LE SFILATE DEL 2 GIUGNO
L'estate era già iniziata ma sembrava esplodere in pieno proprio il 2 giugno, il giorno della parata militare che si svolgeva in via dei Fori Imperiali, per onorare la nascita della Repubblica Italiana.
Dal Colosseo al Milite Ignoto, i preparativi fervevano già da giorni e giorni; la strada veniva tutta transennata, nel cielo v'era un andirvieni di macchine volanti e nella quiete dell'ultima notte, precedente la Parata, si potevano sentire i mezzi che cominciavano ad affluire nella piazza di raduno, il gran rumore dei carri armati e dei mezzi pesanti che in fila indiana si dirigevano, seguendo via Merulana, verso il Colosseo da cui la marcia avrebbe avuto inizio...
Nell'aria serena della notte, si ascoltavano gli elicotteri e gli aerei che preparavano le evoluzioni e la notte a noi in attesa, sembrava davvero lunga.
La mattina ci svegliavamo presto pieni di energia e ci preparavamo in un lampo per uscire il prima possibile e a passo svelto attraversavamo il Colle Oppio per raggiungere Via dell'Impero e la nostra postazione in una delle tribune preparate già da qualche giorno.
Presentavamo il nostro biglietto di invito e prendevamo posto, compunti e silenziosi, mentre tutto intorno a noi ferveva di vita e davamo un'occhiata al fantastico spettacolo che ci si apriva attorno, aspettando impazienti l'inizio della sfilata.
Poi, tra squilli di trombe e di fanfare, ecco arrivare, colorate garrule, tutte le bandiere e i drappi d'epoca, eppoi i cadetti di Modena, bande, paracadutisti, alpini con gli sci sulle spalle, marina, aereonautica, forze speciali, mercenari, polizia, incursori... era uno schieramento di centinaia di uomini, solo uomini, allora, mentre oggi sono presenti anche le donne, che faceva impressione alla mia mente di bambina... poi arrivavano, festosi e coinvolgenti, i bersaglieri, a passo di corsa, tra gli applausi del pubblico. Le divise indossate dfai militari erano a volte estrose e colorate, a volte quasi incolori, ma tutte meritavano rispetto e applausi...
Era davvero uno spettacolo coinvolgente, in cui si sentiva, con orgoglio, di appartenere a un popolo illustre, un popolo di poeti di artisti di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori, di trasmigratori... Noi fanciulli esultavamo tra la folla vociante, accompagnando i suoni delle fanfare, incitando i bersaglieri, salutando tutti...
A conclusione della Parata, scendevamo dalla tribuna con un pò di malinconia e ci apprestavamo, tra la moltitudine di folla, a tornare a casa, ripercorrendo Via dell'Impero e il Colle Oppio, a passo di parata, con corse improvvise, a passo cadenzato...
Nei giorni dopo le impressioni riportate erano ancora vivide e pregnanti nella nostra memoria e ci accompagnavano ancora per qualche tempo, fino a disfarsi in ricordi di colori e di suoni che avremmo ritrovato l'anno successivo...
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LE SUORE
- Foto di Andreea Leganza - https://www.flickr.com/photos - To the sky...and beyond...
Proprio davanti casa mia, c'era un ampio caseggiato che culminava con un dritto, acuto campanile che sfidava il cielo...
Era ed appartiene ancora alle Suore di Cluny.
Quando ero piccola, ospitava solo suore, qualche anziana signora ed un asilo pieno di bimbi le cui voci sentivo risuonare fino in casa mia. Avevo sempre desiderato poter diventare un'alunna di quella scuola e, in effetti, per un pò vi avevo frequentato l'asilo. ricordo che mi è sempre rimasto nel cuore.
Anni dopo vi andavo a trovare delle vecchie suore che non potevano uscire e con cui scambiavo notizie. Ne conoscevo parecchie e così conoscevo, per frequentazione e per il fatto di vederle sempre dal mio balcone anche le custodi che vi bazzicavano sempre, come Caterina, la cui età era indefinibile, poteva essere molto giovane oppure molto vecchia, paludata sempre in un vecchio grembiule, i capelli attorcigliati in una crocchia, gli occhiali a pince-nez...
E' un posto un pò magico forse perchè c'è dentro un gran silenzio che riempie il cuore di serenità.
Al primo piano rialzato c'è il box dove una suora più o meno indaffarata risponde al telefono o alle richieste dei pensionanti o richiedenti e sulla sinistra si apre un gran portale e là ti abbaglia, di giorno, un gran sole che scalda il tranquillo giardino dove sedie e tavolini all'ombra, invitano ad un sereno tempo di rilassamento.
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La chiesa, al secondo piano era bianca, ordinata, nulla fuori posto, aspettava le suore che vi andavano a pregare con costanza o occasionali, furtive visite dei bimbi della scuola.
Ricordo le pitture alle pareti che prendevano il mio sguardo e mi affascinavano.
C'era anche il quadro della fondatrice con tanti selvaggi aspiranti alla vera fede, che poi scoprii essere del pittore romano che aveva affrescato chiese in tutta Italia ma anche addirittura a Gerusalemme, nella chiesa della Flagellazione... Era Mario Barberis, di cui ho cercato costantemente di fare collezione delle sue immaginette, sempre molto affascinanti, pregne di sentimento e di fede...
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IL NEGOZIO DELLA STIRATRICE
LE STIRATRICI. - E. Degas
Accanto alle suore, dalla parte destra che io vedevo, c'era un piccolo negozietto... il negozio di una stiratrice a cui si affidavano i pezzi più belli del corredo o ampie ed antiche coperte di pizzo e di lana, per mantenerle sempre al meglio.
C'erano gli scapoli che andavano a farsi lavare camicie e pantaloni, le ragazze che da poco lavoravano, per tener sempre a portata di mano il tailleur all'ultima moda o i vestiti per una festa, qualche casalinga che chiedeva lumi per rimettere a nuovo il suo corredo.
La stiratrice, Gabriella, era una bella e non tanto attempata signorina, gentile, bionda e grassoccia che nel lavorare parlava abbondantemente con i suoi clienti e sorridendo, dando consigli sul modo di mantenere i tessuti.
A volte, sempre smistando, stirando, piegando passava interi pomeriggi con persone che soffrivano la solitudine e che si trovavano bene a parlare con lei in quel bozzolo caldo e armonioso...
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SCIROPPI E LIQUORI
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Sulla strada, proprio sopra la stanza da letto dei miei genitori, e per anni, anche mia, si apriva una rivendita di sciroppi e liquori che ogni giorno ci teneva compagnia.
Specie nei momenti di requie o in quelle grevi estate romane in cui ad una cert'ora ti prendeva una botta di sonno, che ti faceva chiudere gli occhi per pochi minuti, il rumore delle bottiglie che battevano l'una contro l'altra, che venivano scaricate, eppoi stivate nel negozio e sistemate negli scaffali per una migliore presentazione, faceva da sveglia...
Era proprio nelle ore pomeridiane che Costantini caricava e scaricava i suoi sciroppi e liquori, soprattuttto l'anisetta del cui odore, dolce e accattivante, a volte si riempiva l'aria...
Era un uomo che a quel tempo mi sembrava già anziano - ma nel crescere le cose cambiano e certe sensazioni non sono più quelle di un tempo lontano - che intratteneva una gran parte di gente che andava e veniva per la strada, che si dava un gran da fare con quelle sue bottiglie dai colori invitanti che spesso spostava, certo non per diletto, ma per far posto alle altre, a quelle appena arrivate...
Si diceva di lui che fosse un dongiovanni, che avesse tra le sue amiche anche una graziosa ballerina... e a volte, in quei pomeriggi afosi arrivava in camera anche una vocetta squillante, giovane, allegra...
Ma io non potevo veder nessuno dalla stanza del secondo piano in cui ero spesso costretta e "vietato affacciarsi" era una costante...
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IL NEGOZIO DI CASALINGHI
https://www.ilfoglio.it/preghiera/2016/09/28/news/i-negozi-di-casalinghi-sono-scomparsi-dove-comprare-ora-le-padelle-104595/
Poco prima dell'angolo della strada, c'era un piccolissimo bazar di casalinghi dove si poteva trovare ogni cosa utile e dove spesso accompagnavo la mamma per acquistare qualche pentola o qualche tazza.
La signora che vi lavorava era una bruna dalla faccia lunga e triste, magra, ossuta, un tantinello antipatica, il marito, un signore lungo lungo, insipido....
