DINTORNI 4
L'altra parte della mia famiglia, quella di mio padre, era sostenuta da nonna Matilde, che forse già l'ho detto, era la sorella di mio nonno Flaviano, il padre di mia madre. Quindi, mio padre e mia madre, erano cugini di primo grado. Uno scandalo? Non lo so... Non me ne parlarono mai, a loro sembrava una cosa natuale...
Non so perchè o percome mio nonno, marito di Matilde, chiamato Tonitto, il padre di mio padre, era nato in Argentina, a Buenos Aires. Forse il mio bisnonno era andato là per fare un pò di soldi con il lavoro, ma non so cosa... Mio padre non me ne raccontò al riguardo e lo seppi solo dopo molti anni.
Ho solo una loro foto in cui si realizza che la famiglia, almeno in quella foto, era una famiglia agiata, ben vestita.... a cui forse le tre sorelle, che forse non si sposarono mai, fecero degna cornice.
Quando mio nonno era già morto - mi ricordo di lui come di un vecchietto, di notevole statura, ma innocuo, che mi trastullava facendomi volare intorno, in un piccolo ambiente scuro, un palloncino colorato che mi dava allegria, ma anche qualche brivido di paura, se mi intercettava nei suoi giri - il mio zio più giovane, Benito, emigrò anche lui in Argentina, negli anni 50/55, come già avevano fatto i suoi fratelli maggiori, Nicola e Alessandro, detto Sandrino, trovando lavoro, portando con sè la nonna Matilde,
Mi sembra avesse anche un negozio di stoffe, ma forse era dei genitori di mio nonno e lei vi si dava molto da fare... ma poi il negozio fallì e lei, per arrotondare le magre entrate, incominciò a lavorare a maglia per altre famiglie, non so se avesse una piccola macchina o lavorasse a mano...
Come succedeva a quei tempi i figli più grandicelli venivano tirati su in genere dai nonni paterni... Le notizie sono parecchie ma imprecise perchè quando si è piccoli queste informazioni sugli appartenenti alla tua famiglia, nom ti vengono date e, forse, al momento non ti interessano, ti ricordi, caso mai, di chiederle solo quando è troppo tardi, i protagonisti di queste storie sono ormai morti e non si possono avere ragguagli precisi e seri-
Mi è stato detto che poi mio nonno avesse aperto in paese una banca, il banco di Napoli, ma si sa bisogna essere esperti in queste faccende, ma poi, avendo concesso molti prestiti, mai restituiti, la banca fallì miseramente... Probabilmente ci rimisero tutto quello che avevano, fors'anche la casa.
Lei, piccolina ma sempre piena di energie e fantasiosa, che, nonostante la guerra, le difficoltà, il marito nella I guerra mondiale, la piccola statura, uno dei figli malato, ecc. ecc. s'era sempre data da fare, con quella bella famiglia numerosa di 7 figli, non la rividi mai più se non in fotografia, scattata in quella terra, dove i suoi figli avevano trovato riparo, lavoro, prosperità...
Mi piaceva molto, ma avevo passato con lei solo un'estate... poco, troppo poco... .
Rimasero qui mio padre, mio zio Teodoro, che lavorava presso un noto studio di avvocato, mia zia Elisabetta, detta Bettina, giovane e vedova, che era stata sposata, giovanissima, per pochissimo tempo con un ragazzo, di cui mio padre conservava la fotografia, ma che, andato in guerra, non tornò più.
Dopo molti anni sposò un brav'uomo, Elpidio, molto simpatico e tranquillo, da cui ebbe un bel ragazzino, bruno e intelligente, Paolo, mio cugino, con cui, purtroppo, ci vedevamo poco.
Con zia Bettina, che non frequentavo molto, per la verità, ero tuttavia in sintonia perchè quando ero con lei mi riempiva di attenzioni, sia quando sporadicamente veniva a Roma, sia quando andavo io all'Aquila.
Ricordo che un'estate stetti molto da lei, forse era quella in cui doveva nascere Carlo, mio fratello.. e lei mi faceva giocare sempre e mi portava a spasso.
Un giorno, mi rammento, andammo in un posto pieno di alberi e di verde, era una clinica, un ospedale, andammo a trovare un mio zio malato, bel viso, ancora giovane, con un bel nome, Gerardo. Mi ricordo di esser stata al suo capezzale ma niente altro, fu uno di quei momenti fugaci di cui non rammento più nulla... si diceva che avesse estratto un coltello in una certa occasione,,, ma quando, ... perchè? Era tempo di guerra, era tempo di paura...
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Andrei in giro per Roma stamani, se non dovessi andare in ufficio, inoltrandomi nei vicoli della Roma Trasteverina, della Roma papalina, sorniona e graffiante, vagando lungo le sponde del Tevere calmo e sonnolento dell'estate.
Passavano, per questi stessi vicoli, una volta, gli arrotini col loro trabiccolo e la ruota montata verticalmente come una piccola pala di mulino, emettendo il suo stridio/sibilo triste... e i rigattieri, "gli stracciaroli", così si chiamavano una volta, che nei primi anni del '50 setacciavano quegli stessi vicoli, alla ricerca di antichità che poi si sarebbero ritrovate sui banchi di Porta Portese.
Richiamavano l'attenzione degli abitanti del quartiere, emettendo grida acute. La fame, la miseria del dopoguerra s'erano ormai placate e la gente anelava a rifarsi un guardaroba ed un mobilio decenti, non volendo più ricordare gli stenti patiti.
Ogni tanto il vento portava la voce nostalgica di qualche organino magari un pò stonato che, nelle ore del primo pomeriggio vagava di strada in strada, rievocando melodie di tempi andati. In qualche piazzetta stazionavano i Madonnari che coi loro gessetti bianchi o colorati creavano, sui selciati un pò sconnessi, splendidi disegni, per lo più sacri, un Cristo morente sulla croce o una Madonina tutta bianca, simile alla statua che si ergeva proprio nell'angolo della strada...
