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COLLABORAZIONI
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."
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FOLKLORE
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Vito Signorile, direttore artistico del Teatro Abeliano di Bari, ha anticipato la strenna per le imminenti feste con la pubblicazione per i tipi della Casa Editrice Gelsorosso di “Pinòcchie”, un classico della letteratura italiana di Carlo Lorenzini, meglio conosciuto con il nome di Carlo Collodi.
Il testo, che è stato tradotto in oltre 260 dialetti ha, finalmente, anche la cittadinanza barese che Signorile non solo ha tradotto e scritto nella nostra prima lingua, ma ha anche raccontato e interpretato i vari personaggi in un CD allegato, che facilitano la lettura e la comprensione del nostro dialetto. Insomma, una chicca aggiunta per gli amanti ed i cultori del dialetto di Bari.
I racconti, ovviamente adattati alla nostra lingua, sono scritti un elegante dialetto barese, facilmente leggibili e comprensibili, tenuto conto che non esiste un metodo o una grammatica condivisi su come scriverlo. Signorile nelle sue “Note sulla scrittura del dialetto” scrive che “L’esigenza che il dialetto possa essere letto da tutti impone di evitare accorpamenti di più consonanti all’interno di una parola per cui ho applicato due semplici accorgimenti, che non sono regole né ‘vangelo’ che molti si ostinano a voler imporre con autoreferenza, e spesso, arroganza, bensì dei semplici consigli per agevolare la lettura a chiunque”. Inoltre “Non ha alcun senso mantenere in vita termini arcaici desueti, ho utilizzato il dialetto che si parla oggi, sia nella scrittura e ancor più nella lettura”.
L'edizione della Gelsorosso è originale, in quanto, Signorile, non si è limitato a tradurre sic et simpliciter i racconti, ma li ha personalizzati, insomma un Pinocchio che vive a Bari.
Le illustrazioni sono dell’artista barese Laura Fusco, che ha calato Pinocchio in inedite ambientazioni: ritroviamo infatti il burattino che scruta l’orizzonte, alla ricerca del povero Geppetto, aggrappato ad un lampione del Lungomare di Bari o l’incontro con il Gatto e la Volpe sotto l’arco delle Meraviglie a Bari Vecchia. Signorile ha voluto, soprattutto, che la copertina fosse dedicata a una strada e a un gioco simbolici per Bari: la Muraglia e il “carruccio”.
L’intramontabile favola di Collodi torna dunque a rivivere grazie al “nostro dialetto”, che, com’è noto, possiede una musicalità e una ricchezza di vocaboli non trascurabile, tale da far diventare barese, dopo il “Piccolo Principe” (‘U Prengepine’ Gelsorosso), anche Pinocchio.
Le musiche che accompagnano i racconti nel CD sono di Davide Ceddìa.
Un audiolibro da non perdere assolutamente. |
IL DIALETTO= ARRICCHIMENTO, NON IMPEDIMENTO
Stefano Imperio, nella premessa ad una sua pubblicazione (Alle origini del dialetto pugliese – Schena), sostiene che «La diffidenza verso i dialetti è che non tutti hanno la facoltà di intenderli, e ciò limita la diffusione di opere che andrebbero invece estesamente conosciute da un pubblico numeroso ed eterogeneo». Inoltre rammenta che «…al dialetto sia lasciata la dignità di lingua popolare… con la ricchezza di un’arguzia spontanea, impossibile a riprodurre con la lingua letteraria».
Il dialetto, spesso considerato varietà di lingua dei ceti bassi, simbolo di ignoranza o veicolo di svantaggio o esclusione sociale, soprattutto al sud, pare che stia avendo nuova vita soprattutto nelle giovani generazioni, in molti casi l’apprendimento non avviene a livello di lingua materna, ma l’acquisizione avviene, in modo frammentario, al di fuori del canale generazionale. Un ruolo importante in tal senso è rappresentato dai nonni o dall’ambiente circostante nel quale il dialetto è ancora diffuso.
Secondo l’ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica), cresce l’uso dell’Italiano e diminuisce l’uso esclusivo del dialetto. Le persone che parlano prevalentemente italiano in famiglia rappresentavano nel 2006 il 45,5% della popolazione di sei anni e più. La quota aumenta nelle relazioni con gli amici (48,9%) e in maniera più consistente nei rapporti con gli estranei (72,8%). È significativo l’uso misto di italiano e dialetto nei tre contesti relazionali considerati: in famiglia parla sia italiano sia dialetto il 32,5% delle persone di 6 anni e più, con gli amici il 32,8% e con gli estranei il 19%.
Nel 2012, invece, sempre secondo l’ISTAT, in Italia, il 53,1% delle persone di 18-74 anni parla in prevalenza italiano in famiglia. La quota aumenta quando ci si intrattiene con gli amici (56,4%) e, in misura più consistente, quando si hanno relazioni con persone estranee (84,8%). L’uso prevalente del dialetto in famiglia riguarda il 9% della popolazione di 18-74 anni. Una percentuale del tutto analoga (9%) si registra nelle occasioni di relazione con gli amici, mentre scende all’1,8% con gli estranei.
Ovviamente l’uso del dialetto differisce in relazione alle principali variabili come l’età, l’istruzione, il sesso, i ceti sociali, ecc. Gli anziani sono i più portati a parlare in dialetto e fanno da veicolo trainante per i giovani. A parità di altre condizioni, il dialetto è usato soltanto raramente con gli estranei e in situazioni pubbliche, sostanzialmente non ricorre in situazioni molto formali, è adoperato di preferenza in famiglia e con amici. Il dialetto, infine, può ritenersi tendenzialmente più vitale in provincia e meno in ambiente urbano. Se questo è il quadro generale, occorre però sottolineare l’esistenza di forti diversità da regione a regione. Solo il Veneto si rivela la regione d’Italia in cui il dialetto si parla più diffusamente.