Una volta, stranamente, ci entrai con mio padre che doveva acquistare qualcosa di cui non ricordo e che, al vedere dei vasetti da notte, me ne fece provare uno, volendomelo comprare.
Ricordo solo che feci un salto subitaneo e me ne andai correndo dal negozio, con mio padre dietro, che mi rincorreva...
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LA DONNA CHE PARLA TROPPO
E' sempre al centro d'un crocchio di gente
che discute ad alta voce o che parlotta,
raccontandosi qualche pettegolezzo.
Alza ogni tanto il viso a scrutare questa o quella
persona di cui, con la coda dell'occhio ha gia'
percepito la presenza, il passaggio...
Tra le voci, la sua si distingue per un
timbro alto, sonoro e la parlata romanesca; di
tanto in tanto, con un intercalare o un modo di
dire popolaresco, si fa aggressiva e tagliente.
Sulla cinquantina e forse oltre, la figura piena, un pò
sformata, ha un volto nè particolarmente
simpatico è estremamente antipatico, due occhi
attenti, curiosi che sanno essere anche cattivi,
se provocati.
Ma di solito e' uno sguardo che rapido intercetta
ogni cosa all'intorno, ogni faccia sconosciuta o
nuova, un'espressione di stizza o un moto che
indichi desiderio di colloquiare.
E cosi', lei prende la palla al balzo, s'avvicina
e con una scusa qualsiasi - ogni pretesto e' buono
- attacca bottone...
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CIPRIANI, IL PASTICCIERE
Cipriani era, ed è, un negozietto-pasticceria dove la mattina si radunavano frotte di mamme e bambini che frequentavano la scuola elementare che ho frequentato anche io, posta dietro l'angolo.
Dal negozio veniva su un effluvio di odori sereni e riempitivi, profumi che si insinuavano nelle narici per un pò di tempo, che preannunciavano già il sapore di biscottti, cornetti, maritozzi, ventagli... Che davano uno strattone ai bambini che si ribellavano all'idea di dover andare a scuola e li portavano fuori del piccolo negozio, per affrontare un'altra giornata, con aleno una golosità desiderata, nella cartella...
https://bubinoblog.altervista.org/bubinocinema-consigli-sui-film-del-7-agosto-in-tv/
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Il negozio era piccolo, pochi metri stracolmi di dolcezze: fette biscottate, biscotti Osvego, bombe ripiene di crema, al cioccolato ed un elenco infinito di altre prelibatezze, ma accanto c'era il vero e proprio laboratorio dove si impastavano tutte quelle meraviglie, un ambiente lungo e stracarico di squisitezze.
Rimasto poi famoso perchè Sofia Loren, che all'epoca stava interpretando Filumena Marturano, aveva lavorato là, portando nel piccolo laboratorio i 2 bambini - che nel film rappresentavano due dei suoi tre figli piccoli - di cui uno solo era il vero erede di don Soriano, impersonato da Marcello Mastroianni - solo per dar loro una colazione appetibile...
Oggi il negozio è più piccolo, il luogo della scena del film è stato venduto o affittato e quindi rimane solo la parte del negozio con una vetrina e il luogo preposto alla creatività di biscotti, torte, biscottini, ecc.
Il retro si apre nel cortile della mia nuova casa, emettendo, ogni volta che si apre la porta, effluvii deliziosi, che rimangono sospesi nell'aria per un pò, facendo destare fantasie infantili...
All'interno, oltre che le solite delizie, si conservano le vecchie scatole dei biscotti di un tempo e piccoli attrezzi di pesatura...
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(A ZIO TEODORO) - L'UOMO CHE LEGGEVA LA MANO
Quando ti trovi in compagnia, diventi l'anima
della riunione con battute allegre e pungenti che
fanno scoppiare in risa brevi e nervose anche te,
scuotendo il tuo piccolo corpo d'uomo tendente
alla pinguedine, mentre il capo quasi calvo
s'imperla di sudore per la foga che impieghi in
questo impegno.
Con una voce squillante esordisci: "Causa di una
notte insonne e' stata la tua partenza..." e su
questo tema sciorini una sequela di monologhi di
natura scherzosa che la platea dei pochi o
numerosi presenti segue con interesse,
sottolineando i punti piu' salienti con divertiti
risolini.
Poi, come sempre, quando la festa langue,
t'improvvisi chiromante, facendo finta di leggere
la mano a chi, piu' pronto tra gli astanti, si
presta al gioco.
Cosi' facevi anche con noi ragazzi, anni addietro,
nelle tue visite piu' frequenti allora, quand'io,
radunata una schiera d'amici, ti presentavo con
orgoglio come impareggiabile animatore. E tu,
sulle mani ancora poco segnate dal tempo, leggevi
un avvenire che si presentava straordinario, ricco
di positivi sbocchi, presagendo grandi fortune ed
incontri.
... Quasi ci credevamo, per la veridicita'
delle tue parole improvvisate e per la serieta'
con cui conducevi il gioco.
La tua parlantina via via si faceva piu' fluida e
sicura e raccontavi di viaggi e di successi,
sciorinavi una serie d'eventi fortunati pronti ad
attenderci. ma poi, un lampo negli occhi azzurri
vivacissimi ci faceva intendere ch'era tutto un
gioco per passare il tempo.
Scherzavi allo stesso modo, tanti anni fa, con mia
madre appena sposa e immagino il riso che dalle
labbra le saliva agli occhi bruni ed espressivi...
non era forse dissimile dal mio, sedicenne allegra
e speranzosa.
Ma a te l'avranno mai letta la mano, sul
serio? Quale avvenire t'avranno pronosticato,
quali belle promesse non mantenute dalla vita?
Avranno mai scoperto l'immensa solitudine che
t'attanaglia l'animo e che tu virilmente nascondi
dentro il tuo essere, dietro il tuo volto da
folletto beffardo che si prende gioco
dell'esistenza, per non cedere alla tentazione di
disperarsi?
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IL NEGOZIETTO SOTTO CASA
https://libriscolasticitxt.it/blog/cartoleria-articoli-che-fanno-guadagnare/
il negozietto sotto casa...
sono passati anche li' decine di proprietari... simpatici, antipatici, seri e giovali, fino ad arrivare a quello che ricordo di più... Edmondo...
Era un negozietto messo su in un ambiente piccolissimo dove si ammucchiavano quaderni, pennini e altri articoli per la scuola.... scaffali e scaffali colmi in poco spazio...
Edmondo, uno degli ultimi proprietari era tipo Panelli, faccia ebete, occhiali da vista pesanti, che diceva spesso: "Forse ce l'ho, forse no", lasciandoci in attesa per alcuni minuti, prima di sapere se l'articolo richiesto era là in vendita, oppure no,...
L'attesa, era piuttosto lunga e piena di sorprese... perchè può darsi che c'era, l'articolo richiesto, oppure? ...
Edmondo, faceva anche il pittore e, spesso, i suoi quadri, erano appesi alle pareti del piccolo negozio... senza infamia e senza lode....
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TOSCA
https://www.noisyroad.it/liste/5-canzonette-al-piano-rimorchiare-ragazze-certa-cultura_9836
La sora Tosca, che abitava nel mezzanino, sotto il mio appartamento, era tutto un poema: manie di grandezza, una voce roca, ci faceva ridere... eppoi c'era Ruggero, il marito elettricista e sua figlia Anna che suonava il piano...
Non ricordo tanto altro, solo che era una gran simpaticona... un tipo alla Magnani e quello che pensava, diceva... mi ispirava una grande attrazione.--
Aveva, lì, al mezzanino, una grande cucina con uno splendido mattonato rosso, con ancora il vecchio camino, ingrigito, nell'angolo...
Spesso andavo da lei, quando mi necessitava un pò di compagnia e un pò per ascoltare sua figlia al piano...
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LA SORA ITALIA E LA SIGNORA CARMAZZI
La sora Italia era seduta sempre sotto il portone, come aspettando sempre qualcuno. Poichè era la madre di Silvano il pittore, si pensava che aspettasse lui...
Era, allora, una delle poche persone che faceva iniezioni a domiciio e quindi, di quando in quando, la chiamavamo anche da noi.
Era simpatica e comunicativa, alla pari della Signora Carmazzi, l'ostetrica diplomata, un vero asso, che faceva nascere i bambini di tutto il palazzo e tutti quelli dei dintorni...
Aveva fatto nascere anche me e mio fratello e tutti la stimavamo e la portavamo in palmo di mano....
Era una bella donna, sempre ben vestita, riverita da tutto il rione, perchè aveva contribuito alla nascita di tanti fanciulli....
