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COLLABORAZIONI
In questo Settore vengono riportate notizie
e immagini fornite da altri redattori.
Nello specifico, il presente articolo è stato realizzato
dal Prof. Renzo Barbattini dell'Università
di Udine, che ha fornito anche le immagini.
Tutti gli articoli degli altri Settori sono state realizzati
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"N.B.: L'Autore prescrive
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esplicitamente per esteso il lavoro originale (Autore, Titolo,
Periodico) ."
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LE API NELL'ARTE DEL SETTECENTO E DELL'OTTOCENTO
(parte I)
Renzo Barbattini*
e Giuseppe Bergamini**
*Dipartimento di Biologia
e Protezione delle Piante
Università di Udine
**Museo Diocesano e Gallerie del Tiepolo - Udine
Questa puntata, che tratta il periodo tra Sette e Ottocento,
particolarmente significativo per la storia mondiale, non può
non sentire il fascino di quell’eccezionale protagonista dei destini
del mondo, il corso Napoleone Buonaparte che scelse le api
come simbolo per il proprio manto, per cercare una legittimazione
al proprio potere rinviando in tal modo alle antiche origini
dei monarchi francesi.
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TRA SETTE E OTTOCENTO
In Francia nella prima metà del Settecento,
come evoluzione e, per certi
versi esasperazione, dell’arte visiva del
tardo-barocco, si sviluppò uno stile ornamentale
denominato rococò (1). Si caratterizza
per la grande eleganza e la
sfarzosità delle forme (volute, spirali,
ondulazioni ramificate in riccioli, leggiadri
arabeschi floreali, forme sinuose
e complesse) che raggiunse esiti pregevoli
soprattutto nelle decorazioni, nell’arredamento, nella moda e nella
produzione d’oggetti. Benché fosse
privo di una propria teoria estetica, il
rococò si diffuse come esperienza a livello
europeo con realizzazioni dominate
da un gusto comune che si può
riassumere nell’aspirazione alla grazia,
alla raffinatezza, ma anche al fantastico,
al pittoresco, all’esuberante. La
differenza tra barocco e rococò è spesso
difficile da definire in quanto apparati
formali e decorativi convivono per
molti versi simili in entrambi.
Ciò è
visibile non soltanto nella scelta dei
temi da raffigurare, per la maggior
parte derivanti dall’arte classica e dal
mondo della mitologia greca, ma soprattutto
nella resa degli episodi stessi.
Questi, infatti, sono ricreati sulla tela
secondo un’ottica narrativa in grado di
rasserenare l’animo dell’osservatore.
Da qui la scelta di un’arte fresca, spontanea,
perfino dolce, dal carattere di
immediatezza visiva e di sensualità formale,
un’arte che diventa tipica espressione
della classe sociale borghese
allora in ascesa.
Sia in pittura che in scultura si rileva
l’abbandono dei toni grandiosi, delle
proporzioni maestose in favore di soggetti
più leggeri e piacevoli, di dimensioni
minute e raffinate, di colori ariosi
e la valorizzazione delle arti minori
(mobili, specchi, arazzi eccetera) che
vivono in questo periodo la loro
grande stagione.
Intorno alla metà del XVIII secolo lo
stile rococò cede il posto al nascente
neoclassicismo che tuttavia si affermerà
pienamente solo nel periodo che va
dagli ultimi decenni del Settecento
(1789, scoppio della Rivoluzione
Francese) ai primi dell’Ottocento
(1821, morte di Napoleone).
Fenomeno complesso, motivato da
trasformazioni radicali di carattere
socio economico e politico, anche per
effetto delle importanti scoperte archeologiche e dei relativi studi, esso
propose un nuovo modo di vedere e
valutare l’arte classica non già per reinterpretarla
come nel Rinascimento,
ma per farla oggetto di erudita indagine
critica.
Il neoclassicismo richiama tuttavia immediata
alla memoria l’età napoleonica
che ne fece lo stile ufficiale
dell’impero, espressione del potere.