Rispetto a qualche decennio fa, l’atteggiamento nei confronti del dialetto è cambiato, senza dimenticare che nel periodo fascista era addirittura proibito parlarlo. Oggi, la situazione è variata notevolmente poiché l’atteggiamento nei confronti del dialetto, per l’aumentata diffusione dell’istruzione, è più favorevole.
Secondo Luigi Andriani, dottorando di ricerca dell’Università di Cambridge e studioso del dialetto barese in particolare, in una intervista pubblicata sul “Giornale di Puglia”, ha dichiarato che «Una situazione di bilinguismo ‘consapevole’ contribuirebbe al potenziamento delle capacità cerebrali dei parlanti; tra le più utili (al giorno d’oggi), si farebbe meno fatica ad apprendere un’altra lingua (internazionale), perché già se ne gestiscono ‘consapevolmente’ (almeno) due. Se riuscissimo a implementare i risultati della ricerca scientifica nella quotidianità, potremmo dotare le nuove generazioni di una coscienza linguistica meno ‘prevenuta’ verso la lingua locale (trasmessa oralmente e, quindi, acquisita senza sforzo durante l’infanzia e, successivamente, rafforzata e ‘coltivata’ con l’aiuto di qualsiasi altro mezzo che ne diffonda e ne promuova l’uso). In poche parole, finiremmo per arricchirci in tutti i sensi, al contrario di quanto si è pensato (e insegnato) finora. Da un punto di vista esclusivamente personale, per me il barese è sinonimo di amici, famiglia (nonni soprattutto, dato che alla generazione dei miei genitori fu proibito l’uso del dialetto e, di riflesso, anche alla mia) e di tutto ciò che si ricollega alla mia città natale; in sintesi, barese è sinonimo di intimità».
Attualmente all’ampio panorama della produzione poetica, teatrale e letteraria del dialetto barese, si aggiunge anche quella religiosa attraverso le pubblicazioni più recenti sull’argomento, come “U Vangèle”, di Luigi Canonico (Stampa Pressup, Roma), “U Vangele alla manere de Marche veldate alla barese”, di Augusto Carbonara (Wip, Bari) o “Pregáme a la Barése”, del sottoscritto e Rosa Lettini Triggiani (Levante Bari).
Oggi pertanto il dialetto non è più sentito come la di lingua dei ceti bassi, simbolo di ignoranza e veicolo di svantaggio o esclusione sociale. Gli atteggiamenti nei suoi confronti, almeno in molte regioni, non sono più criticanti, come avveniva qualche decennio fa. Sapere e usare un dialetto, oggi, è spesso valutato positivamente, rappresenta, accanto all’italiano, una risorsa comunicativa in più di cui servirsi quando occorre e specie in virtù del suo potenziale espressivo. Insomma il dialetto è un arricchimento, non un impedimento. |
CELEBRATA LA GIORNATA NAZIONALE DEL DIALETTO"
CON LA "FESTA DEL DIALETTO BARESE"
Si è svolta, nella Sala Consigliare del Comune di Bari, il 16 gennaio, e nel Circolo Unione di Bari, il 17, la Festa Nazionale del Dialetto 2016, organizzata dal Comune di Bari (Assessorato Culture Turismo Marketing Territoriale e Sport e Commissione omonima, presieduta da Giuseppe Cascella), con coordinamento di Vito Signorile, direttore tecnico del Teatro Abeliano di Bari, in collaborazione con il Circolo Unione, presieduto da Giacomo Tomasicchio, insieme a 24 Associazioni che hanno aderito al progetto.
Sono intervenuti nella prima giornata: Vito Signorile che ha esposto il programma “oMaggio a Bari”, già illustrato in una precedente nota, Giuseppe Cascella, presidente della Commissione Culture Turismo e Marketing del Comune di Bari per i saluti ufficiali del Sindaco, a cui è seguita la canzone “Bari Mediterranea”, cantata da Tiziana Schiavarellli e Dante Marmone, quindi breve intervento di Vito Signorile che ha accennatoal progetto “oMaggio a Bari”, seguito dalla lettura della poesia “A le puete”, di Francesco Saverio Abbrescia, primo poeta dialettale barese, a cui è dedicato il premio poesia nella “Piedigrotta Barese”
Ji non zacce fa vijrs’all'andrasatte
nonzòpuète che llucaj e lla
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“OMAGGIO A BARI" UNA LODEVOLE INIZIATIVA DI VITO SIGNORILE"
Attualità / Bari / Cultura e Spettacoli / “Omaggio a Bari”, una lodevole iniziativa di Vito Signorile
Una meritoria iniziativa è quella intrapresa da Vito Signorile, direttore artistico del Teatro Abeliano di Bari, in favore della baresità e del dialetto barese, in occasione dei suoi 50 anni di attività artistica, in segno di riconoscenza verso Bari ed i baresi.
Signorile ha pensato di fare un “oMaggio” a Bari” in collaborazione con la Commissione Cultura del Comune di Bari, presieduta da Giuseppe Cascella, con idee e iniziative meritevoli di attenzione e collaborazione.
Bari, com’è noto, è ricca di Associazioni, Gruppi, Operatori Culturali, Artisti e Poeti, innamorati della città e dei suoi costumi, e pronti a sostenere sacrifici per l’affermazione della città, della sua lingua, delle sue tradizioni, ecc., meno pronti però ad unire le forze e le intelligenze, cosa che potrebbe apportare beneficio all’amata città. Bisogna constatare che nella nostra città, alcuni si sentono ‘depositari della verità’, preferendo l’autoreferenza e l’esclusione dell’altro.