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IL FERRARESE
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Ha la faccia arguta, segnata da poche ma profonde rughe d'espressione che disegnano sulla
pelle tirata una maschera bislacca di clown
contento e due labbra gonfie che s'aprono su di
una bocca sdentata e diritta.
Insomma, il suo è' un volto decisamente brutto ma
simpatico, simile ad uno di quei buffi ometti di
legno che nell'incavo del corpo nascondono un
tappo di sughero, dell'artigianato tipico del nord
Italia.
S'avvicina ad un gruppetto di anziane
signore sedute su una panchina del parco a
prendere un pò di fresco, com'è loro giornaliera
abitudine. Sul suo viso buffo c'è' un sorriso
animato e scherzoso come quello d'un ragazzo che
abbia in mente qualche marachella.
Le conosce ormai da tempo e le prende bonariamente
in giro col suo giocoso spirito romagnolo,
calcando la mano su qualche loro difettuccio e
sottolineando i suoi aneddoti con scroscianti
risate che gli gorgogliano in gola, mentre il suo
enorme pomo d'Adamo saltella in su e in giù.
Si siede anche lui raccontando al suo
improvvisato uditorio: "L'ho vista, sa! - dice
rivolto alla più giovane del gruppo, una
settantenne ancora piacente - l'ho vista mentre
passavo dinanzi a casa sua. Lei era alla finestra
che sventolava il suo straccetto da spolvero; era
avvolta in una bella vestaglia rosa che le donava
molto..." e le rivolge altri complimenti gentili,
quasi fanciulleschi con quella sua vocina
squillante.
La donna ride contenta, ringiovanita per un
attimo, poichè si sente al centro dell'attenzione
di quell'uomo imponente.
"E la contessa...? - fa poi, rivolto alle
altre - oggi non è venuta?"
La contessa è' un'altra ultrasettantenne a cui lui "fa il filo" sempre giocosamente ed una volta le ha persino baciato la mano, rammenta.
Le donne sorridono... la presenza del ferrarese le
fa sentire femminili nonostante l'età e
gioiscono, parlottando tra loro, sferuzzando
veloci i loro interminabili lavori a maglia... |
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IL CESTAIO…
Dietro casa un piccolo negozio un pò incolore, quasi del tutto ingombro di cesti e piccoli mobili in bambù…
Il gestore aveva un volto tondo, piatto quasi come quello del suo piccolo cane aggressivo i cui occhi tondi tondi, sembravano volessero schizzar fuori…
Sembra sempre un po’ fuori del mondo, la testa sempre un pò svagata, è un uomo di mezza età che intreccia vimini chissà da quando.... Un'arte preistorica che ci siamo portati dai tempi dei tempi...
Intrecciava vimini sin da ragazzo, senza attrezzature difficili da reperire e da maneggiare, bastava un coltello, un falcetto, un martello, un pò di fantasia e di abilità, una sedia per sedersi all'aperto, magari sotto un tetto, poggiare l'oggetto da lavorare su un piano rigido, eppoi ecco la fantasia e l'abilità che permettevano la realizzazione, nelle forme più svariate, dal cestino fino ad un capolavoro... Erano rami di salice oppure di giunchi, trattati per qualche tempo, fino a raggiungere la consistenza desiderata...
E lui, da buon lavoratore, stava là, davanti al suo negozio ad intrecciare, con pazienza e amore...
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IL MAGAZZINIERE
https://www.legaliguria.coop/le-maschere-della-commedia-dellarte-in-scena-ai-centri-commerciali-coop-liguria/
E' un uomo non troppo alto, tarchiato, rozzo
di aspetto e di modi, ma è' un gran lavoratore e a
modo suo ha buon cuore. Ha fatto ogni sorta di
mestieri e me li elenca, un giorno, raccontandomi
aneddoti riguardo al suo passato di muratore,
quando con una ditta di costruzioni restaurava
Castel Sant'Angelo.
Ha persino fatto il cuoco alla
Città del Vaticano, iniziando come semplice
sguattero e, un giorno che mancava il primo cuoco,
s'è ritrovato a preparar manicaretti per
centinaia di persone.
Ma ogni volta, e' riuscito con buona volontà e
con un po' di furbizia a portare a termine quel
che ha iniziato e a cavarsela egregiamente.
Ogni giorno imballa, in cassette di legno o
in carta catramata, quintali di materiale che poi
verra' spedito in ogni angolo del mondo.
E' burbero e spiccio di modi ma generoso, tranne
quando qualcuno lo fa arrabbiare, mettendo in
dubbio la sua onestà e la sua esperienza: allora diventa paonazzo dalla rabbia e tira giù una
decina di moccoli senza tirar fiato e per tutto il
giorno s'aggira nel magazzino polveroso con una
faccia tetra e tirata.
E' attorniato, in quell'ambiente buio, da
centinaia di scatoloni e armadi e scaffali
contenenti le merci piu' svariate: manifesti,
riviste, articoli di propaganda, oggetti di
valore. In fondo al locale, poi, tra la polvere e
le ragnatele, quasi marciscono, in ampi scatoloni
ricoperti d'uno spesso strato di polvere,
bellissimi vestiti regionali, bandiere da pennone
e da tavolo, un piccolo carretto siciliano dai
colori ormai stinti... tutti oggetti che un tempo
venivano inviati all'estero in occasione di
manifestazioni fieristiche, per dare un tocco di
vero folklore italiano.
Oggi, invece, giacciono là, in fondo,
nell'oscurità, come tanti altri oggetti
dimenticati.
Negli armadi allineati sulla destra, invece,
accuratamente inventariati, sono disposti nel
disordine più completo, altri articoli di
squisita fattura: ceramiche fatte a mano, vetrerie
di Murano, piatti di rame lavorati a sbalzo, pezzi
altamente rappresentativi dell'artigianato
italiano. Sopra gli armadi, grigi ormai per gli
anni, dominano le austere teste dei cesari e il
corpo vigoroso del David in dimensioni ridotte,
calchi in gesso, qualcuno un po' sbreccato.
In questo guazzabuglio di oggetti, il
magazziniere si muove, nel suo consunto camice
nero, come Efesto nella sua fuligginosa fucina,
mobile e svelto, inchiodando con tremende
martellate un'asse sopra l'altra e costruendo le
sue cassette da riempire; su cui poi incollerà etichette ed indirizzi, legando, ordinando la
merce negli scatoloni per impedire che sciaguatti
nel trasporto.
In questo lavoro l'aiuta il figlio maggiore,
un giovanottello dall'aria spaurita e trasognata,
esile, con due occhi quasi tristi: sul labbro
superiore ancora infantile, appena l'ombra d'una
lieve peluria bruna da adulto.
Appena conclusa, tra sforzi e svogliatezza, la
terza media, il padre l'ha messo a lavorare sodo
nel magazzino e lui ha indossato il camice nero
che lo rende ancora pIù esile e triste.
A volte lo vedo imperlato di sudore per il troppo
sforzo di sollevare quell'enorme cassa piu' grande
di lui, ma mai che si lamenti, mai che maledica,
come sovente fa il padre.
Sembra già rassegnato, oppure forse ha dentro di
se' risorse e speranze di certezza che un giorno o
l'altro troverà un altro lavoro più consono a
lui e potra' lasciare quell'antro buio in cui ora
gli tocca trascorrere la sua giovinezza.
E a volte, mentre se ne sta fermo ad attendere gli
ordini del padre, il suo sguardo si fissa su un
punto indefinito del locale e sul suo viso magro
appare, trasognato e diafano, un sorriso...
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I CASSONETTI
Sono passati degli anni ed ora non ci sono più i mondezzai di una volta... Quelli che un giorno sì ed uno no, venivano nei singoli palazzi, ti bussavano e chiedevano se avevi per caso della mondezza da buttare...
Non riesco a capire come fosse possibile una volta, avere dei mondezzai che venivano, un giorno sì e l'altro no a raccogliere direttamente in casa, l'immondizia.
Ormai era diventato un amico a cui consegnare quello che si voleva buttare, di cui si sapeva il nome, a cui offrire un caffè al volo...
Mi sembra quasi inconcepibile, ora, buttare la mondezza, differenziata, in uno di quei tre o quattro cassonetti presenti davanti al proprio domicilio, in mezzo alla strada, senza poter dare un nome, una figura, a chi poi la raccoglie. Di notte, passano i camion per la raccolta, senza nome, senza alcuna distinzione, facendo un rumore assordante nel silenzio della notte---
... E’ una domenica di fine agosto, la città è vuota, un silenzio pesante e quasi innaturale grava sugli antichi palazzi, sulle poche auto parcheggiate nella strada… il caldo piove spietato dall’alto e sale soffocante dall’asfalto, creando una cortina di vapore che offusca la mente...
