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CHE COSA E’
L’A.I.C.I.S.?
L’AICIS è l’Associazione,
apolitica e senza fini di lucro, che raccoglie appassionati
cultori, studiosi, collezionisti e quanti si interessano
di immaginette sotto ogni profilo: storico, folkloristico,
culturale, artistico, religioso
PERCHE’ ISCRIVERSI ALL’AICIS?
Perché l’unione fa la
forza. Per essere informati, attraverso la Circolare
mensile, di quanto interessa il settore e poter effettuare
lo scambio del materiale fra i soci. Per partecipare
alle mostre o anche conoscere ove si svolgono mostre
di immaginette. Per partecipare a conferenze. Per
avere notizie su pubblicazioni specialistiche, per
avere le nuove immaginette, per conoscere i nuovi
Venerabili, Beati e Santi, per avere altri ragguagli
su santi e santuari. |
COME ISCRIVERSI ALL’A.I.C.I.S.
Telefonando alla Segreteria (tel.06-7049.1619)
e richiedendo l'apposito modulo da compilare. L’importo
da versare sul conto corrente postale nr. 39389069
dell'’A.I.C.I.S è di euro 3,00 per
la sola iscrizione all’Associazione, mentre
la quota annuale 2005 è di euro 25,00 per
le persone fisiche e di euro 34,00 per le Associazioni
e gli Enti.
L’anno sociale decorre dal 1° gennaio
al 31 dicembre
DIRITTI DEI SOCI:
- ricevere le Circolari Informative, con immaginette
omaggio;
- partecipare alle mostre ed alle iniziative sociali;
- partecipare alle riunioni di scambio fra soci;
- effettuare scambi fra soci per corrispondenza;
- fare inserzioni gratuite di offerta o di richiesta
di immaginette nelle Circolari Informative.
Gli incontri si tengono nella Sede dell'Ass.ne,
in P.za Campitelli 9, in una sala interna al cortile
adiacente la
Chiesa di S.ta Maria in Portico, ogni primo martedì
del mese, eccetto agosto, e salvo variazioni che
di volta in volta verranno rese note.
Informazioni: Contattare Renzo Manfè - Vice
Presidente
Tel.06-7049.1619 e-mail: aicis_rm@yahoo.it
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VITA ASSOCIATIVA
LA SOCIA ROSANNA NAVA CI HA LASCIATO
Il 12 settembre u.s. ci ha lasciato la
socia Rosanna Nava. La Santa Messa in suo suffragio verrà
celebrata il 12 novembre 2007 alle ore 7.00 nella Basilica
di Sant’Antonio in Via Merulana 127.
Il Consiglio direttivo, addolorato per questa perdita, ringrazia
Dio per la vita di Rosanna che lascia un’orma incancellabile
e invita gli associati ad unirsi spiritualmente per pregare
per lei e per i suoi familiari.
Nel ricordarLa con vero affetto ripetiamo qui un messaggio
che ha lasciato...utile a tutti:
"Nei momenti difficili appoggio la mia fronte al Crocifisso
e questo mi dà forza, fiducia, e lo invito quando
rallento il passo ad aspettarmi con amore."
Aggiungiamo qui appresso un breve profilo tracciato dalle
due figlie: “Mamma è stata ed è un fulgido
esempio nei fatti, ancor prima che nelle parole, della assoluta
disponibilità e dedizione agli altri, vicini e lontani,
amici e non, prestate con vera compassione e spirito di
carità.
Aiutava tutti coloro che poteva e in particolare gli ammalati,
sia nel corpo che nello spirito.
Ha affrontato sette lunghi anni di malattia lottando e combattendo,
attaccata alla vita che amava molto, mentre offriva le Sue
sofferenze per la guarigione dei malati e le intenzioni
di Gesù e Maria.
La sua Fede vissuta l'ha accompagnata e sorretta sino alla
fine e Le ha permesso, sino all'ultimo, di essere "luce"
per tutti coloro che hanno avuto il privilegio di incontrarla
prima e di ricordarla oggi. Lei non ci ha abbandonati, ci
ha solo preceduti nella Luce del Signore e, ne siamo certi,
da lassù continua a vegliare su di noi e sugli ammalati
così come ha già fatto in vita”.
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10 DICEMBRE: SANTA MESSA ANNUALE PER I DEFUNTI AICIS E
FAMILIARI
Il 10 dicembre 2007, alle ore 18.30, nella Basilica di Sant’Antonio
in Via Merulana 127, verrà celebrata l’annuale
Santa Messa in suffragio dei nostri soci deceduti e dei
loro familiari defunti. Uniamo in questa devota intenzione
i proprietari defunti delle immaginette che ora fanno parte
della nostra raccolta.
Molti santini in nostro possesso hanno fatto parte della
vita e devozione di persone decedute a noi sconosciute e
che forse hanno ancora necessità della nostra preghiera
di suffragio per vedere finalmente il volto di Dio. La Santa
Messa del 10 dicembre, pertanto, vuol essere una perfetta
preghiera al cospetto dell’Altissimo oltre che per
i nostri morti anche per loro. Invitiamo gli associati ad
essere uniti in quel giorno alla preghiera di coloro che
sono presenti nella Basilica di Sant’Antonio a Roma:
sarà un grande significativo atto di carità
verso tutti questi nostri fratelli.
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PADRE MICHELE MARIA GIULIANO: VARIAZIONE DI INDIRIZZO
Padre Michele M.Giuliano desidera informare
i soci e i propri corrispondenti che il suo nuovo indirizzo
è il seguente: Frati Minori – Convento San
Vito – C.so Vittorio Emanuele nr.236 – 80034
MARIGLIANO NA –
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LA QUOTA AICIS 2008, SEMPRE DI 25,00 EURO, VA CORRISPOSTA
DA GENNAIO P.V.
Con il Notiziario di Gennaio-Febbraio 2008, come ogni anno,
verrà allegato il bollettino postale con il nr. di
ccp AICIS e la relativa causale “Quota associativa
2008”.
Si partecipa che la quota sociale per il prossimo anno,
come confermato dal Consiglio Direttivo, rimarrà
di 25,00 euro. I soci sono invitati a non anticipare nel
2007 tale versamento, ma attendere l’inizio di gennaio
del prossimo anno sociale.
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2 OTTOBRE: NELLA SEDE DI PIAZZA CAMPITELLI CONFERENZA
DI EDMONDO BARCAROLI SUL CARDINALE MARCO ANTONIO BARBARIGO,
VENERABILE DAL 6 LUGLIO 2007
Edmondo Barcaroli ha partecipato con Gino Arestivo, provenienti
da Tarquinia VT, alla riunione dei soci a Piazza Campitelli
– Roma, lo scorso 2 ottobre, primo martedì
del mese.
Barcaroli ha tenuto una conferenza sul card. Marco Antonio
Barbarigo (cfr. nel presente Notiziario) e ha consegnato
al Presidente l’ultimo santino del cardinale come
Servo di Dio, stampato dai soci di Tarquinia, oltre una
significativa quantità di gruppi di immaginette per
il Fondo Sociale.
IL VENERABILE MARCO ANTONIO BARBARIGO
FONDATORE E PADRE DELLE MAESTRE PIE FILIPPINI
Il socio EDMONDO BARCAROLI
di Tarquinia il 2 ottobre u.s. ha tenuto, nella sede di
riunione di Piazza Campitelli in Roma, la seguente conferenza
sul neo Venerabile Antonio Barbarigo.
Con l’occasione, insieme al socio GINO ARESTIVO
che lo ha accompagnato a Roma, ha consegnato al Presidente
Gian Lodovico Masetti Zannini, per la campagna “Un
santino per ogni socio” l’immaginetta
fatta stampare dal gruppo dei soci di Tarquinia, di concerto
con le Maestre Pie Filippini della Casa Natale di Santa
Lucia Filippini.
Tale immaginetta possiamo affermare essere l’ultima
come Servo di Dio, poiché il 6 luglio u.s. Marco
Antonio Barbarigo è stato dichiarato Venerabile.
Dalla giovinezza al suo ministero
Marco Antonio Barbarigo nasce a Venezia il 6 marzo 1640.
La sua è una fanciullezza serena, nutrita dall’amore
dei genitori e dall’educazione dei maestri, i quali
contribuiscono in modo determinante alla formazione della
sua futura personalità.
La sua vita si snoda attraverso tappe davvero provvidenziali
anche se, apparentemente, tutto sembra rientrare nella normalità
degli eventi.
A venticinque anni indossa la toga dei patrizi ed entra
di diritto a far parte del Gran Consiglio della Repubblica
Veneta.
Tuttavia, il segno esteriore della sua nobiltà non
lo fa sentire diverso dagli altri, nè lo distoglie
dai suoi impegni religiosi e dal servizio della carità.
Il giovane Marco Antonio si lascia condurre dalla mano paterna
di Dio; “cresce lungo il cammino il suo vigore”
mentre gli si apre in chiarità di luce l’orizzonte
della vita.
Vediamo così passare il giovane Marco Antonio come
una meteora dalla brillante carriera politica nella Repubblica
Veneta al “ministero sacerdotale”.
Alla scuola di San Gregorio Barbarigo, - Vescovo e Cardinale,
grande riformatore della vita culturale e pastorale a Padova
– che lo vuole suo collaboratore, Marco Antonio consolida
le sue scelte, rafforza i suoi principi, cresce nella carità
pastorale ed acquisisce una larga esperienza nel settore
catechetico.
I due si stringono insieme nella più bella e costruttiva
amicizia: ciascuno è per l’altro, quel l’amico
che la Bibbia definisce Tesoro, tetto fedele, balsamo della
vita. Gregorio non indugia a riconoscere nel giovane la
ricchezza interiore ed a presagirne un futuro promettente.
A Padova Marco Antonio segue spesso il Cardinale Gregorio
nelle visite pastorali; insieme danno vita a numerose scuole
della Dottrina Cristiana al fine di liberare l’uomo
dall’ignoranza religiosa. Attratto dalla personalità
e dalla testimonianza di vita del Santo, Marco Antonio ne
fa lo specchio della propria vita, il modello ideale. Ne
ricalca le orme nel servizio della carità e nello
spirito di orazione.
Nel 1678 viene nominato Arcivescovo di Corfù da Papa
Innocenzo XI; Marco Antonio Barbarigo è ormai pronto
per esercitare un’efficace attività apostolica.
Si prepara alla consacrazione episcopale in clima di intensa
preghiera, nel corso della quale stila un nuovo ed impegnativo
itinerario spirituale mettendo al primo posto la santità
della propria vita, quella dei sacerdoti e quella del popolo
cristiano “come misura della vita cristiana ordinaria”.
Quando accetta la nuova sede di Corfù, al Barbarigo
si apre un campo di lavoro vasto e complesso dovuto all’estensione
dell’isola ionica ed alla presenza in essa del pluralismo
religioso – culturale. Qui l’attività
di Marco Antonio è superiore alle attese: egli rivolge
le cure di pastore alla formazione del clero ed all’insegnamento
della Dottrina Cristiana.
La sua sensibilità lo spinge a prodigarsi con i più
deboli, i poveri, i carcerati e gli ammalati, ai quali offre
assistenza materiale e spirituale.
Successivamente, spiacevoli controversie storiche, generate
dall’ambizione dei governi, segneranno per lui l’ora
della croce.
Costretto ad abbandonare Corfù e rifiutato persino
dalla sua patria, la Repubblica Veneta, Marco Antonio sa
prontamente e con dignità accettare l’obbedienza
che lo chiama a stabilirsi nella Curia Romana. Ciò
significa il duro distacco dal suo popolo e la dolorosa
rinuncia all’intensa attività apostolica.
Papa Innocenzo XI ammirando la fortezza e la rettitudine
di questo suo prelato che, per la difesa delle “cose
di Dio” non ha esitato né temuto di incorrere
nelle ire dei governanti, il 2 settembre 1686 lo eleva alla
Porpora Cardinalizia con il possesso del titolo di Santa
Susanna.
Le diocesi di Montefiascone e Corneto, ultime sedi di Marco
Antonio Barbarigo, sono le nuove terre destinate a ricevere
largamente il dono della ricca esperienza accumulata negli
anni vissuti a Padova e nell’isola di Corfù.
I biografi del Barbarigo, nell’attestarne la multiforme
attività, danno la dimensione della pastoralità
eccezionale di questo uomo, in cui sono inscritte l’umanità
di un cuore aperto alle miserie umane, la sollecitudine
di un Padre che non si concede sosta, il coraggio del profeta
che, spezzando gli schemi convenzionali, denuncia le piaghe
morali della società del suo tempo, nonché
tutto il dinamismo e l’impazienza dell’uomo
di Dio.
Con l’ingresso nella Diocesi falisca, avvenuto in
ottobre 1687, il Cardinale Marco Antonio Barbarigo, profondamente
consapevole della responsabilità affidatagli scrive:”la
Chiesa di Cristo non è un giardino di riposo ma una
vigna di lavoro” ed è la piena consapevolezza
del ministero pastorale che lo accompagnerà fino
all’estremo delle forze, e non gli consentirà
di pagare il pedaggio della stanchezza, e tanto meno di
mettere il freno all’audacia dello Spirito che lo
spinge al “largo”, verso l’inedito che
si rivela sempre solo all’approdo di un cammino sofferto,
ma fedele.
La diffusa corruzione dei costumi del tempo non lascia riposo
al Barbarigo: attraverso un preciso programma pastorale
e con l’ausilio delle “Missioni Popolari”,
egli trasforma la diocesi in una “vigna deliziosa”,
feconda di frutti di conversione e carità.
Terminate le Missioni al popolo, nella città di Montefiascone,
l’instancabile Cardinale Marco Antonio Barbarigo si
dedica alla cura dei sui sacerdoti che, in buona parte,
influenzati dalla vita gaudente della Corte dei Farnese
trascurano gli impegni del proprio ministero. In fedeltà
al Concilio di Trento che impone alle Diocesi l’opera
dei “seminari quali vivai idonei a formare dei sacerdoti
validi”, il Cardinale ne fa costruire uno, ampio e
funzionale. Per questa opera mette in gioco tutte le sue
forze e le sue risorse, imponendosi grossi sacrifici, la
sua mente moderna, aperta agli orizzonti dello spirito,
nonché l’amore per la cultura, lo porta ad
accogliere nel seminario anche i giovani laici, molti dei
quali diventeranno uomini insigni, e daranno lustro a quel
seminario che sarà apprezzato in tutta Europa.
Un altro grande sogno del Cardinale Marco Antonio Barbarigo
è quello di aprire nella sua Diocesi le Scuole della
“Dottrina Cristiana” per istruire le fanciulle
del popolo che vivono nell’abbandono e nella più
assoluta miseria. Nel realizzare questa Opera delle Scuole
Pie, il Barbarigo porta a compimento un progetto celato
agli occhi dell’uomo, ma scritto da sempre sull’agenda
di Dio.
L’incontro con Lucia Filippini
Nel gennaio 1688 il Cardinale Marco Antonio Barbarigo, in
occasione di una sua visita pastorale a Corneto (attuale
Tarquinia) incontra la giovane Lucia Filippini. Dotato di
intuito profetico percepisce che potrà contare sulla
giovane per realizzare i suoi molteplici progetti apostolici,
per cui la invita a completare la formazione presso il monastero
di Santa Chiara in Montefiascone. Il Barbarigo scoprirà
in Lucia la discepola fedele, la Figlia prediletta, la Maestra
per le sue Scuole, la pietra d’angolo su cui poggiare
le fondamenta di una nuova istituzione per la Chiesa.
Le Scuole della “prima ora” (1692) vedono protagonista,
assieme al Cardinale Barbarigo, Rosa Venerini, la quale
agisce “sotto l’indirizzo e secondo le idee
dello stesso Cardinale.
Non va però dimenticato, per non perdere di vista
il filo misterioso della Provvidenza, che Lucia Filippini
allora è appena ventenne e vive il tormento della
scelta di vita nel Monastero di santa Chiara.