Signorile alla luce di quanto sopra propone un progetto “inclusivo” che costringa a nuove abitudini e nuovi metodi di collaborazione, dando egli stesso l’esempio, organizzando nel foyer del suo teatro una mostra di libri relativi alla baresità e organizzando una conferenza con le associazioni culturali e di poeti, scrittori, commediografi, operatori, illustrando loro l’iniziativa e l’organizzazione di eventi e chiedendo nel contempo la fattiva collaborazione.
Egli, infatti, ha già previsto, in occasione della Festa Nazionale del Dialetto (16 gennaio) una serie di manifestazioni che prevedono incontri con le scolaresche, interventi sul dialetto, letture di poesie di grandi poeti dialettali, esibizione di cantanti e musicisti per rendere omaggio ai poeti baresi scomparsi. Inoltre ha previsto gli eventi “Versi alla luna”, la “Piedigrotta barese 2016” e, infine, il “Natale barese” con premiazione di presepi, mostra di libri sulla baresità, valorizzazione delle edicole votive e tante altre iniziative.
Il progetto merita ogni attenzione e collaborazione da parte di tutti (associazioni, artisti, poeti, case editrici, autori), nell’esclusivo interesse di valorizzare Bari, il suo dialetto e la sua cultura. |
LA PASTA TRA STORIA, TRADIZIONE E CULTURA
Un secolo prima di Cristo,
Cicerone e Orazio, sono
ghiotti di làgana (termine
che deriva dal greco laganoz da cui il latino làganum che designava una
schiacciata di farina, senza lievito, cotta
in acqua. La forma plurale làgana, invece,
indica strisce di pasta sottile, liscia o
leggermente ondulata, fatta di farina e
acqua, da cui derivano le nostre lasagne.
In un inventario relativo ad un’eredità,
stilato da un notaio nel 1279, si legge
testualmente, «una cestella piena di maccheroni ». Doveva certamente trattarsi di
pasta “secca”, fatto che avrebbe accreditato
la paternità ai cinesi. Aristofane,
commediografo greco, in una descrizione
di taglio gastronomico, accenna ad una
pasta che ricorda il raviolo.
Col termine “maccherone”, trovato
già in uno scritto del Basso Medio Evo,
si denominava in quel tempo ogni tipo di pasta, lunga e corta, mentre in Sicilia
si definivano maccarones le paste
ripiene che oggi chiamiamo ravioli.
Altre tracce ci portano in Medio Oriente
e pare possibile che la pasta seccata sia
di origine araba. Questa ipotesi è accreditata dai nomi
arabi itryia e fad attribuiti
ai fili di pasta di
forma cilindrica e ai
fidelini.
In terre
come la Sicilia e la
Spagna, che hanno
subito la dominazione
araba, l’uso dei due termini
continua, trasformati
in trii, fideli ed in tria e fidear. |
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Recentemente però è stato ritrovato
nella cittadina di Laja, vicino al
Fiume Giallo, il più antico
piatto di spaghetti: ha
infatti 4000 anni. Il
capo del gruppo degli
archeologi
dell’Accademia delle
Scienze di Pechino ha
dichiarato che: «La
pasta ritrovata assomiglia
molto agli spaghetti del
tipo La-Mian, realizzati secondo
una tecnica tradizionale cinese che consiste
nel tirare e allungare ripetutamente a
mano l’impasto».
Nel XVII secolo con Nel XVII secolo con la crescita
demografica e le
conseguenti necessità,
approfittando di una
piccola rivoluzione
tecnologica, la diffusione
della gramola e
l’invenzione del torchio
meccanico, si produce
pasta a prezzo conveniente. Nel XVIII secolo la
pasta veniva preparata impastando
la semola con i piedi, ma il Re
Ferdinando II non era contento e ingaggiò
un famoso ingegnere per migliorarne
il procedimento. Il nuovo sistema proposto consisteva nell’aggiungere acqua
bollente alla farina macinata fresca e al
subentro di una macchina fatta di bronzo
che imitava il lavoro dell’uomo.
Nel 1740 Venezia concede la licenza
per aprire il primo pastificio.
Nel 1763 il Duca di Parma,
concede a Stefano Lucciardi
di Sarzana il
diritto di privativa
per 10 anni, per la
produzione di pasta
secca nella città di
Parma.
Agli inizi dell’Ottocento
la pasta inizia ad
incontrare il pomodoro, ed il
matrimonio fu felice. Infatti, sino ad
allora la pasta era consumata senza condimento
o con il solo formaggio.
Ma l’uso del pomodoro
nella cucina italiana
avviene solo alla fine
dell’800, poiché fino a
quel momento il
pomodoro era considerato
pianta ornamentale
e, secondo
una leggenda dura a
morire, addirittura pianta
velenosa!
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Pellegrino Artusi, “inventore” della cucina italiana.
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Pietro Barilla nel 1877 apre a Parma un
negozio di pane e pasta: con un torchietto
di legno produce 50 kg di pasta al
giorno. Nel 1891 Pellegrino
Artusi “inventa” la cucina
italiana. Il suo celeberrimo
libro di ricette
diventa la bibbia
dei cuochi e la pasta
vi trova ampio spazio.
Nel XIX secolo i trafilai,
per movimentare il
mercato, cambiano le trafile
inventando nuovi e fantasiosi formati.
Con la rivoluzione tecnologica che
annovera l’invenzione della pressa meccanica
continua e si migliora così qualità
e igiene del prodotto.
Nel 1970, sempre a Parma, Barilla
inaugura quello che ancora oggi è il più
grande pastificio del mondo, mentre alla
fine degli anni ’70 si comincia a parlare
di “dieta mediterranea”.
