SANTI E SAGGI DEL VECCHIO TESTAMENTO
ABELE E CAINO
Prefigurazione di Cristo, Abele è
il buono per eccellenza, il figlio virtuoso ed obbediente
che offre al Signore i suoi olocausti votivi e corrisponde
al Suo Amore.
Ma questa bontà, questa dedizione,
scatenano l'invidia nel cuore di Caino che arriva al fratricidio.
Dio proteggerà, comunque, Caino, con un marchio che
lo preserverà.
Nonostante l'orrore per la colpa commessa,
però egli non chiede perdono, ma fugge e si nasconde,
finchè non fonderà la città di Nod.
Dalla sua discendenza, marchiata dal peccato, dunque, nascerà
il genere umano, così limitato, così fragile,
eppure proteso verso grandi mete spirituali.
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NOE'
Uomo giusto e buono, Noè fu prescelto da Dio
per sopravvivere alla punizione severa che Egli intendeva
dare agli uomini, per i loro vizi e la loro cattiveria.
Egli, dunque, secondo i Suoi dettami, costruì un'Arca
di legno e intanto incitava tutti a convertirsi, ma nessuno
voleva ascoltarlo, anzi veniva deriso. Quando iniziò
il Diluvio, Noè, la sua famiglia e gli animali si
rinchiusero nell'Arca e galleggiarono per giorni e giorni,
finchè la pioggia non cessò e l'Arca si posò
sul monte Ararat. Noè attese qualche giorno poi,
resosi conto che la terra non era più inondata dalle
acque, ascoltò le parole che il Signore gli diceva:
"Uscite dall'Arca, scendete sulla terra, crescete e
moltiplicatevi".
Egli obbedì ringraziando Dio, costruendo un altare
e offrendoGli sacrifici. Il Signore strinse con lui un patto
e disse: Non manderò mai più il diluvio sulla
terra e segno di questo patto sarà l'arcobaleno nel
cielo. Quando esso apparirà tutti gli uomini si ricorderanno
del mio patto".
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ABRAMO
Parecchio tempo dopo il diluvio, gli uomini dimenticarono
gli insegnamenti di Noè e non adorarono più
il vero Dio ma tanti altri idoli. L'unico popolo ancora
fedele fu quello ebraico, il popolo del Signore, a cui Dio
aveva promesso un Redentore. Il grande Patriarca Abramo
fu il padre e capostipite di questo popolo. Il Signore,
per mettere alla prova la sua obbedienza, gli disse: "Prendi
il tuo unico figlio, Isacco, recati sul monte che io ti
insegnerò e offrimelo in olocausto".
Era costume,
a quei tempi, di offrire al Signore degli animali, ma mai
creature umane. Abramo pensò che, essendo Dio il
padrone di tutte le cose, aveva il diritto di domandargli
un tale sacrificio e non esitò. Condusse con sè
Isacco e si avviò sul monte indicatogli dal Signore,
il Moriah, e giunto sulla cima, preparato con delle pietre
un altare, si apprestò a sacrificare quanto aveva
di più caro in vita, dicendo ad Isacco, con le lacrime
agli occhi: " Figlio, su questo altare devi essere
immolato a Dio! Così ha comandato il Signore!".
Isaccò baciò suo padre dicendo che se quella
era la volontà di Dio andava compiuta.
Abramo alzò,
tremante, il braccio per colpire suo figlio, ma in quel
momento apparve un angelo: "Abramo, non uccidere tuo
figlio. Il Signore non lo vuole. Egli ti aveva dato questo
comando per mettere alla prova la tua fedeltà".
Abramo, rassicurato e felice vide lì accanto un ariete
che vagava sulla montagna e, presolo, lo immolò al
posto di Isacco. Il Signore gli parlò ancora dicendo:
"Poichè eri disposto ad uccidere anche il tuo
unico figlio solo per ubbidirmi, io benedirò te e
la tua discendenza che sarà numerosa come le stelle
del cielo e nella tua discendenza saranno benedette tutte
le nazioni della terra".
