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LA MORETTA, PADRE GUS E BAKHITA
DALLA SCHIAVITU' ALLA SANTITA'
PREFAZIONE
“I santi hanno permesso che si creassero dei nuovi modelli culturali, nuove risposte ai problemi e alle grandi sfide dei popoli, nuovi sviluppi di umanità nel cammino della storia. Quella dei santi "è un'eredità da non disperdere - ha più volte insistito Giovanni Paolo II -, ma da consegnare a un perenne dovere di gratitudine e a un rinnovato proposito di imitazione”
“Il fenomeno dei santi e della santità cristiana, crea uno stupore che non è mai venuto meno nella vita della Chiesa e che non può non sorprendere anche un osservatore laico”.
“I santi sono come dei fari; hanno indicato agli uomini le possibilità di cui l'essere umano dispone”
“In un mondo che cambia, i santi non solo non restano spiazzati storicamente o culturalmente, ma stanno diventando un soggetto ancor più interessante e attendibile. In un'epoca di caduta delle utopie collettive, in un'epoca di diffidenza e di inappetenza di quanto è teorico e ideologico sta sorgendo una nuova attenzione verso i santi, figure singolari nelle quali si incontra non una teoria e neanche semplicemente una morale, ma un disegno di vita da narrare, da scoprire con lo studio, da amare con la devozione, da attuare con la imitazione.
Di questo risveglio di attenzione verso i santi non c'è che da rallegrarsi perché i santi sono di tutti, sono un patrimonio dell'umanità che si sporge oltre se stessa in uno sviluppo che mentre onora l'uomo rende anche gloria a Dio, perché "gloria di Dio è l'uomo vivente" (s. Ireneo di Lione)”.
(Card. José Saraiva Martins)
INTRODUZIONE
Il Servo di Dio don Niccolò Olivieri, Santa Maddalena di Canossa e Santa Caterina Drexel, hanno in comune la grazia di essere protagonisti, in diverso modo, del cammino di santità di tre ex schiavi, che in ordine sono: la Serva di Dio Maria Giuseppina Benvenuti, Santa Giuseppina Bakhita e il Servo di Dio Padre Augusto Tolton.
Nel discorso di padre Augusto Tolton, tenuto al primo congresso cattolico negro del 1889 a Washington DC, egli così proclamava: “La Chiesa Cattolica deplora una doppia schiavitù: quella della mente e quella del corpo. Essa cerca di liberarci da entrambe. Io ero un povero schiavo ma i sacerdoti della Chiesa non mi disprezzarono. Fu attraverso l’influenza di uno di essi che sono diventato quello che sono stasera”
La Chiesa Cattolica, nel suo essere santa e peccatrice, è custode del messaggio di Cristo: liberare l’uomo da ogni schiavitù, in primis quella del peccato, e in secondo luogo rendere l’uomo, l’umanità libera da ogni giogo per renderla veramente nuova e santa ad immagine dell’uomo nuovo che è Gesù Cristo.
La seconda metà del secolo XIX vede i natali di tre fiori il color ebano della pelle e per la loro origine africana: due sudanesi e un afroamericano; due spose di Cristo e un “amico della sposo”, un sacerdote. Tre ex schiavi che percorrono la strada per il premio incorruttibile: la comunione vera, libera e liberante in Dio. La santità è una libertà che si gioca nella Verità. "Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Gv 8, 32)
Era mia desiderio comporre un nuovo quaderno e far conoscere le due “sorelle” del Sudan, ex schiave e sante; ma poi la scoperta di Padre Tolton, il Nulla Osta della Congregazione per la Cause dei Santi in data 28 marzo 2010, con apertura ufficiale del processo diocesano il 24 febbraio 2011, nell’anno che ricorda il 125° dell’ordinazione sacerdotale di Padre Tolton avvenuta a Roma il 24 aprile 1886 nella Basilica di S. Giovanni in Laterano, mi ha fatto pensare di mettere insieme questi tre esempi di santità.