Passavano anche gli ombrellai e i venditori di lupini e di castagne e qualche mendicante... Dalle finestre aperte cadevano dieci, venti lire, talvolta anche cento. E l'omino che suonava non sull'armonica a bocca, ma su una foglia o su un pettine avvolto nella carta velina, ringraziava con un inchino.
Poi a Natale scendevano nelle strade gli zampognari vestiti dei loro velli bianchi e morbidi, che portavano felicità e allo stesso tempo un pò di tristezza...
Figure ormai fuori moda, come i portoncini di legno istoriati, i lunghi lampioni di ghisa, i sanpietrini sconnessi su cui giocavo a campana, le vecchie botteghe dove si potevano trovare le cose più impensate e inutili, i bottoni di varie fogge, tessuti raffinati, vecchie cornici... flash di immmagini ferme a quel periodo, miracoloso per noi che fu il boom economico degli anni 50/60: la Fiat, il televisore, il frigo, la lavatrice.
Sembra di essere estranei, ormai, a questa Roma d'oggi popolata di zingari ladroni e di barboni infelici, di drogati e di folli d'ogni genere e razza, fiumane di gente di colore e non che vive e lavora ai margini della societa'...
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DEDICATA A ETTA -
DEDICATA A...
...Etta che si commuove
alle prime foglie, alle gemme nuove.
Che triste guarda e s'accora, muta,
l'animo colmo di malinconia,
per l'ultima rondine che la saluta.
Che ha il cuore pieno di nostalgia
per le bambole e i giochi dell'infanzia
e i giorni luminosi di vacanza,
per il presepe e il pino di Natale.
Etta che ama le feste, il Carnevale...
E a primavera attende sul balcone
la prima rondine che fa ritorno,
che allegra cuoce crostate in forno,
intenerendosi se un timido piccione
ancora stenta a volare verso il nido...
Etta che mi sopporta, Etta di cui mi fido.
Etta che è allegra o dura e intransigente,
Etta che si deprime, ma poi ama la gente,
Etta che si circonda di mille cose belle,
Etta che è madre e figlia ma che non ha sorelle.
Perciò, sottovoce le dico: "Eccomi, amica mia,
se ti senti un pò sola, ti farò compagnia...!"
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Non immaginavi certo, tu che hai avuto un'infanzia un po' solitaria, priva della figura paterna, immersa in un mondo un po' al di fuori della realtà in cui tua madre, tua zia e tua nonna si facevano un dovere di farti crescere, sempre affaccendate intorno a te, a darti il meglio ed anche di più per colmare, inutilmente, quel vuoto, che un giorno avresti davvero riempito con un marito, che potrei davvero definire un santo, e da quattro bambini, tutti maschi, forse per una strana compensazione.
...E tu che mi sembravi così poco portata per il ruolo di moglie e madre, ti adattasti bene a questa "parte", nel migliore dei modi, interpretando nel corso delle tue maternità, via via il ruolo della gestante in trepida attesa, bisognosa di cure e di riposo, dalla puerpuera-diva tra svolazzi di camicie rosa fruscianti e flash di foto in cui apparivi sempre in forma, neo mamma premurosa col neonato del momento, con la faccetta tonda ed il pancino gonfio del suo primo pasto, tutto odoroso e tirato a lucido, sembrando già conscio del suo ruolo di attore comprimario, che spalancava gli occhi, sfoderando una smorfia, da tutti poi interpretata come un primo goffo tentativo di sorriso...
Ti sei adattata forse anche meglio di me, perchè mi sembra ancora ieri che eravamo due bimbe senza doveri nè pensieri. Io ero grassottella e piccolina ed invidiavo la tua figuretta slanciata in formazione, il portamento un pò altero, il viso a cui il naso affilato e la piccola bocca rossa davano un'impronta di fermezza ed i lunghi capelli raccolti ornavano il viso come una diafana aureola dorata.
E poi non riuscivo a capire come mai potessi ingollare due o tre "ciriole" al giorno, ripiene di ogni ben di Dio, senza ingrassare, mentre a me bastava un nonnulla perchè la mia figura già tonda, si arrotondasse di più.
Mangiavi i tuoi sfilatini a merenda o di sera, quando, non avendo ancora la televisione venivi da me di corsa per guardare insieme il nostro programma preferito o i nostri beniamini del mondo canoro. Quella sera in cui Pat Boone, di cui eravamo un pò innamorate e un pò tifose, venne al Musichiere fu un
vero avvenimento, indimenticabile.
Era il nostro idolo da anni e tu mi avevi iniziato alla sua conoscenza attraverso un album di ritagli di giornali, come si usava in quegli anni tra noi giovani, che riguardavano la sua vita e che io ti invidiavo. Poi sulla tua falsariga iniziai anch'io a raccogliere foto e recensioni sui cantanti che più m'interessavano.
Ma i miei ricordi vanno ancora più indietro, perchè ti conosco da sempre, un'infanzia intera ci unisce, tanti giocattoli rotti dalle nostre manine, tante corse sui prati del Colle Oppio e merende sull'erba e vorrei avere più memoria per rammentare i nostri primi giochi in comune.
Avevi stuoli di bambole con vestiti magnifici (una aveva persino un armadio guardaroba con lo specchio che conteneva tutti i suoi eleganti vestitini, compresa una pelliccia bianca di coniglio) e due di gomma morbidissima con cui giocavamo al dottore e all'infermiera, bucandole a tutto spiano.
http://www.raropiu.com/pat-boone-discografia-italiana-1957-1966/
GIOCHI
Coi vecchi vestiti della mamma,
una vestaglia rossa di velluto
ed una trousse di finta tartaruga,
mi travestivo, poi, da nobildonna,
seduta su di un vecchio seggiolone,
Etta e Carlo, compagni dell'infanzia,
lì ai miei piedi, fedeli paladini.
