CITTA' DELLA PUGLIA
La Settimana Santa è il periodo che intercorre tra la Domenica delle Palme e il Sabato Santo, durante il quale il Cristianesimo celebra gli eventi della fede in occasione degli ultimi giorni di vita di Gesù Cristo (passione, morte e resurrezione). I riti religiosi sono celebrati con solennità in tutte le chiese del mondo, mentre in Italia le cerimonie sono particolarmente suggestive ed in molti casi si mescola religione e folclore. Sono da segnalare, in particolare, le manifestazioni che si svolgono in Puglia.
A Taranto, il Giovedì Santo inizia con il pellegrinaggio dei “perdune” (perdoni), i Confratelli del Carmine che escono in coppie, a piedi nudi e incappucciati, percorrendo le strade cittadine, sostando, lungo il percorso, in ogni “sepolcro”, a simboleggiare i pellegrini che si recavano a Roma per il “perdono di Dio”. I “perdune” avanzano lentamente dondolando esasperatamente, che i tarantini chiamano “a nazzecate” (passo tipico dei “perdune”). Il rientro avviene entro la mezzanotte, quando dalla Chiesa di San Domenico parte la processione della Madonna Addolorata. La processione si conclude il pomeriggio del Venerdì Santo per consentire l’inizio della seconda processione, quella dei Misteri, che sfila per la città per rientrare alle sette del sabato mattina.
A capo delle processioni c’è sempre il troccolante (da troccola, una tavola di legno su cui sono installate delle “maniglie” metalliche che percuotendo il legno producono un suono caratteristico), a
cui spetta il compito di chiudere i riti tarantini il sabato mattina. Questi, giunto “nazzicando” davanti alla Chiesa del Carmine, bussa tre volte con la punta del suo bastone, detto “bordone”, su una delle ante chiuse, in un’atmosfera di silenziosa e profonda commozione. Questo è uno dei momenti più significativi e affollati di tutta la processione.
Grazia Galante nel suo libro “La religiosità popolare di San Marco in Lamis (Malagrinò Editore), racconta che, la preparazione alla Settimana Santa inizia con la pratica dei sette venerdì dedicati alla Madonna Addolorata. I riti si accentrano nell’arco di meno di una settimana. Il Mercoledì e il Giovedì Santo nella Chiesa dell’Addolorata, i confratelli dell’Arciconfraternita dei Sette Dolori, vestiti con camice, mozzetta e scapolare, cantano “li fruffecicchie” (profezie), rappresentate da 15 Lamentazioni del profeta Geremia, tratti dall’Antico e Nuovo Testamento. Nel passato, quando la Resurrezione si celebrava il Sabato Santo e si “scioglievano” le campane, le giovani mamme stendevano sul selciato una coperta per consentire ai propri bambini di muovere i primi passi, convinte che come si “sciugghiévene li campane” (come si scioglievano le campane), così dovevano muovere i primi passi le gambette dei piccoli (“Li jammicciòle de lli meninne”).
A San Nicandro Garganico, nei tre giorni che precedevano la Resurrezione, si faceva la festa della Croce per chiedere un buon raccolto, lasciando la sera sull’uscio della porta o sul balcone dei secchi pieni d’acqua affinché il Risorto, salendo al cielo, l’avrebbe benedetta e il giorno dopo veniva distribuita ai passanti in devozione.
Molti riti sono di antica origine. Si può assistere, infatti, ai volti incappucciati, ai lamenti, ai canti religiosi, al suono della troccola, alla processione dei Crociferi (Noicattaro), a quella degli otto Santi (Martina Franca), a quella dei cinque Misteri di Molfetta, o alla suggestiva processione della Quarantana a Ruvo di Puglia.
Merita un cenno la processione dei ‘misteri’ che si svolge a Valenzano (BA), perché di spagnoleggiante reminiscenza. Ma ciò che rende, forse, unica la processione è l’alto numero dei Misteri (oltre quaranta). È dal 1671 che il venerdì Santo a Valenzano sfila la processione dei Misteri, una tradizione molto sentita e suggestiva, che inizia dall’Ultima Cena per finire alla Esaltazione della Croce. La processione che si svolge nelle vie cittadine, è molto seguita, non solo dai valenzanesi, ma dai cittadini di paesi e città limitrofi, attratti dalla magnificenza dei gruppi scultorei. L’originalità sta nel fatto che tutti i gruppi statuari sono di proprietà di privati e da loro stessi custoditi. Solo l’Addolorata esce dalla Chiesa Matrice di San Rocco.
Salvatore Pugliese, nel suo libro “La Settimana Santa a Martina Franca nella tradizione popolare” (Schena Editore), ricorda e descrive la molteplicità di celebrazioni e appuntamenti che un tempo davano alla città un senso di dignitosa mestizia. L’incedere dei Confratelli, il crepitio della troccola, la spogliazione degli altari, le croci velate e la lunga lacerante predica delle Tre Ore di Agonia, rappresentano i gesti della fede, il memoriale del Transito del Signore. In queste manifestazioni i cittadini diventano nello stesso tempo attori e protagonisti, manifestando una partecipazione interiore propria delle genti del Sud, vicine alla Passione per antica sofferenza e lontane radici di comunione di dolore.
A Ruvo di Puglia il giovedì Santo si svolge la processione degli “Otto Santi” che sfila tra le due e trenta e la tarda mattinata. Il corteo è composto da: Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, il Cristo morto disteso sul lenzuolo, la Madonna Addolorata, San Giovanni, la Maddalena, Maria di Cleofa e Maria Salomè. La processione che sfila dal 1920, è quella più nota e suggestiva dell’intero ciclo sacro. Tra le tantissime informazioni e immagini che Francesco Di Palo ricorda nel suo libro “Passione e Morte” (Schena Editore), c’è, sempre a Ruvo di Puglia, anche la processione del Risorto e lo scoppio delle Quarantane (fantocci di carta colorata o scherzi pirotecnici), che avviene la Domenica di Pasqua, un momento paraliturgico più significativo della Resurrezione. E per il Venerdì di Passione c’è la “Madònne du vìnde” (Madonna del vento), appellativo popolare con cui viene indicata la “Desolata”, poiché in questo giorno il vento è sempre presente.
Una delle rappresentazioni più importanti e spettacolari, ma nello stesso tempo singolare, soprattutto per i forestieri, è quella nota come “La Madonna che scappa” o “La Madonna che corre in piazza” che si svolge la Domenica di Pasqua a Sulmona. Una dimensione fortemente teatrale e scenica rimane assai evidente in alcune manifestazioni paraliturgiche che scandiscono la Quaresima e la Settimana Santa in Puglia.
E, per finire, non manca il capitolo dedicato ai cibi rituali di Pasqua: uovo, agnello e scarcella, alimenti legati intimamente al rito pasquale, definiti da alcuni studiosi di tradizioni popolari “alimentazione rituale”.
Da segnalare l’importante ruolo delle Congreghe e delle Confraternite che partecipano a questi eventi come viva espressione di fede, anche se contrastate da certe organizzazioni turistiche che tendono a sottovalutare le espressioni della pietà popolare.
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I riti della Pasqua barese iniziano il Venerdì, detto anche di Passione, prima della Domenica delle Palme (quest’anno il 12 aprile), con la solenne processione della Vergine Addolorata in uscita dal Santuario di Sant’Antonio di Bari per snodarsi lungo le vie della città ‘visitando’ nel percorso alcune chiese del quartiere Libertà e del centro storico di Bari.
L’Addolorata, accompagnata dai fedeli e dalle bande che intonano musiche sacre e marce funebri, se ne va fra la gente che piange, con il fazzolettino bianco fra le mani ed il suo abito nero che rendono ancor più struggente il dolore.
L’itinerario, come per gli scorsi anni, prevede la sosta della Madonna nella Cattedrale di Bari (ore 12-15) per poi riprendere il cammino, dopo la cerimonia eucaristica, per rientrare in serata nella ‘sua’ casa, il Santuario di Sant’Antonio.
Con l’occasione ricordo qualche notizia sulla storia del Convento-Parrocchia che ospita l’Addolorata.
I padri Francescani vennero a Bari nel XVII secolo ed iniziarono la costruzione del Convento e della Chiesa nell’anno 1617 terminando i lavori nel 1622. In seguito al terremoto del 1831, per le gravi lesioni riportate, la chiesa crollò nel 1834. Negli anni 1836-1839 la chiesa venne riedificata ed ampliata e dedicata a Sant’Antonio di Padova. Nel 1866, in seguito alle disposizioni relative alla soppressione degli ordini religiosi, il Convento fu occupato dalla truppe garibaldine ed adibito a caserma. Nel 1887 nella Chiesa venne eretta la Vicaria Capitolare con il titolo di Sant’Antonio, rimasta in funzione fino al 1930. In quel periodo in tutto il quartiere non c’era alcuna chiesa secolare da destinare a parrocchia.
Il 21 maggio 1936 fu posta la prima pietra per la costruzione del Convento e nel 1937 i lavori per l’ampliamento della Chiesa con il Battistero, che terminarono dopo tre anni.
Nel 1956 l’Arcivescovo di Bari Enrico Nicodemo istituì una nuova Parrocchia e la Chiesa di Sant’Antonio divenne per la prima volta parrocchia, retta da padre Bernardo Elia.
Nel 1987 la zona absidale è stata dotata di un bellissimo Crocifisso ligneo del 1600 che la domina ed ai fianchi i mosaici che rappresentano i quattro evangelisti. Nel 1995 la grande statua in gesso di Sant’Antonio viene collocata nel vecchio Battistero, divenuto “Cappella del Santo”.
Il Santuario di Sant’Antonio ha ospitato fin dal 1925 la Pia Associazione di Sant’Antonio ed il 19 marzo 1931 fu dichiarata dall’arcivescovo Augusto Curi “Confraternita di Maria SS. della Pietà e di Sant’Antonio” e dal 10 gennaio 1962 elevata ad Arciconfraternita.
Nell’anno 2011, per iniziativa e sotto la guida di padre Giammaria Apollonio, parroco pro-tempore, la Chiesa è stata totalmente restaurata, tornando così a nuovo splendore.
L’8 dicembre 2015 la Chiesa di Sant’Antonio da Padova di Bari è stata elevata, dall’Arcivescovo di Bari-Bitonto, Monsignor Francesco Cacucci, alla funzione di Santuario.
Da qualche anno il Santuario è retto da padre Vito Dipinto.
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https://www.giornaledipuglia.com/2019/04/le-tradizioni-di-pasqua-bari.html
LE TRADIZIONI DI PASQUA A BARI
Pasqua, per i baresi, è una delle grandi ricorrenze che Giovanni Panza (1916-1994), autore del libro “La Checine de nononne” (Schena Editore), colloca nelle “feste terribele”, ossia tra gli eventi più importanti.
Il preludio della settimana di Passione inizia il venerdì prima della Domenica delle Palme con la processione dell’Addolorata che esce dal Santuario di Sant’Antonio di Bari e percorrendo le vie cittadine raggiunge la città vecchia, quindi la Cattedrale.
La Pasqua a Bari si identifica in usanze antiche e consolidate che si ripetono, resistendo al tempo e alla secolarizzazione della civiltà attuale. Tutti, credenti e non, il Giovedì Santo si dirigono, in serata, “a fare i Sepolcri”, cioè la visita al Santissimo, in almeno tre chiese della città, preferibilmente quelle di Bari vecchia, riunendo la famiglia che sfila silenziosa, insieme con tante altre che si rivedono volentieri per le strade della città che si veste di religioso silenzio, in ossequio al Cristo.
Il Venerdì Santo, quando passa la bellissima statua dell’Addolorata che piange Gesù, l’emozione è forte, nell’aria dolorosa della marcia funebre. Tutti Lo vedono adagiato in una bara di vetro, colma di fiori. Il culto è talmente vivo, che nelle Chiese antiche di Bari vecchia usano ancora disporre sul Sepolcro di Cristo semi di grano e di lenticchie fatti germogliare al buio nelle case dal primo giorno della Quaresima.
Anche l’uovo rappresenta uno dei simboli di Pasqua. Chi da piccolo, il giorno di Pasqua, non ha giocato con le uova sode, accuratamente dipinte da nonne e zie? Venivano deposte in un cesto di vimini, fatto a mano. Ancora oggi il rito si ripete nelle case dei baresi. L’uovo è l’elemento gastronomico principe a Pasqua, lo troviamo nel “benedetto”, un antipasto tipico pasquale e, di cioccolato, nel cosiddetto uovo di Pasqua.
L’uovo rappresenta, forse, il simbolo pasquale per eccellenza. D’altro canto l’uovo è simbolo di rinascita in tutte le religioni, come ricorda Vito Lozito, nel suo libro
“Agiografia, Magia, Superstizione” (Levante Editori). L’uovo è simile ad un sepolcro che possiede in sé il germe del rinnovamento. Infatti, sostiene Lozito, «Se proviamo a rompere un uovo fresco di giornata, troviamo che vi è il tuorlo il quale è una sfera gialla simile al sole e l’albume di color bianco è di aspetto lunare. Due simboli fondamentali dell’origine vitale; il sole come eroe maschile, la luna come generatrice».