Questa nuovo quaderno vuole raccontare le loro bellissime ed esemplari vite … “Non a noi la gloria, ma gloria a te o Dio, attraverso Gesù Cristo tuo Figlio e Nostro Signore. Padre e Figlio e Spirito Santo, tu sei Dio, che vivi e regni per sempre. Amen”
"Nella vita di quelli che, sebbene partecipi della nostra natura umana, sono tuttavia trasformati nell'immagine di Cristo (Cfr 2 Cor 3, 18), Dio manifesta vividamente agli uomini la sua presenza e il suo volto. In loro è egli stesso che ci parla e ci mostra il segno del suo regno, verso il quale, avendo davanti a noi un tal nugolo di testimoni (Cfr Ebr 12, 1) e una tale affermazione della verità del Vangelo, siamo potentemente attirati"
(Lumen Gentium, 50)
SERVA DI DIO MARIA GIUSEPPINA BENVENUTI
(Zeinab Alif)
1845/6 - 24 aprile 1926
Zeinab Alif (Suor Maria Giuseppina Benvenuti) meglio conosciuta con l’appellativo la “Moretta” per il color ebano della pelle e per la sua origine africana, nacque nel 1845 - 46 in un villaggio del Kordofan (Sudan).
Ancora bambina, rapita dai negrieri arabi, fu venduta e rivenduta a crudeli padroni. Riscattata dal servo di Dio don Niccolò Olivieri, fondatore della Pia Opera del Riscatto delle fanciulle more, e condotta in Italia, il 2 aprile 1856 fu affidata alle Clarisse di Belvedere Ostrense (AN) per una formazione umana e cristiana.
Il 24 settembre 1856 ricevette i sacramenti dell’iniziazione cristiana e nel Battesimo assunse il nome di Maria Giuseppina e il cognome Benvenuti, della madrina. La consacrazione battesimale segnò per lei l’inizio di una vita più intima con Dio.
Intelligente e vivace, sensibile e affettuosa, riuscì a modificare il suo carattere irrequieto facendosi umile e amabile.
Attratta dall’ideale francescano, nella sua giovinezza si orientò verso la vita consacrata. Avendo una particolare disposizione per la musica, diventò in breve tempo una eccellente organista, superando il suo maestro per la tecnica perfetta e per le esecuzioni originali e piene di ispirazione.
Il suono dell’organo rifletteva la sua squisita sensibilità psicologica e liturgica e le sue esecuzioni richiamavano all’ascolto rinomati musicisti e folle di popolo.
Nel 1874 fece la vestizione religiosa e nel 1876, con la professione, si consacrò al Signore nell’Ordine di Santa Chiara.
Nel 1894, in seguito alla soppressione del Monastero di Belvedere, si trasferì con altre consorelle nel Monastero di Serra de’ Conti (AN).
Qui divenne Vicaria, Maestra delle novizie e poi Abbadessa. Sapeva farsi amare e obbedire volentieri, affascinava coi suoi modi gentili. La sua umiltà le aveva ispirato il curioso ritornello che spesso ripeteva: “Liberami, Signore, prima dal peccato e poi dall’Abbadessato”. Tutti, però affermarono che esercitò l’incarico di Abbadessa con saggezza, competenza e impegno ammirevoli.
Nei trentadue anni vissuti a Serra de’ Conti, Suor Maria Giuseppina, a giudizio di tutti, diede prova di grandi virtù: sempre disponibile alla volontà di Dio, anche nella sofferenza, fedelissima alla regola del monastero, immersa in Dio e nella preghiera, amorevole e paziente con tutti, soccorritrice e dispensiera di consigli e di aiuto anche economico a quanti ricorrevano a lei.
Mai offese la carità fraterna e mai si lasciò sfuggire un lamento. A tutto ella dava il sapore del soprannaturale.
Da autentica francescana, contemplò soprattutto i Misteri della salvezza e la sua ascesi spirituale fu guidata dall’Immacolata, che amò con amore filiale. Era solita dire:”Ricorrete a Maria, che vi aiuterà. Ponetevi sotto il suo manto e non temete”.
Recitava con fervore il S. Rosario. Spesso ripeteva alle sue novizie:”Solo con questo mezzo riuscirete ad essere buone religiose”. Davanti al Crocifisso e all’altare dell’Eucarestia trascorreva le ore più belle della giornata. Pregava per tutti. Al sentire fatti delittuosi o l’ingratitudine degli uomini verso Dio, moltiplicava le sue penitenze e prolungava la sua adorazione. Con tenerezza infinita contemplava il Crocifisso.
Altre sue devozioni: S. Giuseppe, S. Francesco, S. Chiara, S. Cecilia. Da S. Francesco apprese l’amore al Crocifisso, da S. Chiara l’ardore della preghiera, da S. Giuseppe la completa disponibilità, da S. Cecilia le meravigliose melodie, il rapimento in Dio.
Aveva il culto della fraternità: preveniva le necessità delle consorelle e si adoperava in qualunque maniera per risparmiare con il proprio sacrificio la fatica degli altri.