Napoleone fu ammiratore delle api
araldiche che usò a profusione nella
propria simbologia imperiale, tanto
che il suo manto - così come altri simboli
- n’è cosparso. Quando l’Imperatore
dei Francesi andò in esilio
all’Elba, scelse le api per la bandiera
del nuovo piccolo possedimento
(“d’argento alla banda di rosso caricata
di tre api d’oro nel senso della pezza”).
Se ne trova traccia negli stemmi di alcuni
comuni dell’isola e in quello della
provincia di Livorno. L’origine di questo
sua preferenza non è chiara: certo
le api alludono anche in questo caso
alla laboriosità e ad altre virtù civiche;
verosimilmente il Bonaparte le scelse
anche in ossequio a una vecchia leggenda.
Alcuni eruditi avevano infatti ipotizzato
che lo stemma reale francese (caratterizzato
dai gigli d’oro o fleurs de
Lys) fosse stato adottato come emblema
principale dei re col battesimo
del merovingio Clodoveo, i cui predecessori
- quando erano
ancora pagani - l'avrebbero portato come insegna
precedentementere api (2)
I tre gigli avrebbero dunque sostituito
come simbolo cristiano e mariano le
api pagane. Simile sarebbe, però, rimasta
la struttura grafica dello
stemma: del resto il giglio araldico, se
lo si guarda da lontano, può ricordare
effettivamente
un’ape ad ali
aperte, vista dal
dorso.
Napoleone
avrebbe dunque
inteso riallacciarsi
ai primi re della
Francia, per legittimare
il suo potere.
Napoleone
estese l’uso delle
api, come insegna
araldica, per
decreto anche alle
bonnes villes (3)
dell’Impero: tutte
erano provviste
di stemmi con un
capo (ossia la striscia
orizzontale
superiore dello
scudo) rosso con
tre api d’oro.
A Firenze venne
addirittura sostituito
il tradizionale
giglio rosso con un vero e proprio “giaggiolo” sormontato dalle api d’ordinanza.
Resta il fatto che, al posto dei
gigli dei Borbone, Napoleone adottò
come emblema personale le api, simbolo
d’immortalità e resurrezione.
L’ispirazione gli era venuta ricordando
l’effettiva scoperta nella tomba del re
merovingio Childerico I, a Tournai,
nel 1653 di numerose d’api d’oro
(qualcuno dice però si tratti di cicale:
simbolo d’origine orientale d’immortalità,
per via della muta). Dal momento
che Childerico fu il fondatore
della dinastia merovingia, le api furono
considerate il più antico emblema
dei sovrani francesi. Allo stesso
tempo, le api rappresentavano l’industriosità
dei cittadini dell’Impero, che
fedelmente lavoravano per il loro imperatore. Successivamente le originali
api stilizzate sono state poi interpretate
come “gigli” per sottolineare la speciale
protezione della Vergine sui re di
Francia. Secondo un’altra leggenda,
creata artatamente, il re dei Franchi
Clodoveo I (Clovis, 481-511) avrebbe
ricevuto il giglio direttamente da un
angelo poco prima di essere battezzato
e incoronato a Reims.
Storicamente però solo nel 1179 i gigli
sono stati adottati come emblema dei
Re di Francia, verosimilmente per il
simbolismo che rimanda alla purezza,
e anche per la similitudine con lo scettro
reale.
Napoleone Bonaparte, forse non inconsapevolmente,
scelse le api come
simbolo per il proprio manto (e per gli
stemmi delle città): per cercare una “legittimazione” al proprio potere, rinviando
alle antiche origini dei monarchi
francesi. Le api “napoleoniche”
sono presenti nell’architettura (come
ad esempio nel bel fregio della Villa
San Martino a Portoferraio, nel quale
si alternano api e altri simboli allegorici),
nei lussuosi abiti (“robe”) di parata,
nell’Araldica (sia civica che
nobiliare), nell’arredo e nell’oggettistica
in generale, abbinate o meno all’aquila
dell’Impero Francese (adottata
nella forma “posata” a volo chiuso,
simbolo di fermezza e d’equilibrio del
potere): tutto questo apparato vuole
richiamare altresì gli imperatori per eccellenza,
quelli romani, con un chiaro
intento propagandistico.