Storicamente è certo che il Barbarigo, avendo ideato
le Scuole, ha anche pensato di dar vita ad una Famiglia
di Maestre, di cui Lucia Filippini, partecipando al suo
carisma di fondazione, sarebbe stata poi Madre e formatrice.
Ne sarebbe potuto essere altrimenti, dal momento che Rosa
Venerini, previa intesa con il Cardinale avrebbe fatto ritorno
alla sua Scuola di Viterbo.
I risultati ottenuti con la Scuola di Montefiascone da subito
si rivelarono entusiasmanti e per questo motivo il Cardinale
pensa di aprirne altre, nei vari paesi delle sue Diocesi.
Per fare ciò si rende necessario fondare una congregazione
di Maestre Pie. Il carisma di ogni fondatore è sempre
carico del dono della profezia. Il cardinale Marco Antonio
Barbarigo, infatti, fu l’uomo dall’occhio penetrante,
capace di scrutare il piano di Dio in maturazione della
storia.
Scuola Maestra di vita
In un contesto sociale, nel quale la donna del popolo è
emarginata, il Barbarigo riapre le pagine più belle
della storia della Chiesa, con le sue insigni figure di
Vergini dedite ad una multiforme attività caritativa
ed apostolica, sognando così le sue future Maestre.
Questa convinzione profonda lo spinge ad inventare il nuovo,
e cioè, una forma di vita attiva nella Chiesa, un
Istituto di consacrate apostole.
La fiducia che il Cardinale ripone in Lucia Filippini è
illimitata. Marco Antonio Barbarigo sa bene che per condurre
ad una vita degna le numerose giovani allo sbando nella
miseria e nell’abbandono, ha bisogno della carismatica
parola e dall’alto esempio di virtù che Lucia
è capace di offrire. Proprio perché dotato
del carisma di fondatore il Cardinale ha un cuore di padre.
Egli è Padre nel senso più vero del termine;
è guida nel cammino di spirito, assolvendo così
ad uno ad uno dei compiti prioritari nel suo ministero pastorale.
La sua paternità abbraccia la persona delle sue figlie
non solo nella dimensione spirituale, ma anche umana.
Se i poveri sono “i suoi signori”, le Scuole
sono “la pupilla dei suoi occhi”. L’opera
delle Scuole Pie si rivela motivo di grande soddisfazione
per il Barbarigo, il quale riconosce sempre in Lucia Filippini
il perno fondamentale delle Scuole da lui fondate. Con vero
senso anticipatore dei tempi, egli vede la Scuola come ambiente
di vita, palestra di formazione di valori autentici, strumento
di promozione umana e cristiana.
Marco Antonio Barbarigo esalta la dignità della donna
emarginata riconoscendole un ruolo attivo nella comunità
cristiana.
Egli avverte che la presenza e la collaborazione della donna
contribuisce maggiormente alla fecondità della Chiesa.
Proprio questa convinzione sollecita il Cardinale a dare
vita ad una famiglia di Maestre Consacrate.
Nella mente di Marco Antonio la santità della vita
abilita le sue Maestre alla Missione; ogni altra qualifica
ha innegabile valore solo se illuminata dalla sua bellezza.
Marco Antonio Barbarigo, suole significare con una immagine
biblica, ciò che le Maestre Pie Filippini devono
essere: “nuvole cariche di acqua per poterla riversare
sulle anime della diocesi”. Per questa società
la Maestra Pia deve farsi “nube” che rende visibile
la presenza nascosta di Dio, “acqua” limpida
che feconda e purifica, disseta e ristora.
Il Cardinale contro i mali del suo tempo, si muove con l’impeto
dei grandi, coraggioso operatore che non conosce ostacoli
Progetta continui interventi ed opere per i suoi fedeli,
attento a non lasciarsi sfuggire la benché minima
frangia di emarginazione. La passione di riformare e rinnovare
è sempre finalizzata a far sentire la presenza e
la sollecitudine della Chiesa.
Marco Antonio Barbarigo si spegne in concetto di santità
il 26 maggio 1706. Avendo distribuito, secondo le varie
esigenze e circostanze quanto gli era venuto per mano, senza
trattenere nulla per se, muore povero e senza denaro per
le esequie. Egli rimane un testimone di tutti i tempi: di
ieri, di oggi e di domani; esempio luminoso di amore, grazia
e carità nella dedizione della propria esistenza
al servizio dei bisognosi.
Per ricordare il 3° centenario della morte del Cardinale
Marco Antonio Barbarigo, dal 27 maggio 2006 al 2 giugno
2007 è stato indetto un ciclo di manifestazioni culturali
e pastorali che si sono svolte a Tarquinia, Montefiascone
e Roma.
Con decreto di SS. Papa Benedetto XVI datato 6 luglio 2007,
il Cardinale Marco Antonio Barbarigo è stato dichiarato
“Venerabile”.
Edmondo Barcaroli
- Bibliografia
Giovanni Marangoni, “Card. Marco Antonio Barbarigo”,
Montefiascone 1930
Mafaldina Rocca. “Cardinale Marco Antonio Barbarigo”,
Roma 1989
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MOSTRE DI IMMAGINETTE SACRE
LOVERE (BG),13-20 Maggio 2007 – Mostra “LA
SANTITA’ RAFFIGURATA NEI SECOLI –
Stampe e santini dal XV al XX secolo”.
A Lovere si è chiusa il 20 maggio u.s. la bella mostra
del socio ENNIO BELOTTI, che l’ha
allestita con proprio materiale, nell’Aula Capitanio
presso l’Istituto delle Suore di Maria Bambina. L’esposizione,
inaugurata il 13 maggio 2007, aveva come tema:
“La santità raffigurata nei secoli –
Stampe e santini dal XV al XX secolo”.
Riportiamo un articolo di Luisa Cantamessa della pubblicazione
“Alto Sebino” del maggio scorso:
I SANTI FESTEGGIANO LE SANTE
Lovere: nel conventino, in mostra la collezione di santini
di Ennio Belotti. Alcuni sono del ‘700.
Ennio Belotti è sicuramente già noto a molti
loveresi. Persona mite e gentile, persino un po’ naif,
Ennio trasmette un sorprendente entusiasmo e cultura per
l’arte. Oltre ad aver accompagnato tanti turisti in
visita alla Basilica di Santa Maria, da qualche anno ha
un’altra grande passione: è collezionista di
stampe e santini antichi.
Come è nata la tua passione per l’iconografia
sacra?
La passione nacque dodici anni fa, dopo essere rimasto in
coma in seguito ad un incidente.
Al risveglio ho visto le cose sotto un’altra luce
e da quel momento, cioè dal ’95, ho iniziato
a visitare Assisi, Roma e altri luoghi significativi dal
punto di vista della fede: qui vedevo queste immaginette
e la gente che le collezionava. E così mi sono appassionato
anch’io”.
Ha già allestito delle mostre?
“Sì. Una nel 2000 a Lovere al Convitto Cesare
Battisti e, più recentemente, dall’1 all’8
gennaio 2006, alla chiesa di Pescarlo, sopra Cemmo, dove
ho registrato quasi 400 persone di presenze. Per questa
mostra hanno pubblicato un articolo sulla Circolare Informativa
dell’AICIS. Dal 13 al 20 maggio si terrà, dalle
Suore del Conventino di Santa Maria Bambina, una mostra
di mie incisioni, stampe e santini dal XV al XX secolo dal
titolo “La santità raffigurata nei secoli”.
Una sezione sarà dedicata alle Sante di Lovere, visto
che quest’anno ci sarà il duecentenario della
nascita di Santa Bartolomea Capitanio”.
Come e dove te le procuri?
“Ne avevo già alcune a casa, erano di mia mamma.
Ho iniziato ad andare sempre a Messa dopo l’incidente
e tanti santini e stampe sacre me li regalavano qui.
Ne ho raccolti a migliaia, soprattutto grazie ai frati e
alle suore. Inoltre sono iscritto all’A.I.C.I.S. (Associazione
Italiana Cultori Immaginette Sacre), un’associazione
senza scopo di lucro, con sede a Roma, nata nel 1983 grazie
a Gennaro Angiolino.
Ho molte corrispondenze: se io li ho doppi li invio ad altri
e ci scambiamo le immagini, così arricchisco la mia
collezione. E’ uno scambio di cultura tra persone
di ogni età che non costa cara e dà molta
soddisfazione personale”.
Quanti ne hai collezionati?
“Per quel che riguarda i santini, ne possiedo ventimila
pezzi che vanno dal 1700 al 1900.
E tra stampe ed incisioni ne ho cinquecentottanta, con nomi
di grandi incisori del Cinquecento e del Seicento come Marcantonio
Raimondi e Giovanni Battista Piranesi. Quest’ultimo
era uno dei più grandi artisti del Settecento, era
incisore, architetto, scultore, e realizzò originali
serie di incisioni caratterizzate da una ricchezza di effetti
chiaroscurali; tra le sue opere più famose ricordiamo
“Carceri d’invenzione” nel 1760 e “Vedute
di Roma” nel 1748-75, che raffigura il periodo aureo
della capitale. Nella mia collezione vi sono pezzi di grande
livello artistico”.
Quali sono le caratteristiche del santino?
“L’origine della stampa risale al 1454; da quella
data anche la stampa sacra si sviluppa notevolmente. Per
la Chiesa l’immagine era uno strumento fondamentale
per avvicinare il popolo a Dio e al suo messaggio di fede.
Nel 1600-1700 nascono i “canivet”: immaginette
intagliate a mano con temperino (canif). Sono santini fatti
a mano, traforati con le foglie oro, realizzati su carta
o su pergamena. Più tardi comparvero i santini a
punzone, sempre traforati, che nacquero in Germania, ma
ebbero la loro massima espansione in Francia”.
E delle stampe?
“L’incisione a stampa si distingue, a seconda
della tecnica utilizzata, in tre tipi: in rilievo, in cui
l’inchiostro viene trasferito sulla carta dalle parti
rilevate dalla matrice incisa (a questo tipo appartiene
la xilografia); in cavo, in cui l’inchiostro viene
trasferito sulla carta dai solchi della matrice di metallo
(a questo tipo appartengono l’incisione a bulino,
la puntasecca, l’acquaforte e l’acquatinta);
la stampa, infine, può avvenire mediante il torchio
calcografico che, esercitando una fortissima pressione,
spinge la carta nei solchi inchiostrati”
Quali sono le tue immagini preferite?
“La stampa a bulino, che nasce nel Cinquecento, è
a mio parere la tecnica più bella dal punto di vista
estetico, e i santini traforati a punzone mi colpiscono
molto. Sono santini devozionali che erano molto in uso nell’Ottocento
per le funzioni della Chiesa (cresime e comunioni); era
un’arte povera alla portata di tutti. Ho molte persone
a cui dire “grazie”, in primis quelle che mi
hanno dato la possibilità di condividere con altri
la bellezza di questi piccoli capolavori. Credo che la passione
non sia un punto d’arrivo ma sempre un punto di partenza
per ogni progetto, grande o piccolo, si voglia realizzare”.
Luisa Cantalamessa
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CISLAGO (VA), 17 Giugno 2007 – Mostra “LE
DONNE SANTE –
LA DEVOZIONE AL FEMMINILE”
Grande successo ha riscosso a Cislago l’esposizione
di immaginette devozionali rimasta aperta un sol giorno:
il 17 giugno scorso.
Il giornale locale: “Il NOTIZIARIO”
del 22 giugno u.s. così ha commentato la mostra allestita
da “Il Grappolo” e dal socio LUCIANO
GALBUSERA:
BOOM DI VISITE PER LA MOSTRA SULLE DONNE SANTE
“Cislago – Nuovo successo dell’Associazione
“Il Grappolo” che domenica scorsa ha allestito
nel sottopalestra della scuola elementare la mostra di santini
“Le donne sante – La devozione al femminile”.
Un’esposizione senza precedenti, che comprendeva un
migliaio di immaginette sacre di donne sante dal 1600 al
1800, oltre a foto storiche e a due bacheche con crocifissi
di Luciano Galbusera, un’altra bacheca con antichi
messali collezionati da Carlo e Olga Mazzella e quadri di
santi.
Si potevano visionare anche foto d’epoca di una processione
religiosa tenuta al Santuario di Saronno nel 1925, messe
a disposizione dalla Società Storica Saronnese e
dall’Archivio del Santuario di Saronno. “Siamo
molto soddisfatti dell’affluenza dei cislaghesi –
commenta Luciano Galbusera. Il boom di visite c’è
stato nel pomeriggio, quando sono avvenuti scambi tra collezionisti”.
Hanno esposto: Roberto De Santis, Enrica Graziani,
Marcello Vendemmiati, Silvana Raimondi, Sergio Aglietti
e Vito Liboni.
Un ringraziamento particolare a Francesco Lanzani,
Renato Caironi e Abbondanzio Rimoldi”.
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RIVARA (MN), 7-9 e 14-15 Settembre – 5^ MOSTRA DEL“SANTINO”
Siamo venuti a conoscenza, tramite internet, che nei giorni
7-9 e 14-15 settembre u.s. dalle ore 21 alle 23, mentre
domenica 9 dalle 9 alle 12 e dalle ore 16 alle 23, era possibile
visitare la 5^ Mostra del Santino a Rivara in Piemonte,
in provincia di Torino.
La mostra è stata allestita in un locale sito in
Via degli Estensi 2070 nell’ambito delle manifestazioni
relative alla “Sagra di Rivara 2007”.
Siamo lieti che tale dell’esposizione di immaginette
sacre sia giunta alla quinta edizione: un segnale positivo
anche questo, tra i tanti sparsi in tante piccole realtà
della nostra Italia.
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ALBARE’ (VR), 8-9 Settembre 2007: Mostra di santini:
“LA SANTA CROCE – LA MADONNA NEL MONDO –
SAN GIOVANNI BOSCO”
Buon successo ha avuto la mostra di 800 santini che, in
occasione della festa dell’Esaltazione della Santa
Croce (14 settembre), il nostro socio GIOVANNI ZENI
di Caprino Veronese ha allestito per i giorni sabato 8 e
domenica 9 settembre presso la Casa Salesiana “Istituto
Sacro Cuore” di Albarè (Verona).
La croce è il segno della signoria di Cristo su coloro
che nel Battesimo sono configurati a lui nella morte e nella
gloria. Nella tradizione dei Padri la croce è il
segno del figlio dell'uomo che comparirà alla fine
dei tempi. La festa dell'esaltazione della croce in Oriente
è paragonata a quella della Pasqua.
L’esposizione ha contemplato tre tematiche: -La Santa
Croce - La Madonna nel mondo – San Giovanni Bosco”.
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BASSANO DEL GRAPPA (VI), 15 Settembre 200 7- 20 Gennaio
2008
Mostra “I SANTI DEI REMONDINI. Immagini devozionali
della famosa famiglia di stampatori attiva a Bassano del
Grappa dalla metà del ‘600 all’800”.
A Palazzo Sturm di Bassano del Grappa,
è stata inaugurata il 15 settembre scorso (cfr. Circolare
nr.285) la mostra sul tema “I santi dei Remondini”:
immagini devozionali della famosa famiglia di stampatori
attiva a Bassano del Grappa dalla metà del ‘600
all’800”.
Il Palazzo Sturm è il nuovo MUSEO REMONDINI, sede
del Museo della Ceramica: raccolta cronologica della produzione
bassanese. E’ una elegante dimora patrizia del '700,
in riva al Brenta con vista sul Ponte Vecchio. Gli interni
hanno stucchi e affreschi di G. Anselmi.
Riportiamo qui appresso il COMUNICATO
STAMPA diramato in occasione della Mostra Temporanea.
“E’ naturale che la prima mostra temporanea
del nuovo Museo Remondini sia dedicata ai “Santi”.
Le immagini devozionali furono una costante del catalogo
remondiniano, dal Seicento e sino al 1861 quando l’impresa
si spense.