Specialmente negli ultimi anni di vita, ormai cieca, partecipò alla Passione di Cristo nel Corpo, mentre il suo spirito abbondava di celeste letizia nella certezza che presto avrebbe raggiunto il cielo.
Morì la sera del 24 aprile 1926 e il giorno dopo, come aveva promesso ad una consorella, fece capire che era entrata nella felicità eterna di Dio. Di buon mattino, gli squilli di una campanella, non toccata da mano alcuna, fecero sobbalzare di gioia tutto il monastero e poi l’intero paese di Serra de’ Conti. Si gridò al miracolo e tutti ripetevano:”E’ morta la Moretta, è morta una santa!”.
Nel 1985 il Postulatore Generale presentava a S.E. Mons. Oddo Fusi Pecci Vescovo di Senigallia (AN) la supplica per chiedere l’introduzione della Causa di Canonizzazione di Suor Maria Giuseppina.
Il 20 ottobre 1986 la Causa riceve il Nulla Osta della Congregazione per le Cause dei Santi e nel 1987 è aperto il processo diocesano. Il 1 ottobre 1988 avviene la chiusura della fase diocesana e la Santa Sede in data 22 maggio 1992 decreta la validità della processo diocesano. Ora la serva di Dio è in attesa del riconoscimento dell’eroicità delle virtù.
PREGHIERA PER LA CAUSA DI SUOR MARIA GIUSEPPINA BENVENUTI
Signore Gesù, ti ringrazio per i doni elargiti all’umile tua serva Suor Maria Giuseppina che, rapita ancora fanciulla e fatta schiava in terra d’Africa, volesti libera e totalmente consacrata al tuo amore nell’Ordine di Santa Chiara, preclaro segno di comunione ecclesiale tra di noi. Degnati di glorificarla nella Chiesa perché risplenda l’esempio della sua fede, della sua speranza e della sua carità.
Per sua intercessione, Signore, concedimi sempre la tua grazia e quanto chiedo con umile preghiera, se è conforme alla tua volontà. Amen.
Imprimatur
+ Odo Fusi-Pecci
Vescovo di Senigallia
6 luglio 1992
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SERVO DI DIO PADRE AUGUSTO TOLTON
Sacerdote diocesano (1854-1897)
“La Chiesa Cattolica deplora una doppia schiavitù: quella della mente e quella del corpo. Essa cerca di liberarci da entrambe. Io ero un povero schiavo ma i sacerdoti della Chiesa non mi disprezzarono. Fu attraverso l’influenza di uno di essi che sono diventato quello che sono stasera”
Padre Augusto Tolton
(Da un discorso tenuto al primo congresso cattolico negro 1889 a Washington DC)
Padre Augusto Tolton ha la reputazione di essere il primo riconosciuto prete di origine africana negli Stati Uniti dato che suo padre e sua madre erano diretti discendenti di africani che erano stati portati qui come schiavi. L’ordinazione di Tolton fu considerata allo stesso tempo come un’anomalia e un avvenimento sensazionale nell’America del XIX secolo. L’ordinazione di un negro era generalmente ritenuta come qualcosa di inimmaginabile. Altri lo considerarono come una straordinaria conquista. Un prete di pelle nera vestito in abiti sacerdotali era una visione nuova per gli occhi americani, bianchi o neri, ed era ugualmente un’esperienza entusiasmante per i cattolici negri ricevere la Santa Comunione da un prete della loro stessa razza. Tolton era visto come un uomo eloquente e religioso, un’anima innocente, e riceveva ammirazione e rispetto da un lato, e dall’altro disprezzo e dileggio derivati dal clima di separazione razziale imposta a quel tempo.
La sua storia comincia con sua madre che sfugge la schiavitù in Brush Creek, Missouri, con i suoi tre bambini di notte eludendo i cacciatori di taglie confederati che venivano ricompensati per la cattura di schiavi fuggiti. Suo marito Peter Tolton aveva lasciato precedentemente la famiglia per combattere con le forze dell’Unione per la libertà dei negri nella guerra civile del 1861 ma era morto in un ospedale a St. Louis di dissenteria . Martha Jane Tolton attraversò il fiume Mississippi per andare ad Hannibal, Missouri, e poi continuò fino a Quincy, Illinois, dove si trovava una stazione della metropolitana. Là si sistemò con la sua famiglia. I Tolton erano stati battezzati cattolici per ordine della famiglia Elliott cui appartenevano nel Missouri e frequentarono varie Chiese a Quincy mentre Marta Tolton cercava di educare i suoi figli. Ma in ogni scuola che frequentava Augusto era guardato con sospetto e subiva minacce dai suoi compagni e dai genitori di questi. Fu espulso o allontanato successivamente da varie scuole finché un certo padre Peter McGirr ebbe compassione della famiglia e li accolse nella parrocchia e nella scuola di St. Peter a Quincy dove Augusto ricevette la prima Comunione e la Cresima.