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IL ' 700
Fig. 1 - Boucher F. (1703-1770) -
Sylvie
guérit Phillis de la piqure d’une abeille
Museo Banque de France, Parigi. |
FRANÇOIS BOUCHER
Pittore, incisore francese (nato nel
1703 a Parigi e morto nel 1770 a Parigi),
rappresentante del gusto raffinato
ed elegante del rococò, François
Boucher operò alla corte di Luigi XV.
Preferì temi mitologici e galanti.
Della ricca produzione di quest’artista
si presenta il dipinto"
Sylvie guérit Phillis
de la piqure d’une abeille"
(Museo della
Banque de France, Paris)
significativo esempio
del gusto artistico dell’età dei lumi.
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Fig. 2 - Feuchtmayer J.A.
(1696-1770)
Assaggiatore di miele
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JOSEPH ANTON FEUCHTMAYER
Joseph Anton Feuchtmayer, noto
anche come Feichtmair e Feichtmayer
(1696, Linz - 1770, Mimmenhausen
di Salem) fu un versatile scultore che
utilizzò, con successo, la tecnica dello
stucco, dedicandosi anche alla costruzione
di altari e all’incisione su rame.§
Operò soprattutto nella zona intorno
al lago di Costanza, nella Germania
meridionale ma anche in Svizzera.
Testimone della sua abilità è la scultura Assaggiatore di miele nel
Santuario di Birnau (Uhldingen-Mühlhofen,
regione Baden-Württemberg),
situato su una piccola altura
presso il lago di Costanza.
Il putto
porta, divertito, l’indice sinistro alle
labbra, mentre con la mano destra
regge un bugno rustico. Sulle sue morbide
forme corporee, la luce gioca creando
chiari riflessi.
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JOSEPH SEBASTIAN
E JOHANN BAPTIST KLAUBER
I fratelli Klauber (1710-1768; 1712 -
1787) appartenevano a una nota famiglia
d’incisori di Augsburg (Augusta),
capoluogo della Svevia, in Germania.
Della loro vasta produzione si riportano
due incisioni.
La fig. 3 riproduce un’immagine di
san Bernardo di Chiaravalle (4) cui fu
dato l’appellativo di doctor mellifluus
(dottore fluente come il miele) non
solo per la sue capacità oratorie ma
anche per lo stile raffinato dei suoi
scritti. San Bernardo è rappresentato
orante, di fronte al Crocefisso e con un
grandissimo alveare alle spalle: numerose
api volano intorno a un roseto
posto accanto. Quest’immagine, realizzata
per le abbazie cistercensi, faceva
parte di una serie di ritratti di santi ed è conservata presso il Museo Diocesano
di Bressanone.
La fig. 4 è tratta dal catalogo In praesepio
Immagini della natività nelle incisioni
dei secoli XVI-XIX, Biblioteca
Casanatense, Roma 19875; si tratta di
una Adorazione dei magi e riporta in
alto l’iscrizione Christus a Regibus adoratur
(Cristo è adorato dai Re) con rimando
al Vangelo di Matteo 2,11.
Realizzata su disegno di Gottfried Bernhard
Goez (Augsburg, 1708-1771),
l’incisione è ricca di dettagli, al di
sopra e al di sotto della raffigurazione.
In basso si legge: Angusto tuguri tecto
coluere iacentem Reges, et puero regia
dona ferunt. Quid tibi dem, coeli solio
regale micanti? Cor petis: et nondum
quod petis, obtineas? (I Re lo adorano
giacente, posto in una piccola capanna,
e portano al bambino i doni regali.
Che cosa posso dare a te, che rifulgi
sul trono regale del cielo? Desideri
il cuore: e non puoi ancora
ottenere ciò che desideri?).