Dinanzi a un altarino improvvisato
(un vecchio tavolino, una tovaglia)
simili a sacerdoti sull'altare
celebravamo senza irriverenza
natività di bambolotti ben curati,
un nome imponendo e una carezza.
Poi, lieti in cuore, sopra l'altarino
festeggiavamo con il latte ed i biscotti...
https://www.ecococcole.com/sacchetto-nascita-bimbo-bomboniera-con-iniziale.html
Ogni nuova bambola che ci veniva regalata, veniva sottoposta ad una rituale cerimonia di Battesimo: innalzavamo un altarino sul mio tavolinetto malfermo, ricoprendolo con una copertina di lino bianco ricamata con dei bei fiori colorati che gira ancora in casa di mia madre. Io e te a turno rappresentavamo il sacerdote e la madrina coprendoci di scialli e di veli e Carlo, sempre al nostro seguito, fungeva da chierichetto suonando a più riprese un campanellino dorato. Eravamo tutti assorti e compenetrati nelle nostre parti e reggevamo con delicatezza la bambola avvolta nel suo vestito migliore. La cerimonia si concludeva sempre con dolciumi vari e risate.
A queste cerimonie di una volta ho pensato poco tempo fa, quando mi hai chiesto di tenere a Battesimo il tuo terzo e quarto figlio, Flavio e Giorgio... l'ultimo una palletta di ciccia rosea biondo e bello che mette tenerezza al solo guardarlo. Ne sono stata immensamente felice proprio perchè i nostri giochi e la realtà ora si sono fusi in un'unica cosa.
Ma la mia vera passione era giocare a "vendere". La mamma aveva una trousse di tartaruga, forse finta, in cui racchiudevo piccoli tesori, spille dorate e anellini che poi esponevo sul mio letto tirandoli fuori ad uno ad uno, aspettando che tu e Carlo veniste ad
acquistarli.
Oppure vendevo manciatine di pasta e pezzetti di ortaggi presi alla mamma e messi in bell'ordine sopra un mobiletto bianco che fungeva da cucina per le bambole, che avevo ricevuto in regalo per la Befana, con gli sportelli scorrevoli e i cassettini.
https://www.kijiji.it/annunci/altro-abbigliamento/forli-cesena-annunci-cesena/antico-porta-cipria-porta-trucchi-in-bachelite-con-specchio/52485429
CARNEVALE
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Vestita da fata,
bambina con trecce di sole,
nel lieve vento di marzo
mi lancio,
come un gaio aquilone.
Sull'ampia gonna di carta
cento stelline dipinte,
un cono azzurro il cappello.
In mano, una sottile bacchetta,
fragile talismano dei sogni,
con cui, sono certa,
realizzerò magie...
A Carnevale facevamo delle vere "orge" di gioco, con i vestiti smessi delle nostre mamme e ci paludavamo nei più astratti e favolosi costumi. A me piaceva indossare una vestaglia di velluto rosso bordeaux di mia madre, lunga e calda con un solo grosso bottone in vita che mi faceva sentire una regina. Una volta te ne facesti uno vero da spagnola con pizzi neri e stoffa rossa scintillante. Sembravi una gitana purosangue girando intorno a me e abbagliandomi di colori.
Tuo nonno che aveva grande affetto per me e mi teneva spesso sulle sue ginocchia, ci organizzò una volta una recita, creando nella sua stanza quinte e palcoscenico, costumi e luci. Fu un lavoro lungo ed entusiasmante. Io ero la "servetta" con tanto di grembiule, crestina e guanti bianchi e dicevo non più di tre battute, ma per me che non riuscivo mai a dire molte parole di seguito, era un grande sforzo.
La stanza di tuo nonno assumeva ai miei occhi un sapore magico ed ogni volta cercavo un pretesto per gettare uno sguardo nel grande armadio luminoso, pieni di ferri dall'aspetto enigmatico.
https://teatroleoamici.it/teatroacasa/
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Il periodo più bello dell'anno era per noi il Natale. Cominciavamo un mese prima a sentire nell'aria l'atmosfera di dolcezza e di euforia che si impadroniva di noi al vedere le vetrine illuminate in cui sfavillavano verdi abeti finti ammantati di colori e piccole figurine del Presepe. Facevamo progetti anche noi per il nostro albero e per il presepe eppoi per i piccoli regalini da fare ai genitori... con i nostri piccoli risparmi compravamo rametti verdi d'agrifoglio e pigne dorate per decorare le nostre stanze o bengalini colorati da far esplodere e scintillare la notte di Natale e dell'ultimo dell'anno.
Finalmente, un giorno io e Carlo tiravamo fuori dallo scatolone il nostro alberello un po' striminzito che cercavamo di riempire con palline e luci multicolori.
Sul tavolino un pò piccolo e tarlato, stendevamo una coperta di muschio e innalzavamo montagnole di carta e grotte da cui scaturivano ruscelli di carta argentata che si allargavano in un laghetto ricavato da uno specchio rotto, che avevamo tenuto da parte questo scopo.
Pecorelle e pastori in miniatura salutavano donne con ampie vesti e sorrisi dipinti, cestini colmi di uova o verdure, casette di cartapesta sbandieravano comignoli rossi e finestrelle illuminate da carta stagnola dorata, in un angolo una palma verde e morbida alzava al cielo stellato quattro rami verdi.
La via principale, tracciata con sassolini bianchi, giungeva sino alla stalla in cui S. Giuseppe e Maria attendevano, su una manciata di paglia, la nascita di Gesù, mentre un angioletto dalla faccia rosea penzolava nell'aria mostrando a tutti la stella cometa ornata di lustrini argentei, sorta sulla cupola azzurra del cielo decorata di stelline d'oro.