Quando Augusto crebbe nella sua giovinezza svolse vari lavori per aiutare a sostentare la sua famiglia. Nel frattempo vari preti di Quincy come pure le suore di Nostra Signora, notarono la sua bravura e innocenza. Lo istruirono nel catechismo, nei classici e nelle lingue. I padri francescani, più tardi fecero sì che lui andasse al Quincy College. Qui Augusto fu assoggettato a sottili insulti e commenti di derisione a causa della sua razza. Ma con l’aiuto dei preti che lo assistevano e delle suore riuscì a sopportare questo ingiusto trattamento senza che lui reagisse, ma non senza lacrime. Padre McGirr e le suore erano decisi a mantenere il diritto dei negri per una educazione cattolica. Augusto primeggiava nelle valutazioni scolastiche al vertice della sua classe. Faceva la comunione ogni giorno e aiutava nell’educazione religiosa dei bambini negri della città.
Impressionati dall’intelligenza e dalla devozione di Augusto, vari preti cercarono di far entrare Augusto in seminario ma ciò risultò impossibile. Dopo vari tentativi rivolgendosi ai seminari diocesani e religiosi da alcuni dei quali non si ebbe alcuna risposta mentre da altri si ebbe un cortese rifiuto specificando che il seminario non era pronto a prendere uno studente negro, i padri francescani attraverso il loro superiore generale riuscirono dopo mesi e mesi di attesa a far accettare Augusto nel collegio gestito dalla Propaganda Fide che preparava seminaristi da inviare in tutto il mondo come missionari. Là Augusto incontrò altri seminaristi africani e seminaristi da tutto il mondo desiderosi di servire, un giorno, la Chiesa come sacerdoti. All’età di 26 anni Augusto andò a Roma per proseguire gli studi verso il sacerdozio nel 1880. Sei anni più tardi il 24 aprile 1886 fu ordinato sacerdote nella basilica di S. Giovanni in Laterano in Roma.
Quelli che lo seguivano nel seminario ritenevano che non avrebbe potuto avere successo negli Stati Uniti per la situazione razziale e l’anticattolicesimo prevalente in quel momento. Pensando che sarebbe stato mandato in Africa, il Cardinale prefetto Giovanni Simeoni sorprese Tolton insistendo che lui tornasse in America. “l’America è stata definita la nazione più illuminata; vedremo se merita tale onore. Se l’America non ha mai visto un prete nero, ne deve vedere uno ora” disse il Cardinale.
Infatti Tolton fu il primo e avrebbe portata la croce di quel fatto durante tutto il suo sacerdozio. Il 18 luglio 1886 padre Tolton arrivò a Quincy e celebrò la sua prima messa davanti a una grande folla di bianchi e negri nella chiesa di S. Bonifacio a Quincy.Fu assegnato il giorno dopo come pastore alla chiesa di S. Giuseppe, una piccola povera parrocchia negra nella stessa città. La parrocchia si era sviluppata dalle classi di catechismo che lui aveva cominciato precedentemente. I bianchi lo cercavano per consigli e frequentavano le sue messe attratti dai suoi sermoni e dalla sua bontà. Col passare del tempo ciò suscitò la gelosia degli altri sacerdoti della comunità e anche di alcuni pastori protestanti che temevano che Tolton facesse del proselitismo o che comunque diffondesse il cattolicesimo tra i neri (”Papismo”).
Padre Augusto fu ammonito alla luce di questi sospetti dal decano del clero locale, una situazione che alla fine il decano riportò al vescovo per una soluzione. Osservazioni che gettavano discredito furono fatte riguardo a padre Tolton in città da alcuni che lo vedevano impegnato a creare una situazione di inaccettabile mescolanza delle razze, anche se non era per niente così. Difatti un gran numero di bianchi veniva volontariamente da Tolton per la S. Messa ed i Sacramenti. Padre Tolton si abituò alle avversità durante la sua breve vita. A parte molti impegni di conferenze anche a un pubblico di soli bianchi, lui visse in un mondo chiuso immerso in povertà e abbandono, un mondo separato dove i negri erano condannati a vivere. Allo stesso tempo come prete si veniva a trovare tra due comunità, una bianca e una nera, e le diverse emozioni tra queste due comunità. Era un’epoca in cui si lottava per avviare il processo di integrazione degli uomini e delle donne dalla pelle nera.