Nella parte superiore, si vedono tre
emblemi circondati da cartigli. In
quello di sinistra c’è un’arnia di paglia,
attorno cui volano numerose api operaie;
nel cartiglio, il motto Excipiunt
natum regem (S’inchinano al neonato
Re). Questa didascalia potrebbe alludere
alle api operaie che accettano la
regina, o la nuova regina, o che sciamano
con una regina (fino al 1500 -
1600 si pensava che l’ape regina fosse
un re) (6). Implicita sarebbe la similitudine
con i re Magi che giungono dal
loro paese, per adorare il nuovo Re,
Gesù Cristo.
Al centro, nel cartiglio si legge Soli
substerno coronam (Sottomettono la
corona al Sole), e sulla destra A tenero
diadema (Per mezzo di un giovane diadema),
espressioni che alludono a Cristo,
qui indicato come Sole, in
riferimento al titolo “Sole di giustizia”
introdotto dai Padri della Chiesa per
indicare Gesù, fonte di Luce eterna.
Egli, Bambino, viene onorato con la
corona regale, offerta appunto dai
Magi, i sapienti giunti dal lontano
Oriente alla ricerca di Colui che i profeti
avevano annunciato, germoglio
della stirpe di Davide, virgulto del popolo
di Israele.
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Fig. 3 - Joseph Sebastian e Johann Baptist Klauber - Incisione
(XVIII secolo) con San Bernardo di Chiaravalle, (Bressanone, Museo
Diocesano).
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Fig. 4 - Joseph Sebastian e Johann Baptist
Klauber
- Incisione (XVIII secolo), Adorazione
dei Magi,
Biblioteca Casanatense
(Roma)
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L'800
Fig. 5 - Anonimo, 1821 - Incisione “acquarellata”
Le travail. In La Minerve des
Dames, Le Fuel, Paris.
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ANONIMO
Nel 1821 la casa editrice Le Fuel di Parigi
pubblicò La Minerve des Dames. Questo volume racchiude una raccolta
di 28 lastre incise e finemente “acquarellate”
riportanti allegorie che caratterizzano
le virtù, i vizi, le passioni, la
scienza e le stagioni. Tra queste ve n’è
una dedicata al “lavoro” (le travail )
(fig. 5) (7).
Essa è una raffigurazione
emblematica
del lavoro
in cui si intrecciano
i simboli
dell’industriosità
(le api), della costruzione
solida e
ordinata (l’arnia),
del lavoro dei
campi (la falce e
la pala), del raccolto
abbondante
(i grappoli d’uva
e le spighe), del
metodo e della
rettitudine (il
compasso e la
squadra composta
da due regoli
uniti ad angolo
retto).
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VINCENZO
BALDACCI
A causa della prematura morte (avvenuta
nel 1813), pochissime sono le
notizie relative a Vincenzo Baldacci.
Considerate la propensione alla pittura
e l’apprezzabile abilità tecnica, il
Comune di Cesena sovvenzionò il soggiorno
del giovane Vincenzo a Roma affinché potesse studiare presso l’Accademia
di San Luca.
Di quest’artista cesenate si riporta il
Ritratto di Napoleone Bonaparte (fig.
6), datata agli inizi del sec. XIX e presente
nella Pinacoteca del Comune di
Cesena. L’Imperatore, ritratto a tre
quarti, in piedi con il corpo leggermente
flesso verso lo scettro, porta sul
capo una corona d’alloro e indossa una
tunica bianca e un mantello di velluto
rosso ricamato con api d’oro e foderato
con pelliccia d’ermellino.
Sullo sfondo scuro e uniforme, che dà
maggior risalto al personaggio, si vede
a sinistra in basso il globo crociato
posto su un cuscino e a destra lo schienale
di una sedia.
L’autorità e il potere di Bonaparte
sono espressi attraverso tutti questi
simboli, veri e propri attributi iconografici
del personaggio, e tramite l’impostazione
frontale, lo sguardo fisso e
l’austerità del volto.
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Fig. 6 - Vincenzo Baldacci -
Ritratto di Napoleone Bonaparte
Pinacoteca del Comune di Cesena
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PARTE SECONDA
Il nostro percorso alla ricerca dell’ape nel mondo dell’arte
e della cultura è arrivato al periodo tra il XVIII e il XIX secolo.