L’arte della pasta si serve anche di piccoli
elementi fabbricati artigianalmente,
in geometrie difficilmente riscontrabili in
natura. |
I ziti (una particolare qualità di
pasta), prende il nome dalla donna che
va sposa, che a Napoli ed anche a Bari, è
chiamata zita. Si tratta della classica
pasta per il pranzo di nozze, ma per i
baresi i ziti rappresentavano anche la trafila
per il pranzo della domenica, i quali
dovevano essere rigorosamente spezzati
a mano (si tratta infatti di una pasta
lunga). I bucatini, invece, furono un
modo tutto romano di reinterpretare gli
spaghetti, mentre a fine ’800 i ditalini (o
tubettini) rigati furono chiamati anche
garibaldini.
Un discorso a parte va fatto per le
paste fresche che a Bari e in Puglia sono
rappresentate essenzialmente dalle orecchiette,
confezionate a mano con semola
di grano duro, acqua, “indice” e “pollice”.
E poi le orecchiette si sposano felicemente
con ragù, rape, cavoli, sugo alla
bolognese, pomodoro, mentre quelle più
grandi si possono riempire di carne tritata
e cotti in forno.
Oggi anche l’industria
si è impadronita di questa speciale pasta
che viene prodotta con apposite trafile,
ma è altra cosa.
La pasta, infine, rappresenta anche il
componente principale nella cosiddetta
dieta mediterranea. Per le sue caratteristiche
nutritive è ritenuta fondamentale
nelle moderne diete sportive, grazie alla
bassissima percentuale di grassi e alla
presenza di zuccheri composti in grado
di garantire un apporto di energia diluito
nel tempo. |
Giacomo Casanova in un quadro di Anton Raphael Mengs. Nella foto
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Ricerche della FAO (Food and
Agricultural Organization) hanno dimostrato
che un semplice piatto di pasta
condita con olio e formaggio rappresenta
un’alimentazione completa. Ciò è importante
perché dato il ridotto costo, la pasta,
almeno in Italia, rappresenta il piatto
principale per molte famiglie.
Infine, nel 1734 Giacomo Casanova
compose a Chioggia un sonetto in onore
dei maccheroni e ne fece una tal mangiata
che venne subito incoronato “Principe
dei Maccheroni”, mentre a Napoli quasi
contestualmente il popolo cantava:
" Chi mogliera vuol pigliare
E far buono il desinare,
Deve fare un calderon
Tutto pien di Maccheron. |
CAPODANNO: STORIA E CURIOSITA'
Capodanno, la festa più antica del mondo, non sempre è stato festeggiato nella notte di San Silvestro, come si scopre leggendo le origini nelle antiche civiltà
Solitamente per Natale si fa un gran parlare di presepi e alberi vi sono molte storie, canzoni, nenie, leggende, i bimbi scrivono letterine a Babbo Natale, che pian piano sta sostituendosi alla Befana, i commercianti stanno all’erta per «impadronirsi» delle tredicesime e così via. Del Capodanno se ne parla poco, ovvero si parla solo di cenone o di strenne (dal latino sträna «regalo di buon augurio»). Dono che si fa a parenti, amici, conoscenti, o che una ditta fa a clienti o a dipendenti, in occasione di festività annuali o speciali edizioni in veste pregevole e di contenuto ricercato, che gli editori stampano prima della festività di fine anno.
Ma come nasce la festa di Capodanno? I babilonesi festeggiavano il nuovo anno con la rinascita della Terra, cioè la primavera. Gli antichi romani continuarono a celebrare l’anno nuovo verso fine marzo, ma dal momento che il calendario era continuamente manomesso dai vari Imperatori, si scelse di sincronizzarlo con il sole. Fu Giulio Cesare nel 46 a.C. a creare il “Calendario Giuliano” che stabiliva che il nuovo anno iniziava il primo gennaio, giunto fino a noi.
I Babilonesi iniziarono a festeggiarlo circa 4000 anni fa. Ancora nel 2000 a.C., l’anno babilonese iniziava in coincidenza della prima luna nuova dopo l’equinozio di primavera.
I Celti, invece, seguendo un calendario agricolo e pastorale legato al ciclo delle stagioni, festeggiavano il capodanno in autunno, proprio nella notte in cui si festeggia l’odierna Halloween, per festeggiare il periodo dell’anno in cui la terra ha dato i suoi frutti e si prepara all’inverno. Anche celtica è l’odierna simbologia del vischio, che secondo la tradizione dona prolificità spirituale e materiale. Solo con l’adozione universale del calendario gregoriano (dal nome di papa Gregorio XIII, che lo ideò nel 1582), la data del 1° gennaio come inizio dell’anno divenne così universalmente riconosciuta.
Non ebbe successo, invece, il tentativo del governo fascista di imporre come Capodanno il 28 ottobre, data in cui avvenne nel 1922 la marcia su Roma.
Quali sono invece le usanze e le scaramanzie di capodanno? In Italia mangiamo lenticchie, indossiamo biancheria intima nuova con qualche capo rosso, ecc.
In Giappone si beve il sakè (bevanda alcolica derivante dalla fermentazione del riso) e si ascoltano 108 colpi di gong che preannunciano l’arrivo dell’anno. In Russia si apre la porta al 12° rintocco della mezzanotte per “far entrare l’anno nuovo”. In Spagna, infine, si mangiano 12 chicchi di uva allo scoccare della mezzanotte.
dal "Giornale di Puglia, quotidiano online di Cronaca Pugliese"
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VIAGGIO NELLE TRADIZIONI POPOLARI
Dopo il voluminoso “Dizionario del dialetto
di Trinitapoli” (Levante Editori), Grazia Stella
Elia, propone un’altra ponderosa pubblicazione, “Il
matrimonio e altre tradizioni popolari”, presentata
in elegante veste tipografica, per i tipi dello stesso Editore
(pagg. 480, euro 40).