Nel silenzio, dalle finestre aperte sale sino a me una voce concitata che borbotta quasi tra sé e sé parole senza senso… è un brontolio cupo, poi il rumore secco provocato dall’apertura di un cassonetto.
Spinta dalla curiosità m’affaccio e guardo sul marciapiedi sotto le mie finestre e lo vedo là, piccolo dall’alto, che fruga con movimenti frenetici, tra la spazzatura. E’ uno dei tanti spostati senza tetto, un poveruomo non tanto malvestito ma con giubbotto, borsello a tracolla e addirittura un sacco a rotelle per una ipotetica spesa, che fruga nell'oscurità del cassonetto, per vedere cosa ci sia da portar via…
Mille cassonetti, una volta verdi ma ora già corrosi dalla ruggine e dallo sporco, stazionano dinanzi ad ogni portone della città per la raccolta delle immondizie; ognuno di essi è come un piccolo cosmo a se stante, un piccolo universo in cui si mescolano rifiuti e tesori.
E centinaia sono le persone che vi frugano dentro, alla ricerca di qualcosa: i senza tetto, i barboni che vagano senza meta nella città e sperano di trovarvi capi d’abbigliamento ancora decenti e i più disperati cercano forse qualche avanzo ben incartato con cui sfamarsi…
Ma poi ci sono altre figure, forse più anacronistiche e singolari: i signori di una certa età, ben vestiti, signore avanti con gli anni, con cappellini e guanti fuori moda che frugano nelle profondità di questi putrescenti ventri da cui a volte estraggono tesori di epoche passate, residui di vite senza eredi ormai consumate o ricordi inservibili d’un passato lontano: antiche bambole dagli attoniti volti di bisquit, coi loro guardaroba e interi arredamenti, busti, corredini, quadri…
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L'UOMO CON LA VALIGIA
https://genovaquotidiana.com/2019/03/23/la-fuga-di-alvise-dalla-residenza-per-anziani-alla-ricerca-della-sua-giovinezza/
Percorre una strada deserta, un lungo viale
alberato che porta fuori dal centro della città',
diritto nelle esili spalle, con un certo
portamento dignitoso che si ritrova, accentuato,
nel vestire dimesso, un po' logoro ma pulito e
ordinato. Un volto che doveva essere stato bello
ma che ora è incavato, stanco, un'aureola di
capelli bianchi tenuti indietro secondo la moda di
parecchi anni prima.
In una mano ha una grossa valigia di cuoio marrone
un po' rovinata agli angoli ma tenuta in forma da
larghe cinghie laterali... è un pò pesante e lui
la porta quasi a fatica. Di tanto in tanto, la posa in terra, quasi a voler riprender
fiato, poi la passa nell'altra mano e prosegue.
Fa una sosta in un piccolo giardino di
periferia dove quattro alberelli scheletriti
gettano una lieve ombra su quattro panchine di
ferro. Con un sospiro di sollievo, il vecchio
siede, rimette in forma il bavero della giacca,
poi apre la valigia che ha sistemato accanto a
sè'.
Sarà' un lampo di gioia o di tristezza quello che
gli passa nello sguardo, mentre ne scorre il
contenuto? L'uomo richiude la valigia dopo aver
sistemato qui e là qualcosa che deborda poi,
riprendendola saldamente in mano, ricomincia a
camminare.
Attraversa una piazza che lo immette in una grande
arteria affollata di gente, piena di negozi di cui
lui, distrattamente, guarda le vetrine: un via vai
di genteoperosa o fannullona che corre, si ferma,
vocia, si sfiora lesta o tranquilla. Volti e voci
che non gli appartengono, che si accalcano, si
accavallano gli uni sugli ltri, si perdono,
diventano un'unica immagine in movimento.
Il vecchio procede lentamente, posa un attimo in
terra il suo fardello: un passante frettoloso e
disattento che proviene dall'altro lato, correndo
urta la valigia che, caduta in terra
violentemente, s'apre mostrando il suo contenuto
al grigio selciato che si copre di macchie
multicolori.
Il vecchio, con un'esclamazione lamentosa si
china e cerca di salvare i suoi tesori dal
travolgente ritmo della folla. Qualcuno si ferma
accanto a lui e tenta d'aiutarlo raccattando qui
uno spartito, là' un archetto da violino, un
calamaio di vetro ancora intatto, una piccola
armonica.
In fondo alla valigia sono rimasti ancora in
ordine, pochi indumenti puliti e piegati con cura,
una bamboletta di porcellana che lo guarda con
occhi attoniti e qualche fotografia d'una bella
bimba bionda e graziosa che sorride dinanzi
all'obiettivo.
I ricordi di tutta una vita sono nella valigia del
vecchio, ricordi d'un passato senza tempo, di
quando lui suonava il violino, applaudito e
famoso, poi caduto in disgrazia a causa di quegli
scherzi crudeli che talvolta il destino ci
infligge.
La bambola e le foto sono l'unico frammento ancora
esistente, oltre ai ricordi che non lo abbandonano
mai, che ancora lo lega alla piccola Iris, la
figlioletta morta a soli dieci anni per un male
incurabile.
L'uomo s'affanna a raccogliere da terra ciò'
che resta della sua vita d'una volta, tutto un
passato dentro una valigia di cuoio marrone.
La richiude e la spolvera con cura col fazzoletto,
l'impugna saldamente nella mano e, attento ora
alla folla che gli viene incontro, continua a
percorrere quella lunga strada piena di gente
sconosciuta, diritto nel portamento, con la sua
aria dimessa ma dignitosa...
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L'OROLOGIAIO
E' un uomo ancor giovane, bassino di statura
e con una corporatura solida. Due baffi spioventi danno al suo viso dei tratti
prettamente romani da ex ragazzo di borgata un
chè di sudamericano. Ma la grossolanità del
retaggio popolaresco viene riscattata da un paio
di occhi azzurro intenso ed estroversi.
Ha due mani mobilissime nonostante non siano davvero sottili nè affusolate, agili e pronte a
recepire ogni minimo segnale che provenga dal
piccolo meccanismo.
In esso vi è tutto un mondo affascinante che
vibra, palpita ed emana una vita tutta sua,
misteriosa e prodigiosa, un piccolo mondo di
congegni e rotelline, ognuno dei quali è un
micropianeta di un microcosmo dorato che sussulta
in sincronia con gli altri e la pulsazione di
ognuno di essi si fonde in un ritmo cadenzato più'
o meno sonoro ed equilibrato.
Ora questa perfetta sincronia si è spezzata e
l'orologiaio interviene a riparare il guasto.
Quando apre l'orologio e ne scruta il contenuto,
lo fa con sottile piacere, quasi con meraviglia,
come fosse la prima volta che viene a contatto con
questto prodotto dell'ingegno umano.
Ogni nuova esperienza produce un fascino sottile,
un pizzico d'euforia, la stessa che prova un bimbo
che apra il suo giocattolo preferito per osservare
cosa contiene.
E quando si appresta ad intervenire sul delicato
meccanismo, per cercare di ovviare alle
imperfezioni, ha la stessa aria meticolosa di un
chirurgo che affronti un'operazione delicata ma
semplice e le sue mani esperte ed abilissime
diventano due eccellenti, veloci strumenti che
frugano nelle viscere tortuose e complesse del congegno conosciuto sin nei minimi particolari.
Ecco, è là,, sotto quella piccola ruota
dentata che si annida il guasto, è là che
bisogna introdursi con pazienza. Inforca la lente-
monocolo e tutto gli si fa più chiaro, le
apposite pinze vengono manovrate con leggerezza
per non alterare l'armonia di quel creato, il
meccanismo viene rimesso in moto per un controllo e viene tenuto in osservazione come un malato di
cui si segua la convalescenza.
L'operazione è terminata, si può richiudere la
cassa liscia e fredda al contatto; il paziente è,'
ormai,fuori pericolo!
Gli occhi azzurri ridono silenziosamente per
la soddisfazione e le flessibili mani che hanno or
ora compiuto una magia, ritornano a tormentare i
baffi spioventi...
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I GIOCATORI DI BOCCE
https://www.cambiaste.com/it/asta-0317/anonimo-del-xx-secolo-6.asp
Sotto una tettoria di ferro, nell'ampio campo al Colle Oppio, due campi da
bocce cosparsi d'una polvere finissima, color
terra di Siena.