In questa puntata (la prima parte è uscita sul numero di gennaio)
gli autori ci presentano alcuni interessanti esempi di figurazioni
apistiche in diversi campi: dall’arte applicata, alla tipografia,
passando anche per l’abbigliamento, con particolare riferimento
agli abiti da parata napoleonici.
Probabilmente è ispirandosi a questi ultimi che lo stilista Balmain
faceva ricamare delle api sui corsetti e le guepière (da cui il detto,
improprio, di “vitino di vespa”)
JACQUES LOUIS DAVID
Pittore francese (Parigi, 30 agosto
1748 - Bruxelles 29 dicembre 1825) è
l’esponente più importante del movimento
neoclassico: con lui nasce la pittura
di storia, intesa non solo a narrare
ma anche ad esaltare e stimolare le
virtù civili attraverso i grandi esempi
dell’antichità romana.
David fu scelto
da Napoleone perché immortalasse la
gloria del suo dominio imperiale, dipingendo
tra il 1805-07, l’enorme tela
con L’incoronazione di Napoleone e
Giuseppina (fig. 7) (8).
Il modello classico a cui David si riferisce è Augusto, primo imperatore romano,
esaltato come il creatore di un
lungo periodo di pace, successivo alle
guerre civili. Non è casuale il fatto che
Napoleone avesse adottato, in occasione
della sua incoronazione ad imperatore
dei francesi, la corona degli
imperatori romani. Da allora, come
tutti i monarchi, fu chiamato col solo
nome di battesimo.
Anche se la cerimonia si svolse alla
presenza di papa Pio VII, fatto arrivare
appositamente a Parigi, non fu il pontefice
a porre sulla testa del sovrano il
simbolo dell’Impero: Napoleone s’incoronò
da solo, a significare che non riconosceva
alla Chiesa nessuna autorità
sulla sua persona. Poi incoronò
Giuseppina (Joséphine de Beauharnais),
la sua prima moglie (fig. 8).
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Fig. 7 (sinistra) - Jacques Louis David (1748-1825) - L’incoronazione di Napoleone e Giuseppina, 1805-07, Museo del Louvre (Parigi).
Fig. 8 (destra) - Jacques Louis David (1748-1825) - L’incoronazione di Napoleone e Giuseppina, particolare.
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FRANÇOIS GÉRARD
François Pascal Simon Gérard (Roma, 4 maggio 1770 - Parigi, 11
gennaio 1837) fu allievo di J. L. David,
la cui lezione si ritrova nel ritratto dell’Imperatore
Napoleone, realizzato nel
1805 (fig. 9).
L’arte celebrativa tipica di questo periodo è caratterizzata, in generale, da
un realismo quasi “fotografico” che
unisce una tecnica raffinata al linguaggio
dell’arte monumentale antica.
Le fonti d’ispirazione sono gli “antichi”:
gli artisti dell’epoca, Gérard compreso,
si rifanno alla statuaria greca e
romana, realizzando però non sculture
ma tele di grande dimensione destinate
alle regge e alle sedi del potere.
D’altra parte l’intenzione è proprio
quella di “divinizzare” i personaggi ritratti,
di legittimarne il ruolo autocratico
e di farli assurgere all’empireo
della fama e della gloria: ciò vale tanto
per Napoleone quanto per altri regnanti,
ad esempio gli Asburgo. Gli stessi simboli, presi direttamente
dal pantheon classico, rafforzano quest’intenzione
propagandistica e cercano
il legame di continuità (spesso solo simbolica)
con l’Impero Romano.
Ne risulta
un intrigante contrasto tra le pose
ieratiche e la forza
dei tratti somatici,
con esiti spesso
ammirevoli.
Nel quadro di Gérard,
Napoleone
indossa un abito
che richiama
quello degli imperatori
romani:
il bianco è quello
del Pontifex maximus
(massima carica
religiosa nella
antica Roma) e
così anche il colore
rosso-porpora
del manto (9).
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Fig. 9 - François Gérard (1770-1837) -
L’Imperatore Napoleone,
1805.