Schiavi ed ex schiavi del XIX secolo avevano una partecipazione approssimativa nella vita sociale americana. Non c’erano leggi che garantissero la loro presenza nella società al riparo da vessazioni. I diritti civili non erano ancora stati coniati nella coscienza sociale popolare. Qualsiasi diritto era ritenuto essere il privilegio dei bianchi in America. Molta di questa apartheid era presente nella pratica se non nella teoria, sfortunatamente, delle varie comunità cattoliche e protestanti.
La carriera sacerdotale di Tolton fu ostacolata dall’isolamento e dalle difficoltà economiche. Le sue lettere a madre Caterina Drexel tradiscono molto delle sue pene in un’era intollerante dal punto di vista sociale. Ciò si dimostrò di enorme peso e potrebbe avere influito su di lui sia fisicamente che dal punto di vista emotivo.
Padre Tolton tuttavia rimase fedele ai suoi voti sacerdotali e rimase un simbolo di lealtà, dignità sacerdotale e costanza in mezzo a tanta sofferenza. Essendo rimasto solo per tanti anni e avendo sparso i semi della Verità; riguardo alla sua razza egli cercò di spiegare che la Chiesa Cattolica aveva i mezzi e le risorse per migliorare il triste destino dei neri in America durante il periodo della Ricostruzione. Tolton cercò pure di imprimere sulla comunità nera un senso di speranza e di fiducia in se stessi attraverso l’educazione e una fede concreta.
“Lavorerò e mi dedicherò fintanto che Dio mi concede vita poiché comincio a vedere che io ho i poteri e le benedizioni per resistere dappertutto e dovunque io vada”.
(Lettera di padre Tolton a madre Caterina Drexel, 5 giugno 1891)
Sentendo che il suo lavoro era notevolmente ridotto a Quincy, decise di accettare, con il permesso dei suoi superiori della Propaganda Fide a Roma, l’invito dell’arcivescovo Patrick Feehan di Chicago di andare a lavorare nella nuova comunità di cattolici negri nel 1889. Nella zona meridionale di Chicago padre Tolton cominciò nel seminterrato della centrale chiesa di S. Maria a svolgere il suo ministero tra i negri già avviato da padre Joseph Rowles sotto il nome di S. Agostino. C’era la spinta per una comunità per i cattolici neri così che padre Tolton ne diresse i lavori di costruzione al numero 36 di Dearborn Street con donazioni da bianchi solidali. La chiesa ebbe ritardi nella costruzione e ricevette il titolo di chiesa di S. Monica. Ma la costruzione di questa chiesa non andò oltre il completamento del suo piano seminterrato dove la comunità si raccoglieva sotto un tetto provvisorio.
Padre Gus (da Augustus)come era chiamato familiarmente era una figura familiare nelle strade e nei viali del ghetto nero. Portò speranza e conforto ai morenti e promesse di giorni migliori ai viventi. Padre Tolton era ben accetto in Chicago dai sacerdoti e dal popolo, tuttavia, era solo nel cercare di dare una qualche sembianza di comunità cattolica nel povero terreno dei quartieri degradati della parte sud della città. Sfortunatamente il suo ministero fu di durata relativamente breve.
Durante la prima settimana di luglio del 1897 Chicago fu colpito da un’ondata di calore per cui molte persone persero la vita sopraffatte dalla calura di quei giorni. I giornali facevano elenchi dei nomi dei morti ogni giorno. Ritornando da un ritiro spirituale per sacerdoti a Bourbonnais, Illinois, il 9 luglio, padre Tolton scese dal treno e fu travolto colto da temperatura di 45° di caldo che ardeva sulla città. Secondo il Chicago Daily News, “il reverendo Augusto Tolton, parroco della chiesa cattolica romana di S. Monica, al 36 di Dearborn Street, è morto al Mercy Hspital alle 8,30 della sera, vittima di un colpo di calore”. Aveva in progettato di fare varie visite a malati nella sua parrocchia prima di mezzogiorno. Aveva 43 anni.
I giornali riferirono di migliaia di persone, assieme con sua madre e sua sorella, a rendere omaggio al defunto sacerdote sia alla chiesa di S. Monica dove era esposto solennemente, che a Quincy dove per una sua precedente richiesta voleva essere sepolto. Un’imponente pietra tombale a forma di croce in anni successivi fu eretta sopra la sua tomba nel cimitero di S. Pietro.