Con queste parole Dio voleva dire che dalla discendenza
di Abramo sarebbe nato il Salvatore. Anche Isacco è
una prefigurazione del Cristo, unico Figlio, offerto in
olocausto per la salvezza dell'Umanità.
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SARA
Era la moglie di Abramo e si chiamava Sarai, prima
di essere chiamata Sara da Dio. Pur desiderando tanto un
figlio per assicurare una discendenza ad Abramo, in gioventù
non ne aveva avuti ed era ormai in età tanto avanzata
da non poterne avere più.
Ma un giorno, mentre erano
presso le querce di Mamre, Abramo vide tre uomini avvicinarsi
e li invitò al riparo e a mangiare e sollecitò
Sara a preparare delle focacce e lui stesso si pose a cuocere
un vitello, che poi offrì loro. Essi mangiarono e
chiesero di Sara che era nella tenda, dicendo che dopo un
anno sarebbero tornati e che a quell'epoca essa sarebbe
stata madre. Ma lei, che era al riparo della tenda, rise
dentro di sè perchè sapeva che ciò
era impossibile.
Ma il Signore disse ad Abramo: "Perchè
Sara ha riso? Nulla è impossibile al Signore!".
Sara, dunque, concepì un figlio che venne chiamato
Isacco.
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REBECCA
Abramo giunse alla vecchiaia e poichè Isacco
ancora non aveva preso moglie, chiamò un suo servo
e lo inviò nel paese in cui era nato, nella città
di Haran, dove questi avrebbe dovuto cercare una giovane
da dare in sposa ad Isacco.
Il servo Eliezer obbedì
e prese con sè ricchi doni e molti cammelli, partendo
con alcuni compagni; dopo un lungo viaggio arrivò
dunque in Haran, presso una fonte dove alcune donne stavano
attingendo l'acqua. Il vecchio si chiedeva a chi dovesse
rivolgersi e pregò il Signore di fargli conoscere
la sua volontà.
Avrebbe chiesto da bere ad una di
quelle giovinette e colei che gli avrebbe risposto: "Bevi
pure e dai da bere anche ai tuoi cammelli", quella
sarebbe stata la prescelta.
Appena fatta questa preghiera,
si avvicinò una giovane, che si chiamava Rebecca,
ed egli le chiese da bere. La fanciulla annuì, aggiungendo
che poi avrebbero potuto dissetarsi anche i suoi animali.
Il vecchio comprese che Dio aveva esaudito la sua preghiera
e chiese alla fanciulla chi fosse. Essa era della stessa
famiglia di Abramo, nipote di un suo fratello.
Anche il
vecchio le disse chi era e si presentò a casa sua,
portando i doni di Abramo e, spiegando la ragione del suo
viaggio, chiese Rebecca come sposa per Isacco.
La sua richiesta
venne accettata e dunque, presa con sè la ragazza
e le serve, Eliezer si avviò verso la terra di Canaan.
Abramo ed Isacco benedissero il Signore e il matrimonio
si celebrò con grande solennità e gioia. Rebecca
ed Isacco, a causa di una carestia si trasferirono a Gerar
dove vissero per molti anni, diventando ricchi, ma alla
fine ritornarono nella terra nativa. Essi ebbero due figli:
Esaù e Giacobbe.
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GIACOBBE
Giacobbe ed Esaù erano fratelli gemelli, ma
Esaù, essendo nato per primo aveva diritto alla primogenitura
ed ai vantaggi ad essa connessi. Questi, che crescendo diventò
molto villoso, era un bravo cacciatore e gli piaceva la
vita all'aperto, mentre Giacobbe era più incline
alla mitezza, era bello e dolce e gli piaceva stare in casa.
Un giorno Giacobbe s'era fatto preparare un piatto di lenticchie
e il fratello, ch'era tornato dai campi affamato le voleva
a tutti i costi, cosicchè Giacobbe gli propose di
barattare il suo piatto di lenticchie con la primogenitura
e i diritti connessi.
