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LA FESTA ESTIVA “DUL BAMBIN”
Stefania Colafranceschi
Nella chiesa parrocchiale di S. Brizio,
a Vagna, in Val d’Ossola, si è celebrata festosamente
anche quest’anno la ricorrenza “Dul Bambin”,
come di consueto la seconda domenica di luglio.
Ci siamo recati anche noi, come pellegrini richiamati da
un evento inaspettato (1), per partecipare
e documentare una festa di antica memoria, risalente infatti
al XVII sec., e particolarmente singolare a motivo della
devozione al Bambino Gesù.
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La comunità parrocchiale celebra
la funzione liturgica, al mattino, con canti tradizionali
della Valle, e il “bacio” del Bambin,
il sacro simulacro custodito nella chiesa; al pomeriggio
si tiene la processione, che vede in apertura le donne
abbigliate in abiti tradizionali, e il caratteristico
copricapo, le ”cavagnette “ (2),
segue il clero e la grande composizione lignea barocca
con gli angioli e il Bambino nel mezzo, la banda della
città di Domodossola, la comunità parrocchiale,
gli ospiti.
Ciò che più colpisce l’osservatore
è proprio l’ornamento femminile, con
cui si rende omaggio, insieme alla tradizione religiosa
che ha ispirato la festa, anche al periodo calendariale,
segnato dalla prosperità della terra, prodiga
di frutti e fiori, al culmine della fase generativa,
alle soglie del periodo di maggior calura; in questo
periodo, infatti, i montanari provvedono a spostarsi
nei pascoli più alti col bestiame (transumanza
alpina), per raggiungere nuovi pascoli.
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Non a caso, si può affermare, venne scelta
questa datazione, secoli fa, quando la Confraternita
del SS. Nome di Gesù ne fece richiesta; al
di là della motivazione istituzionale, infatti,
è il periodo a rivelarci consuetudini secolari,
su cui occorre soffermarci, per comprenderne la portata
nella vita comunitaria.
Nata per volere della locale Confraternita del SS.
Nome di Gesù, fondata all’inizio del
‘600 con l’intento di combattere la bestemmia
e lo spergiuro, la festa venne istituita e celebrata
inizialmente il 1° dell’anno (in cui il
calendario liturgico commemora la Circoncisione, l’atto
di imposizione del Nome al Bambino Gesù), e
successivamente anche in una seconda ricorrenza, fissata
alla seconda domenica di luglio, momento in cui la
comunità parrocchiale sospendeva l’attività
consueta, a causa della migrazione pastorale.
La processione, i gesti rituali, i canti tipicamente
natalizi, l’ambientazione pre-alpina, il clima
estivo, ne fanno un evento particolarmente originale
e suggestivo, testimonianza di un’antica tradizione
che ha ripreso vita, e si esprime nelle forme e nei
dettagli ideati e curati dalla comunità parrocchiale.
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La chiesa di S. Brizio ci accoglie
con un festoso scampanìo, alle 10 del mattino
del 9 luglio, per la celebrazione liturgica, che vede
al centro il “Bambin” osannato e inneggiato
nei canti della Corale e nell’accompagnamento
organistico; gli altari, centrale e laterali, risplendono
degli stucchi dorati (3), come pure
la grande composizione lignea processionale, posta
lateralmente nella navata centrale, opera barocca
settecentesca che raffigura gli angioli osannanti
col Bambino al centro.
Si notano, in bella mostra su una balaustra, le “cavagnette”,
accanto all’altare, in prossimità dei
primi banchi, dove siedono le donne della comunità,
sobriamente abbigliate in nero con scialli fiorati;
dall’altro lato della chiesa, su un altare rivestito
di broccato rosso scuro, un fascio di spighe della
recente mietitura, richiamo diretto al Pane di vita,
al chicco evangelico, che muore per dare frutto in
abbondanza; e ancora, disposte sull’altare appartenente
alla confraternita ispiratrice della tradizione originaria,
le tuniche rosso vermiglio dei portatori della grande
composizione lignea. |
Gli altari barocchi fanno rivivere ai
nostri occhi temi e motivi dell’età controriformistica,
dai toni carichi di espressività, ma la sobrietà
e la cura dell’insieme ci trasmette un senso di autentica
partecipazione religiosa, una volontà sincera di
rivivere con lo stile di una comunità attenta, la
memoria del Bambino che rinasce per noi, nel cuore dell’estate,
più che mai inaspettato.