I giocatori sono raggruppati lungo un solo
versante del campo, ognuno stringe nella mano una
boccia che lucida con un panno, prima di tirare.
Sono quasi tutti di mezza età, qualcuno proprio
anziano, visi larghi e cotti dal sole o lunghi,
incavati, presi dal gioco.
Non conosco le regole e per me è un enigma
lo svolgimento del gioco o capire a chi va il
punto, ma l'atmosfera che vibra nell'aria mi
attrae, mi fa stare all'erta ad ogni tiro dei
singoli partecipanti, attenta alle sfumature di
gioia o d'ira repressa che passa sui loro volti.
Uno alla volta essi si concentrano, lucidano la
boccia, fanno qualche passo indietro, uno di essi
lancia il boccino ed ecco, la partita ha inizio.
Il primo giocatore fissa il boccino, fissa la
boccia che sta per tirare come per penetrarla,
facendosi parte di essa, prende la mira, attira a
sè la sfera, allunga il braccio e la lancia: la
pesante palla fila sulla terra liscia come se
conoscesse già la strada, con una levità
inattesa nonostante il peso... poi si ferma a
pochi centimetri dal boccino!
Uno dei giudici di gara ha in mano una stecca di
ferro con uno spunzone da un lato: s'avvia verso
il punto in cui la boccia s'è fermata e già'
prima di giungerle vicino, al suo occhio esperto
il punteggio è' già chiaro, ma per buona regola
misura le distanze, traccia dei segni sul terreno
intorno alla boccia, racchiudendola in un'area
delimitata.
Ora s'appresta a tirare a sua volta lo
sfidante che cercherà di battere l'avversario che
ha totalizzato un buon punteggio. Decide di
bocciare: prende la mira, alza la palla, la tira
con tutte le sue forze facendole percorrere una
traiettoria che la porterà a tutta velocità'
contro quella avversaria, escludendola dal gioco.
A volte riesce nell'intento eliminandola e piazzandosi al suo posto, a volte s'allontana
definitivamente dal boccino, preparando però il
terreno per i tiri degli altri concorrenti.
Alcuni dei giocatori sono dei veri maestri ed
eseguono tiri irripetibili, da manuale. Riversano
nelle bocce lanciate una tale vitalità che le
sfere sembrano dotate di qualità straordinarie,
riescono a scansare bocce ben piazzate, ad
effetturare curve e giravolte che le portano a
pochi millimetri dal boccino.
Rari sono i tiri che finiscono sul fondo del
campo destando un fragore di legno percosso.
E il giudice di gara s'avvicina, alza nell'aria la
sua bacchetta di ferro, disegna sulla terra i suoi
incomprensibili geroglifici e decreta la vittoria
finale.
E' tutto un rito per me ignoto che ha
qualcosa di magico: la figura del giudice mi
rammenta quella d'uno sciamano africano con i suoi
gesti rituali, i suoi scongiuri, i suoi misteriosi
disegni...
E', comunque, un'atmosfera piacevole, cordiale,
allegra e senza alterchi, un'incruenta battaglia senza vincitori nè vinti, in cui la spontanea
ammirazione per un giocatore più abile è
l'invisibile alloro che cinge la fronte del
migliore.
Tutto si conclude con una amichevole stretta di
mano, con sorrisi aperti, sinceri su quei volti
già avvizziti... e con un appuntamento per la
prossima partita che si giocherà su quello stesso
campo coperto di polvere fine, impalpabile, color
terra di Siena...
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LA SIGNORA EVELINA
https://osservatoriosenior.it/2020/01/una-telefonata-di-auguri-e-non-solo/
Su una panchina del giardino siede la signora
Evelina, una settantaduenne ancora ben prestante e
curata nell'aspetto e nel vestire, coi capelli
d'un bel color castano dorato - naturalmente tinti
- ed una dentatura invidiabile, naturalmente
ricostruita.
Sta seduta accanto ad altre tre donne, della
stessa età: le prime due, l'altra che lei
affettuosamente e con un pizzico di ironia chiama "mamma", già ottantenne.
Si riuniscono ogni pomeriggio su quella panchina
del parco per raccontarsi gli avvenimenti della
sera prima e della mattinata appena trascorsa, le
loro piccole gioie, le angherie subite, più o
meno immaginarie, o per scambiarsi ricette di
cucina e consigli.
Evelina si è avvicinata al gruppo
brontolando per qualcosa che le è capitato la
sera avanti e che non le ha fatto chiudere gli
occhi, ma è sempre cosi', ogni giorno ha qualche
lamentela su cui imbastire un discorso.
Le altre tre, che bonariamente la chiamano "la
brontolona", sono più tranquille ormai rassegnate
su come va il mondo e l'accolgono con un "Benvenuta" sonoro poichè anch'esse si lasciano
soggiogare, senza volerlo, dalla personalità
dell'Evelina, una "ragazzaccia" dal carattere
forte e un pò aqggressivo che poi in fondo è' una
gran brava donna e si sacrifica volentieri e
spesso per le altre, accompagnandole a far la
spesa, preparando loro qualche pranzetto, tenendo
loro compagnia, dando insomma una mano a chi è'
più' debole.
Evelina non ha mai dimenticato nè' rinunciato alle
sue origini di contadina friulana abituata a
lavorare duramente e con amore sin dalla
adolescenza, a lottare contro le avversità della
vita, anzi quella connotazione caratteriale,
solida, teutonica quasi, ordinata e laboriosa che
le deriva dall'ambiente in cui è stata allevata,
le è stata di molto aiuto in vari frangenti della
vita.
Anche se - come soggiunge - il mio Amedeo me lo
diceva sempre: "Sforzati di cambiar carattere,
almeno un cincinino", ma io non ci sono mai
riuscita in tutti i cinquantanni che abbiamo
trascorso insieme.
Tutto questo mi racconta l'Evelina, col suo
cipiglio asburgico, addolcito da un tratto d'innocente femminilità a cui ancora non ha
rinunciato, poichè per caso mi son seduta sulla
panchina accanto a quella in cui siede lei assieme
alle compagne. E parla, parla, parla quasi a
sfogarsi del mutismo obbligato a cui ha dovuto
sottostare durante l'intera mattinata nella
solitudine che le pesa, specie da quando Amedeo
non c'è più'.
Ma nei suoi discorsi lui continua a viverle
accanto una nuova vita fatta di passato e di
presente: " Quando c'era Amedeo avevo più voglia di
preparar pranzetti... comunque ora non faccio
come tante che si abbattono e tirano via in casa e
vanno avanti a mangiar un ovetto o del formaggio.
Io mi cucino delle belle pietenze gustose, sa? e
non delle piccole quantità', ma dei bei piattoni...
Poi magari conservo il rimanente nel freezer... (e
storpia un pò la parola inglese con la sua calata
friulana). Non sono una cattiva donna, sa?, ma il
fatto è che se mi fanno qualche sgarbo non mi
riesce di sopportarlo. Debbo reagire, almeno a
parole.
I miei mi dicevano Ama il tuo prossimo, fai del
bene, non odiare nessuno ed io non odio, ma se mi
fanno arrabbiare...".
Poi racconta dei suoi quasi quotidiani viaggi
sino al Cimitero di Prima Porta dove va "a trovare
l'Amedeo" e qualche altro conoscente sperduto
nell'immensa area dove, purtroppo, i vivi non
vanno con tranquillita'. Anche lì, nella
megalopoli dei morti, si è soggetti a scippi o a
cattivi scherzi e lei è ancora tutta turbata
perchè ieri qualche sconosciuto ha tolto dalla
tomba di Amedeo una pianticella che lei gli aveva
portato con tanto amore qualche giorno prima. - Non per i soldi,
sa, ma per il brutto gesto... -
" E quando son li' - continua senza interruzioni
poichè' s'è' accorta che io sto ad ascoltarla, che
ho voglia di ascoltarla e di penetrare in quel suo
piccolo mondo di cose quotidiane e forse banali,
ma che per lei rappresentano la sua vita - e
quando sono li, mica mi vergogno a dirlo, io gli
parlo all'Amedeo come se fosse vivo e gli racconto
le mie giornate, i miei pensieri, i miei desideri.
Lui mi ascolta, lo sento, come faceva in vita e
approva o dissente secondo i casi. Prego per lui
ma poi gli dico, sicura che mi capirà': "Amedeo,
ora prego un po' per quei morti che non hanno
nessuno che pensi a loro. Tu nei hai tante di
preghiere, puoi ben fare a meno di qualcuna!".