Il Lunedì dell’Angelo o “Pasquetta”, le campagne dei dintorni baresi si riempiono di tavolini ricoperti di ogni “Ben di Dio”, in genere pizze salate, paste al forno, ecc. L’aria si riempie del buon odore dell’immancabile agnello alla brace. Le condizioni atmosferiche non costituiscono mai un problema: si deve uscire per forza, anche se si ritorna esausti dopo lunghe code in automobile. Ma il barese, si sa, è una “buona forchetta” e riassaporare i menu tradizionali è bello: è Pasqua.
I baresi tengono molto agli auguri di Buona Pasqua, sin dal giorno della Domenica delle Palme che viene onorata dal ramoscello dell’ulivo e/o dalla palma benedetta che vengono messe accanto al Crocifisso o a qualsiasi immagine sacra della casa.
Cosa si mangia a Pasqua?
Secondo i suggerimenti di Giovanni Panza, tra le festività solenni vi è, ovviamente, Pasqua per la quale non ci si può sottrarre dal preparare gustose pietanze, dopo le limitazioni della Quaresima.
Pasqua
- Maccheroni come meglio gradisci; - Agnello al forno con patatine; - ‘Benedetto’, che non è un vero e proprio piatto, ma un insieme di pietanze varie (carciofi fritti, uova sode affettate, soppressata e fette di arance affettate, se gradite); - Verdura cruda; - Frutta; - Scarcella; - Liquore fatto in casa (il famoso rosolio); - Caffè.
Lunedì dell’Angelo (Pasquetta)
- Minestra di piselli e agnello (bredètte); - Agnello alla brace; - Taralli con giulebbe; - Tutto il resto che serve a completare un pranzo solenne come l’immancabile verdura cruda e quant’altro lo stomaco riesce a sopportare.
Perché “benedetto”? Perché a Bari c’è la tradizione di benedire la tavola e la famiglia da parte del capofamiglia con un ramoscello di ulivo e l’acqua benedetta ricevuta dalla propria parrocchia. Per ‘bredètte’ o ‘verdètte’ si intende la minestra a base di piselli novelli (verdi appunto) con l’aggiunta di uova, ecc. Insomma una specie di agnello in umido.
A tutto ciò oggi si aggiunge l’uovo di cioccolato con all’interno varie sorprese, che sta sostituendo pian piano la tradizionale scarcella.
Non mancheranno fra gli antipasti della Pasquetta, i frutti di mare, soprattutto i ricci, e beninteso, quelli “du pennite” (alga pinnata), che si mangiano con tutta l’erba contenuta all’interno. ‘U pennite’ è una prateria di alghe posidonie della zona costiera a circa 2 metri di profondità, nella quale si pescano (o si pescavano), ottimi ricci.
E a questo punto non mi resta che augurarvi Buona Pasqua e Buon appetito!
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L’usanza di scambiarsi uova come regalo è molto antica. Forse già 5.000 anni fa i Persiani, lo facevano come segno di benvenuto alla primavera, gioendo per il rinnovamento della natura e le feste per la fecondità. Gli antichi romani usavano seppellire un uovo nei campi o nei riti propiziatori, e anche in occasione della Pasqua cristiana l’uovo è rimasto come dono augurale. In molte altre culture l’uovo era considerato sacro, quasi magico, poiché si generava la vita da un oggetto così “strano”. Anche i greci ed i cinesi se li scambiavano come dono per le feste primaverili.
In Egitto particolari uova decorate si scambiavano all’equinozio di primavera, data di inizio del nuovo anno, quando ancora l‘anno si basava sulle stagioni. Sempre nella cultura egiziana l’uovo era anche visto come simbolo della nascita dell'Universo, partorito dal becco della grande anatra Knef. Questo mito è presente nelle cosmogonie (le storie dell’origine del cosmo) di molte altre culture, che hanno da sempre ritenuto l’uovo al centro della nascita dell’Universo.
L’Uovo rappresenta, forse, il simbolo pasquale per eccellenza. D’altro canto l’uovo è simbolo di rinascita in tutte le religioni, come ricorda Vito Lozito, nel suo libro “Agiografia, Magia, Superstizione” (Levante Editori). L’uovo è simile ad un sepolcro che possiede in sé il germe del rinnovamento. Infatti, sostiene Lozito, «Se proviamo a rompere un uovo fresco di giornata, troviamo che vi è il tuorlo il quale è una sfera gialla simile al sole e l’albume di color bianco è di aspetto lunare. Due simboli fondamentali dell’origine vitale; il sole come eroe maschile, la luna come generatrice».
L’uovo di Pasqua è un simbolo che sta a significare Gesù che esce dal sepolcro, come il pulcino che, pronto per la vita, rompe il guscio. La tradizione pasquale dipinge l’uovo con simboli adatti ad esprimere la Resurrezione, come ad esempio le campane. L’uovo rappresenta la Pasqua nel mondo intero: c’è quello dipinto, intagliato, di cioccolato, di terracotta e di cartapesta, mentre le uova di cartone o di cioccolato sono di origine recente, quelle vere, colorate o dorate hanno un’origine radicata nel lontano passato. Le uova, infatti, forse per la loro forma e sostanza molto particolare, hanno sempre rivestito un ruolo unico, quello del simbolo della vita in sé, ma anche del mistero, quasi della sacralità. Già al tempo del paganesimo in alcune credenze, il Cielo e la Terra erano ritenuti due metà dello stesso uovo, e le uova erano il simbolo del ritorno della vita. Gli uccelli, infatti, si preparavano il nido e lo utilizzavano per le uova: a quel punto tutti sapevano che l’inverno ed il freddo erano ormai passati.
Le uova venivano pertanto considerate oggetti dai poteri speciali, ed erano interrate sotto le fondamenta degli edifici per tenere lontano il male, portate in grembo dalle donne in stato interessante per scoprire il sesso del nascituro e le spose vi passavano sopra prima di entrare nella loro nuova casa.
Le uova, associate per secoli alla primavera, con l’avvento del Cristianesimo, divennero simbolo della rinascita dell’uomo stesso, della Resurrezione del Cristo: come un pulcino esce dell’uovo, oggetto a prima vista inerte, Cristo uscì vivo dalla tomba.
Nella simbologia, le uova colorate con colori brillanti rappresentano i colori della primavera e la luce del sole. Quelle colorate di rosso scuro sono invece simbolo del sangue del Cristo.
L’usanza di donare uova decorate con elementi preziosi va molto indietro nel tempo e già nei libri contabili di Edoardo I di Inghilterra risulta segnata una spesa per 450 uova rivestite d’oro e decorate da donare come regalo di Pasqua. Il primo uovo con sorpresa fu regalato a Francesco I di Francia agli albori del XVI secolo, da qui probabilmente l’usanza di inserire un dono all’interno dell’uovo di cioccolato.
Ma le uova più famose furono indubbiamente quelle di un maestro orafo, Peter Carl Fabergé che, nel 1885, realizzò su commissione dello zar Alessandro, per un dono speciale alla zarina Maria Federovna, un uovo di platino che racchiudeva un’aurea chioccia contenente a sua volta una miniatura in diamante della corona imperiale, il quale celava un rubino tagliato a forma d’uovo. Il principio delle bamboline russe, insomma, applicato ad un’autentica opera.
L’uovo, a Pasqua, oltre, a quello di cioccolata, rappresenta anche l’elemento gastronomico principe. A Bari, in particolare, lo troviamo nel “benedetto”, un antipasto tipico pasquale, composto da uova sode, soppressata e arancia tagliata a fette, o nel “verdetto” (che si prepara il lunedì di Pasqua), un insieme di piselli, verdure e uova, miste alla carne d’agnello.
Infine, la ‘scarcella’ (a forma di piccola borsa), uno dei dolci pasquali più tipici della tradizione pugliese, che è un tipo particolare di ciambella, frutto di un impasto di farina, uova, olio e zucchero, con sopra un numero dispari di uova sode e abbellita da confettini colorati, che solitamente viene regalata ai bambini.
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La Pasqua cattolica si celebra, secondo un decreto del Concilio di Nicea (325 d.C.), seguendo criteri astronomici, la prima domenica di plenilunio dopo l’equinozio di primavera. Ogni anno ha quindi un posto diverso nel calendario.
La solennità pasquale rappresenta il momento più importante di tutte le celebrazioni liturgiche, perché si celebra il rito e il mistero della morte e resurrezione di Gesù Cristo. Il triduo, che va da giovedì santo a sabato santo, a cui si aggiungono la veglia pasquale e le celebrazioni della domenica di Pasqua, costituiscono l’evento di maggior importanza per la religione cattolica. Il periodo pasquale è preceduto dalla Quaresima, periodo di 40 giorni che comincia con il mercoledì delle ceneri.
La domenica precedente la Pasqua è detta delle Palme e in quel giorno si ricorda l’accoglienza trionfale di Gesù a Gerusalemme fra ali di folla osannante. Nelle chiese vengono distribuiti ramoscelli di ulivo benedetti. La settimana successiva è detta settimana santa perché si rivive la passione e la morte e resurrezione di nostro Signore. Numerose le rievocazioni in tutto il mondo cattolico.
Oggi vediamo i riti della Settimana Santa a San Marco in Lamis (FG).
- Il Mercoledì e il Giovedì Santo nella chiesa dell’Addolorata i Confratelli, vestiti con camice, mozzetto e scapolare, cantano ‘li fruffecicchie’ (profezie), che sono 15 Lamentazioni tratte dall’Antico e Nuovo Testamento.
- La sera del Giovedì Santo inizia la visita ai cosiddetti Sepolcri che continua per tutta la mattinata del Venerdì.
I fedeli delle diverse parrocchie si recano nelle varie chiese (fino a qualche anno fa processionalmente). In tale giorno si coprivano tutte le immagini che si trovavano in chiesa e si spogliavano gli altari.
Le bambine portavano in processione, dietro il versamento di un’offerta, sulle braccia un cuscino con i simboli della Passione: la corona di spine, i chiodi, i dadi, la scala, la fune, il martello, la lancia, il fazzoletto della Veronica, ecc.
- All’alba del Venerdì Santo anche la statua della Madonna Addolorata viene portata in processione per le vie del paese alla ricerca del Figlio nei vari ‘Sepolcri’, abilmente preparati e addobbati da persone esperte (Nel passato venivano adornati con “piatti coperti di grano giallo, coltivato dalle devote per qualche mese al buio di qualche stipo e di qualche cassettone, perché sia del pallore che si addice alla circostanza.” (G. Tancredi).
E' una delle processioni più toccanti e più sentite della Settimana Santa ed anche la più seguita. Partecipa una folla immensa di cittadini di ogni età e censo a cui si aggiungono tanti sammarchesi che per motivi di lavoro vivono fuori paese. È molto commovente al mattino presto sentire i due cori, quello maschile e quello femminile, che alternativamente cantano lo Stabat Mater.
Anche la sera la statua della Madonna Addolorata ripercorre le strade del paese preceduta, questa volta, da numerose ‘fracchie’.
Le fracchie sono delle enormi torce di legno, costruite dagli abitanti di San Marco in Lamis, utilizzate per accompagnare la Madonna Addolorata durante la processione del Venerdì Santo. Con queste torce di enormi dimensioni la notte di San Marco in Lamis viene illuminata, così da permettere alla Madonna di andare alla ricerca del figlio morto.
Non si sa con precisione quando sia nata questa processione, senza dubbio è da collegare alla costruzione nel 1717 di una chiesa in località Monte di Mezzo da parte del canonico don Costantino Iannacone, dedicata alla Vergine dei Sette Dolori di cui era molto devoto.
Dopo la sua morte (1720) i suoi eredi la cedettero in uso perpetuo alla Chiesa (1749).
La devozione e il culto della Madonna si diffuse rapidamente tant’è che nell’anno della cessazione nacque la prima Confraternita che senza dubbio contribuì all’aumento della devozione per la Vergine dei Sette Dolori. Nel 1872 il Consiglio Comunale La nominò Compatrona della città.
“Quando nasceva (la chiesa) nel 1717, rimanendo l’estensione del paese circoscritta tra la Collegiata e la Chiesa del Purgatorio, con alcune isolate abitazioni lungo il tratto per San Bernardino, la chiesa dell’Addolorata si trovava, e non di poco, fuori le mura, e lì sarebbe rimasta fino all’ultimo ventennio del ’800.
Trovandosi, quindi, la chiesa fuori delle mura e mancando nel paese qualsiasi tipo d’illuminazione, i contadini del tempo pensarono di realizzare le fracchie allo scopo di illuminare la strada alla Madonna, tra la sua chiesa e la Collegiata, mentre andava alla ricerca del Figlio morto.
In seguito, sempre allo stesso scopo, si dovettero concepire anche i lampioncini alla veneziana, ormai caduti in disuso, che venivano disposti sui balconi lungo il corso attraversato dalla Madonna. Stando alla tradizione popolare, in origine le fracchie avevano piccole dimensioni, superando difficilmente il peso di un quintale, e venivano trasportate a braccia, le più piccole da una sola persona e le più grandi da tre: due reggevano due assicelle su cui era posta la fracchia, e la terza la reggeva posteriormente di dietro. Fu dopo la prima guerra mondiale che si cominciò a costruire fracchie di più grandi dimensioni e a trainarle su ruote di ferro”. (Ciavarella M. Garganostudi, Rivista quadrimestrale del Centro Studi Garganici. Anno III. Monte Sant’Angelo, 1980).