Per raggiungere il suo scopo Esaù
accettò senza pensarci. Passati degli anni, ed essendo
ormai Isacco quasi cieco e prossimo alla morte voleva benedire
il suo primogenito con la benedizione solenne e mentre Esaù
era a caccia, Giacobbe, aiutato dalla madre, si ricoprì
di pelli di capretto per apparire villoso come il fratello
e si presentò al padre, ottenendo da lui la solenne
benedizione.
Quando Esaù si rese conto di quanto
era accaduto, pianse disperatamente ed odiò Giacobbe,
al punto di pensare di ucciderlo dopo la morte di Isacco.
Rebecca consigliò il figlio di partire per la terra
di Haran e di rimanervi finchè il furore del fratello
non si fosse placato. Isacco lo benedisse di nuovo consigliandogli
di andare nella Mesopotamia di Siria, in casa del nonno
materno, di non prendere in moglie una della stirpe di Canaan
ma una delle figlie di Labano, suo zio.
Giacobbe partì, fermandosi per riposare e, durante
la notte, ebbe una visione: vide una scala altissima che
dalla terra arrivava al cielo ed angeli che vi salivano
e scendevano. In cima c'era il Signore che gli disse: "
Io sono il Signore Dio dei tuoi padri. La terra su cui dormi
verrà data a te e ai tuoi discendenti".
Era
la promessa già fatta ad Abramo.
Quando Giacobbe
si svegliò, fece un piccolo altare e vi versò
sopra dell'olio per significare che quello era un luogo
sacro e poi continuò il suo viaggio verso Haran.
Là giunto lavorò per lunghi anni presso Labano,
suo zio, arricchendolo e prendendo in moglie sua figlia
Rachele ma Labano, invidioso, pretendeva sempre di più,
cosicchè Giacobbe si decise a ritornare in patria,
portando con sè le sue ricchezze, sperando che gli
anni avessero portato pace nel cuore di Esaù e che
finalmente il fratello l'avesse perdonato.
Mandò
infatti dei servi ad avvertirlo ma questi tornarono con
la notizia che Esaù stava marciando contro di lui
con dei soldati. Giacobbe prese la metà dei suoi
averi e glieli inviò in dono poi, inginocchiandosi
alla sua presenza in atto di sottomissione, chiese ancora
perdono.
saù piangendo lo abbracciò e la
pace ritornò fra i due.
Esaù tornò in Seir dove abitava e Giacobbe
si stabilì a Socot.
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MOSE'
In terra d'Egitto, il popolo d'Israele prosperava
e si moltiplicava, adorando l'unico vero Dio, mentre i Faraoni
e il popolo adoravano falsi dei. Trascorsi 400 anni gli
Ebrei vennero perseguitati, anche a causa della loro prolificità
e il Faraone diede ordine di uccidere nel Nilo tutti i bambini
maschi appena nati. Un giorno, in una famiglia ebrea, nacque
un bambino sano e bello e la madre, per salvarlo, lo mise
in una cesta di vimini chiusa con la pece, nascondendolo
tra le piante che crescevano sulle rive del fiume. Di lì
a poco, passò la figlia del Faraone che, incuriosita,
prese il cesto e apertolo vide il bimbo. Decise di lasciarlo
vivere e di educarlo alla sua corte e lo chiamò Mosè
che significa appunto "salvato dalle acque".
Mosè fu allevato come un figlio di re ma, seguito
dalla madre naturale che lo aveva allattato e spesso lo
andava a trovare, adorò sempre il vero Dio degli
Ebrei, soffrendo immensamente per le pene loro inflitte,
pregando il Signore di liberarli. Quando il Faraone comprese
che Mosè desiderava aiutare il suo popolo, si adirò
e lo perseguitò, ma Mosè si allontanò
dalla corte, rifugiandosi nella terra di Madian presso un
uomo chiamato Jetro, che gli diede in moglie una delle sue
figlie e gli affidò i suoi armenti.
Un giorno, mentre
Mosè guardava le pecore, vide un cespuglio di rovi
che andava a fuoco ed udì la voce del Signore che
gli diceva che quella era terra santa, che sapeva che gli
Ebrei erano nel dolore e che Mosè, come capo di questo
popolo, avrebbe dovuto recarsi assieme a suo fratello Aronne,
a cui si sarebbe ricongiunto dopo tanti anni, dal Faraone
per convincerlo a concedere loro la libertà. Se questi
si fosse opposto al progetto di Dio, egli avrebbe fatto
prodigi e flagellato l'Egitto di castighi.