Padre Augusto Tolton dimostrò cosa lo spirito umano può compiere nonostante insormontabili difficoltà, nel suo caso i mali del razzismo e della discriminazione. Padre Tolton dimostrò che i neri potevano essere fedeli impegnati ma anche ministri del Signore e che la comunità cattolica nera ha molto da offrire alla Chiesa se ha il riconoscimento e le opportunità per utilizzare le sue capacità e i suoi talenti. Rimane compito della Chiesa ora riconoscere la sua santità per l’edificazione della Chiesa stessa.
Il ministero pastorale per i negri continuò nella chiesa di S. Monica fino al 1945 quando la chiesa, allora non finita, fu rasa al suolo. La parrocchia fu unita alla parrocchia di S. Elisabetta dove le sorelle del SS. Sacramento di madre Caterina Drexel continuarono a svolgere il ministero dell’educazione nella scuola parrocchiale.
SINTESI DELLA VITA DI PADRE AUGUSTO TOLTON
1851
Martha Jane Chisley e Peter Paul Tolton celebrano le nozze nella chiesa di San Pietro, Brush Creek, Missouri
1 APRILE 1854
Augusto Tolton nasce in Missouri da Martha Jane Chisley e Peter Paul Tolton
12 GIUGNO 1870
Prima Comunione e Cresima di Tolton nella chiesa di S. Pietro a Quincy
21 FEBBRAIO 1880
Tolton parte per Roma
8 NOVEMBRE 1885
Tolton è ordinato diacono a Roma
24 APRILE 1886
Tolton è ordinato prete nella basilica di S. Giovanni in Laterano a Roma
25 APRILE 1886
Prima messa nella basilica di S. Pietro a Roma
7 LUGLIO 1886
Prima messa dalle suore francescane a Hoboken, New Jersey
18 LUGLIO 1886
Prima messa alla chiesa di S. Bonifacio a Quincy
25 LUGLIO 1886
Nominato parroco nella chiesa di S. Giuseppe a Quincy
19 DICEMBRE 1889
Comincia il ministero nell’arcidiocesi di Chicago
9 LUGLIO 1897
Muore al Mercy Hospital di Chicago
12 LUGLIO 1897
Funerale nella chiesa di S. Monica al 36 di Dearborn street a Chicago
13 LUGLIO 1897
Funerale nella chiesa di S. Pietro a Quincy
Per riferire grazie spirituali o fisiche ottenute attraverso la preghiera per intercessione di Padre Augusto Tolton, scrivete a:
Ufficio del Cardinale - Arcidiocesi di Chicago
835 N. Rush Street, Chicago, Illinois 60611
USA
PREGHIERA PER LA CAUSA DI PADRE AUGUSTO TOLTON
O Dio, ti ringraziamo per il tuo servo e sacerdote Padre Augusto Tolton che lavorò fra di noi in tempi di contraddizione, tempi che furono sia belli che paradossali. Il suo ministero contribuì a gettare le fondamenta per una assemblea veramente cattolica nella fede nel nostro tempo. Noi restiamo nell’ombra del suo ministero. Possa la sua vita continuare a ispirarci e a istillare in noi la fiducia e la speranza per una nuova evangelizzazione della chiesa che noi amiamo.
Padre del cielo, le sofferenze di padre Tolton nello svolgere il suo servizio gettano luce sui nostri dolori; li vediamo così attraverso il prisma della passione e morte di Tuo Figlio. Se sarà la tua volontà o Dio, rendi gloria al tuo servo padre Tolton accordandomi la grazia che ora chiedo per la
intercessione, (nominare la richiesta), così che tutti possano conoscere la bontà di questo prete la cui memoria rimane nella chiesa che lui amò.
Completa quello che hai cominciato in noi così che possiamo lavorare per il raggiungimento del
Tuo regno. Non a noi la gloria, ma gloria a te o Dio, attraverso Gesù Cristo tuo figlio e Nostro Signore. Padre e Figlio e Spirito Santo, tu sei Dio, che vivi e regni per sempre. Amen
Vescovo Joseph N. Perry
Imprimatur : Francis cardinal George, OMI - Arcidiocesi di Chicago, 2010
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SANTA GIUSEPPINA BAKHITA
Oglassa, Darfur, Sudan, 1868 - Schio, Vicenza, 8 febbraio 1947
Bakhita (dall’arabo “fortunata”) nacque nel Sudan nel 1869 e morì a Schio (Vicenza) nel 1947. Fiore africano, che conobbe le angosce del rapimento e della schiavitù, si aprì mirabilmente alla grazia in Italia, accanto alle Figlie di S. Maddalena di Canossa.