Fino agli anni ‘60 le fracchie di grossa mole erano poche. Esse erano preparate per devozione verso la Madonna e a proprie spese, da qualche imprenditore (Matteo Soccio) e dai carbonai più famosi del paese: ‘Ggire Maruzze’ (Ciro Iannacone), ‘Ualanédde’ (Gualano), ‘Carrubbine’ (Lombardi), Michele la Riccia ecc.
Con la quasi scomparsa di questi operatori la preparazione delle fracchie passò ai giovani che abitavano nello stesso quartiere o che frequentavano lo stesso bar, alle scuole ecc. e la legna veniva fornita dall’Amministrazione Comunale e si assistette così negli anni ‘70 e ‘80 ad un aumento vertiginoso di numero e di dimensione delle fracchie. Negli anni ‘80 alcune pesavano circa cento quintali.
Oggi, nonostante le protesta degli ambientalisti, la Giunta municipale con una deliberazione stabilisce che è ammessa la costruzione di: 7 fracchie grandi (lunghezza max 10 m – diametro max 200 cm) con una tolleranza del 10%; 10 fracchie medie (lunghezza max 7 m – diametro max 160 cm) con una tolleranza del 10%; 7 fracchie a categoria speciale (lunghezza max 4.50 m – diametro max 1 m) con una tolleranza del 10%.
Questa categoria è riservata esclusivamente ai Gruppi formati da genitori o docenti e alunni della Scuola Primaria e dell’Infanzia. Le fracchie piccole aventi una lunghezza inferiore a 2 m saranno costruite esclusivamente con legna propria; il loro numero è illimitato;
Il rappresentante di un quartiere, di un gruppo di amici o di un’associazione, fa domanda all’Amministrazione Comunale per avere la legna ma, poiché le richieste sono tante, si procede al sorteggio che spesso provoca rabbia e delusione tra gli esclusi.
Alla Processione partecipano fracchie di tutte le dimensioni, da quelle di 40-50 centimetri di lunghezza a quelle di 10-12 metri.
I riti della Settimana Santa si concludono con la processione della Madonna Addolorata che nel giorno di Pasqua, a mezzogiorno, vestita di festa, ripercorre le strade del paese quasi a voler invitare il popolo a partecipare alla sua gioia. |
Il tempo della Quaresima per i cristiani rappresenta un periodo particolarmente importante dell’anno liturgico: è un periodo di riflessione sulla figura di Gesù e sui suoi insegnamenti, che culmina con la Resurrezione.
La Domenica di Pasqua è un giorno di grande felicità che si manifesta anche nello stare insieme con gioia, ma numerosi e suggestivi sono anche i riti che si svolgono in vari paesi. Vediamo cosa accade in alcune città italiane.
Ad Adrano, in provincia di Catania, nella Domenica di Pasqua si svolge una rappresentazione chiamata “diavolata”. Al centro della piazza viene preparato un palco sul quale è raffigurato da una parte l’inferno con i diavoli e dall’altra parte il paradiso. I protagonisti sono diavoli guidati da Lucifero, l’anima, che è una bambina, e l’angelo, che è un bambino. La “diavolata” rappresenta il trionfo del bene sul male, dopo una serie di lotte, conflitti e discussioni. Tutto è basato sulla parola e sui versi, l’angelo costringe i diavoli a pronunciare “Viva Maria”. La morte indossa un costume da scheletro mentre i diavoli sono in abbigliamento rosso ed ogni volta che appaiono sono preceduti da fumo e fiamme. L’angelo ha una bianca tunica con le ali.
A Prizzi (Palermo), orrende maschere di zinco vestite di rosso, con lunghi denti sporgenti e teste sormontate da enormi corna, rappresentano i diavoli che danno vita ad una caratteristica rappresentazione chiamata “l’abballu de li diavoli”. Gruppi di giovani che impersonano i diavoli girano per il paese nel tentativo di catturare il maggior numero possibile di anime. Chi è simbolicamente colpito dalla morte non ha via di scampo: viene preso e trascinato al più vicino inferno che altro non è che un’osteria o un bar. Qui il malcapitato è costretto ad offrire da bere a tutti i presenti. Nel pomeriggio entra in scena la Madonna che esce dalla chiesa principale e va incontro al Cristo Risorto. Alla visione della madre e del figlio riuniti, i diavoli interrompono il ballo e altri giovani in veste di angeli li catturano e li portano al cospetto della Madonna. I diavoli domati si inginocchiano fra le due statue e si tolgono le maschere chiudendo la rappresentazione.
A Valmontone (Roma) la processione del Venerdì Santo assume da secoli, come in numerose città centro-meridionali, un ruolo tipicamente teatrale. Come è noto già in tempi tardo-medievali, e soprattutto in tempi rinascimentali e barocchi, le processioni della Settimana Santa, si ampliano a dismisura con la presenza dei cosiddetti “misteri”, statue lignee o in cartapesta raffiguranti momenti della Passione portate a spalla da aderenti a Confraternite preventivamente prescelte. Contemporaneamente, la Sacra rappresentazione che assume un ben individuato ruolo paraliturgico, collocata sopra un palco, accanto alle statue dei Misteri, si anima con vere e proprie sceneggiature dei fatti della Passione con la partecipazione di attori vestiti in costumi storici romani ed ebraici. La manifestazione, che vanta quasi un secolo di vita, è una vera e propria processione, dove gli attori sfilano lentamente, preceduti e accompagnati da una “guida”, presente in scena, che commenta le varie fasi.
Molti gli attori che recitano sui testi delle Sacre Scritture. Dall’Antico Testamento (l’Annunciazione, i Profeti, la Visitazione), si arriva alla ricostruzione della Natività. È il primo quadro corale che termina con la Fuga in Egitto della Sacra Famiglia. Segue la scena con Erode e la strage degli Innocenti, un quadro di grande effetto spettacolare e la predicazione del Battista con una grande scena di massa che vede protagonista “il popolo” di Valmontone. Viene ricostruito il Battesimo di Gesù, la cattura del Battista e la sua decapitazione, dopo il balletto di Salomè.
Uno dei momenti di maggior suggestione e rappresentato dalla tentazione di Gesù nel deserto da parte di Satana, quindi la predicazione e la vita pubblica del Redentore, fino a giungere all’Ultima Cena, sull’impianto scenografico reso celebre da Leonardo Da Vinci. Con la Via Crucis, il quadro tra i più ricchi di emotività, con Gesù che cade più volte sotto la Croce, gli “sgherri” che lo frustano e lo deridono, le Pie Donne che piangono e sorreggono la Madonna, la disperazione di Giuda e la Crocifissione, si conclude la struggente rappresentazione. La Sacra raffigurazione è stata presentata nel 1989 a Benifayò in Spagna, città gemellata con Valmontone.
A Civita di Bagnoregio (Viterbo), un corteo in costume di oltre trecento persone mette in scena la Passione e la morte del Cristo, andando come è tradizione fino a Bagnoregio per tornare entro la mezzanotte a Civita.
A Sulmona il Venerdì Santo si celebra all’insegna del rosso: rosso è il sangue di Cristo, rosse le insegne e il sacco dei Confrati (o Confratelli) della Santissima Trinità. La processione si muove la sera dalla chiesa barocca dell’Annunziata preceduta da una banda di ottoni. Seguono i Confrati nel saio rosso reggendo lampioni e la bara del Cristo accompagnata dalla Madonna in lutto. La Scuola Cantorum intona il “Miserere”. Il corteo avanza con passo lento alla luce delle fiaccole e dei bengala per poi rientrare a notte fonda nella Chiesa della Trinità. |
La domenica di Pasqua, dalla chiesa medievale di Santa Maria della Tomba avanza la processione aperta dai Confrati, con indosso la “mozzetta” (mantellina verde con piccolissimo cappuccio); i Confrati portano a spalla le antiche statue del Cristo Risorto, di San Giovanni e di San Pietro. Il Cristo si ferma. San Pietro e San Giovanni intanto raggiungono la chiesa di San Filippo dove la Madonna si è ritirata per piangere la morte del figlio. San Giovanni chiama la Madonna ma il portale resta chiuso, ci prova San Pietro ma il risultato non cambia. Dopo altre prove da parte degli Apostoli la Madonna appare vestita di nero in segno di lutto. Inizia la processione stanca e lenta fin quando la Madonna, scorgendo la figura del figlio, corre da lui frenetica e gioiosa. Le cade di mano il fazzoletto bianco, segno del lutto, e appare una rosa rossa come il sangue che dona la vita. A questo punto un volo di colombe e suoni festosi di campane concludono la cerimonia e danno inizio alla festa pasquale. E proprio dal battito d’ali delle colombe si potrà decifrare l’andamento della stagione agricola e della vita cittadina.
Molte altre manifestazioni pasquali si svolgono in Umbria e in Toscana. Ad Assisi - la città sacra di S. Francesco - la suggestiva processione del Venerdì Santo, di origine medievale, vede sfilare tutte insieme le confraternite in un percorso illuminato da fiaccole tra la Cattedrale di San Rufino e la Basilica del Santo.
A Porto Santo Stefano, in provincia di Grosseto, la Domenica di Pasqua si festeggia il Cristo Risorto con il rito della benedizione del mare. |
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CHIESA - IMPORTANZA E SIGNIFICATO DELLA QUARESIMA IN CONTRAPPOSIZIONE AL CARNEVALE
La Quaresima nella liturgia cattolica è il periodo penitenziale di quaranta giorni, che segue il carnevale, in preparazione alla Pasqua, in cui si osserva il precetto del digiuno e dell’astinenza nei giorni prescritti. La Chiesa designò questo periodo come un momento di penitenza e di astinenza, assecondando una situazione generale di penuria che si verificava in questo momento dell’anno.
Secondo A.M. Di Nola, storico delle religioni, il carnevale, altro non è che il «Tenue residuo dell’imponente ciclo festivo di altre epoche, che sigilla nell’ambiguità dei comportamenti collettivi le antichissime immagini della Morte e della Gioia, i due termini intorno ai quali ruota la perenne storia dell’uomo. Il farsi diverso ed estraneo, il rifiutare negli atteggiamenti la quotidianità immettono in un itinerario della follia occasionale e passeggera, come alternativa dell’essere».
Spesso ci domandiamo quale l’origine storica del Carnevale e della Quaresima? Perché tanto contrasto tra i due periodi? A queste domande e ad altre ancora risponde Vito Lozito, docente universitario di Storia della Chiesa, presso il nostro Ateneo, scomparso qualche anno fa, nel suo volume “Agiografia, Magia, Superstizione”, edito da Levante Editore.
L’origine storica del carnevale è spesso collegata agli antichi Saturnali latini che erano feste religiose dell’antica Roma che si celebravano in onore del dio Saturno. I festeggiamenti tendevano ad abolire le distanze sociali ed avevano spesso carattere licenzioso e orgiastico, cambiavano il quotidiano rapporto padrone-servo, uomo-donna, governante-suddito, insomma in quel periodo tutto era lecito e permesso. La funzione stessa del re dei saturnali, che moriva alla fine della festa, richiama il nostro Re del Carnevale, che a seconda della tradizione locale, viene ucciso, bruciato, impiccato, ecc.
La civiltà babilonese ritenendo lo svolgersi della vita terrestre, riflesso dei moti astrali, rappresentava il passaggio dall’inverno alla primavera con una processione in cui su un carro-nave era trasportato il dio Sole o il dio Luna che simbolicamente procedeva verso il Santuario di Babilonia, cioè la terra. Si trattava del “Car Naval” che concludeva un anno e ne iniziava uno nuovo. Il passaggio del Carro indicava il “viaggio” con tutte le caratteristiche gioiose, terrificanti e di pericolo che comportava, il cui nocchiero rappresentava il Re di Carnevale, il quale sarà eliminato una volta giunti alla fine della traversata, per dare posto simbolicamente al nuovo anno.
Il contrasto più avvincente rimane quello tra Carnevale e Quaresima, ossia fra gioia e tristezza, fra benessere e miseria. Alle abbondanti libagioni di carnevale subentrava la dieta alimentare rigida che le classi povere accettavano più per scarsità di prodotti che per rispetto a prescrizioni religiose. Il digiuno, invece, aiutava a vincere le passioni e a liberarsi dalla materialità, dal momento che il precetto evangelico affermava che i demoni possono essere cacciati “con la preghiera e con il digiuno”. Perciò durante la “penitenza dei quaranta giorni”, che ricorda il corrispondente periodo di tempo trascorso da Mosè e Gesù nel deserto senza toccare cibo, sulle tavole mancavano cibi a base di carne, di grassi, di latticini, ecc. Nel giorno successivo alle Ceneri, in molte Regioni d’Italia, si facevano anche bollire le stoviglie di casa, per eliminare qualsiasi ricordo dei succulenti pranzi.