Mosè,
ubbidiente alla voce del Signore, partì mentre anche
Aronne, in quello stesso momento ebbe ordine da Dio di ricongiungersi
al fratello sul monte Oreb. Mosè gli raccontò
la visione avuta e insieme si diressero verso l'Egitto,
dove Aronne parlò alle 12 tribù ebraiche,
spiegando quanto si doveva fare e Mosè fece alcuni
prodigi per convincerli che veramente Dio lo aveva inviato
per liberarli. I due fratelli si recarono poi dal faraone
e fecero le loro richieste, ma il re non volle accettare
la volontà del Dio degli ebrei, nonostante i prodigi
che Mosè e Aronne compirono davanti a lui e nonostante
gli avvertimenti che gravi calamità si sarebbero
abbattute sul suo popolo.
Esse, chiamate le 10 piaghe d'Egitto, si susseguirono l'una
all'altra, incessantemente: l'acqua del fiume diventò
simile a sangue e tutti i pesci morirono in sette giorni,
poi il regno fu invaso da frotte di ranocchie che penetrarono
ovunque; la terza piaga fu rappresentata dalle zanzare,
la quarta da un'invasione di mosche di ogni genere, la quinta
piaga fu una terribile pestilenza che si sviluppò
nel bestiame, distruggendolo; la sesta piaga fu una malattia
che piagava il corpo di uomini e animali con ferite dolorosissime;
la settima fu una grandine che devastò tutte le campagne;
l'ottava un'invasione di cavallette che divorarono le poche
piante rimaste, la nona fu un eclisse di sole che durò
tre giorni. Il faraone prometteva a Mosè di farlo
partire ma poi non manteneva la parola data.
E il Signore
mandò la decima piaga, facendo morire ogni primogenito
di ogni famiglia egiziana.
A Mosè suggerì
di prepararsi per il 14 di quel mese: in quella notte sarebbero
avvenute cose tremende. Tutte le famiglie ebree dovevano
riunirsi coi parenti e in ogni casa si doveva ammazzare
un agnello, col cui sangue bisognava bagnare gli stipiti
della porta di casa. L'angelo sarebbe passato in quella
notte su tutte le case degli egiziani dove il primogenito
sarebbe morto. Quel giorno per gli ebrei sarebbe stato memorabile
e in futuro lo avrebbero sempre dovuto festeggiare per 7
gg., durante i quali essi avrebbero mangiato pane azzimo
(cioè senza lievito), agnello arrosto ed erbe amare
di campo, cingendosi i fianchi, con i calzari ai piedi e
il bastone in mano, pronti a partire, mangiando in fretta
perchè quella sarebbe stata la Pasqua (cioè
il passaggio del Signore).
Pasqua, dunque, vuol dire passaggio: passaggio dell'angelo
e passaggio del popolo d'Israele dalla schiavità
alla libertà della terra promessa. La festa pasquale,
dopo la venuta di Gesù, ricorda la passione, morte
e resurrezione del Cristo, cioè l'avveramento, in
senso spitiruale di ciò che era stato simboleggiato
nell'Antico Testamento. L'agnello il cui sanguè salvò
gli Ebrei dalla morte è prefigurazione di Gesù,
Agnello immacolato che ha versato il suo sangue per la salvezza
di tutte le anime.
Il pane azzimo, prescritto nella cena
pasquale, è simbolo del Sacramento dell'Eucarestia
nel quale Gesù vivo e vero è nascosto sotto
le apparenze dell'ostia (che è pane non lievitato).
La liberazione del popolo d'Israele dalla schiavitù
dell'Egitto è la prefigurazione della liberazione
delle anime dal demonio e dal peccato, effettuata da Gesù
tramite la sua morte. Il viaggio del popolo d'Israele verso
la Terra Promessa prefigura il viaggio dei seguaci di Gesù
verso il Paradiso.