Deutsches Historisches Museum (Berlin). |
LA
TIPOGRAFIA
DI ALVISOPOLI
Nel territorio di
Portogruaro, che
fino al 1838 fece
parte della “Patria
del Friuli” (dal 1420 soggetta alla serenissima
Repubblica di Venezia) la nobile
famiglia veneta dei Mocenigo
possedeva una vasta campagna che alla
fine del Settecento andò via via bonificando
dalla malaria e tramutando in una moderna azienda, comprendente
anche estese risaie.
Il promotore più attivo di quest’opera
di risanamento ambientale e riordino
fondiario fu Alvise Mocenigo, ultimo
luogotenente generale della Patria del
Friuli, che ebbe l’idea di trasformare la
povera borgata di Mulinat (in comune
di Fossalta) in un attivo e fiorente centro
industriale, cui diede il pomposo
nome di Alvisopoli.
Riuscì soltanto in minima parte a realizzare
il progetto di creare una Città -
di cui però vediamo ancora i resti - che
voleva dotare delle infrastrutture necessarie
intorno alla villa padronale e alle
case coloniche: edificò due scuole e
altri edifici di pubblica utilità (biblioteca,
locanda eccetera).
Passata la Repubblica di Venezia (e
quindi anche la Patria del Friuli) alla
Francia con la Pace di Presburgo, Napoleone
affidò ad Alvise Mocenigo il
compito di reggere, come prefetto, il
dipartimento dell’Agogna (Novara) e
nel 1811 lo nominò senatore del
Regno d’Italia.
Nel 1810 il Mocenigo
impiantò in Alvisopoli una tipografia
la cui direzione affidò a Nicolò Bettoni,
geniale ed esperto manager editoriale
che in pochi anni stampò
numerosissimi libri, in eleganti caratteri
e su carta di filo. Nel frontespizio
del primo opuscolo stampato, sotto il
titolo collocò una piccola incisione
raffigurante un’ape, che era l’insegna
imperiale adottata da Napoleone, con
il motto: utile dulci.
L’ape caratterizza
tutti i libri stampati in Alvisopoli, il
più noto dei quali è il poemetto del
poeta e scrittore Vincenzo Monti (Alfonsine,
19 febbraio 1754 - Milano,
13 ottobre 1828) intitolato “Api Panacridi
in Alvisopoli” (fig. 10).
Come scrive Giovanni Comelli, sono
dette panacridi le api che il poeta immagina
provenienti dal monte Ida,
detto anche Panacride, in Creta e insediatesi
in Alvisopoli per poi volare festosamente
presso la culla del re di
Roma per deporre“sul porporino labbro
dell’augusto pargolo”,
quest’aureo miele etereo
sul timo e le viole
dell’aprica Alvisopoli
còlto al levar del sole:
quello stesso nettare che le “caste api
panacridi” avevano fornito per nutrire
il neonato Giove.
Nel 1988 la Società di Storia di Portogruaro
(VE) ha riproposto in edizione
anastatica il saggio di Amoretti intitolato“Coltivazione delle api”, pubblicato
in Alvisopoli nel 1811 (fig. 11).
Da questo raro scritto, interessante sia
per l’apicotore sia per lo studioso di
storia locale, è tratta la tavola di (fig. 12).
In essa sono rappresentate, con notevole
maestria pittorica:
- due esempi di arnie orizzontali;
- gli adulti delle due dannose “tarme”
della cera: Galleria mellonella e
Achroia grisella;
- un “pigliasciami”;
- due esempi di “affumicatore”;
- la celeberrima predatrice di miele“sfinge testa di morto”: Acherontia
atropos.
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Fig. 10 - Tipografia di Alvisopoli (1811),
Vincenzo Monti
- Api Panacridi in Alvisopoli,
Società di Storia di Portogruaro (VE).