La Settimana Santa invece, è quella in cui si celebrano i riti che condurranno alla Pasqua e si apre con la Domenica delle Palme. Il lunedì si ricorda l’invocazione di Gesù nell’orto degli ulivi; il martedì si rievoca la lavanda dei piedi agli apostoli per rinnovare la memoria di quell’atto di umiltà con cui Gesù Cristo li lavò ai suoi apostoli; altri atti della Passione, come la flagellazione e la coronazione di spine, vengono rievocati il mercoledì; il giovedì Santo è il giorno in cui la Chiesa, ricordando l’Ultima Cena di Gesù, celebra l’istituzione dell’Eucaristia. I fedeli si recano alla visita del Santissimo Sacramento in più chiese, in memoria dei dolori sofferti da Gesù Cristo in più luoghi, come nell’orto degli ulivi, nelle case di Caifa, di Pilato, di Erode e sul Calvario. Nel giovedì Santo, dopo la Messa, si scoprono gli altari per rappresentarci Gesù Cristo spogliato delle sue vesti per essere flagellato e affisso alla croce. Dal giovedì sino al sabato Santo si legano le campane in segno di partecipazione alla passione e alla morte di Cristo.
Tra i riti della Settimana Santa la giornata del venerdì è la più intensa e toccante perché si ricorda la passione e morte di Cristo, adorando la Croce.
In molti paesi è possibile assistere alla rappresentazione della Via Crucis per le strade cittadine. Il giorno di Pasqua è la commemorazione della Resurrezione di Cristo. Nella tradizione cristiana Cristo viene identificato con l’agnello, vittima sacrificale, della Pasqua ebraica. Così come gli ebrei celebravano con la Pasqua il passaggio dell’Angelo sterminatore, anche per i cristiani la Pasqua rappresenta il passaggio di Cristo dalla vita mortale, in quanto Uomo, a quella immortale, in quanto Figlio di Dio.
I primi Padri della chiesa commemorarono la Pasqua in concomitanza con il giorno della Passione e della morte di Cristo, mentre in età più tarda, nel III secolo, San Cipriano condusse a commemorare non solo la morte, con mestizia, ma a ricordare come vero e proprio passaggio (Pasqua), il giorno della Resurrezione ed a festeggiare, non già con tristezza, ma con gioia, questo giorno solenne della cristianità.
Il cristiano ha già la Buona Novella. Bisogna, in questa Quaresima, appena iniziata, riscoprirne sempre più la novità e farne il motivo della propria vita. |
http://www.giornaledipuglia.com/2014/04/i-riti-della-settimana-santa-san-marco.html
15 APRILE 2014
I RITI DELLA SETTIMANA SANTA IN SAN MARCO IN LAMIS di VITTORIO POLITO
Foggia, Libri, Territorio
A San Marco in Lamis (FG) i riti della Settimana Santa si accentrano nell’arco di una settimana.
Il Mercoledì Santo c’è la Via Crucis Vivente a cura dell’Associazione omonima. Il Mercoledì e il Giovedì Santo nella chiesa dell’Addolorata i Confratelli, vestiti con camice, mozzetta e scapolare, cantano ‘li fruffecicchie’ (profezie), che sono 15 Lamentazioni tratte dall’Antico e Nuovo Testamento.
La sera del Giovedì Santo inizia la visita ai cosiddetti ‘Sepolcri’ che continua per tutta la mattinata del Venerdì.
I fedeli delle diverse parrocchie si recano nelle varie chiese fino a qualche anno fa processionalmente. In tale giorno si coprivano tutte le immagini che si trovavano in chiesa e si spogliavano gli altari.
Le bambine portavano in processione, sulle braccia, un cuscino con i simboli della Passione: la corona di spine, i chiodi, i dadi, la scala, la fune, il martello, la lancia e il fazzoletto della Veronica. All’alba del Venerdì Santo anche la statua della Madonna Addolorata viene portata in processione per le vie del paese alla ricerca del Figlio nei vari “Sepolcri”, abilmente preparati e addobbati da persone esperte. In passato venivano adornati con “piatti coperti di grano giallo, coltivato dalle devote al buio in qualche stipo o cassettone, perché sia del pallore che si addice alla circostanza” (G. Tancredi). È una delle processioni più toccanti della Settimana Santa.
Partecipa una folla immensa di cittadini di ogni età e censo a cui si aggiungono tanti sammarchesi che per motivi di lavoro vivono fuori paese.
È molto commovente al mattino presto sentire i due cori, quello maschile e quello femminile, che alternativamente cantano lo Stabat Mater. Questa è forse la processione più sentita e senza dubbio la più partecipata.
Anche la sera la statua della Madonna Addolorata ripercorre le strade del paese preceduta, questa volta, da numerose fracchie (grandi torce di dimensioni diverse costruite da un tronco spaccato longitudinalmente e riempito di rami, sterpi, schegge di legno e frasche).
Non si sa con precisione quando sia nata questa processione, senza dubbio è da collegare alla costruzione nel 1717 di una chiesa in località Monte di Mezzo da parte del canonico don Costantino Iannacone, dedicata alla Vergine dei Sette Dolori di cui era molto devoto. Dopo la sua morte (1720) i suoi eredi la cedettero in uso perpetuo alla Chiesa (1749).
La devozione e il culto della Madonna si diffuse rapidamente tant’è che nell’anno della cessazione nacque la prima Confraternita che senza dubbio contribuì all’aumento della devozione per la Vergine dei Sette Dolori.
Nel 1872 il Consiglio Comunale La nominò Compatrona della città. “Quando nel 1717 nasceva la chiesa, rimanendo l’estensione del paese circoscritta tra la Collegiata e la Chiesa del Purgatorio, con alcune isolate abitazioni lungo il tratto per San Bernardino, il tempio dell’Addolorata si rovava, e non di poco, fuori le mura, e lì sarebbe rimasta fino all’ultimo ventennio dell‘800. Trovandosi, quindi, la chiesa fuori delle mura e mancando il paese di qualsiasi tipo d’illuminazione, i contadini del tempo potrebbero aver concepito le fracchie esattamente allo scopo di illuminare la strada alla Madonna, tra la sua chiesa e la Collegiata, mentre andava alla ricerca del Figlio morto.
E in seguito, sempre allo stesso scopo, si dovettero concepire anche i lampioncini alla veneziana, ormai caduti in disuso, che venivano disposti sui balconi lungo il corso attraversato dalla Madonna.
Stando alla tradizione popolare, in origine le fracchie avevano piccole dimensioni, superando difficilmente il peso di un quintale, e venivano trasportate a braccia, le più piccole da una sola persona e le più grandi da tre: due reggevano due assicelle su cui era posta la fracchia, e la terza la reggeva sul retro.
Fu dopo la prima guerra mondiale che si cominciò a costruire fracchie di grandi dimensioni e a trainarle su ruote di ferro (...“ Ciavarella M. Garganostudi, Rivista quadrimestrale del Centro Studi Garganici. Anno III. Monte Sant’Angelo, 1980). Fino agli anni ’60 le fracchie di grossa mole erano poche.
Esse erano preparate per devozione verso la Madonna e a proprie spese, da qualche imprenditore (Matteo Soccio e dai carbonai più famosi del paese: Ggire Maruzze (Ciro Iannacone), Ualanédde (Gualano), Carrubbine (Lombardi), Michele la Riccia ecc.
Con la quasi scomparsa di questi operatori la preparazione delle fracchie passò ai giovani che abitavano nello stesso quartiere e la legna veniva fornita dall’Amministrazione Comunale e si assistette così negli anni ’70 e ’80 ad un aumento vertiginoso del numero e delle dimensioni delle fracchie. Negli anni ’80 alcune pesavano circa cento quintali.
Oggi, grazie anche alla protesta degli ambientalisti, la Giunta municipale con apposita deliberazione ha stabilito che è ammessa la costruzione di fracchie di peso non superiore a 25 q.li. La sera del Giovedì Santo tutte le fracchie sono pronte e i costruttori, per evitare che qualcuno possa danneggiarle, fanno la veglia per tutta la notte.
Si riuniscono attorno alla propria fracchia col capofracchista che racconta le sue esperienze passate, ma soprattutto per insegnare ai giovani quali sono gli accorgimenti da usare per costruire una fracchia che bruci bene, che non penda lateralmente e che non si scomponga durante il tragitto.
Nelle primissime ore del pomeriggio del Venerdì Santo 20-30 ragazzi col capofracchista, vestiti in costume (berretto di lana, generalmente di colore rosso con pompon che lambisce le spalle, camicia bianca, gilè nero o comunque scuro, pantaloni fino al ginocchio, calzettoni generalmente bianchi con pompon), trasportano la fracchia in Viale della Repubblica, in prossimità della chiesa dell’Addolorata, dove vengono messe in fila in ordine di grandezza.
Qualche minuto prima che inizi la processione vengono irrorate di liquido infiammabile e poi accese. La processione inizia con le fracchie piccole portate dai bambini accompagnati dai familiari; seguono quelle più grandi, poi i lampioncini e le scene viventi riguardanti la Passione di Gesù preparati dalle scuole, dalle associazioni o anche da privati cittadini; viene poi la statua della Madonna Addolorata seguita dai fedeli che cantano lo Stabat Mater.
Chiudono la processione le fracchie di media grandezza e le giganti che lungo il tragitto vengono ‘stuzzunijate’ (stimolate) dal capofracchista ‘cu lla véria’ (una sorta di verga), nei punti in cui la combustione lascia a desiderare.
Lo stimolo provoca la levata al cielo di una lingua di fuoco e di una miriade di scintille che creano uno spettacolo unico e molto suggestivo. Finita la processione, le fracchie vengono spente e poi trasportate nei quartieri di origine dove la legna rimasta viene donata o venduta (anche per recuperare una parte delle spese) oppure viene conservata per l’anno successivo.
I lampioncini, le scene viventi e le fracchie vengono giudicate dalla Giuria della Pro Loco “Serrilli” che premia con trofei i migliori.
Le fracchie che vengono più apprezzate sono quelle che bruciano meglio e che sono state costruite con maestria. Fino a qualche anno fa nel pomeriggio del Sabato Santo sfilavano, invece, in processione le statue del Cristo Morto e della Madonna Addolorata della chiesa di Sant’Antonio Abate, accompagnate da fedeli (una volta le donne che partecipavano si vestivano di nero) che cantano il Miserere e canti legati alla Passione.
Da qualche anno questa processione viene anticipata al Venerdì Santo pomeriggio. I riti della Settimana Santa a San Marco in Lamis si concludono con la processione della Madonna Addolorata che nel giorno di Pasqua, a mezzogiorno, vestita a festa, ripercorre le strade del paese quasi a voler invitare il popolo a partecipare alla sua gioia.
Nel passato il Sabato Santo, verso mezzogiorno al momento della Resurrezione di Gesù ‘ce ssciugghiévene li campane’ (si scioglievano le campane delle Chiese), cioè suonavano a festa, dopo due giorni di silenzio completo.
Per ricordare ai fedeli l’inizio delle cerimonie religiose, giravano dei ragazzi per le strade della parrocchia suonando la trènnela (raganella). In tutti i paesi del Gargano le giovani mamme rucelàvene (facevano ruzzolare) su una coperta stesa per terra in mezzo alla strada, i loro bimbi, che incominciavano a muovere i primi passi, convinte che come “e ssciugghiévene li campane accuscì c’èvena ssciogghie li jammicciòle de lli meninne” (con la convinzione che con lo sciogliersi delle campane anche le gambette dei bimbi dovessero camminare liberamente).
Subito dopo Pasqua i parroci, girano per la città per benedire le case ed accettare offerte. Una volta, invece, la padrona di casa offriva delle uova che il chierichetto o il sagrestano conservava con cura in un paniere di vimini. Le notizie di cui sopra sono state riprese dal volume di Grazia Galante «La religiosità popolare di San Marco in Lamis» (Paolo Malagrinò Editore |
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http://www.giornaledipuglia.com/2014/04/la-simbologia-di-pasqua.html
13 APRILE 2014
LA SIMBOLOGIA DI PASQUA
Pasqua, in ebraico significa passaggio, andare oltre. Ricorda il transito del Mar Rosso e la liberazione degli Ebrei dalla subordinazione egiziana. Ai cristiani ricorda la liberazione dell’uomo dalla schiavitù del peccato e del demonio e dall’angoscia della morte per i meriti di nostro Signore Gesù Cristo.
La festività di Pasqua si identifica in usanze e tradizioni antiche e consolidate che si ripetono resistendo al tempo e alla secolarizzazione della civiltà attuale.
Il Venerdì Santo si svolgono le processioni dei Misteri, che si snodano per le vie principali delle città.
Ma qual è la simbologia di Pasqua?
Iniziamo con l’Agnello, che oltre a rappresentare la primizia del gregge, ha significato sacrificale, sia nell’antico che nel nuovo Testamento, e quindi diventa il simbolo più perfetto di Gesù Cristo: «Ecco l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo».
Inoltre l’Agnello, che è il simbolo dell’innocenza e del candore, è offerto in sacrificio durante la Pasqua ebraica. Ma è anche il simbolo della Resurrezione.
La Campana, strumento musicale e di culto, ha la funzione di chiamare i fedeli e annunciare, a seconda del suono emesso, sventura, lutto o festa.