Sul tavolino un pò piccolo e tarlato, stendevamo una coperta di muschio e innalzavamo montagnole di carta e grotte da cui scaturivano ruscelli di carta argentata che si allargavano in un laghetto ricavato da uno specchio rotto, che avevamo tenuto da parte questo scopo.
Pecorelle e pastori in miniatura salutavano donne con ampie vesti e sorrisi dipinti, cestini colmi di uova o verdure, casette di cartapesta sbandieravano comignoli rossi e finestrelle illuminate da carta stagnola dorata, in un angolo una palma verde e morbida alzava al cielo stellato quattro rami verdi.
La via principale, tracciata con sassolini bianchi, giungeva sino alla stalla in cui S. Giuseppe e Maria attendevano, su una manciata di paglia, la nascita di Gesù, mentre un angioletto dalla faccia rosea penzolava nell'aria mostrando a tutti la stella cometa ornata di lustrini argentei, sorta sulla cupola azzurra del cielo decorata di stelline d'oro.
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La vigilia di Natale non riuscivo a vederti che all'ora di cena, quando ci scambiavamo gli auguri e i piccoli regali che avevamo comprato l'una per l'altra ... ma questo avveniva quando eravamo già grandine poichè anni prima questa tradizione, ma soprattutto i soldi, non c'erano e i regali si ricevevano solo per l'Epifania.
Tua madre era ancora indaffarata a sistemare le ultime luci sull'enorme albero, il tuo vero, a cui doveva spuntare la cima per potervi sistemare il puntale, che troneggiava al centro della stanza da pranzo. Sotto l'albero già si stendeva una coltre di pacchetti colorati, tutti regali per te a cui si aggiungeva il mio, piccolo.
Per lo più ci rivedevamo dopo cena o nel pomeriggio del giorno dopo, per giocare interminabili partite a tombola in cui spesso risultavo vincitrice, facendoti un po' rabbia.
Passavo interi minuti a guardare con ammirazione l'enorme Presepe costruito da te con l'aiuto del nonno o della mamma, steso sul grande tavolo: montagne e grotte s'innalzavano su un tappeto di muschio e piccole luci si nascondevano negli anfratti aperti sulle finte
rocce, miriadi di pecorelle ed altri animaletti da cortile erano dispersi in mezzo all'erba, aprendo le bocche ad un muto richiamo.
Il Bambinello, dal sorriso dolce apriva le piccole mani ad abbracciare questo piccolo mondo immobile spandendo intorno a sè un alone dorato di luci.
RICORDI D'INFANZIA
Persa ti trovo, in ricordi infantili
di nonni amorosi, pronti, gentili,
di sonni quieti, sereni e novelle.
Oh, ecco l'albero, il finto scenario
di case, di palme ed un dromedario,
cieli dipinti e manciate di stelle.
Brilla su tutte la stella cometa...
Su, quel sipario, azzurro, di seta
(eran i bei tempi di scuola media
e noi piccole attrici d'una commedia)
Tu impersonavi un vecchio dottore
con un completo di panama bianco.
Grembiule e crestina, io cameriera,
intimidita recitavo al tuo fianco,
sognando applausi per tutta una sera.
Un orologio batteva le ore...
Eccoci ancora, regista tuo nonno,
vestite da brune, gaie gitane:
balze di gonne, orecchini, collane,
cantiamo, balliamo. Poi, ecco che il sonno
ci prende greve e gli occhi socchiude.
Sopra i ricordi il sipario si chiude...
Oh, immagini d'allora, ormai perdute.
La brina copre le cose conosciute
e le trasforma in scene surreali.
Così il tempo, la dimenticanza
ricopre i ricordi dell'infanzia
e li tramuta in fiabe, in ideali...
L'ultimo dell'anno, invece, ci ritrovavamo dopo cena sul pianerottolo, resi allegri da un goccio di spumante tracannato di nascosto, tenendo in mano luminarie scintillanti e fette di panettone che divoravamo a quattro palmenti.
Correvamo per le scale, strillando auguri festosi ai nostri coinquilini tappati in casa, suonavamo il campanello delle due vecchiette che abitavano sotto di noi, ci nascondevamo negli angoli bui delle scale e ritornavamo di corsa in casa, giusto in tempo per gettare dalle finestre piatti vecchi e telefonare a casaccio a qualche abbonato per augurargli buona fine e buon principio d'anno.
Al riparo delle persiane accostate, per non ricevere in testa qualche oggetto gettato dai piani superiori, accendevamo tra risate represse i nostri bengalini colorati che scoppiettavano allegramente.
Quanti sogni, quante speranze sui nostri visi accaldati e festosi!
********
La Befana naturalmente era la festa che attendevamo di più; la vigilia ci rodevamo dall'impazienza e la sera restavamo alzate fino a tardi, chiacchierando sulle soglie delle nostre case, immaginando i prossimi regali, esprimendo speranze e, poi, a
notte tarda, ognuna nella sua casa, nel suo lettino, sognavamo immaginarie vecchiette sedute a cavalcioni d'una scopa leggendaria, con un grosso sacco sulle spalle, mai vuoto.
I regali che ricevevamo per l'Epifania erano doni che per tutto l'anno avevamo desiderato, sognato... non era quella l'epoca del consumismo, si iniziava appena a star bene ma dai magri stipendi, i genitori non attingevano a piene mani che poche volte per acquistar giocattoli... e noi gia' stavamo bene, non ci mancavano le paste alla domenica, il gelato d'estate, caramelle e dolciumi...
Ma coi giocattoli ci si andava piano.