Mosè riferì tutto ai suoi, sottolineando
che poi quando sarebbero entrati nella Terra Promessa dal
Signore, avrebbero dovuto seguire le stesse regole. Tutti
fecero come Mosè aveva consigliato, tranne gli egiziani
e tutti i loro bimbi morirono, anche il primogenito del
Faraone che, spaventato, disse a Mosè di partire,
riconoscendo il potere del suo Dio. Ma egli parlava così
solo per paura. Gli ebrei intanto si radunarono e osannando
il Signore si disposero al viaggio, mentre in cielo una
colonna di nuvole li precedeva indicando la strada che portava
al Mar Rosso. Il Faraone, intanto, si pentì del permesso
dato e radunò i soldati, inseguendo la colonna degli
emigranti che, vedendoli, ebbero paura. Mosè faceva
loro coraggio proclamando che il Signore li avrebbe salvati.
Egli infatti disse a Mosè: "Solleva il tuo bastone
e stendi la tua mano sul mare e l'acqua si aprirà
al vostro passaggio". Così fu e il popolo andò
dietro Mosè e quando ebbero traversato il mare e
risalito l'altra sponda, egli stese di nuovo il braccio
e il mare si riunì, distruggendo il Faraone e tutte
le sue schiere che si trovavano ancora sul suo fondo.
Il viaggio fu lungo e accidentato e dopo 30 gg. le
provviste erano finite e il malcontento iniziava a serpeggiare
ma Dio donava agli Ebrei di che sopravvivere, facendo trovar
cibo in abbondanza e ogni giorno li riforniva di manna che
era un ottimo nutrimento. Vennero assaliti da banditi ma
ogni volta che Mosè alzava le braccia al cielo gli
Ebrei risultavano vincitori; con l'aiuto di alcuni dei suoi,
allora, le tenne così per tutto il tempo della battaglia
finchè la loro vittoria non fu definitiva. Il viaggio
continuò fino al Sinai dove si trattennero un anno.
Dopo pochi giorni Mosè venne chiamato da Dio che
gli disse che disponesse il popolo a ricevere i suoi Comandamenti.
Tutti si purificarono e attesero la voce del Signore, che
avrebbe parlato attraverso Mosè, il quale però
tardava a tornare; alcuni di essi si stancarono di aspettare
e cominciarono a parlare di farsi un idolo d'oro in forma
di vitello, che forse li avrebbe aiutati di più;
tutti portarono qualcosa d'oro e alla fine il vitello venne
fuso, messo su un altare e tutti l'osannarono.
Mosè
intanto scendeva dal Sinai, portando le Tavole della Legge
e provò un immenso dolore per quella mancanza di
fedeltà: gettò a terra le Tavole frantumandole,
gridando che quel popolo non era degno di ricevere la Legge
del Signore.
Essi compresero, alfine, l'enormità del loro
peccato, piansero e chiesero perdono a Dio.
Tornato alla
presenza del Signore, Mosè intercedette per il suo
popolo ed Egli perdonò e scolpì di nuovo le
sue regole che tutti, inginocchiatisi, promisero di rispettare.
Mentre Mosè era sul monte il suo volto era diventato
tanto risplendente che non si poteva guardarlo e quindi
in presenza di tutti egli doveva nascondersi dietro un velo.
Venne poi costruito un Tabernacolo entro cui venne posta
un'Arca Santa che conteneva le Tavole. Il tutto venne consacrato
al Signore con riti solenni e sacrifici di animali ed Aronne
e i suoi figli vennero consacrati sacerdoti. Una nube luminosa
discese sul Tabernacolo e non se ne allontanava mai, se
si alzava voleva dire che il popolo doveva dirigersi verso
un altro luogo. Questo avvenimento è una bella ed
espressiva figura del viaggio che ora i cristiani fanno
verso la Patria Celeste, guidati dalla chiesa e accompagnati
da Gesù, presente nel Sacramento dell'Eucarestia.