Un “prodotto”, i Santi appunto, richiestissimo
su tutti i mercati e non solo in quelli di tradizione e
iconografia cattolica. Elementi di devozione, certo, ma
anche parti di una precisa strategia educativa e comunicativa
era alla base di questo fondamentale “ramo”
dell’azienda bassanese. Sullo sfondo le ferree regole
della Controriforma e la strategia dei Gesuiti, potentissimi
assistenti-alleati-clienti dei Remondini in questo specifico
settore.
Anche quando la Compagnia di Gesù venne cacciata
dalla Spagna, i Remondini decisero di continuare a seguirne
dettami, strategie, canali, certi di un suo ritorno in campo.
Ovviamente i Remondini non ebbero il monopolio delle riproduzione
dei Santi, pratica già vivace nel ‘400 e che
ebbe il suo boom con l’affermarsi dell’arte
della stampa. Rispetto ad altre Case, però, potevano
contare su una produzione di differente formato, dai 12x8
al 60x80 cm e di conseguenza di differente valore, destinata
a tutte le tasche e soprattutto sulla più estesa,
fedele rete commerciale del mondo, venditori capaci di offrire
immagini religiose a chiunque ne avesse necessità
reale o suggerita. Immagini popolari, dai modelli aulici
resi in tratti sommari ed abbelliti dai colori, ma che avevano
il valore immenso della Fede.
I fogli dei Santi, per molti, avevano effetto taumaturgico
e infatti vengono, con puntualità, registrate guarigioni
miracolose dovute o favorite dall’imposizione di questo
o quel Santo di remondiniana fattura. Episodi che riportati
porta a porta da Tesini e Shiavoni avevano il loro effetto
visto che i Santi trovarono acquirenti ovunque, compresi
i territori di religione ortodossa.
Accanto alle diverse rappresentazioni della Vergine (diverse
in relazione all’iconografia dei singoli Santuari
di riferimento), i Santi più richiesti erano quelli
tradizionalmente assunti a protettori: San Giuseppe, patrono
dei falegnami nonché preclaro esempio di perfetto
padre di famiglia, San Bovo e Sant’Antonio Abate,
che non potevano mancare in ogni stalla o porticato di fattoria,
San Giovanni Nepomuceno, che l’imagerie barocca associava
ai ponti ed ai pericoli del fiume, che Bassano, in balia
delle famose “brentane”, conosceva fin troppo
bene. Ma soprattutto il “Grande Taumaturgo”,
ovvero Sant’Antonio di Padova, patrono delle cose
(e delle cause) perse, ovvero delle più difficili,
comprese le malattie incurabili o più prosaicamente
quella di garantire marito a fanciulle che inutilmente lo
inseguivano da troppo tempo.
Popolari erano poi San Rocco, la cui devozione era associata
al pericolo della peste e San Bartolomeo, più popolarmente
San Bortolo, l’apostolo martirizzato attraverso l’atroce
strappo di ogni lembo di pelle.
Ogni Santo veniva raffigurato con i suoi attributi di riferimento,
elementi indispensabili di riconoscibilità: il gigli,
il Bambino o il Libro per S. Antonio, il lungo bastone con
il campanellino e il porcello per l’altro S.Antonio,
l’Abate, e così via. Elementi che rendevano
queste figure riconoscibili ovunque, al di là della
raffigurazione del volto e al di là anche del nome
e dell’invocazione che, benché scritta sull’incisione,
nessuno o quasi sapeva comunque leggere.
Come ricorda Luigi Meneghello nel suo “Libera nos
a Malo”, “la devozione prende naturalmente le
forme della personalità.
I santini colorati con i fregi in oro, i libretti di preghiere,
l’obolo per l’acquisto dell’anima di un
negretto, la coroncina nell’astuccio d’argento,
il velo nero ricamato: di queste cose era fatta la religione
della zia Nina.
La mostra espone il vastissimo patrimonio di proprietà
del Museo e alcune lastre in rame con i fogli realizzati.
46 di questi, di grande formato, sono esposti sui tavoli,
altri (137) saranno all’interno di cassetti estraibili
che il pubblico potrà azionare manualmente e da solo
scegliendo i soggetti che più lo interessano. Il
sistema consente al visitatore di evitare la sequenzialità
noiosa di numerosissime immagini e di apprendere indirettamente
le ragioni per le quali il patrimonio su carta non è
esposto continuamente nei musei”.
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BOLOGNA, 15-16 Settembre 2007 – Mostra di immaginette
devozionali:
“IL SANTO BAMBINO E LA VERGINE MARIA”
A Bologna, nell’ambito delle Celebrazioni all’Osservanza
della terza domenica di settembre, è stata quest’anno
ripetuta la mostra organizzata a Natale dall’Opera
Pia “Il Pane di Sant’Antonio” diretta
dalla socia Dr.ssa Mara Andreotti con la collaborazione
del C.E.I.S. – Collezionisti Emiliani di Immaginette
Sacre di Bologna - sul tema “Il Santo Bambino e la
Vergine Maria” (cfr.Circolare Informativa nr.281,
pag.47).
Nel giorno inaugurale, un ciclostilato a firma della dr.ssa
Zita Zanardi, della Soprintendenza per i Beni librari e
documentari della Regione Emilia-Romagna, diretto ai visitatori
recita: “Il Santino è un significativo documento
delle tradizioni e degli usi del passato e come tale mantiene
il diritto di diffusione e conservazione che ancora oggi
dimostra di possedere, considerando che è a tutti
gli effetti un vero e proprio ‘oggetto di antiquariato’.
Ma oltre a questo, non è affatto secondario –
anzi – il suo valore di bene culturale, per i vari
aspetti artistici che riunisce, dalla qualità della
carta a quella delle tecniche di incisione adottate per
la sua esecuzione.
Tant’è che, se è vero che le raccolte
più ricche e preziose di santini e immaginette devozionali,
sono quelle di collezionisti ed enti privati, è altrettanto
vero che anche istituzioni pubbliche, come musei e biblioteche,
ne possiedono in notevole quantità.
Essi rientrano nella categoria di quel materiale a lungo
e a torto definito ‘minore’ e sta riacquistando
ora il suo giusto valore, con la conseguente necessità
di venire ordinato e catalogato, per poter essere poi meglio
conservato e anche messo a disposizione di chi, per studio
o per semplice passione, intende esaminarlo e/o possederlo.
L’interessante mostra che si inaugura oggi, nell’ambito
delle celebrazioni dell’Osservanza, permetterà
di ammirare alcuni degli affascinanti esemplari raccolti
nel corso degli anni da Padre Sebastiano Pazzini e che oggi
costituiscono uno dei preziosi tesori – insieme con
libri, oggetti e arredi – dell’Ordine francescano
della Provincia minoritica di Cristo Re, custoditi nella
storica e suggestiva sede del Convento di San Paolo in Monte
dell’Osservanza.
Ad essi si aggiungono eccezionalmente alcuni pregevoli pezzi
(già ammirati in occasione della mostra organizzata
lo scorso Natale presso la Chiesa del Ss.Salvatore di proprietà
di Alberto Bizzocchi e Filippo Briccoli.
Questa occasione espositiva concorrerà sicuramente
ad attirare ulteriormente l’attenzione su questo prezioso
e significativo materiale e a raggiungere l’obiettivo
di valorizzarlo e conservarlo al meglio, come esso sicuramente
merita.
Zita Zanardi
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CANNETO SULL’OGLIO (MN), 30 Settembre - 14 Ottobre
2007 –
Mostra “Ss. Fabiano e Sebastiano, S. Francesco e S.
Luigi Gonzaga
Il socio FRANCO BISLENGHI di Canneto sull’Oglio
(Mantova) ha allestito dal 30 settembre al 14 ottobre una
mostra di immaginette religiose presso la Palestra della
Casa di Riposo in Piazza Gramsci sul tema: “I Santi
Patroni Fabiano e Sebastiano, San Francesco e San Luigi
Gonzaga”.
Hanno partecipato all’esposizione oltre FRANCO
BISLENGHI con il proprio materiale collezionistico
anche la Dr.ssa FRANCESCA CAMPOGALLIANI CANTARELLI
di Mantova e RENZO MANFE’ di Roma.
I visitatori hanno apprezzato e sottolineato l’interessante
materiale esposto.
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BOLOGNA, 28/31 Ottobre 2007– Mostra di immaginette:
“Una catechesi sul Battesimo attraverso i ‘santini’”.
Il 31 ottobre scorso, a Bologna, ha chiuso una bella esposizione
di immaginette sacre di Ersilia Corsini e Duilio
Gennari, nel Chiostro della basilica di santo Stefano.
Riportiamo a commento l’articolo di Stefano
Andrini su “Avvenire” del 27.X.2007.
Bologna, catechesi con i «santini»
Una catechesi sul Battesimo attraverso i «santini».
È questa la proposta della mostra, promossa dal Centro
studi per la cultura popolare e dai monaci benedettini olivetani
che domani alle 16.30 apre i battenti nel chiostro della
basilica di Santo Stefano a Bologna.
L’originale esposizione, realizzata da Ersilia Corsini
e Duilio Gennari, accende i riflettori sulle piccole immagini
devozionali, un tempo diffusissime in tutte le chiese ed
oggi oggetto di appassionato collezionismo.
«Il nostro obiettivo – spiegano Fernando e Gioia
Lanzi del Centro studi per la cultura popolare – è
di richiamare la funzione originaria delle immaginette.
Che è quella di fare compagnia alle nostre preghiere,
offrire modelli di vita che il cuore desidera seguire.
Semplici e solenni insieme, i santini si presentano, se
letti con attenzione, come sintesi della vita stessa dei
santi, identificati attraverso i simboli e i segni che li
distinguono, poiché raccontano il loro martirio,
le loro virtù, il loro carisma».
«Con questo allestimento – proseguono i due
studiosi – vogliamo illustrare gli effetti del dono
del Battesimo attraverso i suoi frutti nei santi, in coloro
cioè che da Gesù si sono lasciati coinvolgere.
Ne viene presentata una serie esemplare che va dagli apostoli
ed evangelisti a Maria Goretti, Pier Giorgio Frassati, Riccardo
Pampuri: vediamo alcuni fra i martiri, i fondatori di Ordini,
i sovrani, gli uomini e le donne della carità, dell’assistenza,
della società».
Tutti, aggiungono «sono dimostrazione persuasiva della
vita nuova che nasce dal Battesimo e che, sviluppandosi
e dispiegandosi, abbandonandosi a Dio, conduce ad un destino
il cui orizzonte è la santità, in cui le varie
umane capacità si esprimono, centuplicate e rese
efficaci dalla Grazia».
I «santini» esposti, raccolti non solo grazie
a collezionisti ma anche ad un passaparola tra chi ha visitato
la mostra nelle passate edizioni, sono circa 150. Tra le
curiosità un sant’Ignazio di Loyola che arriva
direttamente dagli Stati Uniti, la serie completa degli
apostoli e delle frasi del Credo abbinate a ciascuno di
loro e un’immaginetta di Stefano d’Ungheria.
Per i curatori c’è anche un rimpianto: non
aver trovato il santino di Olaf di Norvegia. Due le finalità
della mostra (che rimarrà aperta fino al 31 ottobre
dalle 9 alle 12 e dalle 15.30 alle 18): sostenere l’intervento
chirurgico di una ragazza albanese gravemente ammalata e
il monastero benedettino olivetano in Ghana.
(Fonte: Avvenire, Sabato 27.X.2007)
Stefano Andrini
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MILANO, 18 Novembre 2007 – Mostra di santini sul
tema:
“LA RELIGIOSITA’ DEL MONDO CONTADINO”
Domenica 18 Novembre 2007, alle ore 16.00, in Milano, presso
la Cascina LINTERNO – Via Fratelli
Zoia, 194 il socio LORENZO PERRONE di Milano
presenterà una Mostra di Immaginette sacre sul tema
“LA RELIGIOSITA’ DEL MONDO CONTADINO”.
La Cascina, attuale sede dell’Associazione culturale
“Amici della Cascina Linterno” - prototipo di
un’antica “corte chiusa” lombarda del
1700 con i suoi terreni agricoli originari che ancora conserva
- bene si ambienta ad una Mostra che, attraverso l’iconografia
di Immaginette sacre, vuole ricordare all’uomo moderno
come la religiosità popolare del mondo agricolo,
seppure, talvolta, frammista alla superstizione, è
stata un veicolo di trasmissione orale delle tradizioni
cristiane legate ad una fede naturale sentita come un bisogno
materiale di prima necessità.
A titolo informativo, la Cascina Linterno è anche
un reperto storico perché risulta che sia stata la
casa di campagna di Francesco PETRARCA
dove, nei suoi soggiorni milanesi, si rifugiava alla ricerca
della quiete nella sua “ diletta solitudine”.
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OLGIA DI RE (VB) 16 Dicembre 2007-31 Gennaio 2008
Tema: “PULIZIA DEI CUORI - Natale 2007, il simbolo
– “Dove vai con vil granata (o mio Gesù)?
Il socio LUIGI PATRITTI di Olgia di Re
(Verbania) inaugurerà il 16 dicembre nella locale
Chiesa una mostra di immaginette devozionali del periodo
1700-1900 sul tema indicato sopra.
La mostra chiuderà ai visitatori il 31 gennaio 2008.
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ANNIVERSARI
3 OTTOBRE: BEATO DOMENICO SPADAFORA
NEL GIORNO DELLA FESTA LITURGICA DEL 3 OTTOBRE
LA FAMIGLIA DOMENICANA DI SICILIA RICORDA IL BEATO SPADAFORA
A Venetico Superiore, in provincia ed Arcidiocesi di Messina,
mercoledì 3 ottobre, la Famiglia Domenicana di Sicilia
e le comunità ecclesiali e civili di Randazzo e Maletto
(Catania), di Spadafora (Messina) guidate dai rispettivi
parroci e sindaci hanno reso grazie al Padre per aver donato
all’Ordine Domenicano, alla Chiesa e alla Sicilia
l’esempio di vita cristiana del Beato Domenico Spadafora
nel giorno della festa liturgica siciliana.
Il pellegrinaggio regionale è stato organizzato da
fra’ Giovanni Calcara op, responsabile del Laicato
domenicano nell’Isola, che ha presieduto la Santa
Messa di ringraziamento in onore del Beato con i confratelli
domenicani e i sacerdoti del Vicariato di Venetico, nella
cui matrice si trova la cappella gentilizia dedicata al
Beato Domenico, vissuto nel secolo XV e figlio del barone
Giovanni di Maletto appartenente ad una nobile famiglia
bizantina trasferitasi da Costantinopoli a Venezia e successivamente
in Sicilia.
Alle celebrazioni curate dall’arciprete padre Nino
Merlino ha partecipato il sacerdote polacco padre Cristoforo
Bialowas, nativo della Metropolia di Varsavia e formatosi
alla vita francescana e al sacerdozio in quella di Cracovia,
parroco in Sassofeltrio e già parroco in Montecerignone
di Pesaro - nel cui convento domenicano annesso alla chiesa
“S. Maria delle Grazie” visse fino alla morte
il santo frate predicatore taumaturgo- e postulatore della
Diocesi di San Marino Mon tefeltro della causa di canonizzazione
del Beato del quale, al termine della Santa Messa, è
stato benedetto un busto opera degli scultori Vincenzo e
Nicola Abate di Roccavaldina.
Dopo l’apertura del processo di canonizzazione si
è creato un rapporto tra la città di Randaz
zo, dove il Beato nacque nel 1450, Montecerignone e l’Ordine
dei Frati Predicatori di Sicilia: ogni anno, nella seconda
domenica di settembre, parte un pellegrinaggio dalla Sicilia
– in modo particolare dai comuni di Randazzo, Maletto,
Spadafora e Venetico che sono legati per la loro storia
alla famiglia Spadafora e a vario titolo al culto del Beato
- al la volta della cittadina marchigiana per partecipare
ai festeggia -menti in suo onore. Ogni anno le quattro comunità
civili del Val Demone dell’area catanese e messinese,
il 3 ottobre, compiono un pellegrinaggio itinerante per
onorare la memoria del Beato nei luoghi dove nacque e operò
la sua famiglia diffondendone il culto.