La mattina dopo, non so com'era, ci svegliavamo prestissimo per vedere i regali arrivati durante la notte. Gridolini di gioia e di sorpresa rimbombavano tra le pareti delle nostre case e subito ci ritrovavamo sul pianerottolo per mostrarci a vicenda quei
tesori.
Il pomeriggio era poi dedicato interamente ai giochi coi nuovi
giocattoli, finchè a sera non cadevamo, sfinite ed euforiche per l'emozione.
Certo, perà, conmvenivo tra me e me, che i tuoi erano regali più belli... anche perchè spesso "ereditati" da una cugina più grande e ricca, che abitava a Como, e che, di tanto in tanto, ti riciclava i suoi giocattoli smessi.
A me sembravano bellissimi, inimitabilli, una volta avevi ricevuto una bambola con un intero armadio-guardaroba pieno di pellicce, abitini, cappelli, borsette...
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Un'altra volta ci vestimmo da dama e cavaliere del 700, tu con una parrucca bianca e neo sul mento e vestiti fruscianti, io con pantaloni al ginocchio e parrucchino. Cercavi d'insegnarmi il minuetto e facevamo prove su prove, perchè io ero sempre un po' restia all'apprendimento del ballo, ma sopratutto mi sentivo goffa e spaesata in quelle vesti...
L'unico ballo ch'io sia mai riuscita ad imparare bene, molto più avanti negli anni, sempre sotto la tua guida e pazienza, è stato il cha-cha-cha.
Io ero sempre da te o tu da me. I nostri appartamenti erano uno di fronte all'altro e bastava che io battessi in un vuoto del muro comunicante, che avevamo scoperto, perchè a questo richiamo ci ritrovassimo sul pianerottolo, fresco d'estate e gelido d'inverno. L'ampia volta delle scale accoglieva le nostre risate, i nostri giochi ed i segreti sussurrati all'orecchio.
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Eccole, finalmente, le rondini di questa tardiva primavera...
http://best5.it/post/le-rondini-simbolo-della-primavera-di-buon-augurio-di-fedelta-e-di-rinascita/
Un giorno di primavera, arrivavano, finalmente le rondini... Sole o a gruppi folti, solcavano il cielo terso di Roma, rallegrando le nostre mattine, tra campanili, tetti, alberi, con le loro giravolte, con i loro versi canori, con le loro corse, abbrivii, frenate. Le loro piume brillavano al sole, le loro gole emettevano garriti festosi...
Ed Etta si commuoveva, come sempre, al loro arrivo. Stavamo, per ore, davanti a quello spettacolo che la riempiva di felicità.
Io, invece, al contrario di lei, non provavo alcun sentimento di gioia, ma mi piaceva, ero contenta che lei si ravvivasse tutta in quegli incontri.
Io non amavo alcun tipo di bestia, salvo il piccolo Black con cui avevo fatto stranamente amicizia, ma non amavo il loro contatto, il fatto che gli uccelli svolazzassero, che i cani e i gatti leccassero le mani o il viso... ecc. ecc. Non amavo e non amo gli animali.
Sarà stato forse perchè al piano al di sopra di dove abitavo io c'erano due ragazzi che avevano un cane, bianco e nero, forse un setter, che lasciavano scendere a corsa pazza per le scale, talvolta incrociandomi e incutendomi un'immensa paura, oppure...? non lo so.
Sta di fatto che, invece, Etta amava ogni genere di animali, a cominciare dai gattini randagi che talvolta incontrava nei dintorni e che non si peritava di stringere ed accarezzare, portandoseli anche a casa, suscitando le ire della nonna... Ma le piacevano anche i cani ed anch'essi, talvolta, facevano parte del suo seguito.
Nel corso degli anni, la sua casa divenne il refugium peccatorum di tante diverse specie animali. A cominciare da una gallina che invecchiò a casa loro e poi tirò le cuoia a tempo debito. Quando eravamo piccole, al mercato vendevano anche pollastri e galline, specie sotto Natale e molti erano gli acquirenti che se le portavano a casa, magari 10 giorni prima, per renderle ancora più appetibii per il pranzo natalizio. Le galline venivano nutrite, pulite, accudite, per qualche giorno e in prossimità delle feste gli veniva poi tirato il collo, venivano appese in cucina a un gancio, si lasciavano frollare, poi si passava alla spiumatura, alla pulitura e, finalmente, venivano cotte. Con le loro carni si faceva dapprima un bel brodo che si sarebbe servito con i tortellini, poi la carne veniva messa al forno con le patate, olio, rosmarino e sale. Ed era una vera festa...
A proposito del brodo, era tassativo farlo con i tortellini e, qualche giorno prima di Natale, mia madre attrezzava tutto per creare un'imponente sfilza di tortellini ripieni di carne, coinvolgendo anche me che, stranamente consentivo, con pazienza, a svolgere quell'operazione. Ovviamente, era lei che preparava una larga sfoglia sottile, che stendeva sul tavolo troppo piccolo, era lei che cuoceva a fuoco lento la carne macinata che serviva da ripieno, sagomava i tortellini, li stendeva sul tavolo ed, eccomi finalmente in azione, io mettevo la carne al centro dei tortellini che poi richiudevo con due o tre passaggi, schiacciando bene i contorni... mi sentivo fiera e felice, alla fine di quell'operazione!
Tornando alle tendenze di Etta per gli animali, di cui di alcuni ho perso proprio il ricordo, quella che mi è rimasta scolpita in mente era una tortora che le aveva regalato un ragazzo e che spadroneggiava da un angolo all'altro della casa. Conoscendo la mia fobia per gli animali, ma in modo particolare per gli uccelli, quando andavo a casa sua, la colomba veniva tenuta in un'altra stanza, ma poco dopo sgattaiolava via e si poneva come una sentinella sopra l'armadio scuro che troneggiava nell'ingresso.