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Fig. 11 - Tipografia di Alvisopoli (1811),
Amoretti -
Coltivazione delle api. Società
di Storia di Portogruaro (VE). |
Fig. 12 - Tipografia di Alvisopoli (1811), Amoretti
- Coltivazione delle api. Società
di Storia di Portogruaro (VE). |
JAMES JOSEPH
JACQUES TISSOT
Fig. 13 - Jacques Tissot (1836 - 1902) - Festività (Il pic-nic), 1876, (collezione privata). |
Di questo pittore e incisore francese
(nato a Nantes il 15/10/1836 e morto
a Chenecey-Buillon l’8/8/1902) si riporta
l’olio su tela Festività (chiamato
anche Il pic-nic del 1876 (fig. 13).
L’immagine è tratta da un volume allegato
agli atti del XXXIX Congresso di Apimondia
tenutosi nel 2005 a Dublino
(Irlanda). Il picnic rappresentato prevede,
molto probabilmente, tè, con
torta, dolcificato col miele.
Il miele,
infatti, può essere consumato come
tale, a colazione e a merenda, come
dolcificante delle bevande (tè, latte, tisane,
succo di limone e di arancio,
caffè, bevande alcoliche).
Si accoppia, oltre che con tutti i tipi di
pane, anche con la frutta, lo yogurt, il
burro e molti formaggi (ricotta, pecorino,
parmigiano, per citarne alcuni).
E’ doverosa una nota fitopatologica: la
colazione è consumata sotto ad alcuni
ippocastani dalle foglie fortemente decolorate,
molto probabilmente infestate
dall’antracnosi dell’ippocastano
(Guignardia aesculi ). (10)
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FEODOR ALEXANDRIVICH
VASILYEV
Fig. 14 - Feodor Alexandrivich Vasilyev (1850-1873) - Apiary. The Russian Museum
(San Pietroburgo, Russia) |
Fu uno dei più importanti pittori
russi dell’800. Questo pittore (1850-1873) ha introdotto nell’arte pittorica
russa uno stile lirico nel rappresentare
i paesaggi.
Nonostante sia morto in giovane età,hanno fortemente influenzato i pittori
russi della generazione successiva alla
sua, amanti della riproduzione di paesaggi.
Della sua ricca produzione si
cita l’acquarello Apiario (fig. 14) conservato
al The Russian Museum di San
Pietroburgo.
In esso spiccano alcuni bugni rustici
in un contesto rurale raffigurato con
tratto sicuro e con molta immediatezza;
la scena, con i suoi colori piuttosto
uniformi, sembra evocare il
periodo autunnale e in qualche misura
l’inattività, il riposo, se non anche la
trascuratezza e l’abbandono propri
della stagione. I ritmi della natura,
l’ineluttabile volgere delle stagioni e
l’intrecciarsi di queste con l’operosità
umana, quasi traspaiono, in filigrana,
come suggestioni che il giovanissimo
artista ha percepito e ci ha trasmesso: è questa, forse, la giusta chiave di lettura
di un’opera velata da un senso di
mestizia unitamente all’emozione
della simbiosi tra uomo e natura.
Il lirismo
che la pervade sembra ricordare
in qualche modo certe esperienze e
correnti pittoriche e letterarie proprie
del Romanticismo.
Il quadro ha una forte componente lirica
e poetica, accentuata anche dalla
tecnica pittorica che l’artista ha scelto
per rappresentare il soggetto. I bugni
sono inseriti in un contesto bucolico;
nel quadro si intravede, infatti, una
casa, un bosco e i bugni.
Questi ultimi rappresentano, probabilmente,
il tramite tra l’uomo e la
natura.
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RINGRAZIAMENTI
Desideriamo ringraziare il dottor Alberto
Dal Moro (Portogruaro, VE), il
professor Franco Frilli, la dottoressa
Laura Fortunato e la dottoressa Iris
Bernardinelli (Università di Udine),
il compianto dottor Fugazza (già direttore
della Galleria d’Arte Moderna
Ricci Oddi di Piacenza), Massimo
Ghirardi del Comune di Reggio Emilia
(www.araldicacivica.it), Giovanni
Miani (Udine), il dottor Rinaldo Nicoli
Aldini (Università Cattolica di
Piacenza) per la collaborazione prestata.
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NOTE
(1) Il termine rococò ha una connotazione dispregiativa: deriva dal francese rocaille, parola usata per indicare le pietre e le rocce utilizzate nei giardini come abbellimento.