All’omelìa della solenne Concelebrazione Eucaristica
padre Calcara ha tratteggiato la figura del Beato, esaltando
l’esigenza della santità, cioè di scoprire
l’identità cristiana come vocazione naturale
alla santità, poiché i santi, come dice la
“Lumen gentium” sono segni luminosi per guidare
il popolo di Dio alla piena coscienza della sua missione
sacerdotale, profetica, regale.
Il Beato, educato dai Frati Domenicani, si recò a
Palermo per proseguire gli studi e vestire l’abito
religioso nel convento di Santa Zita, lasciando il suo stato
sociale aristocratico per abbracciare l’ideale domenicano
proposto dal Beato Pietro Geremia, maestro dei novizi che
accolse come suoi allievi altri due beati siciliani: Giovanni
Liccio da Caccamo (Palermo) e Bernardo Sciammacca da Catania.
Per la vivacità della mente e per l’impegno
nella vita monastica venne inviato a Perugia e poi a Padova.
Nel 1479, venne ordinato presbitero e ottenne il titolo
di baccelliere. Partecipò a Venezia al Capitolo generale
e divenne maestro di Teologia. Il Padre Generale, Gioacchino
Torriani, lo scelse come collaboratore e lo associò
alla riforma dell’Ordine. Nel 1491, il Vescovo di
Montetefeltro Celso Mellini e Montecerignone richiesero
una comunità di frati per l’educazione della
gioventù. Padre Domenico, insieme ai compagni, arrivò
in località Fontebuona dove esisteva una collinetta
dedicata alla Madonna delle Grazie ed iniziò la costruzione
della chiesa.
La vita di Domenico era molto intensa: preghiera, digiuno,
studio e Messa cantata ogni giorno, così per 30 anni.
Quando sentì vicina la sua ora, celebrò con
somma devozione la S. Messa, radunò il Capitolo e
tenne ai confrati un lungo discorso per esortarli allo studio,
alla mutua carità, alla regolare osservanza, alla
pratica delle virtù.
Chiese i sacramenti e mentre i frati cantavano la “Salve
Regina”, al tramonto del 21 dicembre 1521, come aveva
predetto, la sua anima volò in cielo.
Antonino Blandini
(ARTICOLO de L’Osservatore Romano di sabato 13 ottobre
2007 pag. 4)
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10 DICEMBRE: FESTA DELLA MADONNA DI LORETO
Confermata l’autenticità della Traslazione
della Santa Casa
Nella notte dal 9 al 10 dicembre 1294, la Santa Casa sarebbe
traslata dagli Angeli a Loreto, nelle Marche, dalla Croazia
dove era improvvisamente comparsa tre anni prima, nel 1291.
Una iscrizione in merito è stata ritrovata dipinta
sopra una antichissima tavoletta posta nella S. Casa. Essa
viene riportata e citata dal Beato Giovanni Spagnoli, Carmelitano,
nella Relazione che egli pubblica nel 1479.
Nella tavoletta, apparentemente posta nella S. Casa nel
1329 dal Vescovo di Macerata, Moluzio, è descritta
la storia della traslazione e si afferma che la stessa Vergine,
nel 1296, ha rivelato a un santo Eremita che la umile casa
comparsa dal nulla a Loreto altro non è che l’abitazione
della S. Famiglia di Nazareth.
Il Teramano nella sua "Relazione" pubblicata verso
il 1464 dà le medesime notizie.
Ma altri documenti del 1300 parlano della Chiesa di S. Maria
di Loreto, meta di pellegrinaggi da tutta Europa. Una bolla
di Papa Clemente V, del 1310; una sentenza del Giudice di
Macerata, del 1315, con i depredatori della S. Casa e dei
pellegrini che ad essa si recavano. Ciò indica che
la Casa era considerata come un Santuario venerato e famoso.
E una causa, un fatto nuovo doveva avere richiamato le folle
dei pellegrini.
Difficilmente i fedeli potevano essere attirati da quattro
rozze pareti e da una statua che avrebbero potuto trovare
in qualsiasi altro luogo, se della loro origine e storia
non avessero avuto notizie precise ed attendibili.
Nel "Rosarium" di Santa Caterina da Bologna (1413-1463),
un testo redatto dalla santa nel 1440 (circa trenta anni
prima della narrazione della “Translatio miraculosa”
riportata dal Beato Giovanni Spagnuoli e da Pier Giorgio
di Tolomei, detto il Teramano), viene riportato "per
rivelazione soprannaturale del Signore" la vicenda
storica della “miracolosa traslazione” della
Santa Casa di Nazareth. Santa Caterina da Bologna in quel
testo mostra di colloquiare direttamente con Gesù,
apparsogli “per grazia”; ella infatti scrive:
“In questo giorno (il 25 marzo 1440), tu, o Signore,
hai rivelato a me, apparendomi per grazia… ”.
Poi, dopo aver riportato “la rivelazione” che
fra quelle Sacre Pareti di Loreto la Vergine Maria fu “concepita”
Immacolata ed ivi “nacque”, descrive sinteticamente
le varie successioni del “trasporto angelico”
della Santa Casa di Nazareth, secondo come “rivelatogli”
da Gesù durante l’apparizione.
“Qui gli Angeli innalzarono il Santo Albergo, - che
già Maria col santo Figlio accolse, - e il portar
sovra i nembi e sovra l'acque. - Miracol grande a cui sollevo
ed ergo - La mente che altro obbietto a terra volse, - mentre
dai suoi pensier oppressa giacque. - Questo è quel
monte che onorar ti piacque - delle tue sante mura, - Vergine
casta e pura - del Re dei regi... ».
Questi versi, modesti di fattura e che però testimoniano
una sincera partecipazione d'animo, sono stati dettati da
Torquato Tasso, in occasione di un suo pellegrinaggio alla
Santa Casa di Loreto. Il grande poeta epico, autore della
Gerusalemme Liberata, è stato uno dei mille e mille
pellegrini che hanno voluto rendere omaggio a quella che
reiterate testimonianze hanno considerato la dimora terrena
della B. Vergine, e perciò il luogo in cui, con l'annuncio
dell'Angelo, avvenne il prodigio dell'Incarnazione del Verbo.
Un altro poeta, ben più modesto, il monaco vallombrosano
Bartolomeo, verso la fine del 1400 aveva redatto i versi
seguenti:«Com'io vi dico, questa chiesa santa - camera
fu della Vergin beata - sì come la scriptura aperto
canta, dov'ella nacque e fu annunciata - in quella con Gesù
sua dolce pianta - fin ch'ebbe dodici anni accompagnata
- con lui in quella si posò e stette - nella città
che è detta Nazarette ».
A conferma, ancora, della “veridicità storica”
delle “miracolose traslazioni” della Santa Casa
vi sono, poi, anche altri Santi che hanno dato la stessa
importantissima testimonianza, sempre “per rivelazione
soprannaturale”: come, ad esempio, la mistica tedesca
Beata Anna Caterina Emmerich (1774-1824), che con le sue
“descrizioni minuziose”, e tutte - nel riscontro
- corrispondenti al vero, di “luoghi” in cui
mai si era recata, fece ritrovare (dopo secoli di dimenticanza)
anche la casa di Efeso ove la Vergine Maria trascorse gli
ultimi anni di vita e ove morì e fu assunta in cielo
anima e corpo.
Il Sommo Pontefice Benedetto XV, con Decreto
del 24 marzo 1920, vigilia dell'Annunciazione del Signore,
ha proclamato la Madonna di Loreto Patrona dell’Aeronautica
Militare Italiana.
All’interno del Santuario di Loreto,
nel rivestimento marmoreo della Santa Casa possiamo leggere
questa iscrizione di Papa Clemente VIII:
"Ospite cristiano che qui venisti o per devozione o
per voto, ammira la S. Casa Loretana venerabile in tutto
il mondo per i misteri divini e per i miracoli. Qui nacque
Maria SS. Madre di Dio, qui fu salutata dall’Angelo,
qui s’incarnò l’eterno Verbo di Dio.
Questa gli Angeli trasferirono dalla Palestina la prima
volta in Dalmazia, a Tersatto, nell’anno 1291 sotto
il pontificato di Nicolò IV.
Tre anni dopo, nel principio del Pontificato di Bonifacio
VIII, fu trasportata nel Piceno, vicino alla città
di Recanati, in una selva, per lo stesso mistero angelico,
ove, nello spazio di un anno, cambiato posto tre volte,
qui ultimamente fissò la sede già da 300 anni.
Da quel tempo commossi i popoli vicini di sì stupenda
novità ed in seguito per la fama dei miracoli largamente
divulgata, questa S. Casa ebbe grande venerazione presso
tutte le genti, le cui mura senza fondamenta, dopo tanti
secoli, rimangono stabili e intere. Fu cinta da marmoreo
ornato da Clemente VII l’anno 1534. Clemente VIII
P.M. ordinò che in questo marmo fosse descritta una
breve storia dell’ammirabile Traslazione dell’anno
1595.
Antonio M. Gallo Cardinale, Vescovo di Osimo e Protettore
di S. Casa, la fece eseguire.
Tu, o pio pellegrino, venera con devoto affetto la Regina
degli Angeli e la Madre delle grazie, affinché per
i suoi meriti e preghiere, dal Figliolo dolcissimo, autor
della vita, ti ottenga perdono delle tue colpe, la santità
corporale e le gioie della eternità".
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14 dicembre 1927-2007: 80° Anniversario del decreto
di
SANTA TERESA DEL BAMBINO GESU’, patrona delle missioni
Quest’anno ricorre una circostanza particolare: gli
80 anni dalla pubblicazione del decreto che ha dichiarato
Santa Teresa del Bambino Gesù e del Volto Santo “Patrona
delle Missioni”.
Il 14 dicembre 1927, infatti, la Congregazione dei Riti
ha pubblicato il decreto con il quale, per decisione di
Papa Pio XI, si dichiara “S. Teresina patrona speciale
dei missionari, uomini e donne, esistenti nel mondo”.
Le si conferiva questo titolo “come era stato conferito
a S. Francesco Saverio, con tutti i diritti e i privilegi
che questo titolo comporta”, diritti e privilegi riguardanti
il culto liturgico.
Il 1° ottobre u.s., nella Cappella del Palazzo di Propaganda
Fide, il Segretario della Congregazione per l’Evangelizzazione
dei Popoli, Sua Ecc. Mons. Robert Sarah, ha presieduto la
Concelebrazione Eucaristica cui hanno partecipato sacerdoti,
religiosi, religiose e laici della Congregazione e dei Segretariati
internazionali delle Pontificie Opere Missionarie.
“Oggi siamo lieti di celebrare la festa di Santa Teresa
di Gesù Bambino e del Volto Santo, Patrona delle
Missioni e pienamente missionaria anche nella sua vita di
clausura” ha detto Mons.Sarah nell’omelia. “Tutta
la vita di S. Teresa di Lisieux è piena di Dio e
del suo Amore, e ci spinge ad apprezzare la bellezza dell’unione
intima con Dio, con Cristo, vissuta in una vita di preghiera
contemplativa e di amore. Con S.ta Teresa impariamo non
soltanto a camminare verso la nostra conversione, per diventare
come bambini, ma impariamo soprattutto a mettere in rilievo
il primato dell’Amore di Dio e la necessità
della nostra risposta, personale e generosa, nella preghiera
quotidiana e nella consacrazione totale del nostro essere
a Dio”.
Santa Teresa viene, inoltre, proclamata da Pio XI “Protettrice
della Russia” nel 1932, e Pio XII nel 1944 la affianca
a Santa Giovanna d’Arco quale “Protettrice della
Francia”.
Giovanni Paolo II nel 1997 a Parigi la addita come esempio
a tutti i giovani del mondo nella XII Giornata Mondiale
della Gioventù e il 19 ottobre dello stesso anno
la proclama “dottore della Chiesa”.
Teresa Martin è una Santa cattolica amata e venerata
anche da ortodossi e protestanti e onorata perfino nel mondo
arabo. Un privilegio che condivide solo con S. Francesco
d'Assisi.
Renzo Manfè
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SANTA MARIA DI FOLLINA
“Fino dagli inizi dei Cistercensi
a Follina l’immagine della Beata Vergine era venerata
nella chiesa dell’abbazia con grande culto ed affluenza
di popolo ed era onorata con molti doni e tabelle votive”.
Di eccezionale valore storico sono queste dichiarazioni
degli “Annales Camaldulenses” riguardo alla
Madonna di Follina ed al moto di fede e di devozione attorno
a questa veneranda immagine.
Bisogna tener presente che San Bernardo aveva fermentato
di amore e di devozione alla Madonna monaci e monasteri
cistercensi in modo tale che ogni monastero veniva consacrato
alla Beata Vergine, divenendo come “feudo” suo,
ed ogni cistercense veniva classificato come il “monaco
della Madre del Signore”.
Fu infatti San Bernardo da Chiaravalle a rendere popolarissimo
il titolo dato alla Madonna come “Domina” e,
cioè, Signora. Questo cantore e cavaliere di Maria
scrisse molto, e pregò molto più ancora e
la sua influenza nella devozione mariana si prolungò
attraverso la storia della teologia e della spiritualità;
specialmente i secoli XII e XIII sono tributari per l’amore
alla Madonna di questo grande abate cistercense. Siamo quindi
nel vero storicamente quando affermiamo che la fondazione
di Follina è una fondazione pienamente “mariana”
perché fondazione cistercense vuol dire fondazione
mariana: per questo venne fondata nel nome di Maria, e battezzata
subito, col nome di “Santa Maria di Follina”.
Di quale spirito mariano vibrasse allora la Comunità
di Follina lo possono provare i diversi Codici Mariani che,
a fine trecento, con oltre una settantina di altri Codici
spirituali-culturali, facevano ricca la Biblioteca della
Abbazia. Il monastero poi aveva, in sacrestia, un “Quinternus
in bergomino”, in cui erano scritte le Messe Votive
della Beata Vergine ed una forma lignea pro facendo figuras
Beate Virginis.
Già dal secolo XI sul colle a sud-est del paese,
nel luogo che ancor oggi si chiama Roncavezzai, una rozza
edicola ospitava questa immagine della Madonna. La tradizione
dice che mentre alcuni devoti stavano costruendo lassù
una cappellina più degna della povera edicola, l’immagine
della Madonna scomparve. Il mattino seguente venne trovata
alla parte opposta del paese, ai piedi del monte, dove poi
sorse il complesso abbaziale.
Riportata a Roncavezzai una seconda e una terza volta la
si ritrovò ai piedi del monte che sovrastava il paese.
Fu dunque persuasione comune che la Madonna volesse avere
la sua dimora in quel luogo, e non più lassù,
sul prato di Roncavezzai, dove dal 1888 una lapide ricorda
il miracoloso evento.
Quanta venerazione riscuotesse questa immagine della B.
Vergine in quel luogo, prima ancora venissero i monaci,
lo si può raccogliere dalla documentazione che il
Cornaro riporta nel suo volume sulle “Apparizioni
e celebri immagini della B. Vergine nella città e
nel dominio di Venezia”, stampato a Venezia nel 1760.
Rifacendosi agli inizi della miracolosa immagine di Follina,
egli afferma: ”innumerevoli erano i benefici e le
guarigioni di ammalati, che accorrevano numerosi a pregare
la Vergine Santa.”
L’immagine della Madonna di Follina è una statua
in pietra grigia, l’iconografia si richiama alle espressioni
bizantine e siriache. La Vergine è seduta ed il Bambino
posa sul ginocchio: Lei porge con la sinistra una piccola
ciotola, in cui il Piccolo vi intinge la mano.
Testimonianza d’una devozione ininterrotta nel corso
dei secoli, sono i pellegrinaggi che risalgono a tempi antichissimi
e che giungono da ogni parte di quelle plaghe, dalla Valmarenia,
Quartier del Piave, Alpago-Lago di Santa Croce, Pedemontana
del Friuli, Aviano.
L’epoca più movimentata di questi pellegrinaggi
è quella di Pentecoste e questo per lunga tradizione
di secoli. Non solo le parrocchie circonvicine, ma anche
le più lontane della diocesi di Vittorio Veneto,
Belluno, Treviso, Udine, sciolgono il loro voto annuale.