Ovviamente non rimaneva troppo a lungo e cominciava a svolazzare nelle altre stanze, suscitando le mie urla di paura. Veniva ripresa e coccolata da Etta, mentre io tagliavo corto e dopo poco me ne andavo, gridando a Etta di venire lei da me. Durò qualche stagione, ma per me erano state troppe.
Poi cominciò l'epoca dei roditori: dapprima due topolini bianchi e rosa che fecero figli a più non posso... passati loro fu la volta di due criceti che, una volta, portati in visita casa mia, non si peritarono di lasciare la loro pipì sul bel divano di velluto marrone...
Ma ne sono passati tantissimi altri di cui ora non ho più memoria: uccelli vari, un coniglietto e chissà che altro.... E quando, talvolta, moriva un uccellino oppure qualche pesce, vinto al una Park e vissuto per poco, noi non potevamo far altro che "inscenare" un bel funerale che poi si concludeva con una bella merenda a base di biscotti...
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Gli anni, intanto, passavano, e passavano i giorni e ad un certo punto ci ritrovammo nella stessa Scuola Media, dove ci recavamo insieme ogni mattina, salutandoci quando suonava la campana della ricreazione fra le risa ed il caos di quel quarto d'ora. Tu facevi la terza media ed io la prima...
Cominciava l'età delle prime cotte, dei balli, delle gite... Tu eri più grande di me di tre anni e avevi quindi più libertà, più esperienze... così io bevevo le tue parole con cui evocavi le feste a cui avevi partecipato, aspettando con ansia di crescere per poter fare lo stesso.
Ogni ballo importante richiedeva un nuovo vestito secondo la moda, così si susseguivano, per te, corpetti e gonne di tulle rosato e vaporoso, chiffon azzurro cielo trasparente, lamè dorato e scintillante... mentre i capelli, che di solito scendevano sulle spalle, si alzavano a contornare, con riccioli o bandeaux lisci il tuo viso addolcito dall'emozione.
Tua madre e tua zia, infaticabili, ti davano il meglio, l'una lavorando fino a tarda notte per creare modellini sempre più estrosi ed eleganti, l'altra per soddisfare ogni tua richiesta, fino ad una brioche fresca al mattino....
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NEL CASTELLO DEI SOGNI
Se ti sfiora lo spettro della morte,
se una tristezza improvvisa t'assale
dinanzi al declino inarrestabile
degli esseri che ami,
stringi forte la mia mano, amica mia...
Io ti condurrò nella sfera, tersa
come cristallo, dell'immaginario
creando favole senza tempo,
come nella nostra infanzia.
Entreremo nel castello dei sogni
dove nulla è impossibile,
vestiremo bambole antiche,
compagne mai dimenticate.
vivremo e attingeremo forza
dall'illusione del passato.
E ancora assorte in esso,
e confortate, ritorneremo poi
a quella che è la nostra realtà...
^^^^^^
SPOSA
Oggi un pò della mia giovinezza
se ne è andata, amica mia,
oggi che hai offerto la tua vita
all'uomo che nel silenzio solenne
t'attendeva.
L'organo cantava la tua felicità
nuova, di sposa
e sul tappeto celeste
la macchia bianca del tuo vestito
s'allargava come una corolla al sole.
Mentre io pensavo alle cose passate
che ci unirono,
agli attesi Natali di bambine,
al coro di risate trattenute
sotto l'ampia volta di silenzio,
alle corse rumorose per salire
a quattro a quattro i gradini.
Ai voli degli uccelli impazziti
sulla grigia terrazza,
alle incerte paure
e ai nostri giorni spensierati
che risuonavano di voci.
Ricordi, ricordi
di me e di te bambine,
che fuggono lontano.
Afferrali forte, non lasciarli fuggire,
compagna d'una infanzia,
amica mia.
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RINGRAZIAMENTO
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15 Agosto, Festa dell'Assunta.
Nella piccola chiesa suggestiva e sovraccarica di elementi architettonici bizantineggianti, le luci splendono ed il sole di mezza estate entra dalle vetrate istoriate, colpendo al centro dell'altare il vecchio prete prono in preghiera. Sottili lamelle dorate si dipartono anche dalle Via Crucis appese alle pareti e danzano, inseguendo le tremule fiamme delle candele accese dinanzi alla statua della Madonna dolce e comprensiva.
D'un tratto, sulla scia del sacerdote che invoca il Figlio Divino, una donna - una vecchia pezzente piccola e sciancata - lasciata in fondo alla chiesa una sporta logora contenente tutti i suoi averi, avanza verso l'altare intonando un inno.
La sua voce s'alza dapprima esile e incerta, poi si fa più chiara e decisa, man mano che il canto prosegue.
Inonda tutta la chiesa ed il cuore dei presenti con quel suo gorgheggio solitario ed inaspettato, reso ancor più sonoro da un erre pronunciata alla francese.
I pochi fedeli ascoltano nel più assoluto silenzio, vivamente commossi.
Il canto si conclude con un tono più acuto e prolungato che scuote il piccolo corpo contratto, la voce si smorza lasciando nell'aria un lieve trillo.
La donna si segna e trascinando il piede offeso torna sulla porta accanto ai suoi fagotti. Pur nella sua immane debolezza e povertà,
quell'essere minuto e fragile ha ringraziato Dio di quell'unica cosa che il Creatore le ha donato, quella voce armoniosa da usignolo... |
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UNA MADRE
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Quando talvolta ci incontriamo per caso, ci
scambiamo uno sguardo frettoloso e appena un
accenno di saluto col capo o con la contrazione
lieve d'un muscolo facciale.