Il tempo passa nell'assolato giardino e senza
che ce ne accorgiamo, scende la sera. Le quattro
signore s'accingono a rientrare in casa: s'alzano,
mi salutano e con l'Evelina baldanzosa in testa al
piccolo drappello, s'allontanano lentamente lungo
il viale semideserto...
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DUE GIOVANI TURISTI
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Mi vengono incontro nella strada semideserta:
hanno qualche somiglianza nel viso bruno, entrambi di statura piccola, mediterranea.
Camminano spediti, quasi con fretta, come se
temessero di far tardi ad un appuntamento ma lei,
la giovane, è' attenta a scrutare davanti ed
intorno a sè e dopo una breve occhiata confabula
sveltamente con il suo compagno.
Non l'avevo notato prima, ma lui ha un
bastone nella mano destra e con la sinistra si
aggrappa quasi alla borsa di lei, che lo guida.
Il
giovane è cieco, gli occhiali neri nascondono il
suo sguardo atono.
La ragazza sta ora consultando una guida di Roma e
si ferma infatti dinanzi al tempio antico:
sembra osservarne ogni particolare, ogni segno
lasciato dal tempo per metterne poi al corrente il
ragazzo che, immobile, un passo dietro di lei,
attende che lei concluda, ascoltando con interesse
ciò che lei gli va descrivendogli.
Proseguono, ora, ma, mentre avanzano con aria disinvolta,
inciampano in un gradino, lui che non vede,
l'altra che lo guida, senza alcuna differenza.
Riprendono subito l'equilibrio, lui prima ancora
della sorella, attraversano svelti la strada,
dirigendosi verso la chiesa il cui snello campanile, nel tramonto ncipiente, s'avvampa di
tinte rosse e dorate.
Il sonoro battito del
bastone sul selciato, cadenza il passo rapido e
senza cedimenti del ragazzo... |
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LA MANO TESA
https://www.varesenews.it/2019/12/lelemosina-non-bene-la-riceve-frati-busto-laccattonaggio/884169/
Col suo fagotto colmo di stracci, seduto sul parapetto di marmo che costeggia il sagrato della chiesa, fuma una sigaretta rimediata chissà come, ne centellina lentamente l'aroma. Bruno di pelle, rossiccio di capelli sotto una patina di polvere e di sporco, forse appartiene ad uno di quei tanti gruppi di rifugiati stranieri che credono di trovare qui un lavoro, pane e libertà e non trovano altro che confusione, indifferenza, difficoltà, povertà e forse anche la morte.
All'approssimarsi di qualche gruppo di persone, tende quasi vergognandosi una mano, ma non si attende nè carità' nè comprensione, lo si vede da tutto il suo atteggiamento che direi rassegnato.
Ritira la mano e con lo sguardo perso nel vuoto segue, forse, le ultime volute del fumo e qualche ricordo lontano.
L'avvicinarsi d'un bimbo con mille lire chiuse nel piccolo pugno, lo trova ancora immerso nelle sue fantasticherie, da cui si risveglia quasi con stupore... Riceve l'obolo con un moto di sorpresa, sgranandondogli in viso due azzurri occhi splendenti, colmi di gratitudine per quel gesto di solidarietà. E segue con lo sguardo riconoscente il piccolo che corre via ma poi si volta a guardarlo ancora per un attimo e allora lui, con un sorriso negli occhi, che rende una bellezza imprevista a quel volto tormentato, gli manda un bacio sulla punta della dita...
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FRA' IGNAZIO
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Col saio bruno, attillato contro un corpo tondeggiante, il piccolo frate passa lungo le navate affollate di fedeli e, banco dopo banco tende, per raccogliere le offerte, un cestino di vimini che non sempre viene riempito secondo le aspettative, poi scompare svelto nel buio della sagrestia da cui, lasciato il saio, percorrendo i lucidi corridoi della Casa, torna alla sua cucina dove preparerà eccellenti manicaretti per la Comunità di religiosi e di studenti che vi
abitano.
La cucina e' un ambiente grande, dominata al centro dalle grandi piastre metalliche su cui pentoloni enormi sobbollono di continuo e dove la rumorosa, mastodontica lavapiatti inghiotte e risputa fuori le stoviglie gia' lavate.
E' lì, tra quelle pareti bianche e ornate di mestoloni argentei, di coltelli d'ogni misura, di ogni genere di attrezzi e dove lui, così piccolo
quasi si sperde, che Frà Ignazio esprime la sua personalità, correndo di qua e di là, dalla spianatoia ai fornelli, armato di forchettoni, apparendo e scomparendo tra i vapori del lesso, degli stufatini, tra gli aromi speziati dei tortelli, dei bocconcini di maiale, dei contorni all'agro che con incessante fatica, ma soprattutto piacere, egli prepara.
Nel suo parlare, l'accento sardo è rimasto indelebile e ritmico a sottolineare alcune sillabe e spesso lui stesso ci scherza su, dicendo d'esser nato a Firenze o in un'altra città del Nord.
Chiacchierando gesticola un pò, muovendo il corpo piccolo e grassoccio, la faccia ilare illuminata da un sorriso, mettendo involontariamente in mostra i moncherini delle dita d'una mano che, per distrazione o accidente, un giorno gli sono rimaste nell'ingranaggio di un tritacarne.
Nel vicinato conosce tutti e tutti lo conoscono, lo interpellano allegramente per quella sua aria da cuor contento e i commercianti presso cui si serve nell'antico mercato rionale lo individuano, nonostante la sua piccolezza, nel viavai caotico degli avventori, lo chiamano per nome, gli combinano burle a cui lui fa spallucce e che ricambia e lo servono con cura particolare, mettendogli a disposizione i migliori esemplari della loro produzione.
Ma forse io me lo ricorderò sempre così, come l'ho visto in quei brevi giorni trascorsi insieme in Jugoslavia, in quei giorni di pellegrinaggio a Medjugorje, - una maglietta a righe, stretta sull'addome, un cappelluccio anch'esso troppo stretto per il suo cranio tondo e quasi calvo, a tracolla l'immancabile borraccia colma di Vernaccia che s'era portato da Roma e con cui generosamente ci dissetava.
Sembrava la mascotte d'un piccolo esercito in procinto d'andare a combattere per una guerra santa.
E noi eravamo davvero un piccolo, caotico drappello d'anime, ognuna con i suoi problemi od afflizioni personali, ognuna col cuore aperto alla speranza di trovare laggiù - in quello sperduto paesetto della Bosnia-Erzegovina, di cui all'inizio non riuscivamo neanche a compitare correttamente il nome - uno spiraglio aperto da cui poter intravvedere il cielo... |
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http://www.ancoraonline.it/2013/12/18/la-bellezza-del-presepe/h-statua-di-pio-ix-che-guarda-la-reliquia-e-altare/
SANTA MARIA MAGGIORE
Santa Maria Maggiore,
chiesa della mia infanzia,
sotto le cui navate, un brivido leggero,
di freddo e commozione,
dietro la schiena mi saliva.
Mentre, vanamente tentavo di toccare
il piede bianco e gelido di marmo
della statua severa di Maria,
Regina della Pace, irraggiungibile.
Dinanzi a cui la cera liquefatta
delle candele accese disegnava
immagini di gnomi e vecchie oranti.
Il coro delle voci gravi e compunte
delle Messe sontuose, solenne rimbalzava
contro lo splendido soffitto a cassettoni
dove l'oro zecchino risplendeva
ad ogni raggio di sole fuggitivo,
inventando misteriosi arabeschi.
Dietro cui mi perdevo, sognatrice in erba,
navigando tra le imponenti colonne levigate,
stordita dal disfatto profumo
dell'incenso e dei fiori.
Ma dal segreto dei confessionali,
simili, allora,
a tenebrose celle di tortura,
per quel sottile flagello
infisso nella porta, rifuggivo,
l'animo trepidante di paura...
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LE SUPERIORI
https://curiosando708090.altervista.org/a-scuola-negli-anni-60/
Patrizia - sono io - mi presti il quaderno di francese?
"É sul banco, prendilo, anzi no, aspetta, che controllo se tutto é in ordine". "Dina, mi dai il tuo?". "Va bene Carla, all right!".
"Lo sapete che Maria Grazia oggi é andata ad un matrimonio?"
"Beata lei..."esclamano in coro venticinque facce sorridenti di ragazze, nel breve intervallo tra un'ora e l'altra di lezione.