Dopo un anno si rincamminarono e si fermarono
ad Haran, successivamente a Haserot e finalmente arrivarono
alla Terra Promessa, ma ebbero paura e pregarono Mosè
di mandare avanti qualche esploratore, uomini coraggiosi,
uno per ogni tribù, che osservarono accuratamente ogni
cosa e portarono indietro i frutti di quella regione incantevole.
Gli abitanti però erano temibili e di alta statura
ed essi ne furono atterriti ma Giosuè e Caleb, più
coraggiosi, dissero di non spaventarsi. Il Signore, stanco
di tante opposizioni, affermò che nella Terra Promessa
sarebbero entrati, dopo molti anni ancora di peregrinazioni,
solo i giovani, insieme a Caleb e a Giosuè.
Trascorsi
40 anni, infatti, finalmente si diressero verso Cades, dove
però non trovarono acqua; per un istante anche Aronne
e Mosè dubitarono e così Dio disse che nemmeno
loro sarebbero entrati nella Terra Promessa. Si diressero
quindi tutti verso il Monte Hor su cui salirono solo Mosè,
Aronne e suo figlio Eleazaro che venne proclamato sacerdote
e rivestito delle vesti di Mosè.
Subito dopo Aronne
morì. Mosè, invece, salì sul Monte Abarim
e di là vide, da lontano, la terra che per anni e
anni aveva cercato e, sapendo che di dì a poco sarebbe
morto, chiese a Dio di dare un capo agli Ebrei. Questo capo
fu Giosuè.
Mosè ritornò in mezzo a quel popolo tanto
amato,compose un cantico in cui ricordava tutti i benefici
che il popolo aveva ricevuto da Dio, salì sul monte
Nebo e lì morì.
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GIOSUE'
Dopo la morte di Mosè, il Signore disse a
Giosuè di guidare il suo popolo attraverso il fiume
Giordano, fino a raggiungere la Terra Promessa, combattendo
contro i re che la governavano, senza sgomentarsi perchè
sarebbe risultato vincitore.
Con l'Arca Santa, gli Ebrei
si rimisero in cammino e traversarono il fiume che li divideva
da quel terrtitorio, accampandosi poi per festeggiare la
Pasqua, così com'era stato loro comandato.
Al di
là dei monti c'era la città di Gerico, circondata
di mura e di torri, le cui porte vennero subito chiuse dagli
abitanti che non volevano che gli Ebrei vi accedessero.
Un angelo del Signore, apparso a Giosuè, gli disse
di radunare il suo esercito e di girare intorno alla città,
l'Arca Santa in testa, per sei giorni, mentre nel settimo
giorno avrebbero dovuto fare 7 giri.
Infine, i sacerdoti
avrebbero fatto squillare le loro trombe e il popolo avrebbe
dovuto gridare a voce altissima, così da far crollare
le mura . Giosuè fece come gli era stato comandato
e al settimo giro le mura e le torri crollarono ed il suo
popolo entrò in città.
Col passare del tempo, Giosuè riuscì
ad impadronirsi anche delle altre zone della Terra Promessa
con strepitose vittorie che gli concessero di entrare in
possesso anche della città santa, la città
di Dio: Gerusalemme!
C'era, però, ancora da conquistare
la parte settentrionale della Palestina, popolosa ed agguerrita,
che impegnò gli Ebrei in una lunga guerra. Giosuè
intanto era invecchiato e il Signore gli disse di dividere
la terra conquistata ed anche quella ancora da conquistare
tra le dodici tribù di Israele ed egli seguì
i suoi dettami.
La tribù di Levi, che era quella
sacerdotale, fu l'unica che non ebbe la sua porzione. Tutti
gli uomini di quella tribù, infatti, erano deputati
al servizio di Dio nel Tabernacolo, ma poichè essi
dovevano compiere le funzioni del culto per tutte le tribù,
Dio volle che fossero assegnate alcune città nel
territorio di ciascuna tribù e ordinò
che tutto il popolo offrisse ogni anno ai leviti e ai sacerdoti
la decima parte delle loro rendite, parte che sarebbe servire
per il sostentamento e per i sacrifici che si offrivano
a Dio nel Tabernacolo e per tutte le altre necessità
di culto.