Non sopporto il tuo sguardo, quasi mi sentissi colpevole, io nei tuoi confronti, poichè il
destino o la vita, come preferisci, t'hanno
riservato stigmate di dolore: un'infanzia orfana
di padre, un giovane cognato, quasi un fratello,
ucciso in un incidente stradale su di
un'autostrada...
Sarà un anno - ma l'orologio
della sofferenza segna un altro tempo, interminabile, oscuro - che hai perso tua figlia
tredicenne a causa d'un embolo.
Ed io sento il tuo dolore, spesso come una
lastra di piombo, lo sento come un sudario su di
me ogni volta che i nostri occhi si sfiorano.
anch'io ho una figlia tredicenne che è viva,
bella, sana e cresce...
E vorrei venirti vicino,
tenderti una mano con un sorriso, parlarti, veder
sparire dal tuo volto dolente la maschera grigia
della tristezza. Invece resto ferma al mio posto,
di fronte a te, compenetrandomi in te, nel
tormento che vivi attimo dopo attimo.
Chi può
consolarti?
La tua figura fragile ondeggia lievemente
mentre prosegui e mi oltrepassi, col tuo vestito
nero, i tuoi capelli neri, i tuoi occhi neri, come
intagliata nell'ebano. Sola e sperduta in
un'eternità di spazi e di tempi dolorosi, come un
asteroide disperso in siderali silenzi.
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UNA RAGAZZA
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Vai in giro con quella gonna troppo corta e
stretta che ti scopre due belle gambe curate, alta
e slanciata, ma con quel viso!
Un viso che forse
è bello dietro la maschera colorata che porti in
giro, fatta di cerone ed ombretti e rossetti
vistosissimi.
Un viso di cui profani la bellezza quando, ridendo
con spregiudicatezza ed estroversione, scambi
baci, innocui ma superflui - anche questa è una
moda - coi componenti del gruppo rumoroso che si
raccoglie sotto il portone...
Si vede che sei giovane, che non hai più di
sedici, diciassette anni, ma la freschezza della
tua età si perde dietro il pesante trucco quasi
clownesco. Come tante le ragazze della tua età
vuoi essere al centro dell'attenzione - si sa, si
può capire - ma in te questo desiderio è
sfrenato, va al di là del semplice esibizionismo
giovanile... al di là, nel profondo c'è qualche
altra cosa più intima, qualche ferita
dell'anima che non si rimargina e a cui reagisci,
creandoti una maschera dietro cui tenti di
nascondere la tua solitudine.
Vorrei poter lenire la tua pena, guarirti,
parlarti, ma forse il mio intervento materno
verrebbe frainteso... Forse mia figlia, tua amica
e coetanea, riuscirà a penetrare nel folto dei
tuoi problemi e così non sentirai più il bisogno
d'indossare ad ogni istante una maschera colorata
e vistosa che desta riprovazione negli anziani e
desiderio nei giovani...
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L'INDOSSATRICE
S'accendono i riflettori che convergono verso
l'alto dell'enorme sala affollata e fumosa,
creando un gioco di luci sulla sommità della scala dove ci si aspetta, da un momento all'altro,
la comparsa delle indossatrici, giovani ragazze
che mostreranno alla platea curiosa
alcuni modelli di abiti da sposa.
Una alla volta appaiono in cima alla scalinata,
sostano un attimo facendo una piccola giravolta
per dar modo di ammirare da ogni lato il vestito,
poi discendono con più o meno grazia e
disinvoltura, sostano di nuovo e, percorrendo un
corridoio ai cui lati s'affollano gli spettatori,
raggiungono la giuria. Ritornano infine sui loro
passi e scompaiono nei locali interni, adibiti per
l'occasione a spogliatoi.
La prima è una brunetta sinuosa con due
occhi ed un sorriso tentacolari; non perde
occasione per mettersi in mostra, apre le braccia
ad afferrare un fatuo successo e compie ampie
piroette... ma i suoi movimenti sono inesperti,
goffi.
Ora avanza una biondina forse tinta; sembra
inquieta, delusa, ha un viso triste e un pò
segnato, come se avesse pianto poco prima di
presentarsi in pubblico. Percorre di corsa, quasi
a balzelloni, la lunga scalea, trattenendo ai lati il lungo strascico di pizzo.
La terza è una castana aggraziata e simpatica, si
muove con un'andatura sicura, forse non è nuova a
questa esperienza. Viene accolta da qualche
applauso e sorride alla folla con garbo ed un
piccolo inchino. E' forse questo il suo momento di
successo?
Rallenta il passo, gira su se stessa più volte,
lentamente si pavoneggia nell'ampia veste bianca
come un candido cigno che si chini sulla lucida
superficie di un lago e cerchi la sua immagine
riflessa sul pavimento specchiato della sala.
E' delicata e sontuosa al tempo stesso, quasi
bella con quel sorriso raggiante sul volto.
Vorrebbe che quest'attimo non finisse mai!
Ma già le luci aggressive dei riflettori si
spostano dal suo corpo flessuoso, tornano sulla
giuria. E lei, candida vestale di questo ben
misero tempio, rientra nel buio non più protagonista. E' ormai solo una macchia bianca
nell'oscurità'. Non le resta che ritornare, a
malincuore, nell'anonimità' degli spogliatoi...
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I PESCATORI
https://www.ebay.it/itm/1954-Press-Photo-fishermen-cast-fishing-nets-on-Tiber-River-in-Rome-Italy/203343130311?hash=item2f5831eec7:g:jlkAAOSwjGVgQMpM
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Il Tevere disegna innumerevoli anse, si
annoda e si distende formando gorghi concentrici
quando la forza della corrente si scontra con la
stabile massa dell'Isola Tiberiina o contro i
grossi pilastri dei ponti.
Le acque fangose del fiume racchiudono genie di
microscopiche larve che non diverranno mai adulte
in quell'habitat alterato da correnti sotterranee
e dalla mota; poche specie di pesci, forti e
battagliere, riescono a sopravvivere e a
riprodursi.