Il volume, che si avvale dell’autorevole presentazione
di Manlio Cortelazzo, professore emerito dell’Università
di Padova, è una sorta di viaggio nelle tradizioni
popolari: i riti legati al matrimonio, alla Settimana Santa,
al Natale, al pellegrinaggio, alla nascita e alla morte, ai
proverbi, alle parole del mondo contadino ed ai costumi tradizionali. |
Sposi Grumo - Curci - 1956 |
Sposi Pistillo - Scarcella 1947 |
Sposa Angela Curci - 1956
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Lo scrupolo e la serietà dell’autrice non mancherà
certamente di richiamare l’attenzione di studiosi ed
estimatori del ricco patrimonio delle tradizioni popolari
a cui si aggiunge anche la interessante parte dialettale (poesie,
proverbi, detti, ecc., tutti con traduzione in lingua). Si,
quel dialetto del quali molti annunciano la sua agonia, ma
che sempre più prepotentemente emerge, dal momento
che esprime la vera genuinità, la naturalezza della
vita concreta, l’autentico soffrire e sentire di un
popolo, ma soprattutto è uno strumento che rafforza
la comunicazione.
Grazia Stella Elia, già docente, fondatrice del Gruppo
Folkloristico Teatrale di Trinitapoli, appassionata di poesia
in lingua e vernacolare, autrice di altre importanti pubblicazioni
(I racconti del focolare, Il cuore del paese, Le opere e i
giorni della memoria, La sapienza popolare di Trinitapoli),
evidenzia il suo particolare interesse di studio per le usanze
della sua terra, e non solo, dando al lavoro un taglio antropologico
piuttosto ampio, attraverso lo studio demologico di zone anche
molto lontane, attraverso indagini, ricerche e la consultazione
di numerosi testi, riportati puntualmente in bibliografia.
Il volume è così strutturato: il matrimonio
ieri e oggi, nel quale sono descritti i sistemi per combinare
i matrimoni, i matrimoni tra persone ricche e di media condizione
e tutte le formalità e gli atti utili alla definizione,
alla fuga d’amore, ai proverbi, alle superstizioni,
alle preghiere, al Santo delle donne (San Pasquale Bailonne),
ecc. Anche San Nicola di Bari è protagonista, dal momento
che è chiamato in causa quale protettore e intercessore
della buona sorte delle donne da marito. Un capitolo è
dedicato alla nascita di un bambino con tutto il corteo di
avvenimenti, a partire dalla gravidanza, al battesimo, alle
ninne nanne, alle dentizione, alla medicina popolare, ecc.
L’autrice ci dà qualche ragguaglio anche sulla
sua nascita.
Non mancano tradizioni popolari legate alla festa dei morti,
ai riti della morte e del cordoglio, ai pellegrinaggi, considerando
il notevole ruolo che vede la Puglia meta di pellegrini provenienti
da tutto il mondo per Padre Pio a San Giovanni Rotondo per
San Michele a Monte S. Angelo ed a Bari per San Nicola, tanto
per citare i più frequentati. |
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L’imponente rassegna si conclude con il Natale di ieri
e di oggi, la Quaresima, la Settimana Santa e la Pasqua di
Resurrezione con tutte le tradizioni e le usanze per queste
importanti festività.
Una ricca iconografia, una rassegna bibliografica e alcune
note bio-bibliografiche completano il grande lavoro svolto
dalla signora Elia.
Manlio Cortelazzo, che firma la presentazione, scrive che
«Il lavoro non è una mera elencazione di fatti,
per quanto interessante, avvenuti nel proprio paese, ma è
completato da un fitto tessuto di comparazioni, che si estendono
dalle località vicine a quelle regionali, e da queste
ai comportamenti nazionali…».
Ruggero Di Gennaro, sindaco di Trinitapoli, ringraziando l’autrice
si dice orgoglioso di esprimere la sua ammirazione ad una
donna di notevole cultura e sensibilità, dedicandosi
da decenni alla poesia, alla demologia, aggiungendo sempre
più tasselli al mosaico bibliografico locale, nel quale
occupa un posto di riguardo. |
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Non si può che condividere e complimentarsi con l’autrice
che lascia ai suoi concittadini, ai posteri, ma anche agli
studiosi di tradizioni e dialetti, un generoso, notevole e
chiaro contributo, finalizzato a conservare lo spirito della
vita quotidiana che li ha preceduti. Infatti, gioia di vivere,
amore per la famiglia, rispetto reciproco, lavoro, voglia
di lavorare e religiosità sono i motivi conduttori
di questa gradevolissima pubblicazione |
Da Barisera del 19 maggio 2008, pag. 19
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LA FESTA DI SAN ROCCO A CASAMASSIMA
Ogni anno si svolge a Casamassima (BA) la tradizionale festa
in onore di San Rocco da Montpellier, dedicata ai residenti
ed a coloro che giungono da ogni parte del mondo per la solenne
ricorrenza.
Ha così inizio una gara fatta di ricordi e di impressioni
indimenticabili legati alle bande musicali, alle luminarie,
ai palloni lanciati nel cielo, rivivendo con amici e parenti
fatti ed episodi legati al passato e commentando anche le
attività organizzative da parte dei Comitati delle
Feste.
Onofrio Mancini, già Maresciallo Maggiore dell’Esercito,
nato a Casamassima, ma residente a Ravenna, entra anche lui
in questa conversazione, ma in modo originale, pubblicando
per Levante Editori di Bari, il bel volume di grande formato
“Festa di San Rocco a Casamassima” (pagg. 203,
euro 29,95), nel quale sono riprodotti i manifesti dei programmi
svoltisi in cinquant’anni di festeggiamenti (1946-1996).