Eccezionale rimane sempre nella storia del santuario di
Follina, per folclore e per pietà, il Pellegrinaggio
della regione dell’Alpago.
Si sa che i monaci Cistercensi tenevano in venerazione l’immagine
della Madonna nel Coro, e che invece i Camaldolesi nel 1578
la trasferirono nella cappella laterale, a sinistra, detta
di San Bernardo. La collocazione del benedetto simulacro
sull’altar maggiore avvenne nel giugno 1918, per un
voto emesso da tutto il paese. Ai primi di quel giugno 1918
i preparativi delle truppe austriache per passare al di
là del Piave e sfociare nella pianura trevigiana
andavano addensando sul popolo e sul paese di Follina ansie
e timori di cose ancora peggiori.
Fu in questi momenti di trepidazione che il popolo di Follina
volle affidare alla sua Madonna il suo avvenire con il solenne
trasporto della immagine e con un voto, che fu sottoscritto
dalle autorità e da tutti i capifamiglia. La battaglia
della seconda metà di giugno sul Piave e sul Montello
ebbe il valore di una battaglia decisiva e l’importanza
di questa vittoria italiana segnò la data risolutiva
nella storia di quella guerra mondiale. E la Vergine Santa
di Follina salvò allora il suo popolo ed il suo paese.
Non un morto, né un ferito provocarono difatti le
264 granate che caddero su Follina e tra le spose del paese
non ci fu vedova alcuna, che tutte ebbero la grazia di veder
ritornare dalla guerra il loro consorte.
Nel 1882 il vescovo di Ceneda, aveva chiesto ed ottenuto
dal Capitolo Vaticano il decreto per l’incoronazione
della Madonna di Follina, che non potè poi avvenire
per impreviste circostanze.
La gioia di sì fausta incoronazione doveva essere
riservata ai Servi di Maria, dal 1915 fedeli custodi di
questo Santuario mariano. Con un altro decreto del 10 agosto
1921 il papa Benedetto XV elevava questo santuario mariano
alla dignità ed al titolo di “Basilica”.
La solenne incoronazione della Vergine avvenne il 25.9.1921*,a
conclusione di un ciclo di feste celebrate a compimento
di quei restauri che, con un lavoro di tre anni, ridonarono
all’insigne basilica trecentesca il suo splendore.
Quella domenica il patriarca di Venezia, il card. Pietro
La Fontane, con l’intervento di diversi vescovi ed
alla presenza di una folla eccezionale, dopo solenne pontificale,
alle ore 12 cingeva la fronte dell’antica immagine
con la preziosa corona.
MARIO TASCA
(Errata corrige - Nel Notiziario 285, a pag.86, il titolo
annuncia: “25.9.2007: 25° Ann.rio dell’Incoronazione”
mentre invece quest’anno ricorre l’86° Ann.rio
di tale Incoronazione).
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1907-2007: Serva di Dio TERESINA DI GESU’ OBBEDIENTE
nel 1° centenario della nascita
Quest’anno ricorre il 1° centenario
della nascita di Sr. Teresina di Gesù Obbediente
(al secolo Teresa Calvino), nata a Polla, in provincia di
Salerno il 14.6.1907. A 11 mesi, il 12 maggio 1908, secondo
la prassi del tempo, riceve la Cresima da Mons.Camillo Tiberio
vescovo di Teggiano. Ha quasi otto anni quando, il 16,5.1915,
si accosta all'Eucaristia, decidendo di: "farmi santa
per stare più vicina a Te". E a 14 anni, il
4.6.1921, entra tra le "Figlie di Maria". "Sono
figlia di Maria, il mio sposo è solo Gesù".
L'8.XII. 1922, a 15 anni, emette il voto vittimale nelle
mani del suo confessore, P. Parlato.
Due anni dopo: il 16 Ottobre 1924, parte da Polla per la
clausura benedettina di Eboli, dove resterà per tre
anni, maturando il suo itinerario religioso di silenzio
e di nascondimento. Ma presto la sofferenza irrompe nella
vitalità della sua esuberante giovinezza, distendendola
sulla croce nuda dell'immolazione, tanto che il medico del
monastero, sconsiglia a Teresina la vita di clausura.
A 20 anni, e suo malgrado, torna a casa mantenendo il suo
contatto con il monastero, dove incontra Madre Teresa Quaranta
e Suor Antonietta Galletta, Superiore delle Suore Missionarie
del Sacro Costato, che la invitano ad entrare nella loro
Comunità di vita attiva a Gravina di Puglia. Inizia
il Noviziato il 14.X.1930 con il nome di Suor Teresina di
Gesù Obbediente, e il 14 Ottobre 1931 viene ammessa
ai voti. Dal 1930 al 1935 svolge il delicato compito di
Maestra delle Novizie. Il 14.IX.1933 entra nel Noviziato
Suor Liliana del Paradiso: un incontro determinante nella
vita di Teresina, si apre davanti a lei l’orizzonte
sconvolgente di una Nuova Opera.
Docile alla volontà di Dio, Teresina segue M. Liliana
del Paradiso, fondamento di una nuova Opera nel mistico
Corpo di Cristo: la Compagnia della Regina dei Gigli al
Servizio della Chiesa, il cui carisma è la Purezza.
In un contesto di fede e di silenzio ha inizio la Nuova
Opera: 7 Febbraio 1935. A sigillo della sua mistica unione
con Dio, il Signore permetterà che Teresina non abbia
a vedere nulla, a raccogliere nulla: "Come dovrà
essere luminosa l'Opera che Gesù vuole attuare per
il trionfo della Sua Mamma. La vedo dispiegare le sue materne
ali su tutta l'umanità... La vedo fiorire dovunque
in una esplosione di luce e di amore" (Suor Teresina
di G.O.).
A Napoli Teresina si aggrava e nel dicembre 1937 viene ricoverata
all'ospedale "Elena d'Aosta", povera tra i poveri,
in una corsia di sofferenza e di oblio. Dall'Agosto 1939
al Marzo 1940, Teresina è distesa sull'altare dell'immolazione
quotidiana, martire di dolore e di amore, in un'offerta
silenziosa e nascosta.
Dopo vari attacchi della malattia, dietro consiglio del
medico, fa ritorno alla natìa Polla: è il
20 Febbraio 1940. Qui, assistita dalla sua mamma, muore
piamente il 5 Marzo 1940, a 33 anni, come ella stessa, varie
volte aveva predetto.
Sr.Teresina di Gesù Obbediente è il primo
membro della Compagnia della Regina dei Gigli al Servizio
della Chiesa, l’Opera fondata da Madre Liliana del
Paradiso che ha come scopo la ricristianizzazione del mondo
e il rinnovamento della Società attraverso la Bianca
Regina dei Gigli e il suo Messaggio di Purezza.
Sepolta nel cimitero locale, viene esumata il 5.5.1947,
su autorizzazione del Vescovo di Teggiano (Sa) Mons.Caldarola,
e trasferita nel cimitero di San Giorgio a Cremano (Na);
da qui i resti mortali vengono traslati nella parte inferiore
del nuovo Tempio della "Regina dei Gigli" il 16.2.968.
E il mattino dopo il Servo di Dio, Card.Giuseppe Beran,
Arcivescovo di Praga, dopo una solenne concelebrazione,
ne benedisse le spoglie verginali prima della deposizione
con tumulazione privilegiata nella bianca urna, all'inizio
della navata destra del Tempio.
Il 13.6.1992, conclusa felicemente la fase del Processo
di beatificazione nella Diocesi di Teggiano, l'intera documentazione
è stata depositata presso la Congregazione delle
Cause dei Santi a Roma.
Il 22.4.1993 è stato deposto, presso la stessa Congregazione,
anche il processo su un presunto miracolo attribuito all'intercessione
di Sr.Teresina ed esaminato con esito positivo presso la
Curia vescovile di Verona. (Fonte: www.operareginaliliorum.org)
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1807-2007: SAN BENEDETTO IL MORO
Nel 200° Anniversario di CanonizzazioneZZAZIONE
Il prof. ANTONINO BLANDINI di
Catania ci ha inviato un suo articolo pubblicato da L’Osservatore
Romano il 4-5 giugno u.s., sul santo laico francescano.
La comunità ecclesiale di San Fratello - in provincia
di Messina e in diocesi di Patti - ha solennemente celebrato
il bicentenario della canonizzazione del patrono san Benedetto
il Moro, avvenuta per opera di Pio VII nel 1807, 64 anni
dopo la beatificazione voluta da Benedetto XIV.
La solenne Concelebrazione Eucaristica è stata presieduta
dal Vescovo Ignazio Zambito – che nell’occasione
ha iniziato la visita pastorale al paese nebroideo - con
la partecipazione di numerosi fedeli e dei sindaci dei comuni
circostanti.
Durante la celebrazione la chiesa madre “Maria Santissima
Assunta in cielo”- che custodisce insigni reliquie
del "santo moro" - è stata elevata alla
dignità di Santuario diocesano di San Benedetto il
Moro.
San Fratello – cittadina collinare d’origine
lombarda, fondata nel secolo XI da Adelaide di Monferrato,
moglie del conte di Sicilia Ruggero I il Normanno - prende
il nome da uno dei tre celebri fratelli martiri lentinesi,
San Filadelfo, per averne a lungo custodito le reliquie.
Al Convegno ecclesiale di Verona, S. Benedetto, che è
pure patrono della cittadina di Acquedolci - la marina di
San Fratello - è stato inserito nelle litanie dei
santi italiani per conto della Diocesi di Patti.
In occasione delle celebrazioni in onore di S.Benedetto
di San Fratello, la città natale ricorda questo suo
figlio illustre, con diverse manifestazioni: è stata
allestita nel chiostro dell’ex convento dei Frati
Minori anche una mostra iconografica dedicata a Benedetto,
il santo discendente da famiglia etiope che è stato
il primo "nero" ad essere iscritto nel canone
dei santi, all’indomani dell’istituzione della
S. Congregazione dei Riti secondo le norme canoniche più
restrittive stabilite dal Concilio di Trento. E’ anche
l’ultimo santo della Diocesi di Patti ad essere fiorito
in uno dei 42 comuni del territorio diocesano.
Egli nacque nel 1526 a San Filadelfio, oggi San Fratello,
primogenito di Cristoforo Manassari e Diana Larcari, discendenti
da negri cristiani venduti schiavi in Sicilia e che dal
loro padrone avevano preso il cognome.
Affrancato ed educato nell’amore di Dio e nella pietà
cristiana, durante l’adolescenza fece il pastore e
per le sue virtù fin d’allora venne chiamato
il "santo moro".
A 21 anni, dopo aver venduto l’unico paio di buoi
necessari al suo lavoro e donato il ricavato ai poveri,
entrò in una comunità di eremiti penitenti,
simile a quella degli antichi monaci della Tebaide, fondata
da un giovane signore del luogo, Geronimo Lanza, nel feudo
di Santa Domenica a Caronia e che avevano adottato la regola
di san Francesco con l’approvazione di Giulio II.
Con indosso solo un abito fatto con foglie di palma, seguì
costoro quando si trasferirono a Raffadali, nella vallata
di Nazara, poi in contrada La Mancusa nei pressi di Carini
e infine, a Palermo, sul monte Pellegrino, già santificato
dall’eremitaggio di santa Rosalia, per vivere da asceti
in maggior solitudine la spiritualità eremitica.
Alla morte del Lanza fu eletto dai confratelli superiore
della sua comunità.
Quando, nel 1562, Pio IV ritirò l’approvazione
e invitò gli eremiti ad entrare in un Ordine di loro
scelta, Benedetto si aggregò come semplice fratello
laico ai Frati Minori Riformati di San Francesco d’Assisi,
entrando nel convento di Santa Maria di Gesù a Palermo,
fondato dal beato Matteo di Agrigento.
Fu mandato nel convento di Sant’Anna a Giuliana, ma
alcuni anni dopo fu richiamato nella capitale del Regno
di Sicilia dove rimase fino alla morte..
Fin da vivo gli furono attribuiti molti strepitosi miracoli
e sembrava che il cielo gli avesse dato ogni potere sulla
vita e sulla morte; guarì ammalati affetti da gravi
infermità e fu universalmente stimato per l’umiltà,
la povertà e la carità tanto che, nel 1578,
Benedetto, semplice laico privo d’istruzione e addetto
alla cucina, guidato dallo Spirito Santo ebbe il dono della
scienza infusa e fu costretto per obbedienza ad accettare
la nomina di guardiano del convento che per 3 anni guidò
con saggezza e prudenza.
Molto severo con se stesso, Benedetto fu benevolo verso
i confratelli e condiscendente verso i novizi, amato ed
ubbidito senza che nessuno fosse tentato di abusare del
suo spirito di umiltà. Al capitolo provinciale di
Agrigento, diffusasi la sua fama di santità, fu accolto
con calorose manifestazioni e grande tripudio di folla.
Si dava incessantemente alla preghiera e alla meditazione,
aveva il dono di scrutare i cuori e allo scadere del mandato
di guardiano fu nominato vicario e maestro dei novizi.
Anche quando ritornò all’originaria mansione
di cuoco, tanti devoti andavano da lui per consultarlo,
fra i quali sacerdoti e teologi e persino il vicerè.
Benedetto non si inorgoglì e rimase sempre umile
e ritirato, una guida sicura, un consigliere illuminato,
un padre pieno di tenerezza, sottoponendosi a durissime
penitenze corporali.
Nel suo grande spirito di mortificazione fu sempre fedele
alle sette quaresime annuali, sull’esempio del Poverello.
Il tempo che gli rimaneva libero, e buona parte della notte,
lo impiegava a pregare per le necessità della Chiesa
e per la conversione dei peccatori.
All’inizio della sua missione era stato deriso ed
ingiuriato per il colore della sua pelle, ma le sue virtù
fecero ricredere quanti lo disprezzavano, rimanendo "sempre
allegro, amorevole e piatuso” dicono di lui le fonti.
Nel febbraio 1589 il santo cadde gravemente ammalato e Dio
gli rivelò che si avvicinava il termine della vita
terrena; morì il successivo 4 aprile e il suo culto,
promosso da re Filippo III, sull’onda delle missioni
nel Nuovo Mondo, dopo essersi diffuso anche in Spagna e
nel resto d’Europa giunse, con le sue reliquie, anche
nell’America meridionale, dove divenne il protettore
delle popolazioni nere.
Sulla sua tomba avvennero guarigioni miracolose. Il senato
di Palermo con decreto del 1713 lo acclamò compatrono
della città, mentre nel 1652 lo stesso senato civico
lo aveva dichiarato "patrono ed intercessore"
accanto alla nobile ed eremita santa Rosalia, stabilendo
l’uso di assistere alla Messa e offrire "4 torce
di cera bianca di due rotoli ciascuna" nel giorno della
sua ricorrenza.
Donna Alfonsa Alarcon baronessa di S. Fratello e moglie
di Giovanni Soto, segretario del vincitore di Lepanto don
Giovanni d’Austria, nel 1616 finanziò, per
devozione al santo moro, la costruzione del nuovo convento
di S. Maria di Gesù, nella cui chiesa si custodiscono
ancor oggi le sue reliquie in un’urna d’argento,
meta di tanta devozione popolare.
La devozione verso il taumaturgo è vivissima anche
in Brasile, dove massiccia è la presenza delle etnie
africane. Prima della scoperta dell’America, i Domenicani
e i Francescani avevano promosso la conversione degli schiavi
di Spagna e Portogallo attraverso le “hermandades”,
le confraternite; successivamente, nel secolo XVIII, quelle
chiamate “del Rosario e degli uomini neri” e
di “San Benedetto” (Irmandades de Sao Benedito)
si diffusero ad opera dei Frati Minori e dei terziari francescani.