Lo scampanio di Pasqua, ad esempio, annuncia la Resurrezione.
La Croce, simboleggia l’uomo con le braccia aperte, in posizione di abbandono, ma nel contempo anche l’albero cosmico che sostiene il mondo.
La sua struttura evoca la divisione del Paradiso terrestre in quattro parti e dell’anno in quattro stagioni.
Il Cero con la sua fiamma simboleggia tutte le forze attive della natura e dei quattro elementi. Ma è anche la luce dell’anima che mette in comunicazione con il Divino.
L’Acqua è l’elemento che purifica ed il mezzo attraverso il quale si compie il Battesimo. La notte di Pasqua è la notte battesimale per eccellenza, il momento in cui il fedele viene incorporato alla Pasqua di Cristo, che rappresenta il passaggio dalla morte alla vita.
Nelle altre domeniche in cui si compie questo sacramento è come se si prolungasse e rinnovasse settimanalmente la domenica per eccellenza, la Festa di Pasqua.
La Colomba, pacifica e delicata, era l’antico attributo della Dea dell’amore (Ishtar per i semiti, Afrodite per i greci) e poiché la si usava per inviare messaggi, le sacerdotesse greche dell’oracolo di Dodona (antichissimo centro religioso in una valle dell’Epiro), erano chiamate colombe. Oggi è considerata simbolo annunciatore della pace. Per tradizione, alla fine del pasto pasquale è d’obbligo mangiare un dolce fatto a forma di colomba, che simboleggia sia Gesù che lo Spirito Santo.
La colomba ha parecchi significati; i più importanti sono: il Cristo che porta la
pace agli uomini di buona volontà e lo Spirito Santo che scende sugli uomini per i meriti di Gesù.
L’Uovo rappresenta, forse, il simbolo pasquale per eccellenza. D’altro canto l’uovo è simbolo di rinascita in tutte le religioni, come ricorda Vito Lozito (1943-2004), docente di Storia della Chiesa, nel suo libro «Agiografia, Magia, Superstizione» (Levante Editori).
L’uovo è simile ad un sepolcro che possiede in sé il germe del rinnovamento. Infatti, sostiene Lozito, «Se proviamo a rompere un uovo fresco di giornata, troviamo che vi è il tuorlo il quale è una sfera gialla simile al sole e l’albume di color bianco è di aspetto lunare. Due simboli fondamentali dell’origine vitale; il sole come eroe maschile, la luna come generatrice».
Il primo uovo con sorpresa fu regalato a Francesco I di Francia agli albori del XVI secolo, da qui probabilmente l’usanza di inserire un dono all’interno dell’uovo di cioccolato. Ma è nella Russia degli Zar che le uova preziose e decorate diventano regalo di Pasqua e Peter Carl Fabergé è l’artista orafo che con la sua genialità ha segnato la storia delle uova pasquali decorate.
L’uovo a Pasqua rappresenta anche l’elemento gastronomico principe.
A Bari, in particolare, lo troviamo nel benedetto, un antipasto tipico pasquale, composto da uova sode, soppressata e arancia tagliata a fette, nel ‘bredette’, un insieme di carne d’agnello, piselli e uova, e nel classico uovo di cioccolata. Anche la ‘scarcèdde’ (scarcella = piccola borsa), rappresenta, soprattutto per i baresi, un simbolo: si tratta di una ciambella favolosa (impasto di farina, olio, uova, zucchero con sopra un numero dispari di uova sode e abbellita da confettini colorati), molto gradita dai bambini.
L’Olivo, sacro alla dea Atena, signora della guerra e delle arti, che vincendo la contesa con Poseidone, lo offrì in dono agli abitanti di Atene.
È considerato un simbolo di pace. Si dice che sulla tomba di Adamo sia nato un olivo dal quale la colomba, uscita dall’arca di Noè dopo il diluvio, aveva staccato un ramo per indicare la fine del castigo divino; inoltre la Croce sarebbe stata fatta di legno d’ulivo, diventando l’albero cosmico, asse del mondo e collegamento tra il cielo e la terra.
Non a caso, forse, Gesù si recò a pregare nell’Orto del Getsemani (ricco di olivi) nella notte in cui fu arrestato, iniziando così la sua Passione.
Ma dall’olivo si produce anche l’olio utilizzato per
ungere i prescelti, infatti, il battezzando con questa unzione è liberato dal peccato ed entra così nella ‘societas’ cristiana.
Infine la Palma, albero sacro agli Dei del Sole, assai utile perché da esso si traevano latte, olio, frutta, legno corteccia, ecc. Gli egizi deponevano rami di palme sui sarcofagi per evocare la resurrezione dei defunti.
Con i rami di questa pianta anche Gesù fu accolto trionfalmente quando fece il suo ingresso a Gerusalemme.
Da qui l’usanza di distribuire ai fedeli la Domenica delle Palme i rami benedetti, simbolo di pace e di rinascita. |
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I RITI DELLA SETTIMANA SANTA IN ALCUNE CITTA PUGLIESI
La Settimana Santa è il periodo che intercorre tra la Domenica delle Palme e il Sabato Santo, durante il quale il Cristianesimo celebra gli eventi della fede in occasione degli ultimi giorni di vita di Gesù Cristo (passione, morte e resurrezione). I riti religiosi sono celebrati con solennità in tutte le chiese del mondo, mentre in Italia le cerimonie sono particolarmente suggestive ed in molti casi si mescola religione e folclore.
Sono da segnalare, in particolare, le manifestazioni che si svolgono in Sicilia, Umbria, Abruzzo e Puglia. Una delle rappresentazioni più importanti, ma nello stesso tempo singolare, soprattutto per i forestieri, è quella nota come “La Madonna che scappa” o “La Madonna che corre in piazza” che si svolge la Domenica di Pasqua a Sulmona.
Una dimensione fortemente teatrale e scenica rimane ancora assai evidente in alcune manifestazioni paraliturgiche che scandiscono la Quaresima e la Settimana Santa in Puglia. Molti riti sono di antica origine.
Si può assistere, infatti, ai volti incappucciati, ai lamenti, ai canti religiosi, al suono della troccola (tavola di legno su cui sono installate delle maniglie metalliche che agitandole producono un suono caratteristico), alla processione dei Crociferi (Noicattaro), a quella degli otto Santi (Martina Franca), a quella dei cinque Misteri di Molfetta, o alla suggestiva processione della Quarantana a Ruvo di Puglia.
Merita un cenno la processione dei ‘misteri’ che si svolge a Valenzano (Ba), perché di spagnoleggiante reminiscenza.
Ma ciò che rende, forse, unica la processione è l’alto numero dei Misteri (quarantaquattro). È dal 1671 che il venerdì Santo a Valenzano sfila la processione dei Misteri, una tradizione molto sentita e suggestiva, che inizia dall’Ultima Cena per finire alla Esaltazione della Croce. La processione che si svolge nelle vie cittadine, è molto seguita, non solo dai valenzanesi, ma dai cittadini di paesi e città limitrofi, attratti dalla magnificenza dei gruppi scultorei. L’originalità sta nel fatto che tutti i gruppi statuari sono di proprietà di privati e da loro stessi custoditi. Solo l’Addolorata esce dalla Chiesa Matrice di San Rocco.
Salvatore Pugliese, nel suo libro “La Settimana Santa a Martina Franca nella tradizione popolare” (Schena Editore), ricorda e descrive la molteplicità di celebrazioni e appuntamenti che un tempo davano alla città un senso di dignitosa mestizia. L’incedere delle Confraternite, il crepitio della troccola, la spogliazione degli altari, le croci velate e la lunga lacerante predica delle Tre Ore di Agonia, rappresentano i gesti della fede, il memoriale del Transito del Signore. In queste manifestazioni i cittadini diventano nello stesso tempo attori e protagonisti, manifestando una partecipazione interiore propria delle genti del Sud, vicine alla Passione per antica sofferenza e lontane radici di comunione di dolore.
A Ruvo di Puglia il giovedì Santo si svolge la processione degli “Otto Santi” che sfila tra le due e trenta e la tarda mattinata. Il corteo è composto da: Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, il Cristo morto disteso sul lenzuolo, la Madonna Addolorata, San Giovanni, la Maddalena, Maria di Cleofa e Maria Salomè. La processione che sfila dal 1920, è quella più nota e suggestiva dell’intero ciclo sacro.
Tra le tantissime informazioni e immagini che Francesco Di Palo ricorda nel suo libro “Passione e Morte” (Schena Editore), c’è anche la processione del Risorto e lo scoppio delle Quarantane (fantocci di carta colorata o scherzi pirotecnici), che avviene la Domenica di Pasqua, un momento paraliturgico più significativo della Resurrezione. E per il Venerdì di Passione c’è la “Maduònne du vìnde” (Madonna del vento), appellativo popolare con cui viene indicata la “Desolata”, poiché in questo giorno il vento è sempre presente.
E per finire, non manca il capitolo dedicato ai cibi rituali di Pasqua: uovo, agnello e scarcella, alimenti legati intimamente al rito pasquale, definiti da alcuni studiosi di tradizioni popolari “alimentazione rituale”.
Da segnalare l’importante ruolo delle Congreghe e delle Confraternite che partecipano a questi eventi come viva espressione di fede, anche se contrastate da certe organizzazioni turistiche che tendono a sottovalutare le espressioni della pietà popolare.
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BARLETTA CUSTODE DI RELIQUIE DELLA PASSIONE
DI CRISTO
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La religione non sempre
è relegata esclusivamente ad esigenze di culto
e devozione, ma diventa spesso un importante veicolo
di conoscenza del passato capace di innescare prospettive
di sviluppo turistico oltre che culturale della popolazione.
Il CRSEC di Barletta ha pubblicato nel 2000 il volume
di Giuseppe Doronzo “Barletta: Custode di insigni
reliquie della Passione di Cristo”, il miglior
modo per valorizzare, promuovere e tutelare il patrimonio
che la storia ha lasciato alla comunità.
Barletta per la sua posizione geografica ha conosciuto
varie civiltà: i Longobardi, i Bizantini, i Normanni,
gli Svevi. Federico II nel 1228 radunò un solenne
Parlamento per la VI Crociata in Terra Santa.
Per questi motivi alcune chiese di Barletta hanno, infatti,
il grande merito di custodire da secoli importanti reliquie,
allorché i Patriarchi di Gerusalemme furono costretti
ad abbandonare la Terra Santa. Il porto di Barletta
era, infatti, luogo di transito dei Crociati.
La Basilica del Santo Sepolcro custodisce una croce
patriarcale di metallo smaltato di Corinto coperto di
lamine d’argento dorato.
Su di essa vi sono incastonate 24 pietre turchine disposte
due a due lungo la banda verticale e le due bande orizzontali.
Su di essa è apposta una targhetta che riporta
la seguente iscrizione “Lignus crucis D.N. Jesu
Christi Anno Santo della Redenzione 1983-84. Benedetta
e sigillata 25.3.1984”.
La croce contiene tre pezzi della Vera Croce e nel 1659
subì una mutilazione: da uno dei tre pezzi della
Croce Vera fu asportata una scheggia lunga 4 cm. Che
fu donata dal Priorato di Barletta al vicerè
di Napoli, Gaspare di Bragamante, e a Guzman, conte
di Pignorando, come attestato da due documenti del notaio
Geronamo Spallucci del 1659.
La preziosissima reliquia della Croce è molto
venerata dai barlettani che in occasione di tristi eventi
ne invocano la protezione.
Un’altra croce patriarcale contenente frammenti
del Sacro Legno è custodita nella Chiesa di S.
Maria Maggiore che è la Cattedrale di Barletta.
Alta 42,5 cm., è artisticamente lavorata e arabescata
e tempestata di pietre false e preziose.
La sua provenienza è ignota, sebbene non manca
un inventario del 1727, tuttora nella chiesa nazarena,
dalla quale si apprende che la croce fu consegnata dalla
Serenissima regina Giovanna di Gerusalemme all’Arcivescovo.
Una terza croce patriarcale è custodita nella
Chiesa e Monastero di San Ruggero (già S. Stefano).
Una croce, non nota ai barlettani, della quale non si
hanno notizie della sua provenienza al monastero di
S. Ruggero. Le reliquie di San Giovanni Battista e di
S. Leonardo, in essa custodite, fanno supporre che sia
appartenuta ai Cavalieri dell’Ordine Teutonico
ed a quelli dell’Ordine di S. Giovanni Gerosolimitano.
Infine per quanto riguarda la terza reliquia, la Sacra
Spina custodita nella Chiesa di S. Gaetano, si ipotizza,
che furono i Trinitari nel sec. XIII a portare a Barletta
la spina della Corona.
Delle tre croci che custodiscono il sacro legno, solo
quella che si custodisce nella Basilica del Santo Sepolcro
viene portata in processione la sera del Venerdì
Santo e il 14 settembre.
Inoltre la Sacra Spina viene portata in processione
la sera della domenica che precede quella delle Palme,
rito che si fa risalire al tempo in cui i Trinitari
risiedettero a Barletta e andando via dalla città,
la tradizione fu continuata dai Confratelli della Congrega
della SS. Trinità installatasi nella omonima
Chiesa.