(2) O, secondo altre versioni, tre rospi.
(3) Le bonnes villes appartenevano alla I delle tre classi principali nelle quali erano suddivise le città e i Comuni dell’Impero: esse dovevano avere oltre i 10.000 abitanti con un Podestà
e un Consiglio di 6 Savi, tutti di nomina imperiale o regia. Il titolo conferiva il privilegio ai rappresentanti della città di partecipare all’incoronazione dell’imperatore.
(4) Nato a Fontaines, vicino a Digione, nel 1090 e morto a Ville-sous-la-Ferté, Comune della regione della Champagne - Ardenne il 20 agosto 1153, fu il fondatore della celebre abbazia di
Clairvaux - in italiano Chiaravalle -, sempre in Francia.
(5) La biblioteca Casanatense, aperta nel 1701, fu istituita dai padri domenicani del Convento di S. Maria sopra Minerva a Roma come biblioteca di pubblica utilità, per volere del
cardinale Girolamo Casanate (1620-1700). La Biblioteca possiede oltre 350.000 volumi; oggi è un Istituto periferico del Ministero per i Beni e le Attività culturali.
(6) Furono le ricerche di Jan Swammerdam, naturalista e biologo olandese (Amsterdam 1637-1680) nella seconda metà del Seicento a chiarire com’è organizzata e funziona la società
delle api. Egli, pioniere delle analisi al microscopio sui tessuti animali e vegetali descrisse la morfologia e la metamorfosi degli insetti.
(7) Quest’incisione è stata scelta per corredare il Catalogo (a cura di Gulli Grigioni Elisabetta) della mostra “LaboriosaMente” tenutasi a Fusignano (RA) nel periodo 26/3-1/5 2005.
(8) Il dipinto, ora conservato al Louvre, fa riferimento all’incoronazione avvenuta a Notre Dame, la Cattedrale di Parigi, il 2 dicembre 1804.
(9) Il colore rosso richiama la ricchezza dell’Impero e la porpora è un colorante estratto dalla ghiandola ipobrachiale di un mollusco gasteropode chiamato Murice, probabilmente Murex
brandaris; questo produce una sostanza incolore, che all’aria in presenza della luce si ossida assumendo un colore rosso-violaceo (con tonalità differenti a seconda del grado d’ossidazione
del pigmento). Con la pregiata porpora (occorrevano circa 8000 molluschi per un etto di pigmento) si tingevano ricercati tessuti; fu, infatti, prerogativa delle vesti degli imperatori
e dei senatori dell’antica Roma.
(10) Il sintomo caratteristico di questa patologia fungina interessa le foglie dell’Aesculus. Su di esse si sviluppano in primavera delle macchie decolorate distribuite nelle zone internervali.
Con il progredire della stagione queste aree infette disseccano e si ampliano fino a confluire fra loro interessando buona parte del lembo fogliare. Le foglie così colpite tendono a
cadere anticipatamente per cui le piante a fine estate si presentano spoglie.
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BIBLIOGRAFIA CONSULTATA
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- BARBATTTINI R., 2008 - Le api nell’araldica civica italiana VI. Apitalia,
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Notiziario ERSA, 20 (1): 23-26.
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Servizi Formativi, CEP: 105 pp.
- COMELLI G., 1985 - La vicenda friulana della tipografia di Alvisopoli, in San Michêl, a cura di G. BERGAMINI, G. PILLININI,
Udine, Società Filologica Friulana.
- CONTESSI A., 2004 - Le api: biologia, allevamento, prodotti. Edagricole, Bologna: 497 pp. • D’ANCONA U., 1975 - Trattato
di Zoologia. UTET, Torino: 1207 pp. (pag. 826).
- FOX-DAVIES A. C., 1909 (rist. anastatica) - A complete guide to heraldry. Jack, Edimburgo: 260-261.
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- sull'argomento "Api e Religione", segnaliamo in Collaborazioni Varie l'articolo del Prof. Franco Frilli - "L'Ape nella Sacra Scrittura" |
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