ANTONINO BLANDINI
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CURIOSANDO TRA LIBRI E SANTINI
ICONOGRAFIA E SEGNI DI PROTEZIONE CELESTE - 3
Don GIOVANNI DESIO, che ringraziamo, Direttore
del Settimanale diocesano di Ravenna, “IL
RISVEGLIO” ci ha autorizzato a riportare
sul nostro Notiziario una serie di articoli che la socia
Prof.sa ELISABETTA GULLI GRIGIONI ha pubblicato.
NELL’ORO DELLA CROCE HANNO ORIGINE LE VIRTU’
I due precedenti articoli sono stati dedicati all’iconografia
delle tre Virtù Teologali nella realizzazione simbolico-oggettuale
della croce, dell’àncora e del cuore (specialmente
dedicata alla protezione individuale fin dalla nascita e
dal momento del battesimo) e nella realizzazione figurativa
di personificazione di tre fanciulle o giovani donne identificate
da attributi e da atteggiamenti simbolici (specialmente
adatta alla meditazione e all’esercizio spirituale).
Ad esse, in occasione della mostra Schola Cordis
da me allestita nell’Anno Giubilare 2000
presso la Chiesa di San Domenico a Ravenna, avevo dedicato
una grande vetrina nella quale erano collocati esemplari
oggettuali e figurativi che, per numero e varietà
di funzioni, davano una chiara visione di quanto profondamente
le Tre Virtù avessero permeato la vita ottocentesca,
in differenti ambienti sociali e in situazioni legate al
tempo quotidiano o festivo, sia collettivo che individuale.
Le Tre Virtù Teologali fanno parte però di
un sistema più ampio accanto alle Quattro Virtù
Cardinali. Come “sette sorelle” e come “sette
stelle del firmamento morale” esse sono indicate in
un recente articolo di Gianfranco Ravasi
(“Messaggero di Sant’Antonio”, gennaio
2007) che già ne aveva considerato la storia, la
sostanza teologico-spirituale e un’auspicabile attuale
riproposizione, in Ritorno alle Virtù, pubblicato
da Arnoldo Mondatori nel 2005.
Il sottotitolo del libro, La riscoperta di uno stile
di vita, contiene già un invito discreto
al recupero, nell’esistenza religiosa e – come
si diceva un tempo per indicare l’appartenenza al
secolo – mondana, di dimensioni virtuose che sembrano
tendere oggi a una pericolosa sclerotizzazione, recupero
al quale l’Autore offre nei vari capitoli una guida
ricca di sapienza umana e morale nonché di fascino
bibliografico.
L’immagine che propongo oggi per una piccola lettura
viene da un santino francese a stampa cromolitografia, edito
a Poitiers dall’Editore Bonamy nella seconda metà
dell’Ottocento.
A prima vista sembra trattarsi di una composizione floreale
appoggiata su una croce dorata, ma il testo scritto, C’est
sur la Croix que les vertus ont pris naissance,
svela nella grande Croce una mistica aiuola in cui le Virtù
hanno avuto origine e induce a ricordare legami tra fiori
e virtù che un tempo erano patrimonio di moralità
e di cultura fin dall’infanzia.
Si può pensare ai giardini della mistica bolognese
santa Caterina Vigri (1413-1463), in cui fioriscono i gigli
“di rinnovamento” o “le rose” vermiglie
di infiammazione” approfondendo la meditazione con
il libro I Dodici Giardini, pubblicato nel 1999 a Bologna
da Inchiostri Associati Editore, con testo originale a fronte;
oppure si può cercare qualche libretto devozionale
contemporaneo alla bella immaginetta per meglio gustare
i significati spirituali dei fiori.
Ho sotto gli occhi L’orticello di Maria,
tradotto in italiano da un’operetta latina del Padre
Francesco Lacroix e pubblicato a Torino nel 1865, dove le
viole (non è precisato ma credo si debba pensare
alle viole mammole, simbolo di umiltà, raffigurate
nella nostra immaginetta accanto alle viole del pensiero,
simbolo di memoria), collocate nella prima aiuola dell’orto
mariano, sono “simbolo dei vari esercizi di riverenza
e di umile sommissione verso la santissima Vergine”.
L’oro, elemento solare, divino e regale, immette la
Croce in un’araldica di nobili virtù, promettente,
in unione alla botanica virtuosa, paradisiache certezze.
La giocosità del colore e dell’oro (ma per
una sorta di sinestesia sembra di percepire idealmente,
attraverso la vista, anche il profumo della virtù),
compensa il pensiero della fatica, del sacrificio o addirittura
del dolore che l’esercizio delle Virtù può
comportare.
Mi sembra che in qualche modo, per lo spirito complessivo,
l’immaginetta possa corrispondere, pur nel suo ottocentesco
linguaggio, a quanto Gianfranco Ravasi dice verso la conclusione
dell’opera sopra citata quando afferma che “in
realtà le virtù non indolenziscono l’anima
ma la mettono in esercizio dandole vivacità e vitalità”,
e consegna al lettore, assieme al suggerimento di nuove
Virtù in linea con mutate condizioni sociali o con
nuove frontiere del progresso scientifico, “serie
di variazioni libere sul tema della virtù”
e una “piccola antologia di motti e considerazioni
provenienti dalle fonti culturali più disparate.
(continua)
ELISABETTA GULLI GRIGIONI
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L’IMMAGINE SACRA
NEL COSIDDETTO COLLEZIONISMO MINORE
Il tema dell’immagine sacra nel collezionismo
minore è presente anche nei CALENDARIETTI
Uno dei mestieri più belli ed antichi è senz’altro
quello del barbiere. Questi “factotum della città”
che fino all’800 erano quasi medici, infatti estraevano
denti, curavano piccole ferite etc. sono diventati poi nel
corso del ‘900 fino ai nostri giorni dei veri professionisti
del taglio di capelli e barba.
Le loro botteghe, i cosiddetti “saloni”, erano
e sono tutt’ora, per i clienti in attesa, dei veri
e propri salotti culturali dove si parla e sparla di tutto
e di tutti.
Per tutti i clienti alla fine di ogni anno il “maestro”
riservava fino agli anni sessanta un piccolo omaggio molto
gradito: un profumatissimo calendarietto, il più
delle volte molto frivolo e audace per quei tempi, fatto
di donnine a seminude. Altre volte pubblicizzavano prodotti
da toilette, dive e divi del cinema o dello sport.
Pochissimi erano i calendarietti a soggetto religioso. Nella
mia collezione ne ho uno del 1962:
“SALONE EUGENIO AUGURA BUONE FESTE AI SIGG. CLIENTI
– VIA CAVOUR, 80 – NETTUNO” in cui sono
raffigurati alcuni tra i più bei e famosi Santuari
Italiani :MADONNA D’OROPA - MADONNA DI LORETO –
S.ta ROSALIA di PALERMO – San FRANCESCO D’ASSISI
– MADONNA DI MONTE BERICO DI VICENZA – MADONNA
DI BONARIA DI CAGLIARI - MADONNA DI POMPEI.
Bibliografia
-Collezionismo Italiano 4 voll.– Rizzoli Editore–Milano
– 1979.
-Catalogo delle lamette da barba italiane - di Alfonso Toz
zi – 1990
Musei
-Museo storico della Figurina “Panini” - Modena.
-Museo “Achille Bertarelli” –“Civica
raccolta delle stampe” Castello Sforzesco –
Milano.
GIANCARLO GUALTIERI
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“LO SCAUTISMO IN VENTIDUE PAROLE” di ATTILIO
GARDINI – LUIGI RICEPUTI – Editore Valbonesi
Il movimento scout fondato da Baden-Powell, compie 100 anni.
Per chi volesse sapere di più sulla funzione educativa
del movimento giovanile – il maggiore del mondo con
520 associazioni sparse in 250 paesi - può leggere
il libro uscito un mese fa ‘Lo scautismo in ventidue
parole’ scritto dai forlivesi Attilio Gardini e Luigi
Riceputi e stampato a Forlì da Valbonesi. Si tratta
di quasi 70 pagine dove il lettore troverà, per ogni
lettera dell’alfabeto, una parola ‘chiave’
del fenomeno dello scautismo.
Il libro è non un semplice manuale (vedi le parole
Ambientazione, San Giorgio, Hebertismo, Jamboree, Buona
Azione, Uscita, Esplorare…fino a Zampa tenera), ma
un testo in cui ogni voce è analizzata nel suo significato
più profondo e specifico per scoprire a fondo il
senso dell’esperienza educativa scout. Non mancano
citazioni di testi, riferimenti all’attualità,
analisi linguistica delle parole più comunemente
usate dagli scout, riflessioni di carattere morale e religioso.
‘Un libro nuovo, originale, che mancava’, scrive
don Erio Castellucci nella prefazione. Il libro si conclude
con un breve ma intenso ricordo di don Giovanni Minzoni,
ucciso a bastonate nel 1923 ad Argenta, dai fascisti che
si opponevano alla attività del suo Reparto.
******
“LE PRECHERE TE LU ELLANU” a cura di CARLO
VINCENZO GRECO
Un libro nuovo, diverso, anche se in vernacolo salentino.
Un libro di preghiere e poesia, la poesia delle nostre campagne,
del nostro duro lavoro, delle quotidiane fatiche, dei pescatori
in costante pericolo di vita; una poesia in cui trovano
sicuro rifugio, nella propria significativa interezza, gli
usi, i costumi, il folklore delle nostre contrade con la
loro storia, i loro bisogni, la loro indole, le aspirazioni
morali e gli aneliti spirituali.
Il Ministro Provinciale ofm, padre Agostino Buccoliero ha
commentato: “Restiamo piacevolmente sorpresi e incantati
dallo scorrere armonico, cadenzato, a volte solenne e lapidario,
ma sempre familiare delle poesie, delle preghiere, delle
giaculatorie, in vernacolo leccese, composte o raccolte
dall’amico Carlo Vincenzo Greco. Questi versi parlano
della vita, ritmata dallo scorrere del tempo e scandito
da feste, solennità, appuntamenti,attesi con ansia
e vissuti ancor più intensamente. Ed esprimono l’affettuosa
relazione con il Santo venerato, con Maria, con il Divino,
tradotta in preghiere, invocazioni, implorazioni. I contenuti
della fede sono così rivisitati alla luce della sensibilità
dell’animo salentino”.
Chi desidera il volume arricchito dalla riproduzione di
350 immaginette (pagg.253) contatti l’autore:
Prof.CARLO VINCENZO GRECO – Via Salandra, 21/A 73100
LECCE LE.
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SCRITTORI, SANTI E SANTINI
A cura di e.emme
ALTARINO E SANTINI, UN GIUOCO DA RAGAZZI
Tratto da
“LE PARROCCHIE DI REGALPETRA” di Leonardo Sciascia,
cronaca saggistico-narrativa pubblicata da Laterza nel 1956.[…]
”Prima in seminario ci andavano quei ragazzi che veramente
avevano vocazione, quelli che giocavano con le immaginette
e gli altarini, servivano messa e facevano i chierichetti
nelle processioni, a chi chiedeva loro cosa avrebbero fatto
da grandi rispondevano – il prete – e andavano
in seminario e ci restavano; spesso per il ragazzo che si
voleva far prete nascevano conflitti tra padre e madre,
ora non c’è pericolo che la pace familiare
sia turbata da una infantile vocazione dalla madre sostenuta
e dal padre fieramente avversata.
Nella fantasia dei ragazzi c’era prima il carabiniere
o il prete, ora c’è l’ingegnere costruttore
di astronavi e il giuocatore di calcio, se vanno in seminario
sanno già da prima che ne usciranno in ragionevole
età. Perciò a Regalpetra molte chiese sono
destinate a restare senza il prete titolare, a meno che
non si ricorra all’importazione.” […]
Leonardo Sciascia (Racalmuto, Agrigento, 1921-1989)
Scrittore, saggista, polemista, la cui produzione letteraria
rivela un accentuato impegno pubblico.
Nel libro “Le Parrocchie di Regalpetra” (Premio
Crotone) [questa opera, divisa in parti a seconda dell'argomento
trattato, è la cronaca sulla vita di un paese qualunque
della Sicilia: in realtà, Regalpetra non esiste,
ma prende nome da una fusione tra Racalmuto, borgo natio
dell'autore anticamente anche Regalmuto, e dal libro di
Nino Savarese intitolato Fatti di Petra] gli spunti di cronaca
siciliana e le personali esperienze scolastiche, pur assumendo
forme decisamente narrative, evidenziano l’interesse
politico-antropologico dell’autore.
Spirito anticonformista, ha voluto come epitaffio sulla
sua tomba questa frase di Rouget de l’Isle Adam: “Ce
ne ricorderemo di questo nostro pianeta”
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NOTIZIE SU SANTI E SANTUARI
IL SANTO BAMBINO DI PRAGA
Nel quartiere Mala Strana (Piccolo Quartiere) di Praga,
nella chiesa barocca di S.Maria della Vittoria, in un
altare laterale, inserita in un trionfo di elaborate decorazioni
in oro e argento, ho potuto ammirare la piccola statua
di cera (alta circa 47 cm), famosa in tutto il mondo,
il Bambinello di Praga, venerato come dispensatore di
miracoli e soggetto di numerose e diffusissime immaginette
sacre. L’altare esprime il duplice significato simbolico
del Bambino, divino ed umano. Al di sopra di Esso è
raffigurato lo Spirito Santo e sopra ancora Dio Padre:
la SS. Trinità. A sinistra e a destra del Bambino
sono Maria e Giuseppe: la Sacra Famiglia.
I santini che ho trovato a luglio del 2007 nella chiesa,
in moltissime lingue e stampati a Praga, sono per iconografia
identici a quelli reperibili in Italia.
L’origine della statua è in parte avvolta
nel mistero, tra la storia e la leggenda ed è affascinante...
LEGGENDA
In epoca molto remota, quattro monaci Carmelitani, sopravvissuti
alla conquista e distruzione da parte dei mori del loro
antico monastero, situato presso Siviglia nella penisola
Iberica, erano impegnati nella lenta e difficile opera
di ricostruzione tra le rovine rimaste nel luogo.
Uno di essi ebbe una luminosa visione: un bambino che
lo invitava alla preghiera e sorridendo affermava di essere
Gesù. Egli estasiato pregò in adorazione,
cercando di imprimere nella memoria le sembianze del bambino,
che presto scomparve. In seguito, terminata la costruzione
del monastero, che risorse grazie all’arrivo di
nuovi giovani monaci, egli si dedicò molte volte
alla realizzazione di statue di cera somiglianti a quella
immagine bellissima, senza mai riuscire nell’intento.
Finché, essendo già molto anziano, fu gratificato
da una nuova apparizione del Bambino, che gli permise,
in sua presenza, il completamento della statuina, resa
così somigliante all’originale: appena finito
il lavoro morì, lasciando accanto a sé la
piccola deliziosa statua perfettamente plasmata.
STORIA: LA STATUA DALLA SPAGNA A
PRAGA
All’inizio del XVII secolo la statuina
di cera fu donata al convento dei Padri Carmelitani Scalzi,
annesso alla chiesa di S.Maria della Vittoria di Praga,
dalla nobile Polyxena de Lara, vedova dopo 25 anni di
matrimonio del potente nobile ceco Wilelm di Rozmberk
(sposato nel 1587) e allora moglie del cancelliere supremo
del regno di Boemia Zdenek Vojtech De Lobkowicz da cui
ebbe, in età avanzata, un solo figlio maschio.
La donna aveva ricevuto in dono di nozze la statuina dalla
madre, donna Maria Maximiliana Manriquez de Lara y Mendoza,
appartenente ad una delle più famose nobili famiglie
di Aragona e Castiglia. Donna Maria, quando nella nativa
Spagna, giovanissima, andò in sposa al nobile boemo
Lord Vratislav di Pernstejn e dovette partire per la lontana
e per lei sconosciuta Boemia, lasciando tutti i suoi affetti,
ricevette in dono dalla propria madre la statua del Bambino
Gesù, che ella aveva a sua volta ricevuto da S.Teresa
d’Avila (Avila, Spagna 1515 - Alba de Tormes 1582).
La nobile Polixena, non avendo figlie femmine, decise
di donare la statuina al convento, come detto.