L’antica confraternita (4) che ispirò
la festa, nel XVII sec., intese affermare una devozione
sentita e praticata già dal medioevo, che ebbe nella
figura di s. Bernardino da Siena un grande sostenitore;
il “Nome Santo di Dio”, simbolizzato nel monogramma
JHS, abbreviazione di JESUS, venne diffuso dal ‘400
in poi, e comparve sugli oggetti, i documenti, le culle,
le porte, le abitazioni, i campanili, non solo per affermare
l’adesione al disegno salvifico, ma anche in funzione
apotropaica, per proteggere e allontanare i mali con l’aiuto
di Cristo. A queste consuetudini devozionali, si aggiunse
l’intento di onorare il Nome di Gesù contro
la bestemmia, sollecitato da preoccupazioni d’ordine
morale nel quadro dello spirito di riforma.
La Confraternita del SS. Nome, ai suoi albori, commissionò
l’altare ligneo per le proprie ufficiature, e la tela
che vi si conserva; questa, alla luce dei fatti, darà
spunto alla nuova forma devozionale, oggi riscontrabile
a Vagna. La rappresentazione iconografica presenta due registri;
cupo e inquietante quello inferiore, dove compaiono sullo
sfondo di un paesaggio montuoso e terreo, un gruppo di figurazioni
aggrovigliate, dai tratti demoniaci: in alto, su uno sfondo
celestiale, l’immagine del monogramma JHS, al cui
centro è il Bambino benedicente con la destra, e
il globo nella sinistra, simbolo del potere universale.
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L’altra raffigurazione, su cui
merita soffermare l’attenzione, è nell’affresco
della volta della cappella, raffigurante la “gloria
del Bambino Gesù”, settecentesca: circondato
dagli angeli musicanti, in posizione eretta, su un
globo sorretto da cherubini, il Bambino benedice avvolto
nella fulgida luce divina, in cui spicca il monogramma
cristico.
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Nel corso del tempo la Festa del SS. Nome
di Gesù a Vagna, pur mantenendosi come tradizione
religiosa locale, ha registrato momenti di affievolimento,
specie in seguito alle leggi italiane d’incameramento
dei beni ecclesiastici. Verso la fine dell’ ‘800
subisce un calo, e lentamente si trasforma; il Bambino Gesù,
che campeggia, come abbiamo visto, nelle rappresentazioni
iconografiche dell’altare della Confraternita e nell’affresco
corrispondente della volta, diviene il fulcro della devozione,
e la celebrazione assume le forme espressive di una liturgia
natalizia vera e propria.
“Caro Bambin, che nato appena, soffri del verno il
crudo gel…”, cantano con trasporto i giovani
e meno giovani della Corale, rappresentando la scena della
Nascita con armonie semplici ed efficaci; “…ma
perché piangi? Dormi, non piangere così…”
E infine: ”Lascia che baci, lascia che baci il tuo
piedin…(5)”
Rivediamo l’omaggio dei pastori offerenti, chinati
a baciare il piede del Bambino, accompagnati dalle loro
greggi; rivediamo il gesto dei Magi, solenni e pomposi,
prostrati anch’essi in adorazione del Re delle genti,
che Lo baciano iniziando dal più anziano, come testimonia
tanto spesso l’iconografia .
Dobbiamo a un amico del luogo, profondo conoscitore delle
tradizioni e dei canti di questa terra, la notizia della
Festa estiva“dul Bambin” di Vagna; a Lui si
è pensato di affidare la presentazione del canto
tipico, appunto “Caro Bambin”, qui di seguito
riprodotto, in musica e parole. Loris ha viaggiato molto,
per recuperare e trasmettere le testimonianze di una cultura
sopravvissuta alle devastazioni del tempo; così iniziamo,
col suo aiuto di “esperto”, un viaggio attraverso
i canti della Natività, lieti di poter condividere
l’espressione di una religiosità semplice e
profonda.