Così si avverò l'antica promessa
fatta da Dio ad Abramo, Isacco e Giacobbe. Giosuè
visse ancora dieci anni godendo il frutto delle sue vittorie
poi, sapendo che ormai era prossimo alla morte, radunò
presso Sichem tutto il popolo, ricordando i benefici concessi
da Dio ed esortando tutti a rinnovare la promessa e il giuramento
al Signore. Tutti acclamando giurarono di servire sempre
Dio.
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RUTH
Nella Terra Promessa vi fu una grande carestia, sicchè
molti soffrivano la fame. Elimelech con sua moglie Noemi
e i due figli, Mahalon e Chelion, partirono da Betlem dove
abitavano ed andarono nel paese di Moab per trovare di che
nutrirsi. Moab non era nella terra promessa ma essi vi si
trovarono bene e vi abitarono per molti anni.
Elimelech
morì presto e Noemi rimase vedova, mentre i due figli,
intanto, erano cresciuti e avevano sposato due giovanette
del loro paese che si chiamavano Orfa e Ruth. Ma presto
anch'esse restarono vedove e Noemi, col cuore spezzato,
decise di tornare nella sua terra e partì, accompagnata
dalle due giovani nuore che non volevano separarsi da lei.
Ma essa, ringraziandole, le incitò a tornare dai
genitori, dove avrebbero potuto rifarsi una vita.
Pur desiderando
rimanere, Orfa si decise a l a tornare a casa, Ruth, invece,
non volle assolutamente e le disse :" Non mi separerò
mai da te, abiterò dove tu abiterai e soltanto la
morte ci dividerà". Noemi, commossa per tanto
affetto, non insistette ed insieme si diressero verso Betlem.
Una volta stabilite là, durante il tempo della
raccolta del grano, Ruth decise di andare in campagna a
raccogliere le spighe cadute in terra ai mietitori;; essa
li seguiva passo passo e tornava a casa con fasci di spighe
che servivano per sostentarle. Un giorno arrivò il
padrone del campo, che si chiamava Booz ed era ricco e buono,
e domandò chi fosse quella ragazza; le si avvicinò
e le concesse di raccogliere altre spighe, di bere e di
mangiare con lui. Noemi mise da parte alcune cibarie da
portare a Noemi e continuò poi a raccogliere spighe
fino a sera e ne trovava moltissime perchè Booz aveva
detto ai mietitori di lasciarne molte sul campo. Col cuore
colmo di gioia, Ruth tornò dalla suocera che chiese
chi fosse stato così compassionevole con lei.
Saputo
il nome del proprietario del campo, Noemi esultò
poichè, secondo la legge di Mosè, se un uomo
moriva senza aver avuto figli, il parente più prossimo
aveva l'obbligo di sposarne la vedova. Booz era proprio
loro parente e poteva dunque sposare Ruth. Consigliò
quindi la giovane di vestirsi e andare da lui per fargli
conoscere la loro parentela. Booz accettò molto volentieri
ed il loro matrimonio si celebrerò solennemente.
La vecchia Noemi fu consolata dalle sofferenze e Ruth fu
premiata per le sue virtù.
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GIOBBE
Giobbe era un principe molto ricco che abitava nella
terra di Us. Egli conosceva, serviva e amava Dio con grande
fedeltà ed amore. Aveva dieci figlioli che si amavano
fra loro e rispettavano il Signore e il loro padre. Giobbe
governava i suoi servi con bontà, soccorreva i poveri
con carità e tutti lo rispettavano ed amavano. Il
demonio, vedendo la sua santità, cercava in tutti
i modi di tentarlo a peccare ma poichè Giobbe respingeva
le sue tentazioni, decise di provarlo mandandogli varie
disgrazie, che forse gli avrebbero fatto perdere la pazienza
e bestemmiare contro Dio. Il Signore, che conosceva la fede
del sant'uomo e sapeva che la sua anima avrebbe acquistato
grande merito, permise che Giobbe fosse colpito da tante
disgrazie. Un giorno un uomo gli portò l'annuncio
che i suoi servi erano stati sterminati ed il bestiame razziato,
un altro servo gli riferì che le sue pecore erano
state uccise da un fulmine, un altro ancora che i cammelli
erano stati trafugati. Un altro ancora arrivò da
Giobbe portandogli la notizia più terribile di tutte:
quella che anche i suoi figli, riuniti insieme, erano stati
uccisi da un terremoto.