In schiavitù
Bakhita non è il nome ricevuto dai genitori alla sua nascita. La terribile esperienza le aveva fatto dimenticare anche il suo nome. Bakhita, che significa 'fortunata', è il nome datole dai suoi rapitori. Venduta e rivenduta più volte sui mercati di El Obeid e di Khartoum conobbe le umiliazioni, le sofferenze fisiche e morali della schiavitù.
Verso la libertà
Nella capitale del Sudan, Bakhita venne comperata da un Console italiano, il signor Callisto Legnani. Per la prima volta dal giorno del suo rapimento si accorse, con piacevole sorpresa, che nessuno, nel darle comandi, usava più lo staffile; anzi la si trattava con maniere affabili e cordiali. Nella casa del Console, Bakhita conobbe la serenità, l'affetto e momenti di gioia, anche se sempre velati dalla nostalgia di una famiglia propria, perduta forse, per sempre. Situazioni politiche costrinsero il Console a partire per l'Italia. Bakhita chiese ed ottenne di partire con lui e con un suo amico, un certo signor Augusto Michieli.
In Italia
Giunti a Genova, il Signor Legnani, su insistente richiesta della moglie del Michieli, accettò che Bakhita rimanesse con loro. Ella seguì la nuova 'famiglia' nell'abitazione di Zianigo (frazione di Mirano Veneto) e, quando nacque la figlia Mimmina, Bakhita ne divenne la bambinaia e l'amica. L'acquisto e la gestione di un grande hotel a Suakin, sul Mar Rosso, costrinsero la signora Michieli a trasferirsi in quella località per aiutare il marito. Nel frattempo, dietro avviso del loro amministratore, Illuminato Checchini, Mimmina e Bakhita vennero affidate alle Suore Canossiane dell'Istituto dei Catecumeni di Venezia. Ed è qui che Bakhita chiese ed ottenne di conoscere quel Dio che fin da bambina 'sentiva in cuore senza sapere chi fosse'. 'Vedendo il sole, la luna e le stelle, dicevo tra me: Chi è mai il Padrone di queste belle cose? E provavo una voglia grande di vederlo, di conoscerlo e di prestargli omaggio'.
Figlia di Dio
Dopo alcuni mesi di catecumenato Bakhita ricevette i Sacramenti dell'Iniziazione cristiana e quindi il nome nuovo di Giuseppina. Era il 9 gennaio 1890. Quel giorno non sapeva come esprimere la sua gioia. I suoi occhi grandi ed espressivi sfavillavano, rivelando un'intensa commozione. In seguito la si vide spesso baciare il fonte battesimale e dire: 'Qui sono diventata figlia di Dio!'. Ogni giorno nuovo la rendeva sempre più consapevole di come quel Dio, che ora conosceva ed amava, l'aveva condotta a sè per vie misteriose, tenendola per mano. Quando la signora Michieli ritornò dall'Africa per riprendersi la figlia e Bakhita, quest'ultima, con decisione e coraggio insoliti, manifestò la sua volontà di rimanere con le Madri Canossiane e servire quel Dio che le aveva dato tante prove del suo amore. La giovane africana, ormai maggiorenne, godeva della libertà di azione che la legge italiana le assicurava.
Figlia di Maddalena
Bakhita rimase nel catecumenato ove si chiarì in lei la chiamata a farsi religiosa, a donare tutta se stessa al Signore nell'Istituto di S. Maddalena di Canossa. L'8 dicembre 1896 Giuseppina Bakhita si consacrava per sempre al suo Dio che lei chiamava, con espressione dolce, 'el me Paron'.
Per oltre cinquant'anni questa umile Figlia della Carità, vera testimone dell'amore di Dio, visse prestandosi in diverse occupazioni nella casa di Schio: fu infatti cuciniera, guardarobiera, ricamatrice, portinaia. Quando si dedicò a quest'ultimo servizio, le sue mani si posavano dolci e carezzevoli sulle teste dei bambini che ogni giorno frequentavano le scuole dell'Istituto. La sua voce amabile, che aveva l'inflessione delle nenie e dei canti della sua terra, giungeva gradita ai piccoli, confortevole ai poveri e ai sofferenti, incoraggiante a quanti bussavano alla porta dell'Istituto.