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Note:
- 1 - Franco Pompele, musicista di Milano
e collaboratore della ricerca in corso sui canti popolari
della Natività, ha segnalato la festa estiva di Vagna,
consentendo un proficuo contatto; il primo approccio è
stato possibile grazie al contributo di L. Bonavia Del verno
il crudo gel. La festa estiva del Bambino a Vagna. Tradizione
secentesca delle cavagnette portate sul capo dalle ragazze,
in Le Rive, Domodossola, 2001.
- 2 - Le “cavagnette” (o alberelle)
sono un ornamento altamente simbolico, le cui origini si perdono
nel tempo; sulla struttura portante ad albero, figura emblematica
della rinascita generativa, vi sono decorazioni dal sapore
natalizio: ghirlande di perline rosso-oro, e vere e proprie
palline del classico albero di Natale, insieme a nastri colorati.
La “lavagnetta” ha alla base un cestino rivestito
di carta crespa rassa , che le donne trattengono con grazia
sul capo, in tutto il percorso esterno del corteo, come si
vede nelle immagini.
Un ornamento processionale analogo è riscontrabile
in Valle di Susa: il “bran”, un’alta struttura
lignea decorata con nastri multicolori, e con un pane all’interno,
ricostruita sul modello di vecchi esemplari (cfr. G. Bravo
Le feste tradizionali sono figlie della modernità?
in Feste d’inverno, Ivrea 2001, p. 42).
- 3 - Lo studio di F. Tonossi Altari lignei,
materia, arte e fede, Comunità Montana Valle Ossola
2004, illustra in modo approfondito gli aspetti tecnici e
stilistici dell’arte lignea ossolana, esaminando il
patrimonio presente nella Valle, per coglierne tutto il valore
di originalità ed espressività; a pag. 111 sgg.
sono raffigurati ed esaminati i pregevoli altari lignei secenteschi
di S. Brizio: quello di S. Marta, del SS. Nome di Gesù,
e della Visitazione a S. Elisabetta.
- 4 - Per tutte le informazioni storiche,
si fa riferimento ai due articoli di T. Bertamini, profondo
conoscitore della storia religiosa dell’Ossola, e della
festa di Vagna; vd. San Brizio di Vagna, in Oscellana, 1974,
pp.115-130, e “A Vagna. La festa estiva del “Natale”,
ibid., 1996, pp.193-204. P. Bertamini riferisce di non aver
riscontrato alcuna documentazione che attesti la data d’inizio
della nuova forma devozionale, incentrata sul Bambino, che
sembra si pratichi da circa un secolo, secondo quanto testimoniano
i più anziani.
- 5 - L. Bonavia, Cantar Storie, un viaggio
nel canto di tradizione orale tra i monti dell’Ossola,
vol.1, Domodossola 1999.
- 6 - A partire dal XIII sec. l’iconografia
testimonia il motivo del “bacio” del Bambino;
da Arnolfo di Cambio, nella composizione scultorea ritenuta
il primo gruppo presepiale, conservato in S.Maria Maggiore
a Roma, alle raffigurazioni di Giotto, Gentile da Fabriano,
Masaccio, Filippino Lippi, Botticelli, Veneziano, Beato Angelico,
Ghirlandaio, Scuola di Raffaello, Paolo Veronese, Memling,
che così raffigurano uno dei Magi, solitamente il più
anziano; ma anche i pastori si chinano a baciare il piedino
del Bambino. A riprova della persistenza del motivo del “bacio
del piedino”, si riporta una strofa del canto della
tradizione carnica “Lusive la lune”:Volin bussà
chei santz pidutz/ di chel cjar fantulin ( Vogliamo baciare
quei santi piedini di quel caro fanciullo), in Strepitz La
Natività Furclap 2003.
Della stessa Autrice:
* La Prof.ssa Stefania Colafranceschi è membro dell' A.I.C.I.S.
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