Con l’ultimo decennio del secondo millennio, la
festa della Sacra Spina ha assunto la forma mistica
della Via Crucis. Portata in processione sotto un baldacchino
si ferma davanti a ciascuna delle 14 stazioni che raffigurano,
com’è noto, i tristi momenti della Passione
di Nostro Signore. |
Croce Patriarcale custodita nel Monastero
di S. Ruggero, parte anteriore
(Concessione dell'Ufficio d'Arte Sacra e Beni Culturali
dell'Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie-Nazareth)
- Foto Milillo (Barletta) |
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Croce Patriarcale custodita nella
Cattedrale di S. Maria Maggiore.
(Concessione dell'Ufficio d'Arte Sacra e Beni Culturali
dell'Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie-Nazareth)
- Foto Milillo (Barletta) |
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Reliquiario contenente una spina della Corona di
Gesù che si venera nella Chiesa di San Gaetano
di Barletta
(Concessione dell'Ufficio d'Arte Sacra
e Beni Culturali dell'Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie-Nazareth)
- Foto Milillo (Barletta) |
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LE TRADIZIONI PASQUALI IN ABRUZZO
Pasqua è considerata una festa nobile ed in ogni paese
o regione le manifestazioni ad essa dedicate sono numerose,
varie e in alcuni casi anche curiose. In questo caso mi riferisco
a quelle che si svolgono in Abruzzo, in particolare a Sulmona,
ove i riti della Settimana Santa si svolgono con caratteristiche
consolidate nel tempo. Sulmona, l’antica capitale dei
Peligni, dà vita, durante la Settimana Santa e nel
giorno di Pasqua, a sacre celebrazioni che rappresentano con
coinvolgente impatto emotivo il dramma della morte e la gioia
della resurrezione.
E così mentre la Chiesa celebra i suoi riti liturgici
quaresimali, il popolo tramanda le sue tradizioni. In diverse
contrade dell’Abruzzo, ad esempio, nel giorno di Giovedì
Santo i cantori della Passione, li passionire, vanno in giro,
per le case dei borghi e delle campagne, cantando Lu ggiuveddi
sande o la Madonne de lu ggiuveddi sande. Il canto, alternato
tra due o più cantori, è accompagnato per lo
più da un organetto, lu ddu botte, ma spesso anche
dalla fisarmonica e dal violino. È anche detto lu piante
o lu lamente de la Madonne. Questi canti variano da luogo
a luogo, concordanti però quasi tutti nel contenuto.
La più antica composizione è quella duecentesca
della Lamentatio Beate Marie de Filio, tramandataci dal manoscritto
pergamenaceo celestiniano, conservato a l’Aquila nel
Museo di Arte Sacra.
La varietà di credenze, usi, costumi e cerimonie delle
popolazioni abruzzesi durante il periodo quaresimale e pasquale,
è talmente vasta che non è possibile darne una
descrizione completa, che peraltro interesserebbe soltanto
lo studioso di tradizioni popolari.
Una delle rappresentazioni più importanti, ma nello
stesso tempo singolare, soprattutto per i forestieri, è
quella nota come “La Madonna che scappa” o “La
Madonna che corre in piazza” che si svolge la Domenica
di Pasqua a Sulmona.
La rappresentazione si svolge intorno a mezzogiorno nello
scenario di Piazza Garibaldi, affollata da una moltitudine
di persone. Alle 11,30 dall’antica Chiesa di Santa Maria
della Tomba escono le statue di San Pietro e San Giovanni
evangelista, gli apostoli che secondo il Vangelo si accorsero
per primi della Resurrezione. Entrano quindi in piazza e si
dirigono verso la Chiesa di San Filippo. Tra i tre archi intanto
si intravede anche la statua del Cristo Risorto che prende
posto sotto un baldacchino rosso.
I costumi indossati dalle Confraternite della
Trinità e di Santa Maria di Loreto, i portatori di
lampioni che procedono con passo strisciante, i cantori del
Miserere, che invece avanzano gomito a gomito con andatura
oscillante lateralmente, la ’nnazzecarelle, con tutto
lo spettacolare apparato coreografico, conferiscono al rituale
drammatico della processione del Cristo Morto una solenne
grandiosità.
Dall’antica chiesa di Santa Maria della Tomba esce la
processione con le Statue di Cristo Risorto, di San Giovanni
e di San Pietro, portate dai confratelli della Confraternita
della Madonna di Loreto, che indossano il caratteristico mantello
verde su tunica bianca. La statua del Cristo Risorto si ferma
sotto l’arco centrale dell’antico acquedotto,
al limite della bella e luminosa piazza Garibaldi. Le statue
di S. Giovanni e di S. Pietro proseguono lentamente e, separatamente,
dirigendosi verso la chiesa di S. Filippo Neri, dove si trova
la statua della Madonna vestita a lutto, straziata dal dolore
per la perdita del Figlio diletto. Prima l’uno, poi
l’altro, i due Santi bussano per annunciare alla Madonna
che Cristo è risorto. Il portale non si apre. Al terzo
tentativo fatto da S. Giovanni, la porta si apre ed appare
la Madre vestita di nero che stringe un fazzoletto bianco
nella mano destra. Esitante e quasi incredula, come chi teme
di andare incontro ad una delusione, si avvia pian piano,
seguita dalle altre due statue, lungo la piazza. A circa metà
percorso, i portatori sollevano la statua della Madonna, a
significare il tentativo di chi si protende sulla punta dei
piedi per meglio vedere. Ormai convinta di aver visto il Figlio
risorto, si lancia verso di Lui in una corsa frenetica, lascia
cadere il mantello nero e il fazzoletto bianco, per subito
apparire splendidamente vestita di verde, mentre nella mano
destra ora regge una rosa rossa. Allo stesso istante da sotto
il piedistallo si alzano in volo dodici colombi bianchi. Le
campane suonano a festa e intanto si ricompone il corteo con
in testa le statue del Redentore e della Madonna appaiate,
seguite da quelle di San Giovanni e di San Pietro. La figura
della Madre, in abito verde che corre gioiosa verso il Figlio
trionfante sulla morte, è senza dubbio una evidente
allegoria della “Speranza”. Non è azzardato
il paragone con la famosa e celebre statua della “Macarena”,
Nostra Signora della Speranza, che si venera a Siviglia, dove
tra una folla di penitenti, sfila durante la Settimana Santa,
vissuta, anche lì, con grande fervore e devota animazione.
Meno celebri, ma non meno suggestive per religiosità
e per carica emotiva, sono le sacre rappresentazioni dell’incontro
della Madonna con il Figlio risorto, che si svolgono a Lanciano,
nel chietino, e a Corropoli, in provincia di Teramo, rispettivamente
nel giorno di Pasqua e nel martedì di Pasqua. In provincia
di Pescara meritano di essere ricordate la processione di
Moscufo per il pregio e la quantità dei gruppi statuari,
conservati nell’apposita chiesa della Pietà,
e soprattutto, quella di Penne, istituita nel 1570, che, oltre
ad esibire una preziosa coperta ricamata del 1860, sulla quale
giace il Cristo Morto, si caratterizza sia per i simboli tradizionali,
riuniti in corpo unico detto “Statua della Passione”,
sia per il tamburo, in uso in tutta la zona vestina, detto
Lu tamorre scurdate, perchè privo della corda vibrante.
Al calar del sole il corteo, preceduto dal suonatore del tamburo,
avanza, lineare e composto, con passo scandito dal ritmo dei
battiti lenti e sordi, che creano un’atmosfera di lutto.
Odori d’incenso, canti corali e preghiere che si diffondono
per le antiche pittoresche vie cittadine, illuminate dai ceri
dei fedeli, conferiscono solennità al sacro rito. A
Villa Badessa, una frazione del comune di Rosciano, nel pescarese,
vi è insediata, dalla prima metà del XVIII secolo,
una piccola colonia italo-albanese. Ancora oggi gli albanesi
di Villa Badessa conservano inalterato il loro idioma e continuano
a seguire la liturgia di rito greco-bizantino. Nei riti e
nelle processioni della Settimana Santa, non compaiono statue
e altri simboli ricorrenti nelle celebrazioni cattoliche,
ma sono presenti antiche icone. Le cerimonie hanno inizio
con gli “encomia”, il pianto delle donne durante
la veglia notturna sulla icona della deposizione di Cristo.
Nelle ore antelucane della domenica di Pasqua, il papas, che
reca l’icona della Resurrezione, esce in processione
fuori dalla chiesa, seguito dai fedeli che illuminano con
candele le ultime ore della notte. In grande silenzio, tutti
insieme si volgono verso oriente in attesa dell’alba.
Al sorgere del sole il papas canta il primo verso del Vangelo
secondo Giovanni e, intonando canti di gioia, rientra in corteo
nella piccola chiesa. In grande silenzio, tutti insieme si
volgono verso oriente in attesa dell’alba. Al sorgere
del sole il papas canta il primo verso del Vangelo secondo
Giovanni e, intonando canti di gioia, il corteo rientra nella
piccola chiesa.
Le foto sono di Claudio Lattanzio
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RIFLESSIONI E CURIOSITÀ SULLA CROCE
È notorio che la Crocifissione di Gesù è
un evento, come si legge nei Vangeli, che insieme alla Resurrezione
rappresenta l’avvenimento più importante della
religione cristiana. La Croce simboleggia l’uomo con
le braccia aperte, in posizione di abbandono, ma nel contempo
anche l’albero cosmico che sostiene il mondo. La sua
struttura evoca la divisione del Paradiso terrestre in quattro
parti e dell’anno in quattro stagioni. La croce ha rappresentato
anche uno strumento di tortura, il più infamante, dal
momento che, nell’epoca in cui era usata, chi veniva
crocifisso era cosciente fino alla fine. Gli Orientali celebrano
la Croce con una solennità paragonabile a quella della
Pasqua. L’uso liturgico che vuole la Croce presso l’altare
quando si celebra la Messa, rappresenta un richiamo alla figura
biblica del serpente di rame che Mosè innalzò
nel deserto: guardandolo, gli Ebrei morsicati dai serpenti
erano guariti. Per l’Islam la croce ha invece un significato
sapienziale. Simbolo delle due direzioni dell’essere
(verticale) e del fare (orizzontale), l’una dell’Anima
l’altra della psiche e della materia. Il centro è
il Cuore. La psiche si manifesta nel mondano, nel corporeo,
nella dimensione orizzontale dell’agire, della parola
ma fa anche da ponte con l’Anima Divina nell’atto
della introversione, della contemplazione, del sentimento
che si raccoglie ricettivo sul mistero dell’Essere.
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Per San Bonaventura «La croce è un albero di
bellezza, consacrato dal sangue di Cristo, esso è colmo
di tutti i frutti».
Il 3 maggio la Chiesa ricorda il ritrovamento della Croce,
mentre il 14 settembre celebra l’esaltazione. Sant’Elena,
madre di Costantino il Grande, nel 327, durante un pellegrinaggio
ai luoghi santi di Palestina, fece ritrovare a Macario, Vescovo
di Gerusalemme, la vera Croce di Cristo, una parte della quale
si conserva nella Basilica di “Santa Croce in Gerusalemme”
in Roma, da lei fatta costruire. Nell’Angelus del 15
settembre 2002, Giovanni Paolo II così si esprime sul
significato della Croce: «Il Cristianesimo ha nella
Croce il suo simbolo principale. Dovunque il Vangelo ha posto
radici, la Croce sta ad indicare la presenza dei cristiani.
Nelle chiese e nelle case, negli ospedali, nelle scuole, nei
cimiteri la Croce è diventata il segno per eccellenza
di una cultura che attinge dal messaggio di Cristo verità
e libertà, fiducia e speranza. Nel processo di secolarizzazione,
che contraddistingue gran parte del mondo contemporaneo, è
quanto mai importante che i credenti fissino lo sguardo su
questo segno centrale della Rivelazione e ne colgano il significato
originario e autentico».
«La croce - sempre secondo Giovanni Paolo II - è
il segno della più profonda umiliazione di Cristo.
Agli occhi del popolo di quel tempo costituiva il segno di
una morte infamante. Solo gli schiavi potevano essere puniti
con una morte simile, non gli uomini liberi. Cristo, invece,
accetta volentieri questa morte, la morte sulla croce. Eppure
questa morte diviene il principio della risurrezione. Nella
risurrezione il servo crocifisso di Jahvè viene innalzato:
egli viene innalzato su tutto il creato». (Halifax 14
settembre 1984).
Infine, Papa Giovanni XXIII, nel suo “Breviario”
(Garzanti, 1966), a proposito dell’esaltazione della
Croce, scrive che «Gesù Cristo, dalla sua Croce
purifica, dà forza, trasforma le energie nascoste e
male indirizzate dalle esiziali concupiscenze e le ordina
alla vita spirituale, al dominio di sé. Cerchiamo,
dunque Gesù che ci dà esempio di umiltà,
dolcezza, bontà; che si prodigò per la nostra
salvezza e il nostro bene. Al termine della vita si apre la
porta dell’eternità: senza la croce non si entra». |
Le immagini delle Crocifissioni sono tratte dal volume “Vangelo”
(Edizioni Paoline, II Edizione 1979).