É un intrecciarsi di domande, di battute, di risate a stento trattenute, risate per un nonnulla come capita nell'adolescenza.
Io mi metto a cantare "Ho chiuso le finestre e sto piangendo..."
"Ma chiudi la bocca, che é meglio" commenta Carla col suo vocione e l'irriducibile spirito toscano.
Audino legge, Daniela sta stendendosi lo smalto sulle unghie - trasparente, naturalmente, sennò sarebbero guai, qui non é permesso truccarsi e ci costringono i giovani corpi prorompenti in severi grembiuli neri appena rischiarati da un collettino bianco.
Di Ferdinando, Mirella e Andreina, politicanti accanite, s'infervorano in discorsi di cui forse ancora non comprendono la portata; altri gruppetti chiacchierano e chiacchierano senza posa e tra poco la professoressa di francese - che noi chiamiamo Nonna Abelarda, le ammonirà con la sua voce acuta:
"Taisez vou, taisez vous, je vous en prie!" o quella d'inglese dell'anno passato che diceva: "Please, be silent..." scuotendo la testa da destra a sinistra ad ogni frase.
Quest'anno però abbiamo quella noiosa della... non che sia antipatica, ma non la sopporto per quel suo continuo batter di piedi sulla pedana.
"Mi ripeti la lezione, Patrizia?" "Come no: Les auxiliares du commerce... "
"Ma che sgobbona, lo sai che oggi non ho nemmeno aperto il libro di tecnica?".
"Ragazze, silenzio, eccolo che arriva!" "Sst, sst".
E la classe piomba improvvisamente in un lugubre raccoglimento.
Ecco il professore "Buon giorno, professore - diciamo noi - "Buna sera" fa lui (chi ha ragione? Sono le 14,30) e sbatte la porta con vigore! Bum!
"Uffa, oggi ha i nervi - pensiamo all'unisono - che bella cosa!".
"Biondi, mi dai il diario?" bisbiglia qualcuno sottovoce. "Ragazze zitte, altrimenti ti interrogo" minaccia lui. Tira una brutta aria. "Barbaresi - sibilo io - non ti mettere vicino a Zullino oggi, devi stare accanto a me"
"Fontana, fuori! tuona lui e a capo chino, confusa ed un pochino
delusa esco di classe, ferita nel mio amor proprio, poiché non sono adusa ad un simile trattamento.
La porta si chiude dietro di me ed io trovo la battuta pronta "Beh, meglio essere mandata fuori che interrogata!" come quella barzelletta che mio nonno raccontava ad ogni minima occasione, come diceva... sì, quella del tema "Il treno passa. Riflessioni".
Il ragazzo, l'impertinente di turno, scrive: Ed io mi scanso".
Il professore, di rimando: "Ed io ti boccio" e da qui la conclusione dell'intelligente alunno - a cui va tutta la mia comprensione - "Meglio essere bocciato che finire sotto un treno".
Ah, ecco Zullino che sta facendo un giro tra le classi per cercare adesioni al CUS, una specie di gruppo sportivo delle scolaresche.
Mi rivolgo a lei, una ripetente alta e simpatica, che viene criticata spesso dai professori per qualche lieve accenno di matita attorno agli occhi, rigorosamente vietato alle alunne di questa rigorosa scuola femminile superiore condotta da una Preside severa e ossuta, con una gran chioma di capelli lunghi e ricciuti che mi rammentano un ritratto di Mozart.
Mi faccio coraggio "Vengo anch'io, il caro professore mentre tu eri in giro mi ha sbattuta fuori dell'aula perché chiacchieravo. Che bella soddisfazione dover passare due ore senza poter far nulla.".
Scendiamo insieme al piano sottostante e lei trae dal grembiule nero, che mortifica le sue forme già adulte, un paio di occhiali neri "Bella questa, da quando porti gli occhiali?" "Lo faccio solo per nascondere il trucco", è la risposta.
Eccoci in una classe di prima, ragazzine, che vociano come tanti pulcini che reclamino il mangime "Ragazze - urla Wanda con voce stentorea - per farsi udire - debbo chiedervi un attimo di silenzio, per illustrarvi questo...
Finalmente, attratte dalla novità, ci attorniano come tanti anatroccoli neri che si raccolgano attorno alle madri, un tantino impressionate dall'apparizione di quella ragazzona grande, ai loro occhi importante, ma poi appena lei ha spiegato le ragioni della sua intrusione, il chiacchierio ricomincia, ora in una tonalità più acuta e concitata di prima.
Pensare che solo due anni fa eravamo come loro, ancora immature, penso io...
Lanciato il messaggio, stiamo per andarcene e passare ad un'altra classe, quando una ragazzina meno timida delle altre ci chiede se abbiamo da vendere dei libri usati negli anni precedenti. Sarebbe un'attraente possibilità per delle squattrinate studentesse come noi, ma ogni nostra speranza svanisce dato che le nostre edizioni sono ormai sorpassate. Mi vengono in mente le parole di mia madre "Ladri, sono ladri. Debbono speculare anche sull'istruzione, sui libri.
Quando andavo a scuola io, i libri si passavano dal fratello maggiore a quello minore, senza bisogno di lasciarli inutilizzati, di buttarli o di venderli".
Mentre Wanda tenta, comunque, di concludere qualche piccolo affare mi dò un'occhiata intorno. Certo sono abbastanza turbolente queste bambine. In un angolo ce n'é una che, specchiandosi ad una delle grandi vetrate della finestra, si pettina, s'aggiusta una ciocca ribelle, ripassa con cura la spazzola sulle punte. Non so come l'ho conosciuta e spesso viene da me per farsi dare suggerimenti su alcune lezioni che le restano difficili. Ha una frangia spessa due dita, i capelli alla Catherine Spaak, un visetto fresco e furbo, la parlantina facile, sciolta, talvolta un pò sguaiata.
Il nostro piccolo tour é terminato, Wanda rientra nell'aula salutandomi con un misto di comprensione per la mia solitudine e d'invidia poiché non mi annoierò ad ascoltare la lezione di ragioneria. Col peso di questa solitudine, mi avvicino alla finestra che dà sul cortile "Unò, dué, unò, dué. (é l'ora della ginnastica per alcune classi più fortunate) Muscoli sciolti, elastici, movimento... " "Movimento, movimento, movil..." faccio io tra me, scimmiottando uno slogan pubblicitario di quest'anno.
La prima ora di isolamento, bene o male passa, poi eludendo la sorveglianza della custode, vado in bagno a bere, commentando tra me e me la pulizia poco approfondita dei gabinetti scolastici. Uscendo dal bagno, incontro le ragazze che poco prima facevano ginnastica in cortile: sudate, rosse, scarmigliate, bevono avidamente, una pettinata, un'occhiata allo specchio, un ciao frettoloso alle mie compagne dell'anno scorso, ora ripetenti, e rieccomi di nuovo sola. Ad un tratto la voce della bidella, che ha sentito dei rumori, mi aggredisce nel silenzio "Chi c'é là?"; io mi faccio più piccola possibile mentre i suoi passi s'avvicinano e poco dopo, superata la timidezza, le racconto i particolari della mia vicenda. Mi commisera un pò, poi con atto di grazia mi invita a sedermi in una classe vuota.
Di nuovo il silenzio... Ripasso mentalmente la lezione per l'ora successiva ma sono sicura di saperla a menadito, prego per la bidella compiacente, scaccio quel tanto di malinconia che mi si é stretta improvvisamente addosso, fantastico un pò... quando un lieve ticchettio di passi mi desta da quella specie di catalessi.
"Ah, sei tu Carla?" grido quasi, all'amica che spunta dalla porta.
"Ma che fai rintanata qua? - mi apostrofa di rimando lei, un pò sfottente -
"Mi dico il rosario - le rispondo aggressiva, a tono.
"Dai - fa lei - entra in classe con me, il professore chiuderà un occhio".
Non me lo faccio ripetere due volte, la seguo passando a capo chino davanti alla cattedra del professore che, con un sorrisetto ironico, dice: "Beh, com'é stata fuori?" "Mmm... bofonchio io con una faccia da martire e mi siedo nel banco, mentre intanto suona la campanella che pone fine alla lezione... un'altra se ne annuncia...
Tutti questi ricordi riaffiorano dall'averti ritrovato, Mirella, così per caso, guardando fuori dal finestrino dell'auto che mi conduceva in ufficio e trovando di fronte a me - sull'auto accanto - il tuo viso sempre liscio, compatto e due occhi sgranati dallo stupore che mi fissavano, dapprima persi nel vuoto della noia, poi interessati nello sforzo forse di riconoscere, fra i tanti, il mio nome... ...