La Madre Moretta
A Schio (Vicenza), dove visse per molti anni, tutti la chiamano ancora 'la nostra Madre Moretta'. Il processo per la causa di Canonizzazione iniziò dodici anni dopo la sua morte e il 1 dicembre 1978 la Chiesa emanò il decreto sull'eroicità delle sue virtù. La divina Provvidenza che 'ha cura dei fiori del campo e degli uccelli dell'aria', ha guidato questa schiava sudanese, attraverso innumerevoli e indicibili sofferenze, alla libertà umana e a quella della fede, fino alla consacrazione di tutta la propria vita a Dio per l'avvento del regno.
Testimone dell'amore
La sua umiltà, la sua semplicità ed il suo costante sorriso conquistarono il cuore di tutti i cittadini scledensi. Le consorelle la stimavano per la sua dolcezza inalterabile, la sua squisita bontà e il suo profondo desiderio di far conoscere il Signore. 'Siate buoni, amate il Signore, pregate per quelli che non lo conoscono. Sapeste che grande grazia è conoscere Dio!'.
Venne la vecchiaia, venne la malattia lunga e dolorosa, ma M. Bakhita continuò ad offrire testimonianza di fede, di bontà e di speranza cristiana. A chi la visitava e le chiedeva come stesse, rispondeva sorridendo: 'Come vol el Paron'.
L'ultima prova
Nell'agonia rivisse i terribili giorni della sua schiavitù e più volte supplicò l'infermiera che l'assisteva: 'Mi allarghi le catene...pesano!'. Fu Maria Santissima a liberarla da ogni pena. Le sue ultime parole furono: 'La Madonna! La Madonna!', mentre il suo ultimo sorriso testimoniava l'incontro con la Madre del Signore.
M. Bakhita si spense l'8 febbraio 1947 nella casa di Schio, circondata dalla comunità in pianto e in preghiera. Una folla si riversò ben presto nella casa dell'Istituto per vedere un'ultima volta la sua 'Santa Madre Moretta' e chiederne la protezione dal cielo. La fama di santità si è ormai diffusa in tutti i continenti.
Agli onori degli altari
Alla sua morte, avvenuta l’8 febbraio 1947, subito Suor Bakhita fu definita la “Santa Madre Moretta”. Nel 1955 fu aperto il processo informativo sulla fama di santità di Bakhita che si concluse il 1 dicembre 1978 la proclamazione delle virtù eroiche della Serva di Dio. Dopo il riconoscimento del miracolo fu beatificata il 17 maggio 1992 ed infine canonizzata il 1 ottobre 2000.
Martirologio Romano, 8 febbraio: Santa Giuseppina Bakhita, vergine, che, nata nella regione del Darfur in Sudan, fu rapita bambina e, venduta più volte nei mercati africani di schiavi, patì una crudele schiavitù; resa, infine, libera, a Venezia divenne cristiana e religiosa presso le Figlie della Carità e passò il resto della sua vita in Cristo nella città di Schio nel territorio di Vicenza prodigandosi per tutti.
PREGHIERA A SANTA GIUSEPPINA BAKHITA
O Dio, Padre di misericordia, che ci hai donato Santa Giuseppina Bakhita, quale sorella universale, evangelico modello di fede semplice e di operosa carità, dona anche a noi la volontà di credere ed amare secondo il Vangelo. ed esaudisci le preghiere di chiunque invoca la sua intercessione. Per Cristo nostro Signore. Amen.
Gloria al Padre...
Bibliografia e Siti
- AA. VV. - Biblioteca Sanctorum (Enciclopedia dei Santi) – Voll. 1-12 e I-II appendice – Ed. Città Nuova
- Biografia di P. Tolton è tratta dal pieghevole edito dalla Postulazione per la causa di canonizzazione del Servo di Dio padre Tolton presso l’ Archidiocesi di Chicago, e tradotto grazie all’aiuto della Sig. ra Dina G.
- C.E.I. - Martirologio Romano - Libreria Editrice Vaticana – 2007 - pp. 1142
- Grenci Damiano Marco – Archivio privato iconografico e agiografico: 1977 – 2011
- Sito Web di santibeati.it
- Sito Web di newsaints.faithweb.com
- Sito Web di www.toltoncanonization.com
N. B. Il presente lavoro è stato realizzato facendo riferimento a biografie precedenti, con inserimenti ed aggiunte originali (vedi bibliografia). L' Introduzione e la ricerca sono originali.
Ed. D. M. G.
25 gennaio 2011
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