Il Bambino di Praga in seguito fu posto nella chiesa di
S. Maria della Vittoria. Attualmente l’altare di
fronte é dedicato proprio alla santa Teresa d’Avila.
Ecco che la statua appartiene ed unisce due regioni, la
Spagna e la Boemia: diverrà nei secoli messaggio
per il mondo intero:
You as Prague’s precious gem do shine
Tu come gemma preziosa di Praga risplendi
The gateway to bliss so pure
Via di accesso alla beatitudine così pura
Pour joy into our hearts that pine
Riversa gioia nei nostri cuori che anelano
Of comfort we can be sure!
Del conforto noi possiamo essere sicuri! Versi tratti
da (1),
Nel 1631 Praga fu invasa dai Sassoni, che infierirono
anche sugli edifici dei conventi, distruggendo quello
dei Carmelitani. La statua fu ritrovata tra le macerie
con le manine danneggiate.
Nel 1637 giunse a Praga da Monaco di Baviera Padre Cirillo,
che si dedicò con passione al recupero e restauro
della statua, che ridivenne oggetto di culto. Il Bambinello
acquisì l’attributo di “gratiosus”
ovvero miracoloso. Fu portato in processione per la città
nel 1651. Nel 1657 il Vescovo di Praga pose sul capo del
Bambinello una corona d’oro, finemente elaborata
dal nobile Bernardo Ignatio della importante famiglia
Martinic.
Una seconda corona d’oro fu predisposta tra il 1810
e il1820.
MIRACOLI
I primi miracoli furono riferiti ai monaci
Carmelitani dalla popolazione di Praga, in particolare
quella del Piccolo Quartiere (Mala Strana), durante la
guerra dei trent’anni, la più crudele e lunga
guerra che sconvolse la regione Boema.
Così il Bambino di Praga divenne famoso. Notizie
di miracoli sono state tramandate nei secoli passati,
ma anche ai nostri giorni se ne conoscono. Intorno all’altare
che accoglie la statua sono disposti moltissimi “ex
voto” a testimonianza dei miracoli attribuiti al
Bambino Gesù di Praga, invocato dai numerosi fedeli
alla presenza del simulacro della suggestiva immagine
scolpita.
MUSEO
La statua esternamente è ricoperta
di cera, ma ha un nucleo di legno rivestito di tessuto.
E’ poggiata su un piedistallo alto circa 20 cm.
Nella accurata vestizione il Bambino è dapprima
avvolto in una cotta bianca, poi rivestito da una tunica
bianca, con sopra un abito in velluto, broccato o seta
ricamato e mantellina di seta, infine abbellito con collarini
di pizzo.
L’abbigliamento è ispirato a camice, dalmatica
e pluviale dei sacerdoti. La corona d’oro è
posta leggermente al di sopra del capo per non danneggiare
la cera. Si occupano della vestizione le suore Carmelitane
del Bambino Gesù.
Nel museo annesso alla chiesa sono esposti in vetrine
i numerosi (più di 100) abitini antichi e recenti,
tutti molto riccamente decorati, ricamati in oro su tessuti
di diversi colori, ma prevalentemente rossi. Uno in velluto
verde del 1700 proviene dall’imperatrice Maria Teresa;
altri, moderni, sono giunti dalla Sicilia, dalla Polonia
e dalle Filippine. Inoltre foto della statua variamente
vestita sono esposte sulle pareti.
Gli abiti seguono gli stili della moda d’epoca,
dalla magnificenza barocca e poi secondo l’evoluzione
del gusto.
C’è ancora oggi l’uso di cambiare l’abito
secondo il colore della liturgia nei vari periodi dell’anno;
nella festività del Ss. Nome di Gesù l’abito
è quello donato da Maria Teresa d’Austria.
L’abito muta ma la devozione dei fedeli è
la stessa nei secoli!
PREGHIERE
Sulla balaustra marmorea antistante l’altare
sono posti, ad uso dei pellegrini, alcuni album plastificati,
contenenti in ogni pagina la stessa preghiera-invocazione,
composta dal Padre Cirillo nel diciassettesimo secolo,
con richiesta di grazie, nelle differenti lingue
La stessa preghiera è riportata sul “verso”
di alcuni santini, peraltro facilmente reperibili.
SANTUARIO IN ITALIA
Nel 1889 ad Arenzano in Liguria fu fondato
un convento dei Padri Carmelitani Scalzi, dedicato a Santa
Teresa, da Padre Leopoldo Beccaro.
Nel 1900 fu posto nel la chiesa del convento un quadro
raffigurante il Gesù Bambino di Praga, presto sostituito
da una statua lignea, opera dello scultore Domenico Artesiani,
copia della statua originale e dono di una nobildonna
ligure: simbolica affermazione del valore della famiglia
attraverso l’immagine del figlio bambino.
Come l’originale tiene con la mano sinistra il globo
terrestre sormontato da una croce (simbolo della potenza
divina) e benedice con la destra. E’ vestito con
un manto rosso ricamato in oro.
Successivamente nacque la Confraternita del Bambino di
Praga, approvata da Pio X nel 1903.
La statua fu incoronata solennemente dal cardinale Merry
del Val, con la benedizione di papa Pio XI, nel 1924.
In una immaginetta, inviata dalla socia di Scafati (SA)
Lucrezia Donnarumma, trovo raffigurato il Miracoloso S.Bambino
di Praga, che si venera nella Parrocchia di S. Maria della
Stella, in Chianciano Terme. Sarebbe interessante avere
notizia di altre chiese o santuari dedicati al Bambino
di Praga.
La tradizione continua anche in Italia…
(1) - M. Santini – The Holy Infant
of Prague, Transl. by Norah Hronkova, Martin, Czech Republic,
1995 (libro reperibile in libreria a Praga). Sito web
: www,pragjesu.it
MARIA GABRIELLA ALESSANDRONI
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LA PUGLIA DEI TESORI:
La storia della Madonna dei Martiri a Molfetta
In navigazione - aerea o marittima che
sia - i così detti punti cospicui costituiscono non
solo un tangibile punto di sicuro riferimento, ma soprattutto
una valida guida per l'orientamento; e per i molfettesi,
che in quanto a navigazione non sono storicamente secondi
ad alcuno, l'antico complesso della Madonna dei Martiri
con annesso Ospedale dei Crociati, viene a pieno titolo
considerato come un punto cospicuo per la propria vita spirituale
e pietà devozionale popolare.
E tanto, ormai da tempo immemorabile, costituisce una prerogativa
non solamente per i cittadini della ridente ed operosa Città
di Molfetta.
I motivi che stanno a solido fondamento del culto devozionale
popolare in parola, si perdono nella notte dei tempi, dove
non è più chiaramente distinguibile il limite
del confine tra fede, storia e leggenda.
Parlare della Madonna dei Martiri e del complesso strutturale
del Santuario dedicatole a Molfetta, non è un'impresa
abbastanza facile, sia perché molti documenti sono
ormai introvabili e sia perché la devozione per la
Madonna occupa un posto troppo importante nel cuore di tutti
i cittadini molfettesi; anche in coloro che per varie vicissitudini
della vita personale si sono dovuti accasare in altri paesi,
nazioni o continenti. E sono molti i valenti figli di Molfetta
sparsi nel mondo.
Per queste ed altre considerazioni non ci si addentrerà
in uno studio approfondito del complesso logistico-devozionale
del Santuario ma, semplicemente, si tenterà di portare
alla luce quello che forse ben pochi fedeli in genere hanno
avuto la fortuna di vedere o di conoscere, con la speranza
di suscitare un qualche interesse che spinga molti ad andare
a conoscere o rivedere con diversa valenza il Santuario
molfettese, comunque tangibile ed inossidabile testimone
del patrimonio storico tesaurizzato dalla nostra Terra.
Il nostro excursus prenderà le mosse mutuando le
circostanziate notizie che corredano i testi storico-documentali
redatti da Damiano Camporeale per il sito ufficiale web
del Santuario.
"Il primo documento scritto che ne attesti la presenza
in quella zona di una cappella con un annesso hospitio che
curava i viandanti pellegrini, o che ne ospitava i corpi
dei defunti, da e per la Terrasanta è datato 1162.
Alcuni storici affermano che la stessa era stata eretta
su una precedente cappella. Addirittura si ipotizza la presenza
sul posto di un antico tempio pagano, cosa non strana vista
la presenza in zona di fonti sorgive e di buoni punti d'approdo.
Sicuramente la facilità d'approdo ha consentito a
Molfetta di essere inserita negli itinerari dei pellegrini
che non sapevano certo di essere crociati, infatti, questa
è una denominazione cui si e fatto ricorso parecchi
secoli dopo per identificare gli avvenimenti di quel periodo.
Ciò che invece, non divide nessuno, è l'enorme
catena di miracoli e prodigi che la Madonna ha costruito
sul Suo passato e direi... sul presente. Tale produzione
ha alimentato una fede inossidabile nei suoi confronti e
nel suo operare a favore dei deboli o chi è in difficoltà.
Uno sguardo nel piccolo e fornitissimo museo allestito dai
Frati attesta quanto affermiamo".
Riprendendo il discorso su quanto costituisce il bagaglio
storico-documentale dell'accorsato Santuario molfettese,
si apprende, sempre dalla citata fonte che "nell'anno
1011 si ebbe un gran risveglio del monachesimo. A Molfetta
un gruppo di monaci dipendenti dall'abbazia di Banzi costituì
una piccola comunità per volontà del Principe
Roberto il Guiscardo.
Nel 1095 il principe Ruggiero, duca di Puglia e fratello
di Boemondo, fece a sue spese costruire, per i militi che
andavano a imbarcarsi a Brindisi, il grande Ospizio di Molfetta,
provvisto di un ospedale per coloro che si ammalavano durante
il viaggio, o che tornavano feriti dalla guerra, e d'un
cimitero con la sua cappella per quelli che vi morivano.
Ai Padri Benedettini fu anche affidata la Carnaria che era
il luogo di sepoltura dei martiri".
L'Estensore delle sintetiche, ma sufficientemente esaustive
note storiche conoscitive, prosegue così.
"Si narra che dai luoghi santi fu portato dai crociati,
costretti ad abbandonare la Palestina il 2 ottobre 1188,
dopo la sconfitta di Hattin, un quadro bizantino al quale
fu dato il titolo di Madonna dei Martiri. La tavola, secondo
alcuni di cipresso e secondo altri di cedro, misura 100x66
cm. e rappresenta la Vergine Maria a mezzo busto che regge
sul braccio sinistro Gesù bambino il quale la abbraccia
e la bacia teneramente. Agli angoli superiori troviamo due
angeli i quali, secondo alcuni, anticamente reggevano due
piccoli manti. Collocata in una nicchia in pietra leccese
voluta da G.B. Cibo, successivamente ebbe la sua collocazione
nell'attuale splendida edicola in marmo voluta dal vescovo
G.Bovio.
La terza traslazione si ebbe quando Mons. Salemi fece costruire
un altare di marmi pregiati ed ivi vi fece collocare l'edicola
in marmo con il quadro della Vergine. Di altre traslazioni
si parla nel 1620 allorquando per le incursioni dei turchi
sulle nostre coste, Mons. Bovio la mandò nel monastero
delle Vergini di Bitonto. Infine durante la seconda guerra
mondiale fu custodito a Castel del Monte per paura di incursioni
aeree. Oltre alle traslazioni, diversi sono stati i restauri
il primo dei quali risale a1 1412 sotto il vescovado di
Alessio Celidonio. A documento di siffatto restauro il Celidonio
vi fece apporre due targhe d'argento: l'una rappresenta
il vescovo in ginocchio che prega, l'altra reca la seguente
iscrizione: 'Recipe sacratissima virgo/veri dei atque nominis
pareus/instaurationem et ornatum/huius tuae venerandae imaginis/A
servo tuo indiguo licet / Alexio Chelidonio Lacedemonio/Episcopo
Melphicti'.
Di altri restauri si parla nel 1905, nel l978 e nel 1998.
Lo zelo dei vescovi, tuttavia, non si limita solo della
tutela della Sacra Icona. Il Vescovo Simone Alopa (1385-1401)
ottenne il 24 aprile 1399 dal re Ladislao di Napoli un diploma
col quale fu concessa la fiera di otto giorni, 08/15 Settembre,
nella festa della natività della Vergine sapendo
che il giorno 8 di settembre si festeggiava la Madonna dei
Martiri protettrice di Molfetta".
Proseguendo il cammino storico opportunamente confortato
da relativi documenti si apprende che: "nel conclave
del 24 agosto 1484 Giambattista Cibo (Vescovo di Molfetta)
viene nominato Papa col nome di Innocenzo VIII; con bolla
ponti-ficia del I Giugno 1485 indice indulgenze a favore
del culto della Madonna dei Martiri nella domenica in albis
e nella festa dell'8 settembre. Divenuto papa, Innocenzo
VII non dimentica di essere stato vescovo della città,
né, tantomeno, la devozione che il popolo portava
nei confronti del Santuario; per questo era assegnata l'indulgenza
plenaria per chiunque visitasse la chiesa il giorno della
nascita di Maria e del lunedì in albis.
Tale privilegio fu confermato da papa Gregorio XIII nel
1576. Risale al 17 marzo 1570 la fondazione della confraternita
della Madonna del Rosario ad opera del vescovo Malo-rano,
successivamente la confraternita si trasferirà nella
chiesa di S.Domenico (15 maggio 1640)". Un passaggio
di rilievo è costituito dall'11 maggio 1560, allorquando
"un terribile terremoto distrusse molte città
della Puglia lasciando illesa Molfetta. In quella circostanza
l'Università di Molfetta deliberò l'apposizione
dell'Immagine della Madonna dei Martiri sullo stemma civico
della città facendo voto che Capitolo, Università
e popolo dovevano recarsi in pellegrinaggio al santuario
l'11 Maggio di ogni anno. Questa ricorrenza che tuttora
si ripete va sotto il nome di 'La Medonne du Tremelizze'
(Madonna del Terremoto)". Infine, giungendo nei pressi
di tempi più contemporanei, in cui la storia viene
sostituita dalla cronaca, non si può omettere di
rimarcare con la giusta valenza che, come i cittadini di
Molfetta più avanti negli anni,
"Nel 1950 la Madonna dei Martiri fu eletta compatrona
, ma fu un riconoscimento solo formale. Ella, di fatto,
lo era sem pre stata. Nel 1987, per mano di papa Paolo VI,
era elevata a Basilica Pontificia Minore".
A tal proposito va aggiunto poi, per dovere di cronaca,
che l'attuale configurazione architettonica della Basilica
risale alla prima metà del secolo scorso, poiché
questo edificio adibito a luogo di culto, ha subito nel
corso del tempo diversi rifacimenti e ristrutturazioni,
non sempre privi di discutibilità architettonica
da parte del senso critico dei fedeli, i quali hanno avuto
modo di contestare la circostanza che a volte non ci si
è accorti del rispetto che tale Tempio merita.
In una piccola cripta del Santuario molfettese è
possibile anche vedere la riproduzione in scala reale del
Santo Sepol-cro di Gerusalemme, vivendo un'esperienza spiritualmente
molto toccante per tutti, come racconta molto realisticamen
te anche la penna di Michele Loconsole nel suo ultimo libro
Puglia d'Oriente (Levante editori - Bari 2006).
(Dal quotidiano ‘Barisera’) Saverio Zuccarino
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CAMPAGNA "UN SANTINO PER OGNI SOCIO"
26 giugno: Santi CLAUDIANO, VIGILIO e MAGORIANO
SANTI FRATELLI DELLA CHIESA DI TRENTO (IV – V sec.)
DON DAMIANO MARCO GRENCI ha fatto stampare
e inviato per i soci ai fini della campagna “Un santino
per ogni socio” un'immaginetta e le seguenti notizie.
Il nome Vigilio deriva dal latino Vigilius – vigilante.
Non si conosce il nome del padre, mentre la madre si chiamava
Massenzia e i suoi fratelli Claudiano e Magoriano, che divennero
anch’essi santi. Vigilio si trasferì presto
con i suoi genitori da Roma (possibile città natale)
a Trento, ma completò la sua formazione filosofico-teologica
prima ad Atene, dove fece amicizia con San Giovanni Crisostomo
e poi a Roma.