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SIGNIFICATO DELL’AGNELLO PASQUALE
In occasione di un quiz televisivo svoltosi in una Domenica
di Pasqua, di qualche anno fa, bisognava indovinare la parola
“Pasqua”. Per aiutare i concorrenti il conduttore
chiese: “Ma che giorno è oggi?”. Una voce
quasi unanime rispose “Domenica”; solo una vocina
timida timida, quasi timorosa di offendere quell’ambiente
così ostile a chi ricordava le nostre radici cristiane,
disse “Pasqua”.
Ciò sta a significare che molti di noi ignorano o dimenticano
origini e storia della Pasqua o il significato di alcuni simboli,
tra i quali, il più importante, è rappresentato
dall’agnello, immagine della creatura pura e candida
che gli ebrei offrivano in sacrificio durante la Pasqua.
Infatti, il Signore disse a Mosè e ad Aronne “Questo
mese - Nisan (marzo aprile) - sarà per voi il primo
mese dell’anno.
Parlate
a tutta la comunità di Israele e dite: Il dieci di
questo mese ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un
agnello per casa. Il vostro agnello sia senza difetto, maschio,
nato nell’anno, e lo serberete fino al quattordici di
questo mese: allora tutta l’assemblea della comunità
d’Israele lo immolerà al tramonto.
Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete
come festa del Signore: di generazione in generazione, lo
celebrerete come un rito perenne” (Genesi, 1-12).
In sostanza, tutti gli animali innocenti e senza difetti destinati
al sacrificio nell’Antico Testamento anticipavano il
grande Sacrificio, quello offerto da Gesù Cristo sulla
croce del Calvario. Giovanni Battista Lo presentò dicendo:
«Ecco l’Agnello di Dio, che toglie il peccato
del mondo!» (Giovanni 1:29).
La pena imposta da Dio per il peccato non solo è giusta,
ma anche misericordiosa, perché Dio stesso, nella persona
di Suo Figlio, scontò quella pena.
Papa Giovanni XXIII nel suo breviario scriveva che «La
Pasqua è per tutti un mistero di morte e di vita: per
questo, secondo l’espresso precetto della Chiesa ogni
fedele è invitato in questo tempo a purificare la coscienza
col Sacramento della Penitenza, immergendola nel sangue di
Gesù; ed è chiamato ad accostarsi con maggior
fede al Banchetto Eucaristico, per cibarsi delle carni vivificatrici
dell’Agnello Immacolato».
L’agnello, oltre a rappresentare la primizia del gregge,
sia nell’antico che nel nuovo testamento, ha significato
sacrificale e quindi diventa il simbolo più perfetto
di Gesù Cristo: «Ecco l’Agnello di Dio,
colui che toglie il peccato del mondo». Inoltre l’Agnello,
che è il simbolo dell’innocenza e del candore,
è anche il simbolo del Cristo in quanto Agnello divino
che con il suo sacrificio si accolla i peccati del mondo,
sia come “buon pastore” che va alla ricerca delle
pecorelle smarrite. Ma è anche il simbolo della Resurrezione.
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SIMBOLOGIA DI PASQUA
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Pasqua, che in ebraico si dice «Pesàh»,
che vuol dire passaggio, andare oltre, ricorda il transito
del Mar Rosso e la liberazione degli Ebrei dalla subordinazione
egiziana. Ai cristiani ricorda la liberazione dell’uomo
dalla schiavitù del peccato e del demonio e dall’angoscia
della morte per i meriti di nostro Signore Gesù Cristo.
La festività di Pasqua si identifica in usanze e tradizioni
antiche e consolidate che si ripetono resistendo al tempo
e alla secolarizzazione della civiltà attuale. Tutti,
credenti e non, ad esempio, il giovedì santo si dirigono
«a fare i Sepolcri», riunendo la famiglia che
sfila in religioso silenzio nelle varie chiese. Così
come il Venerdì Santo si svolge la processione dei
Misteri, che si snoda per le vie principali delle città.
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Ma qual è la simbologia di Pasqua?
niziamo con l’Agnello,
che oltre a rappresentare la primizia del gregge,
sia nell’antico che nel nuovo Testamento, ha UN
significato sacrificale e quindi diventa il simbolo
più perfetto di Gesù Cristo: «Ecco
l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato
del mondo».
Inoltre l’Agnello, che è il simbolo dell’innocenza
e del candore, è offerto in sacrificio durante
la Pasqua ebraica.
Ma è anche il simbolo della Resurrezione. |
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La Campana,
strumento
musicale e di culto, ha la funzione di chiamare i fedeli
e annunciare, a seconda del suono emesso, sventura,
lutto o festa.
Lo scampanio di Pasqua, ad esempio, annuncia la Resurrezione.
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Il Cero con la sua fiamma simboleggia
tutte le forze attive della natura e dei quattro elementi.
Ma è anche la luce dell’anima che mette
in comunicazione con il Divino. |
La Croce, simboleggia l’uomo
con le braccia aperte, in posizione di abbandono, ma
nel contempo anche l’albero cosmico che sostiene
il mondo.
La sua struttura evoca la divisione del Paradiso terrestre
in quattro parti e dell’anno in quattro stagioni.
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La Colomba, pacifica
e delicata, era l’antico attributo della Dea dell’amore
(Ishtar per i semiti, Afrodite per i greci) e poiché
la si usava per inviare messaggi, le sacerdotesse greche
dell’oracolo di Dodona (antichissimo centro religioso
in una valle dell’Epiro), erano chiamate colombe.
Oggi è considerata simbolo annunciatore della
pace.
Per tradizione, alla fine del pasto pasquale è
d’obbligo mangiare un dolce fatto a forma di colomba,
che simboleggia sia Gesù, che lo Spirito Santo.
La colomba ha parecchi significati; i più importanti
sono: il Cristo che porta la pace agli uomini di buona
volontà e lo Spirito Santo che scende sugli uomini
per i meriti di Gesù. |
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L’Uovo rappresenta, forse, il simbolo pasquale per eccellenza.
D’altro canto l’uovo è simbolo di
rinascita in tutte le religioni, come ricorda Vito Lozito,
docente di Storia della Chiesa, nel suo libro «Agiografia,
Magia, Superstizione» (Levante Editori). L’uovo
è simile ad un sepolcro che possiede in sé
il germe del rinnovamento. Infatti, sostiene Lozito,
«Se proviamo a rompere un uovo fresco di giornata,
troviamo che vi è il tuorlo il quale è
una sfera gialla simile al sole e l’albume di
color bianco è di aspetto lunare. Due simboli
fondamentali dell’origine vitale; il sole come
eroe maschile, la luna come generatrice».
Il primo uovo con sorpresa fu regalato a Francesco I
di Francia agli albori del XVI secolo, da qui probabilmente
l’usanza di inserire un dono all’interno
dell’uovo di cioccolato. Ma è nella Russia
degli Zar che le uova preziose e decorate diventano
regalo di Pasqua e Peter Carl Fabergé è
l’artista orafo che con la sua genialità
ha segnato la storia delle uova pasquali decorate.
L’uovo a Pasqua rappresenta anche l’elemento
gastronomico principe. A Bari, in particolare, lo troviamo
nel benedetto, un antipasto tipico pasquale, composto
da uova sode, soppressata e arancia tagliata a fette,
nel verdetto, un insieme di piselli, verdure amare e
uova miste alla carne d’agnello e nel classico
uovo di cioccolata.
Anche la scarcèdde (scarcella = piccola borsa),
rappresenta, soprattutto per i baresi, un simbolo: si
tratta di una ciambella favolosa (impasto di farina,
olio, uova, zucchero con sopra un numero dispari di
uovasode), molto ricercata dai bambini.
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L’Olivo, sacro alla dea Atena,
signora della guerra e delle arti, che vincendo la contesa
con Poseidone, lo offrì in dono agli abitanti
di Atene, è considerato un simbolo di pace. Si
dice che sulla tomba di Adamo sia nato un olivo dal
quale la colomba, uscita dall’arca di Noè
dopo il diluvio, aveva staccato un ramo per indicare
la fine del castigo divino; inoltre la Croce sarebbe
stata fatta di legno d’ulivo, diventando l’albero
cosmico, asse del mondo e collegamento tra il cielo
e la terra. Non a caso, forse, Gesù si recò
a pregare nell’Orto del Getsemani (ricco di olivi)
nella notte in cui fu arrestato, iniziando così
la sua Passione. Ma dall’olivo si produce anche
l’olio utilizzato per ungere i prescelti, infatti,
il battezzando con questa unzione è liberato
dal peccato ed entra così nella societas cristiana. |
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Infine la Palma, albero sacro agli
Dei del Sole, assai utile perché da esso si traevano
latte, olio, frutta, legno corteccia, ecc.
Gli egizi deponevano rami di palme sui sarcofagi per
evocare la resurrezione dei defunti.
Con i rami di questa pianta anche Gesù fu accolto
trionfalmente quando fece il suo ingresso a Gerusalemme.
Da qui l’usanza di distribuire ai fedeli la Domenica
delle Palme i rami benedetti, simbolo di pace e di rinascita. |
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RITI, MISTERI E TRADIZIONI DI PASQUA NEL MEZZOGIORNO
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Pasqua significa passaggio e deriva dalla tradizione ebraica.
Per gli Ebrei era il giorno della fine della schiavitù
in Egitto. La Pasqua cattolica si celebra, secondo un decreto
del concilio di Nicea (325 d.C.), seguendo criteri astronomici,
la prima domenica di plenilunio dopo l’equinozio di
primavera. Ogni anno ha quindi un posto diverso nel calendario.
La solennità pasquale é il momento più
importante di tutte le celebrazioni liturgiche, perché
si celebra il rito e il mistero della morte e resurrezione
di Gesù Cristo. Il triduo, che va da giovedì
santo a sabato santo, a cui si aggiungono la veglia pasquale
e le celebrazioni della Domenica di Pasqua, costituiscono
l’evento di maggior importanza per la religione cattolica.
Il periodo pasquale é preceduto dalla Quaresima, intervallo
di 40 giorni che comincia con il mercoledì delle ceneri.
La domenica precedente la Pasqua é detta delle Palme
e in quel giorno si ricorda l’accoglienza trionfale
di Gesù a Gerusalemme fra ali di folla osannante. Nelle
chiese vengono distribuiti ramoscelli di ulivo benedetti.
La settimana successiva é detta settimana Santa perché
si rivive la passione, la morte e risurrezione di nostro Signore
.
Numerose le rievocazioni in tutto il mondo cattolico. In Sicilia,
nella provincia di Ragusa, è noto il rito della «Madonna
vasa vasa» (Madonna del bacio). Durante la mattina di
Pasqua due cortei percorrono le vie cittadine portando le
statue del Cristo e della Madonna. Dalla Chiesa di Santa Maria
viene portata fuori la statua di Gesù. Dopo mezz’ora
viene fatta uscire quella di Maria che indossa un mantello
nero in segno di lutto.
La Madonna inizia subito la ricerca
del figlio. A mezzogiorno, finalmente, si incontrano nella
piazza principale. La Vergine avendo incontrato il Figlio
allarga le braccia e lascia cadere il mantello mentre si alzano
in volo bianche colombe con nastri azzurri alle zampine. Maria
si avvicina e bacia il Figlio. Al punto del «vasa vasa»
tutta la popolazione festeggia l’arrivo della Pasqua.
A Castelvetrano (Trapani) si festeggia l’incontro tra
il Cristo Risorto e la Madonna con una cerimonia chiamata
l’«Aurora». Gesù è rappresentato
con una statua di cartapesta portata a spalla da quattro uomini
e deposta al lato della piazza. La Madonna, avvolta in un
mantello di velluto nero con in mano un fazzolettino che stringe
al petto, viene posta all’altro lato. I due sono messi
in modo che non si vedano.
Allo squillo di una tromba, un angelo di cartapesta portato
da quattro ragazzi, corre lungo la piazza annunciando a Maria
la resurrezione del figlio. La Madonna non crede alla notizia,
e per ben quattro volte l’angelo attraversa la piazza.
La quinta volta l’angelo si ferma al centro, mentre
Cristo Risorto cammina lentamente, altrettanto fa la Madonna.
Al momento dell’incontro cade il mantello e Maria appare
con il suo vestito bianco, un ampio mantello e una corona
d’argento in testa. A quel punto suonano le campane
e scoppiano centinaia di mortaretti. In Basilicata, i riti
legati alla Passione e alla Pasqua si svolgono attraverso
gesti e movenze antiche sullo sfondo di tradizioni corali.
La magia delle sacre rappresentazioni nasce
dai tempi dei bizantini, dalle tradizioni del cristianesimo
greco, presente e vivo nelle cappelle scavate nelle grotte,
nelle icone sacre dipinte sui muri diroccati. Per tutta la
comunità è l’ora dell’attesa, della
paura e della speranza. |
A
Barile (Pz) la Via Crucis è interpretata da uomini
e donne che si sentono veramente il simbolo della espiazione
comune. Tutti nel paese lavorano, nelle settimane precedenti,
alla riuscita della processione. Lungo il percorso vengono
innalzati una serie di palchi per la rappresentazione dei
diversi episodi della Passione: il Cristo nell’orto,
la cattura, Ponzio Pilato, la Via Crucis, la Crocifissione.