Altri nemici, poi, più subdoli ed agguerriti
s'affollano sin dalle prime luci della mattina
sino all'imbrunire, sui ponti o lungo le rive: una
schiera di pescatori giornalieri, scansafatiche o
pensionati che provengono dalle più svariate zone
della città.
Qualcuno, per raggiungere la sua postazione, si
serve dell'autobus, la canna da pesca rientrata
nella sua anima di ferro e un giubbetto
impermeabile con numerose tasche, alcuni che
abitano nei quartieri limitrofi portano con sè
seggiolini pieghevoli.
Nei periodi estivi portano con loro i figli più
grandi, augurandosi di trasmettere alla prole
quella loro passione.
Così dai ponti e dalle rive gettano i lunghi
filamenti di nylon nella speranza che qualche
pesce che stazione nei pressi si lasci andare ad
assaggiare i bocconcini speciali, preparati la
sera precedente secondo personali ricette di cui
custodiscono gelosamente il segreto.
Le ore passano lentamente senza risultati
notevoli ma ogni tanto qualche pesce meno astuto e
più affamato degli altri abbocca e dai ponti e
dalla rive s'alzano grida di meraviglia che
seguono lo scatto del pescatore che tira la lenza
e gli ultimi guizzi d'un minuscolo pesce
grigiastro. Che, per lo più, viene buttato di
nuovo in acqua o per la taglia troppo esigua o
perchè al pescatore bastava solo la soddisfazione
d'esser riuscito nell'intento.
Quelli meno fortunati trascorrono, comunque, una
felice giornata al sole e all'aria aperta, benchè
al centro della caotica, rumorosa, maleodorante
Roma.
Ore di relax passate a parlare con gli altri
appassionati o ad ascoltare racconti veritieri o
falsati di enormi prede pescate anni prima su
quello o sul talaltro ponte da padri, nonni o
conoscenti.
O, semplicemente a lasciar vagabondare i propri
pensieri lungo le acque torbide eppure
affascinanti del Tevere su cui, a tratti, stormi
di gabbiani frastornati roteano, scendono in
picchiata, risalgono svelti attratti dai richiami
d'una vecchina che, ferma sulla balaustra d'un
ponte, dissemina tra i gorghi ruggenti, briciole
di pane... |
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IL CONCORRENTE
Breve momento di notorietà questo, che ti
permette di apparire in televisione, come uno dei
tanti beniamini di un pubblico che nel momento del
successo ti applaude e nel momento dell'incertezza
o della caduta, subito ti dimentica.
Le luci, i colori, l'atmosfera del set televisivo
ti frastornano, l'ansia del non saper forse rispondere ti fa sudare ma, anche se
impercettibilmente nervoso, riesci a dominarti
perchè la mente deve essere sgombra per recepire
le tante domande a cui dovrai rispondere.
E le risposte ti vengono alle labbra quasi
spontaneamente, pescate nell'enorme stiva dei
ricordi dell'infanzia.
Premi il pulsante con foga ed ecco, l'elegante e
simpatica conduttrice del gioco che ti annuncia
che sei milionario, per ora solo di nome, ma più tardi realmente. Continui a rispondere ad altre
domande che si affollano, si accavallano nella
mente confusa dall'emozione di quanto ti sta
accadendo, ma con una scioltezza e la solita
ironia giocosa che in te maschera, come sempre,
una natura ombrosa e schiva d'uomo insicuro che,
però, al di là dello schermo non viene notata.
Ancora un'altra prova, con un avversario diverso
questa volta e qualche giorno dopo un'altra
ancora.
Parenti ed amici ti seguono da lontano, ti
telefonano, i conoscenti ti fermano per la strada
per sapere se sei proprio tu quello che partecipa
al gioco, per conoscere quali sono le tue
impressioni sul mondo televisivo (è davvero così
giovane come sembra quella tal annunciatrice?...
che sensazione dà l'essere milonario?... la
trasmissione è in diretta o registrata?...). Insomma, una sequela di domande curiose a cui tu
dai risposte con un certo sussiego.
Questa
notorietà ti dà prestigio, ti trae
dall'anonimato in cui la tua vita, vuota di
affetti e di sorprese, ti relega. E' un modo come
un altro per essere, finalmente, al centro
dell'attenzione, per avere, finalmente, uno scopo!
Tu forse t'immagini che tutto ciò ed il denaro
guadagnato con così poco sforzo in questi giorni
d'effimero successo possano dare alla tua vita un
volto diverso, un avvio verso qualcosa d'insperato
che segni una svolta decisiva nella ricerca di un
lavoro consono alle tue possibilità, al tuo
titolo di studi. Un cambiamento insomma nel tuo
modo di vivere così poco soddisfacente, così
poco lieto, così inutile.
E non sai che, invece, anche questa volta le
tue speranze saranno deluse, tutto andrà come
ogni volta.
Passato questo momento d'euforia e di
luci riflesse, tu tornerai alla tua quotidianità
dimessa, nell'ombra dell'anonimato sottotono in
cui vivi, in cui nulla avviene d'eccitante e di
meraviglioso. Ma forse la vita, il destino o chi per esso t'hanno voluto dare, con questo momento
d'effimera gloria, un contentino, un regalo
inconsistente di lampade e di colori, di microfoni
e di tasti, di parole e di speranze.
Ecco, come un meraviglioso albero di Natale -
quello che non abbiamo avuto nella nostra
infanzia, perchè il nostro era finto e
striminzito - nella penombra della tua stanza
solitaria potrai accenderlo nella memoria ogni
volta che vorrai e veder di nuovo risplendere le
luci, i volti sorridenti, ascoltare le voci e gli applausi, tornando alla ribalta dei sogni...
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