Ricordi di quegli anni e di tante altre ragazze: la dolce Paola col suo viso seicentesco e l'aureola di capelli biondi e crespi tirati sulle tempie sempre persa nel sogno del suo amore adolescente per Dino, un ragazzo allampanato.... e Carla, la fantasiosa, arguta toscanaccia.... Dina dal viso minuto, triste, pessimista....
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PORTA PORTESE
https://www.mercatidiroma.com/mercato-di-porta-portese/portaportese
Porta Portese è ancora insonnolita e i pochi banchi già allestiti hanno un chè di precario e di triste. Ma è ancora presto, tra un pò col sole alto fioriranno magicamente le numerosissime bancarelle su cui occhieggiano le più diverse cose: paccottiglia a buon mercato o "pezzi" rari per un amatore di antichità.
L'aria è fresca, frizzantina, schiarisce subito le idee e vagabondare lungo le strade del mercato a quest'ora dà una sensazione di libertà. Non più i tentacoli delle strade intasate dal traffico, gli improperi che gli autisti si lanciano da una macchina all'altra o contro un malcapitato pedone
ritardatario davanti al semaforo ormai verde.
C'è un fervore di voci e di battute allegre che i proprietari dei banchi si lanciano tra loro a mo' di saluto, come a dire: "Finalmente ci rivediamo dopo una settimana di estraneità!". Ed io che non faccio parte del loro mondo, pure sono immersa in esso e ne capto ogni movimento...
Ecco il mercante di stoffe che sciorina la sua mercanzia sul banco, distendendo e drappeggiando sete e cotoni multicolori...
Il vasaio che deposita con circospezione i suoi vasi e vasetti multicolori e delicati, magari prendendo qualche fiore delicato dal vicino fioraio a cui promette che al più presto lo pagherà... il libraio disfa le sue valigie colme di libri antichi e polverosi, dentro cui nasconde altri fogli, altre soprese.
Cosa c'e' di meglio, per un turista in visita a Roma, di una passeggiata domenicale a Porta Portese?
...Si sale su un traballante tranvetto - uno dei pochi ancora in transito - sopravvissuto chissà come nella spasmodica corsa verso una modernità a tutti i costi - e costeggiando il giardino del Colle Oppio sotto cui si estende la casa di Nerone (Domus Aurea), s'arriva proprio dinanzi al Colosseo che si sviluppa proprio nell'ampia depressione sottosante in cui Nerone voleva costruire un'immensa piscina.
Più avanti le Terme di Caracalla (a Roma scherzosamente si aggiunge... dove i romani giocavano a palla...), l'interminabile ombroso viale Aventino, la bianca sagoma della Piramide, anacronistica fra i numerosi ruderi, si passa il Tevere ed ecco la famosa Porta che da' il nome al mercato.
Ma la strada già affollatissima che si snoda oltre l'arcata, brulica di bancarelle che vendono accessori per auto e moto, pezzi di ricambio, attrezzature per il campeggio e tanto alro...
Per vedere qualcosa di più interessante, bisogna proseguire: dietro una curva s'allunga Viale Trastevere. Si può scendere qui, dinanzi ad un'antica edicola contornata da lapidi di marmo ex-voto, e dopo pochi passi ci si trova nei meandri del mercato, in uno dei settori più eterogenei, dove si può trovare un pò di tutto.
All'occhio attento e curioso del turista s'apre un mondo inimmaginabile e variopinto: pezzi di valore, paccottiglia e cianfrusaglie recuperate in qualche cantina o provenienti da qualche appartamento... Non c'è che da scegliere...
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LA VECCHINA PIEGATA IN DUE
https://rosanoci.wordpress.com/2012/03/06/buona-gente/vecchiaia_bastone/
... Pioviggina oggi e il cielo é coperto, le strade sono lucide, bisogna stare attenti a non metter un piede sui sanpietrini scivolosi.
Nella folla eterogenea che anima via Merulana di mattina, mi colpisce come sempre la vecchina piegata in due che arranca faticosamente su per la strada e poi, con uno scatto subitaneo, si dirige verso il bordo del marciapiedi per affrontare il traffico.
Mi avvicino e le domando se ha bisogno di aiuto per attraversare la strada, annuisce, alzando su di me due occhi grandi e acquosi, tenendo su la testa con fatica, come una tartaruga che esca dal suo carapace e guardar fuori nel mondo.
Si affida a me aggrappandosi alla mia mano con la destra, mentre con la sinistra regge una busta di plastica ed io mi avvio a sfidare il traffico caotico che rallenta e si ferma al nostro passaggio... ma poi debbo rallentare anch'io, adattare il mio passo al suo più corto; per ognuno dei miei lei arranca con due, tre passettini affrettati e pesanti per via delle grosse scarpe scure. Siamo finalmente dall'altro lato della via e lei mi chiede se per caso io non mi stia recando alla posta.
Anche se avevo deciso di farlo in altro momento, le rispondo affermativamente, sì che posso accompagnarla, se lo desidera. Lei per tutta risposta si stringe più forte alla mia mano e mi indica con fare quasi autoritario che vuole proseguire su per la salita; sembra che si senta più a suo agio là in mezzo alla via anziché sul marciapiedi un pò sconnesso e mi ci vuole un pò per convincerla a non camminare oltre il ciglio della strada, oltre la fila di macchine allineate in sosta.
Un grosso gatto sdraiato su un cofano spalanca su di noi i suoi arguti occhi verdi e osserva con interesse la piccola figura gobba che avanza con fatica...
Ogni tanto le rivolgo la parola ma lei non mi risponde, sembra non ascoltarmi, forse é sorda oppure fa finta di non capire.
Però mi chiede se sono sposata e d'improvviso mi chiede "Ma lei ha una dentiera?" "No - faccio io, stupita - perché?" "Ha dei bei denti..." mi risponde convinta la vecchina. Forse da quell'altezza rattrappita quel che le sta più a portata di naso sono i denti della gente (io avrei pensato gli occhi, invece).
Ad ogni domanda che mi pone (Vado alla posta per fare che?) tira su con sforzo la parte superiore del corpo tentando di mettersi faccia a faccia con me, allungando il collo e alzando quei suoi occhi interrogativi.
Percorriamo una stradina dissestata, costeggiamo l'ampia piazza Dante al cui centro l'argentea palizzata di lamiera ondulata entro cui fervono i lavori della nuova centrale elettrica sotterranea, seguiamo l'inferriata nera che cinge il Ministero delle Poste, poi eccoci in fondo alla strada, a due passi dall'ufficio postale.
Le chiedo se posso aiutarla nell'operazione che dovrà compiere allo sportello ma lei sorvola con un brontolio... son sicura che non vuol dirmelo, ma ho già capito: sta andando a riscuotere la pensione e non vuole ch'io lo sappia.
Faccio finta di niente e proseguo trascinandomela su per quei quattro alti gradini che ci separano dall'ingresso ed una volta dentro é costretta a chiedermi quale sia lo sportello delle pensioni, poi mi invita a fare i miei versamenti da un'altra parte.
Io le seguo da vicino poiché la nuova "conduttrice" mi fa cenno di restare lì accanto. La vecchina nota la mia presenza ed ha un moto quasi di stizza, sembra essersi già dimenticata di me... più avanti sembra riconoscermi e quando l'altra signora decide di proseguire per la sua strada, me la affida di nuovo; la vecchina piegata in due alza gravosamente la testa e mi punta addosso quei due occhioni spiritati... ma poi si acquieta e si aggrappa ancora a me che pazientemente la conduco al di là della strada.
Arrivata finalmente al portone accanto a quello di casa mia, mi fa cenno che lei é arrivata, la guido nell'ampio cortile del palazzo, dinanzi ad una scala interna.
Là vuol essere lasciata, dice che ce la fa ad arrivare a casa sua e, quasi spedita, s'inoltra nella penombra della scala, dopo un breve, distaccato arrivederci... Io di rimando la saluto e la seguo con lo sguardo... non so, non mi convince, non mi pare che abiti in questo palazzo, penso che viva in un appartamento situato un pò più su, non ci giurerei...
Forse non si fida ancora di me e vuol farmi perdere le tracce della sua esistenza, timorosa di chiunque l'avvicini, per paura che si tenti d'ingannarla e depredarle il prezioso involto contenente il suo gruzzolo...
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