L’autore, legato da sempre al suo paese natio, propone
le riproduzioni fotografiche di tutti i manifesti ed i nominativi
dei componenti delle varie commissioni organizzatrici, nonché
le fotografie (50 in b/nero e 34 a colori), dei momenti più
significativi della Festa, corredate da ampie note storiche
scritte da Monsignor Sante Montanaro.
Mancini ha svolto un certosino e prezioso lavoro di ricerca
del materiale pubblicato e delle foto realizzate da egli stesso,
a testimoniare la sua devozione per il Santo protettore e
del suo grande amore per Casamassima. Egli utilizza la fotografia
con lo scopo non solo di dare testimonianza di un evento,
ma soprattutto per attestare la sua partecipazione culturale
ed emotiva all’evento stesso.
Tutto ciò sta a dimostrare l’attaccamento alle
tradizioni della propria città finalizzato a trasmetterlo
ai giovani, affinché tra le tante distrazioni, spesso
futili di questi tempi, possa risvegliare in loro un affetto
per tutto ciò che affonda le radici nel proprio passato,
riscoprendo valori non solo folcloristici ma anche spirituali.
Insomma, una storia “sacra” leggibile da tutti
perché fatta da tutti.
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LE FESTE IN ITALIA? UN PASSATEMPO
Per iniziativa del Gruppo Banca Nazionale del Lavoro e degli
Editori Laterza di Bari è stato pubblicato, a cura
di Valerio Castronovo, il quarto volume della collana “Album
Italiano”, una pubblicazione dedicata questa volta alle
feste, con una nota di Natalia Aspesi, iconografia di Pepa
Sparti e testi sulle feste di Maria Sole Panzanella (Editori
Laterza).
Il volume passa in rassegna feste di paesi e di città,
storiche e folcloriche, patronali, religiose e civili, antiche
e nuove.
Un suggestivo affresco ricco di immagini, alla riscoperta
dell’identità del nostro paese, delle sue tradizioni
e dei suoi costumi, ma anche delle sue più recenti
forme di aggregazione e di intrattenimento.
Valerio Castronovo, ordinario di Storia Contemporanea all’Università
di Torino, direttore della rivista di scienze e storia “Prometeo”
e autore di diverse opere, illustra nella pubblicazione le
numerose feste che si svolgono in ogni angolo d’Italia.
Manifestazioni che, a scadenze prestabilite, trasformano vie
e piazze in altrettanti palcoscenici policromi e cangianti
a cadenze prestabilite, il più delle volte fuori da
quelle previste dal calendario liturgico.
Il volume, ben illustrato, passa in rassegna feste, carnevali,
fiere e competizioni come il Palio di Siena, il Carnevale
di Viareggio, la Giostra della Quintana di Ascoli o il Calendimaggio
di Assisi, ma anche la Festa della Repubblica Italiana che,
sospesa nel 1977, è tornata in essere nel 2001 per
iniziativa del Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio
Ciampi, impegnato a rinsaldare il sentimento patriottico e
l’unità nazionale degli italiani.
Da sottolineare la suggestiva festa de “La Madonna che
scappa”, che si svolge a Sulmona, l’incontro tra
l’Addolorata e il Figlio risorto che sta a simboleggiare
il passaggio dalla morte alla vita; quella di S. Agata a Catania,
o quella di San Gennaro a Napoli o ancora quella di Santa
Rosa a Viterbo.
“Il massimo divertimento – come sostiene Natalia
Aspesi nella sua nota – sono ormai le feste, dedicate
a patroni o a ricorrenze storiche, in cui la massima offerta
è il cibo: dalla festa del gnocco a quella del salame
di cavallo o del formaggio di capra o del pesce fritto, il
tutto innaffiato con vini di dubbia qualità”.
Non mancano tavolate di mangioni, orchestrine scatenate, vendita
di articoli vari e perché no anche di ricami di pseudo-ricamatrici,
che importano biancheria dalla Cina.
Insomma, l’essenziale è divertirsi girovagando
tra ingorghi e mangiate a poco prezzo, non importa se prodotti
di provenienza non genuina, l’essenziale è partecipare
a un divertimento, far passare il tempo, soprattutto quando
si è in vacanza.
Una nota di demerito per il curatore della pubblicazione e
per l’editore (barese) che hanno dimenticato la sagra
di un Santo universale, quella di San Nicola di Bari.
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LA PROCESSIONE DEL VENERDÌ SANTO A
VALENZANO (BA)
Si svolge a Valenzano, in provincia di Bari, la processione
del venerdì Santo e Lino Angiuli ha voluto lasciare
ai posteri le memorie di questa sacra rappresentazione attraverso
il volume “La festa del dolore – La processione
del Venerdì Santo a Valenzano” (Edizioni Pagina,
euro 14,00).
«I riti del Venerdì Santo - scrive nella prefazione
il Sindaco di Valenzano, Nicola Tangorra - non sono un’esclusiva
di Valenzano; caratterizzano buona parte d’Italia, specie
quella meridionale di spagnoleggiante reminiscenza. Ma ciò
che rende, forse, unica la nostra processione è l’alto
numero dei Misteri (oggi quarantaquattro) e l’essere
quasi tutti appartenenti a privati cittadini».
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È dal 1671 che si svolge il Venerdì
Santo a Valenzano la processione dei Misteri, una tradizione
molto suggestiva e sentita, che inizia dall’Ultima
Cena per finire alla Esaltazione della Croce.
La processione che si svolge nelle vie cittadine, è
molto seguita, non solo dai valenzanesi, ma dai cittadini
di paesi e città limitrofe attratti dalla magnificenza
dei gruppi scultorei.
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Lino Angiuli, che non è nuovo a queste iniziative,
ha dedicato il volume ai paesani di ieri, oggi e domani. Tutto
ciò sta a significare il suo amore per la terra natia.