Il giovane che impersona il Cristo deve digiunare ed espiare
ogni colpa per tre giorni prima della processione. Viene lavato,
unto e vestito da sole donne, ognuna delle quali si cura del
suo vestiario. La processione ha un ritmo frenetico sostenuto
dalla presenza di uomini vestiti da soldati che si muovono
a cavallo su e giù per le strade del paese. Intorno
a loro si agitano gruppi di personaggi: i romani, i sacerdoti,
il popolo, e ancora la Maddalena, la Madonna, gli apostoli.
La Vergine viene rappresentata in due versioni, con un vestiario
diverso: da giovane e da anziana. In questa atmosfera tutta
ricostruita dai Vangeli, compaiono all’improvviso, portando
un grande scompiglio, alcune figure di fantasia legate alle
paure ancestrali che ci portiamo dentro.
Ecco la figura del
«Negro» che rappresenta lo straniero, indossa
un mantello con piume colorate e gioca con un altro «Negro»
bambino a tirarsi una palla avanti e indietro. Nella grande
festa popolare compare anche la «Zingara», altro
personaggio dai toni oscuri e misteriosi, che porta un vestito
decorato da tutti gli ori del paese: simbolo di una ricchezza
che nasconde malvagità e pericolo.
La gente si difende
da lei donandole, anche per un solo giorno, tutti i propri
averi. Personaggi simbolici dunque il Negro e la Zingara,
che assumono un grande rilievo in questo grande rito di espiazione
collettiva.
Tra i riti della settimana Santa è
da segnalare anche quello che si svolge a Valenzano (Ba),
perché di spagnoleggiante reminiscenza. Ma ciò
che rende, forse, unica la processione è l’alto
numero dei Misteri (quarantaquattro) tutti appartenenti a
privati cittadini. Il rito si svolge dal 1671 con la processione
dei Misteri, una tradizione molto sentita e suggestiva, che
inizia dall’Ultima Cena per finire alla Esaltazione
della Croce.
La processione che si svolge nelle vie cittadine, è
molto seguita, non solo dai valenzanesi, ma anche da cittadini
di paesi e città limitrofe attratti dalla magnificenza
dei gruppi scultorei. L’originalità sta nel fatto
che tutti i gruppi statuari sono di proprietà di privati
e da loro stessi custoditi. Solo l’Addolorata e Gesù
Morto escono rispettivamente dalla Chiesa Matrice di San Rocco
e dalla Parrocchia di Santa Maria di San Luca.
Lino Angiuli ha pubblicato un bel volume “La festa del
dolore – La processione del Venerdì Santo a Valenzano”
(Edizioni Pagina), recensito in altra parte di questo sito
(vedi Link in fondo alla pagina - Arte, Folklore, Libri, Religione).
Si tratta di un vero e proprio catalogo, diviso in schede,
una per ogni gruppo scultoreo. Per ogni scultura è
indicato il nome del proprietario originario e attuale, il
luogo di conservazione, la data di costruzione e l’autore,
gli eventuali restauri eseguiti e ciò che rappresenta
l’opera. |
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(Le immagini dei due articoli di cui
sopra sono dell'Archivio di Cartantica)
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IL SIGNIFICATO DELLA QUARESIMA
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Dopo il periodo di Carnevale ha inizio, con il Mercoledì
delle Ceneri, l’intervallo quaresimale che culminerà
con la Settimana Santa. La Quaresima ha lo scopo di invitare
i fedeli a imitare il periodo di 40 giorni di meditazione
e di penitenza che Gesù trascorse nel deserto prima
di cominciare la predicazione e di farci crescere nella conoscenza
del mistero di Cristo.
Inizialmente il periodo quaresimale venne osservato in modo
difforme dalle varie chiese: la chiesa di Alessandria, ad
esempio, osservava un periodo di digiuno che coincideva con
la Settimana Santa, mentre più tardi la chiesa di Roma
aggiunse prima due settimane a questo periodo di penitenza
e poi altre tre.
Nell’anno 325, durante il Concilio di Nicea, si fissò
uno stesso giorno per tutta la cristianità per la celebrazione
dei riti e della festa, riferendosi al novilunio di primavera,
e dato che il criterio per definire la data del novilunio
non era unico, si stabilì che fosse la Chiesa di Alessandria
a determinarne il giorno.
Nel 525 si dispose che la Pasqua potesse essere festeggiata
la domenica successiva al primo plenilunio dopo l’equinozio
di primavera, tra il 22 marzo e il 25 aprile. Se l’equinozio
di primavera si verifica, ad esempio, sabato 21 marzo, la
Pasqua si festeggerà il giorno dopo, 22 Marzo. Se invece
l’equinozio di primavera si verifica il giorno dopo
il plenilunio, bisognerà aspettare più di un
mese, ma mai oltre il 25 aprile. Raramente si verifica la
Pasqua il 22 marzo o il 25 aprile. |
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La Pasqua della chiesa Cattolica e quella della chiesa Ortodossa
differiscono perché la prima fa riferimento al calendario
Gregoriano mentre la seconda a quello Giuliano.
Il digiuno quaresimale, invece, consiste nel fare un solo
pasto al giorno, e nell’astenersi dai cibi vietati.
Nei giorni di digiuno la chiesa permette un leggero pasto
di ristoro alla sera, se l’unico vero pasto avviene
a mezzogiorno, o a mezzogiorno se si stabilisce alla sera
il proprio pasto principale.La Settimana Santa è quella
in cui si celebrano i riti che condurranno alla Pasqua e si
apre con la Domenica delle Palme.
Dal lunedì al mercoledì, in un clima di Riconciliazione,
vengono rievocati i momenti dolorosi che precedono il Calvario:
Il pianto di Gesù su Gerusalemme, la cacciata dei venditori
dal Tempio, il complotto contro Gesù e la decisione
del tradimento di Giuda. |
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Il Giovedì Santo è il giorno in cui la Chiesa
- per rinnovare la memoria dell'atto di amore e di umiltà
di Cristo nei confronti degli Apostoli - rivive la lavanda
dei piedi, servizio fraterno di carità e ricorda l’Ultima
Cena di Gesù, celebrando l’istituzione dell’Eucaristia
e con essa anche quella del sacerdozio ministeriale; successivamente
segue l'Adorazione del Santissimo Sacramento nell'altare della
Reposizione.
Questo luogo di adorazione, veniva - e ancor oggi viene -
chiamato più semplicemente "sepolcro", a
cui i fedeli giungevano, visitando varie chiese e quindi vari
sepolcri, per adorare la deposizione del corpo di Gesù,
fino alla mezzanotte. Tuttavia, questa terminologia è
inadatta, si tratta di un travisamento di vecchia data, osteggiato
nel corso dei secoli dalla Sacra Congregazione dei Riti, che
può avere derivazione da antiche tradizioni ed usi
locali con cui si rappresentavano - e tuttora si rappresentano
- i misteri della passione e della morte del Cristo. Si tratta,
invece, non di una sepoltura ma di una solenne Ostensione.
Dal Giovedì sino al Sabato Santo si legano le campane
in segno di silenzio e partecipazione di tutta la Chiesa alla
Passione e Morte di Cristo, partecipazione che ha il suo culmine
nel Venerdì Santo, giorno di penitenza e di digiuno,
in cui si farà memoria, appunto, del Sacrificio di
Gesù. Il Sabato invece sarà un giorno di silenzio
e di raccoglimento, nell'attesa della Risurrezione che si
compirà nella Domenica di Pasqua, giorno di Pace e
di gioia.
In molti paesi è possibile assistere alla rappresentazione
della Via Crucis per le strade cittadine. |
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Il giorno di Pasqua è la commemorazione della Resurrezione
di Cristo. Nella tradizione cristiana Cristo viene identificato
con l’agnello, vittima sacrificale, della Pasqua ebraica.
Così come gli ebrei celebravano con la Pasqua il passaggio
(dell’Angelo sterminatore e del passaggio del Mar Rosso),
anche per i cristiani la Pasqua rappresenta il passaggio di
Cristo dalla vita mortale, in quanto Uomo, a quella immortale,
in quanto Figlio di Dio. La condanna e la crocifissione di
Cristo avvennero durante la Pasqua ebraica, ma sulla data
delle celebrazioni non si raggiunse facilmente un accordo:
in Oriente, seguendo S. Giovanni e S. Paolo la celebrazione
avveniva il giorno della morte di Gesù Cristo, il 14
del mese di Nisan (settimo mese del calendario ebraico), mentre
in Occidente si preferiva commemorare l’evento riferendosi
al plenilunio di Primavera. I primi Padri della chiesa commemorarono
la Pasqua in concomitanza con il giorno della Passione e della
morte di Cristo, mentre in età più tarda, nel
III secolo, San Cipriano condusse a commemorare non solo la
morte, con mestizia, ma a ricordare come vero e proprio passaggio
(Pasqua) il giorno della Resurrezione ed a festeggiare, non
già con tristezza, ma con gioia, questo giorno solenne
della cristianità. |
(Foto dell'Archivio di Cartantica)
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QUARESIMA E CARNEVALE A CONFRONTO
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Il Carnevale è il periodo dell’anno che precede
la quaresima e secondo A.M. Di Nola, storico delle religioni,
altro non è che il «Tenue residuo dell’imponente
ciclo festivo di altre epoche, che sigilla nell’ambiguità
dei comportamenti collettivi le antichissime immagini della
Morte e della Gioia, i due termini intorno ai quali ruota
la perenne storia dell’uomo. Il farsi diverso ed estraneo,
il rifiutare negli atteggiamenti la quotidianità immettono
in un itinerario della follia occasionale e passeggera, come
alternativa dell’essere».
La Quaresima, invece, nella liturgia cattolica è il
periodo penitenziale di quaranta giorni, in preparazione della
Pasqua, in cui si osserva il precetto del digiuno e dell’astinenza
nei giorni prescritti.
Spesso ci domandiamo quale l’origine storica del Carnevale
e della Quaresima? Perché tanto contrasto tra i due
periodi? A queste domande e ad altre ancora risponde Vito
Lozito, docente universitario di Storia della Chiesa, nel
suo volume «Agiografia, Magia, Superstizione»,
edito da Levante Editore.
L’origine storica del carnevale è spesso collegata
agli antichi Saturnali latini, feste religiose dell’antica
Roma, che si celebravano in onore del dio Saturno. I festeggiamenti
tendevano ad abolire le distanze sociali ed avevano spesso
carattere licenzioso e orgiastico, cambiavano il quotidiano
rapporto padrone-servo, uomo-donna, governante-suddito, insomma
in quel periodo tutto era lecito e permesso. La funzione stessa
del re dei saturnali, che moriva alla fine della festa, richiama
il nostro Re del Carnevale, che a seconda della tradizione
locale, viene ucciso, bruciato, impiccato, ecc.
Vi sono anche altri riti antichi in cui la nostra festa affonda
le radici ed il riferimento è alla festa chiamata Equirria,
che si svolgeva il 27 febbraio e ripetuta il 14 febbraio a
Roma e che consisteva in una corsa di cavalli, effettuata
con l’intento di conquistare il favore di Marte, padre
e protettore dell’Urbe.
La civiltà babilonese ritenendo lo svolgersi della
vita terrestre, riflesso dei moti astrali, rappresentava il
passaggio dall’inverno alla primavera con una processione
in cui su un carro-nave era trasportato il dio Sole o il dio
Luna che simbolicamente procedeva verso il Santuario di Babilonia,
cioè la terra. Si trattava del “Car Naval”
che concludeva un anno e ne iniziava uno nuovo. Il passaggio
del Carro indicava il “viaggio” con tutte le caratteristiche
gioiose, terrificanti e di pericolo che comportava, il cui
nocchiero rappresentava il Re di Carnevale, e che sarà
eliminato una volta giunti alla fine della traversata, per
dare posto simbolicamente al nuovo anno.
Il contrasto più avvincente rimane quello tra Carnevale
e Quaresima, ossia fra gioia e tristezza, fra benessere e
miseria. Alle abbondanti libagioni di carnevale subentrava
la dieta alimentare rigida che le classi povere accettavano
più per scarsità di prodotti che per rispetto
a prescrizioni religiose. Il digiuno, invece, aiutava a vincere
le passioni e a liberarsi dalla materialità, dal momento
che il precetto evangelico affermava che i dèmoni possono
essere cacciati «con la preghiera e con il digiuno».
Perciò durante la «penitenza dei quaranta giorni»,
che ricorda il corrispondente periodo di tempo trascorso da
Mosè e Gesù nel deserto senza toccare cibo,
sulle tavole mancavano cibi a base di carne, di grassi, di
latticini, ecc. Nel giorno successivo alle Ceneri, in molte
Regioni d’Italia, si facevano anche bollire le stoviglie
di casa, per eliminare qualsiasi ricordo dei succulenti pranzi.
Attualmente, dal punto di vista alimentare, Carnevale ha sconfitto
la Quaresima, dal momento che non vi sono più tempi
eccezionali come il Carnevale, l’abbondanza oggi è
presente tutti i giorni, ogni giorno è festa, per cui
si può tranquillamente affermare che il digiuno, ormai,
è dimenticato. |
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