Povero Giobbe, in un solo giorno aveva perduto ogni cosa!
Chiunque si sarebbe adirato contro il Signore che aveva
permesso tutte quelle disgrazie, ma lui, sebbene col cuore
straziato dal dolore, si prostrò a terra adorando
Dio, dicendo: "Tu mi avevi dato tutte quelle ricchezze,
Tu mi hai ripreso tutto! sia fatta la Tua volontà!
sia benedetto il Tuo nome!"
Il demonio aggravò la sua situazione, facendolo
ammalare di una lebbra che gli ridusse le carni in piaghe
purulente e, non potendo più stare in città,
venne deportato in un luogo miserevole e fu abbandonato
da tutti. Giobbe trascorreva i suoi giorni nella più
grande tristezza, straziato dai dolori, senza alcun conforto,
ma senza perdere mai la pazienza! La moglie, invece di aiutarlo,
si lamentava per quanto accaduto e lo incitava a rinnegare
Dio, ma il santo vecchio, dandole della stolta, diceva:
" Se abbiamo ricevuto dalla mano del Signore tanti
beni, perchè non dovremmo riceverne anche i mali?
Anche questi sono doni di Dio"!
La notizia della grande sventura di Giobbe giunse a tre
principi lontani che lo conoscevano ed erano suoi amici;
si avviarono per andarlo a consolare, ma quando lo videro
così ridotto, si misero a piangere e rimasero 7 giorni
e 7 notti accanto a lui senza parlare. Giobbe parlò
per primo sfogando il suo dolore, sperando che i suoi amici
lo comprendessero ma anche quelli lo rimproverarono, dicendo:
"Iddio castiga coloro che sono cattivi! Tu dunque eri
un ipocrita, chissà quanti peccati avevi commessi!"
E un altro disse: "Ecco che, parlando così,
ora tu hai perso la pazienza. Dov'è dunque la tua
virtù?"
Ma Giobbe rispose: "Ma io sono sempre rassegnato
alla volontà del Signore. Io ho sempre cercato di
fare del mio meglio, servendo fedelmente Dio e mi pare di
non meritare castighi. Ma Dio che è infinitamente
buono e giusto se mi tratta così avrà le sue
ragioni che noi non possiamo comprendere. Tutto quello che
fa il Signore è sempre benfatto, eppoi so che un
giorno tutto questo finirà e risorgerò, sarò
rivestito di nuovo di pelle e carne e vedrò il mio
Dio! questa è la mia speranza!".
Giobbe dopo aver detto queste parole, si rivolse
al Signore con tutto l'affetto del suo cuore, esprimendogli
la sua rassegnazione. I tre continuvano però a tormentarlo
ed ad essi si unì anche un altro giovane. Ma finalmente
il Signore volle consolare il suo servo fedele che aveva
dimostrato tanta fede e fece udire la sua voce, dicendo
a tutti di tacere e rimproverando dolcemente Giobbe perchè
troppo si era giustificato dinanzi ai suoi amici. Egli domandò
umilmente perdono per lui e per loro, per i quali continuò
a pregare e Dio perdonò tutti. Mentre Giobbe pregava
le sue piaghe infette sparirono, cosicchè potè
tornarsene a casa dove i suoi parenti, felici, andarono
a trovarlo, portandogli regali e preparando una grande festa
a cui partecipò tutto il popolo che lo portò
in trionfo.
Il Signore gli diede il doppio di quanto gli aveva tolto
e lo ricolmò delle sue benedizioni. Ebbe ancora figli
e figlie, armenti, possedimenti e visse a lungo, sempre
buono e felice e dedito alle opere di carità, fedele
al Signore. Così Dio premia, anche su questa terra,
coloro che gli sono fedeli e sopportano pazientemente le
tribolazioni, benedicendo il Suo nome.
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