Egli, infatti, vive a Monopoli, ove dirige il Centro Regionale
dei Servizi Educativi e Culturali della Regione Puglia, nel
cui ambito ha promosso la pubblicazione di collane editoriali
dedicate alla valorizzazione del patrimonio culturale pugliese,
ma il suo cuore è sempre a Valenzano. Ha pubblicato
diverse raccolte di poesie, alcune in dialetto valenzanese
e monopolitano, collabora con diverse riviste e periodici,
tra i quali “Il Valentiniano”, che si pubblica
in Canada, destinato ai valenzanesi nel mondo.
La pubblicazione, che è un vero e proprio catalogo,
è diviso in schede (44), una per ogni gruppo scultoreo.
Per ogni scultura è indicato il nome del proprietario
originario e attuale, il luogo di conservazione, la data di
costruzione e l’autore, gli eventuali restauri eseguiti
e ciò che rappresenta l’opera. Non mancano i
riferimenti evangelici. Nella quarta pagina di copertina è
indicato anche il percorso attuale della processione.
Il volume presentato da Domenico Colonna, assessore alle politiche
culturali del Comune di Valenzano, oltre a quanto sopra, riporta
Letture di Vito Lozito, Francesco Calè, Vito Caringella
e Francesco Nuzzaco, alcuni canti e preghiere in dialetto
valenzanese e in lingua ed una serie di interviste. Una nutrita
bibliografia chiude il volume.
Non poteva mancare, l’introduzione di Lino Angiuli che,
tra l’altro, ringrazia «... i tanti amici che,
con generoso e partecipe slancio, hanno fattivamente e moralmente
collaborato per rendere possibile la realizzazione di un volume»,
che spera «incontrerà il favore di quanti vorranno
leggerlo dopo averlo sfogliato». Non si può che
condividere le aspettative dell’Autore poiché,
il volume, oltre ad essere presentato elegantemente e con
ottima veste editoriale, riporta le bellissime foto di Angelo
Saponara, da non perdere, e “Un po’ di storia”
a cura di Salvatore Camposeo.
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FRAMMENTI DI STORIA DELLE CONFRATERNITE
È stato presentato recentemente nell’ambito
delle attività culturali dell’Associazione “Luigi
Sturzo” di Conversano, un bel volume di grande formato
“Confraternite, Congreghe e Opere Pie di Conversano”
(edito da Arti Grafiche Scisci di Conversano, pag. 304, euro
15).
L’autore, Giuseppe Lovecchio, avvocato e magistrato
tributario, che ha all’attivo numerose altre pubblicazioni
dedicate ai suoi viaggi, a personaggi famosi e ad enti e istituzioni,
ha sempre finalizzato i suoi scritti con l’intento di
portare a conoscenza dei suoi concittadini storie poco note
o del tutto sconosciute. Questa volta ha voluto trattare,
nel suo volume, dell’associazionismo confraternale,
ponendo in evidenza il ruolo dinamico di queste istituzioni
costituite al fine di perseguire l’esercizio di pietà
e di carità, con una regolare organizzazione, e con
lo scopo di incrementare il culto.
Lovecchio in quest’opera, come nelle precedenti, narra
senza rigore scientifico, ma comunque attendibile sul piano
della ricerca storica, gli avvenimenti, che in un arco temporale
di quattro secoli (XVII-XX), hanno interessato la storia delle
confraternite e opere pie di Conversano, con la volontà
di suscitare nel lettore, la curiosità di conoscere
le proprie radici e le tradizioni culturali del proprio paese.
Inoltre, l’indagine mira a evidenziare la realizzazione
di luoghi e immagini attraverso i quali si esplica l’influenza
dell’associazione per orientare il culto e la devozione
non solo dei confratelli ma anche dei devoti.
Il volume, documentatissimo, in quanto riporta numerosi documenti
dell’epoca, tratta della legislazione civilistica e
di quella ecclesiastica delle confraternite, delle regole,
in particolare del fenomeno confraternale a Conversano, analizza
poi in dettaglio i regolamenti delle varie confraternite nelle
loro caratteristiche storiche e sociali, dal momento che i
loro scopi miravano, soprattutto alla devozione verso Santi
e Madonne, ma anche alla solidarietà umana ed al senso
religioso del vivere.
Bene ha fatto Lovecchio a dare ai suoi concittadini la possibilità
di rileggersi la storia delle Confraternite di Conversano
di quattro secoli prima, finalizzata a risvegliare nei più
anziani un interesse sulla storia delle secolari istituzioni
e di far maturare nei giovani, che sono destinati a raccogliere
in futuro la guida sociale, politica e religiosa della città,
i valori di solidarietà e di carità cristiana
che furono patrimonio dei nostri padri, ma soprattutto per
far recuperare la memoria storica, senza della quale non c’è
futuro.
Il volume può essere richiesto alle Arti Grafiche Scisci
di Conversano (080/49518289) o direttamente all’autore
(080/4957804).
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LA PUGLIA DEI PATRONI E DELLE FESTE PATRONALI
Il Centro Regionale dei Servizi Educativi
e Culturali di Monopoli (BA), ha pubblicato nell’anno
2000, in seconda edizione, il bel volume “Santi di Casa
Nostra” con il sottotitolo “La Puglia dei Patroni
e delle feste patronali” (Schena Editore).
Si tratta di una complessa indagine condotta da Lino Angiuli
nel variopinto, affascinante e ricco pianeta delle feste patronali
che in Puglia possono essere considerate «beni culturali
viventi» perché, svolgono la funzione religiosa
e restano espressione calda e profonda di un ricchissimo patrimonio
storico-antropologico.
Ricco non solo di fede, religiosità, storia, arte,
tradizione e mentalità, ma anche economico, se solo
si considera, ad esempio, che nel 1995 si sono mosse risorse
finanziarie intorno ai 1.800 miliardi di lire, pari a circa
700.000 giornate lavorative.
Affascinante, perché, un contatto non superficiale
con l’esuberante ritualità, caratterizza ancora
oggi il mondo delle feste patronali della Puglia in maniera
unica e irripetibile.
Variopinto, perché, attraverso la sua policromia, la
Puglia si riconferma luogo deputato agli incroci di civiltà,
agli scambi, laboratorio storico di multiculturalità,
al punto da dar ragione a chi si ostina a dire “Puglie”.
Il volume propone un censimento completo e ragionato di tutte
le feste che i 258 Comuni della Puglia dedicano annualmente
ai loro Patroni, arricchito con contributi specialistici,
materiali, strumenti di lettura e curiosità.
L’opera si divide in tre parti principali: lo schedario
Comune per Comune e Patrono per Patrono; ingrandimenti, nel
quale si parla della Madonna venuta dal Mare e si riferisce
a Maria SS. Della Madia, venerata a Monopoli, e al giovinetto
martire San Vito, venerato a Polignano a Mare (Ba), ove è
presente anche l’ex Abbazia dedicata al Santo.
Anna Maria Tripputi che firma il capitolo «Popoli e
Santi», sottolinea come «La religione popolare
va vista non tanto come “alternativa”, ma piuttosto
come prodotto storico complesso e dinamico tra ciò
che viene proposto dalla struttura religiosa ufficiale e ciò
che rappresenta le esigenze del popolo»
Infine, vi sono i contributi di molti qualificati autori (Gianni
Custodero, Vito Lozito, Antonio Maglio, Frasca, Domenico Matarrese,
Raffaele Nigro, Francesco Nicassio, Edoardo Novelli, Angelo
Saponara, Enzo Spera, Bianca Tragni).
Un libro-documento molto ben illustrato, con un elenco di
Santi e Madonne con l’indicazione del paese e del giorno
in cui si festeggiano, i Santi più richiesti, quelli
più rari e tante altre notizie utili per chi vuol sapere
sempre di più sui Santi, anche se delle case degli
altri.
I Santi più rari
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Santi Patroni della città
di Troja
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IL BEATO GIACOMO
TRA STORIA E LEGGENDA
Ogni anno a Bitetto (Ba), in occasione del festeggiamenti
in onore del Beato Giacomo nato a Zara intorno al 1400, si
rinnova l’appuntamento per quanti in Italia e all’estero
guardano al Beato come proprio protettore e benefattore. Infatti
la festa, che dura tre giorni, vede la città trasformata
in punto di ritrovo per i fedeli.
Per l’occasione la cittadina diventa per qualche giorno
scenario d’altri tempi. Viene allestito per l’occasione
un mercato medievale con botteghe, taverne all’aperto,
sellai, stagnini, venditori che offrono i prodotti della terra
e, alla fine della manifestazione, l’espositore più
fedele alla realtà storica, vince il Palio che conserverà
fino al prossimo anno.
«Bitetto, storia e leggenda» rappresenta appunto
la rievocazione storica medievale organizzata dalla Associazione
Pro Loco Juvenilia Vitetum, nella città del Beato Giacomo,
quel frate poverello che per tanti anni ha fatto la questua
col caldo e col freddo confortando con tanto amore afflitti
e ammalati.
Il 25 aprile si svolge il mercato medievale dislocato per
le vie del centro storico, ove venditori di prodotti relativi
alla cultura alimentare del tempo, insieme a cantastorie,
giullari e giocolieri animano la scena, dando la possibilità
ai visitatori di indossare un costume e di partecipare attivamente
alla manifestazione.
Il primo maggio è dedicato, invece, al Corteo storico,
rievocativo del ringraziamento del Duca Andrea Matteo Acquaviva,
Conte di Conversano e Duca d’Atri, a Frà Giacomo
Varingez, questuante, ortolano e cuciniere. Il Duca Acquaviva,
che fu un uomo dalle mille attività, si presentava
come esperto d’armi, uomo spietato e dedito ad accumulare
ricchezze, uomo molto religioso, figlio premuroso,
marito affettuoso, ma anche torturatore e giustiziere verso
coloro che non accettavano il suo dominio.
Egli partecipò alla congiura del 1485 che vide quasi
tutti i Baroni contro il Re Ferdinando, che aveva ridotto
drasticamente i privilegi dei nobili e imposto nuove tasse
per finanziare le guerre che vedevano coinvolto il Regno.
Quando Alfonso, figlio del Re e Duca di Calabria gli diede
la caccia, Andrea Matteo Acquaviva si rivolse umilmente a
Frà Giacomo per avere consigli. Il Frate, puntualmente
suggerì il da farsi e predisse anche che sarebbe stato
padre.
I costumi utilizzati sono stati disegnati e realizzati dalla
prof.ssa Rita Faure in collaborazione con un gruppo di studenti
dell’Accademia di Belle Arti di Bari ed esprimono le
contraddizioni sociali dell’epoca: il fasto della nobiltà,
la discrezione della borghesia, la semplicità dei popolani.
Il 3 maggio, invece, è dedicato alla Cena con il Duca,
ambientata in una suggestiva taverna del borgo antico, tra
archi di verdure e trionfi di stoviglie, ove si partecipa
ad un banchetto rinascimentale in onore del Duca, durante
il quale gli ospiti siederanno a tavola con la nobile famiglia
per degustare un autentico menu dell’epoca, allietati
dalle esibizioni dei giocolieri e da una buona musica medievale.
Alla suggestiva cena tutti possono partecipare.
Le foto sono di Vittorio Polito
dello stesso Autore:
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