Nel 380 circa tornò a Trento, dove si fece ammirare
per la sua formazione culturale, ma anche per la sua umiltà,
e della cui città venne nominato Vescovo intorno
al 385.
Vigilio fu attivo come missionario ai tempi di Papa Silicio,
quando ancora molte zone del Trentino dovevano essere evangelizzate.
Operò soprattutto nella valle dell’Adige e
nella zona di Trento. Grazie all’interessamento dello
stesso vescovo di Milano riuscì a far arrivare nelle
valli di Non e di Sole i missionari Sisinnio, Martirio e
Alessandro, che là furono in seguito trucidati.
Vigilio fu molto attivo nel combattere l’idolatria
e questa azione causò il suo martirio: accompagnato
dai fratelli e da un altro missionario si recò in
Val Rendeva dove celebrò la Messa e gettò
nel fiume Sarca una statua di Saturno. Questo gesto scatenò
l’ira dei pagani che lo uccisero, secondo la leggenda,
usando bastoni e zoccoli di legno.
I suoi resti furono poi portati a Trento per essere seppelliti
nel Duomo che lui stesso aveva fatto costruire e dove si
trovano ancora oggi.
Vigilio è uno dei patroni del Trentino e dell’Alto
Adige, delle miniere e dei minatori (vedi anche Santa Barbara,
v.m.) e della Arcidiocesi di Trento. La ricorrenza liturgica
si festeggia il 26 giugno, presunta data del suo martirio.
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L’immaginetta di Gesù Bambino di Praga, inserita
in questo Notiziario per l’iniziativa “Un santino
per ogni socio”, è offerta dai nostri associati
Padre MICHELE GIULIANO, Don DAMIANO MARCO GRENCI, GIULIANA
FARAGLIA e UGO AMICI
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9 ottobre: FESTA DI SAN GIOVANNI LEONARDI
Padre Lucio Migliaccio OMD, cofondatore e primo assistente
ecclesiastico dell’AICIS, il 9 ottobre u.s., a nome
del proprio Ordine e al termine dei festeggiamenti del Fondatore
OMD San Giovanni Leonardi, ha consegnato al Vice presidente
Renzo Manfè un congruo quantitativo di immaginette
della nuova icona (benedetta lo scorso anno in Piazza San
Pietro dal Pontefice Benedetto XVI), per la campagna sociale
“Un santino per ogni socio”.
Il Vice Presidente ha partecipato, per devozione personale,
ma anche quale rappresentante degli associati AICIS, al
triduo che ha preceduto la grande festa in onore di San
Giovanni Leonardi.
Infatti, dette celebrazioni si situano nel cammino verso
un importante evento: «Siamo nel triennio, cominciato
nel 2007, che conduce verso il 4° centenario della morte
di San Giovanni Leonardi, nel 2009 – come ha detto
il parroco di Santa Maria in Campitelli, padre Tommaso Galasso
al settimanale “Roma Sette”.
“Quest’anno abbiamo scelto il tema della missionarietà
che fu per lui centrale, essendo stato cofondatore anche
del Collegio Urbano di Propaganda Fide per le missioni».
Numerose sono state le presenze del Collegio alla celebrazione.
A cominciare da monsignor Massimo Cenci, sottosegretario
della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli,
che ha presieduto il rito e ha ricordato così, durante
l’omelia, la figura di San Giovanni Leonardi: «La
sua attualità è straordinaria. La sua idea
è quella di formare degli uomini per offrire una
risposta, un’illuminazione ai cuori soffocati dagli
affanni terreni. Si tratta di un concetto attualissimo,perché
questo consumarsi per Cristo, questo rendere visibile la
sua presenza in noi è compito d’ogni momento
e d’ogni luogo, possibile a tutti, anzi, richiesto
a ciascun cristiano».
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29 SETTEMBRE: SAN MICHELE ARCANGELO
Padre MICHELE GIULIANO ha fatto stampare
l’unita immaginetta del Capo delle Milizie celesti
e ne ha inviato in redazione un congruo quantitativo per
la campagna “Un santino per ogni socio”.
Michele è uno dei 3 arcangeli della Bibbia. Oltre
all'Ebraismo e al Cristianesimo, anche l'Islam ne fa oggetto
di venerazione.
Il nome Michele deriva dall'espressione "Mika-El"
che significa "chi è come Dio?". L'arcangelo
Michele è ricordato per aver difeso la fede in Dio
contro le orde di Satana.
Nel calendario liturgico cristiano si festeggia il 29 set-tembre
con l'Arcangelo Gabriele e l'Arcangelo Raffaele.
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6 dicembre: SAN NICOLA DI BARI
La socia PAOLA ZUCCO di Lavinio ha trasmesso
l’ immaginetta di San Nicola di Bari (Serie “ED
G MI – 60 BIS”) per la campagna “Un santino
per ogni socio”.
Nicola proveniva da una famiglia nobile. Fu eletto vescovo
per le sue doti di pietà e di carità. Durante
la persecuzione di Diocleziano, pare sia stato imprigionato
fino all’epoca dell’Editto di Costantino. Fu
nominato patrono di Bari, e la basilica che porta il suo
nome è tuttora meta di parecchi pellegrinaggi. Egli
è il leggendario Santa Claus dei paesi anglosassoni,
e il NiKolaus della Germania che a Natale porta i doni a
bambini. Muore il 6 dicembre di un anno incerto e il suo
culto si diffonde dapprima in Asia Minore (25 chiese dedicate
a lui a Costantinopoli nel VI secolo).
Ci sono pellegrinaggi alla sua tomba, posta fuori dell’abitato
di Mira. Moltissimi scritti in greco e in latino lo fanno
via via conosce re nel mondo bizantino-slavo e in Occidente,
cominciando da Roma e dal Sud d’Italia, soggetto a
Bisanzio.
Ma oltre sette secoli dopo la sua morte, quando in Puglia
è subentrato il dominio normanno, “Nicola di
Mira” diventa “Nicola di Bari”.
62 marinai baresi, sbarcati nell’Asia Minore già
soggetta ai Turchi, arrivano al sepolcro di Nicola e s’impadroniscono
dei suoi resti, che il 9 maggio 1087 giungono a Bari accolti
in trionfo.
Le reliquie hanno collocazione provvisoria in una chiesa
cittadina e il 29.IX.1089 esse trovano sistemazione definitiva
nella cripta, già pronta, della basilica che si sta
innalzando in suo onore. E’ il Papa in persona, Urbano
II, a deporle sotto l’altare.
Nel 1098 lo stesso Urbano II presiede nella basilica un
concilio di vescovi, tra i quali alcuni “greci”
dell’Italia settentrionale: c’è già
stato lo scisma d’Oriente.
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Molfetta: LUGLIO E LA SOLENNITA’ DI SAN CORRADO
Il socio CORRADO de GENNARO di Molfetta
ha trasmesso l' immaginetta di San Corrado nell’ambito
dell’iniziativa “Un santino per ogni socio”
e le unite notizie.
Corrado nasce molto probabilmente a Ravensburg (nell’Alta
Svevia) nel 1105 dalla nobile famiglia dei Welf (Gulfi)
da Enrico il Nero, poi duca di Baviera, e da Wulfide di
Sassonia. Essendo Corrado il terzo di tre figli non aveva
diritto al Ducato, quindi Enrico pensa bene di inviarlo
a Colonia da suo cugino arcivescovo, affinché questi
lo educhi e lo indirizzi alla carriera ecclesiastica. Corrado,
giovane intelligente e molto pio, qualche tempo dopo, nell’ascoltare
la predicazione di Arnoldo, abate cistercense di Morimond,
che cercava proseliti per recarsi un Terra Santa per fondarvi
un nuovo monastero, si infervora a tal punto da lasciare
la scuola arcivescovile e unirsi ad Arnoldo facendosi monaco
(non sarà mai prete).
Ma i progetti di Arnoldo inerenti la Terra Santa suscitano
la disapprovazione dei Superiori dell’ordine, in particolare
di Bernardo di Clairvaux, per il quale in Tèrra Santa
c’è bisogno di soldati pronti a combattere
gli infedeli, piuttosto che monaci in preghiera, lontani
dai loro monasteri.
Nel giro di un anno (1124-25) il tentativo di Arnoldo fallisce,
senza neppure che il gruppo sia riuscito a partire. Sicchè
ì monaci fanno ritorno nei monasteri di provenienza
e Arnoldo, si ritira nelle Fiandre dove muore di lì
a poco.
Il giovane Corrado, appena ventenne, intraprende ugualmente
il cammino verso Gerusalemme. Varca le Alpi, raggiunge la
Puglia per imbarcarsi alla volta della Terra Santa. Si ha
motivo di ritenere che non abbia mai raggiunto la meta,
bensì abbia condiviso la sorte di tanti pellegrini,
ammalatisi e poi morti durante il viaggio, come quelli naufragati
al largo di Molfetta e poi sepolti poco lontano dal porto
di cala San Giacomo, dove è stata poi costruita sulle
loro tombe la Chiesa di Santa Maria dei Martiri, così
come erano chiamati anche i pellegrini.
Corrado viene accolto dai monaci di Santa Maria ad cryptam
nei pressi di Modugno dove muore l’anno successivo,
intorno al 1126. Riceve una sepoltura con l’attribuzione
di tutti gli onori. La fama di questo nobile giovane, monaco,
straniero e pellegrino, venuto a morire in Puglia, deve
essersi tramandata fino ai primi decenni del Trecento, quando,
abbandonata dai monaci la dimora di Modugno, i molfettesi
prelevarono il corpo lì sepolto di Corrado e lo trasportarono
nella Cattedrale della città, l’attuale Duomo,
per eleggerlo patrono della città. Era un 9 febbraio.
Non si conosce l’anno.
Le reliquie di San Corrado (le ossa del corpo sono conservate
in una teca di cristallo e argento di manifattura napoletana,
mentre il cranio è custodito nel busto argenteo,
riprodotto nell’immaginetta che si invia a tutti i
soci AICIS) restarono nel Duomo fino al 10 luglio 1785.
In tale data viene effettuato il trasferimento della sede
episcopale dall’antica alla nuova Catte drale e il
trasporto delle reliquie del Santo patrono. Pertanto, il
mese di luglio rimane il periodo più importante e
rappresentativo non solo per la città di Molfetta,
ma per tutta la diocesi; infatti san Corrado è anche
protettore della diocesi di Mofetta, Giovinazzo, Ruvo di
Puglia e Terlizzi. (Fonte: Novena in onore di San Corrado)
Corrado de Gennaro – Vincenzino Monaco
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SAN SIRO VESCOVO (III-IV SECOLO)
La socia ANNA VALLANA
di Roma, a devozione della propria famiglia, ha fatto stampare
l’ immaginetta che, nell’ambito dell’iniziativa
“Un santino per ogni socio” invia a tutti gli
associati AICIS con gli auguri di Buon Natale.
Siro era nato a Struppa, Genova, nel III-IV secolo. Nominato
Vescovo della sua città, si dedicò con grande
zelo alla cura delle anime.
Nel periodo del suo servizio pastorale, collocabile approssimativamente
tra il 349 ed il 381, la vita cristiana progredì
a tal punto che i suoi contemporanei e i posteri ricordarono
il nome di Siro come quello di un pastore santo e vigilante.
Visse fino a età avanzata e in fama di santità.
Morì a Genova il 29 giugno del 381.
Fu sepolto nella basilica dei Dodici Apostoli, che in seguito
prese il suo nome ed è ricordata da san Gregorio
Magno.
A Genova la sua festa si celebra il 7 luglio a ricordo della
traslazione delle sue reliquie nella Chiesa cattedrale ad
opera del vescovo Landolfo. Il martirologio romano, che
ricorda i santi ed i beati nell’anniversario della
loro nascita al cielo, ha invece optato per il 29 giugno.
San Siro di Genova è anche detto San Siro di San
Remo, dove era stato mandato in missione per evangelizzare
quella zona della riviera di ponente, quando era ancora
Diacono, e dove tornò spesso anche durante il suo
mandato episcopale in Genova.
A San Remo gli venne dedicata un'antica chiesa romanica,
la Basilica Cattedrale di San Siro (XII sec.)
Infatti, nella Piazza di San Siro a Sanremo, si ammira la
basilica-concattedrale di San Siro, costruita appunto nel
secolo XII in stile romanico-gotico sul modello del duomo
di San Michele di Albenga.
Ristrutturata in epoca barocca, la chiesa venne riportata,
fra Ottocento e Novecento, alle sue forme originarie, eccezione
fatta però per il campanile che, mozzato dai Genovesi
nel 1753, venne ricostruito in stile pseudo barocco.
Il bassorilievo, che orna il portale laterale di sinistra,
è l'elemento più antico del complesso. Rappresenta
un agnello pasquale tra due palme e risale forse al secolo
XI.
All'interno della basilica, sovrasta l'altare maggiore il
grande Crocifisso ligneo, settecentesco, opera di Anton
Maria Maragliano.
Nella cappella di destra, del Ss.mo Sacramento, una importante
opera di scultura rinascimentale, della scuola di Gaggini,
il tabernacolo marmoreo, murale e nella cappella di sinistra,
la stupenda statua della Madonna del Rosario del Maragliano.
Lungo la navata destra il Crocifisso nero, di autore ignoto,
sostegno nei secoli della comunità sanremese nei
momenti avversi.
Il Battistero di San Giovanni, accanto alla basilica, risale
al periodo barocco ( 1688) e conserva la "Comunione
della Maddalena" di Orazio de Ferrari.
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SCOUT E SANTITA'
LA SANTITA’ VISSUTA IN COPPIA NEL SERVIZIO SCOUT:
Beati Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi
Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi, un uomo e una donna
che si sono voluti bene, due sposi che si sono gioiosamente
e con pienezza aiutati reciprocamente nella strada verso
la felicità, nella strada del Signore. Un babbo ed
una mamma che hanno cresciuto figli cercando per loro le
cose migliori, non le più facili ma le più
grandi, perché anche questi figli potessero gustare
la gioia del Signore.
Il 21 Ottobre 2001 Luigi e Maria sono stati proclamati beati:
una festa grande per due persone, e per i loro figli, che
hanno vissuto le cose ordinarie della vita in modo straordinario.
È la prima volta in assoluto che nella storia della
Chiesa una coppia è innalzata all’onore degli
altari per le sue virtù coniugali e familiari. Si
tratta dei primi beati Scout italiani: Luigi e Maria Beltrame
Quattrocchi, ed in modo specialissimo Luigi, furono assai
legati allo scautismo fin dagli inizi. Negli anni in cui
l’Associazione Scoutistica Cattolica Italiana (ASCI,
1916 - 1974) muoveva i primi passi in Italia, i coniugi
Beltrame Quattrocchi vollero collaborare agli sviluppi educativi
del metodo scout e si impegnarono molto anche per diffonderlo
e farlo crescere.
Lo scautismo cattolico italiano è riconoscente a
Luigi e Maria per la esemplare testimonianza che è
proseguita in modo fruttuoso attraverso il servizio di assistente
ecclesiastico reso nell’Asci prima, e nell’Agesci
poi, dal figlio, don Tarcisio, noto come “don Tar
- Aquila Azzurra”, autore del testo della canzone:
“Al cader della giornata”.
Il servizio scout iniziò per l’avvocato Luigi
in coincidenza con l’iscrizione al Reparto Roma 5
( 1916), appena fondato dal padre Gianfranceschi S. J. ,
dei due figli maschi, Filippo e Cesare. Entrò a far
parte del Consiglio Direttivo; ne divenne primo Presidente
e rappresentante all’Assemblea Generale del 1918,
che lo nominò membro del Commissariato Centrale ASCI.
Luigi frequentava con assiduità le riunioni settimanali
del Commissariato Centrale ASCI, a fianco del primo Presidente
italiano, il Conte Mario di Carpegna, dell’illustre
scienziato gesuita padre Gianfranceschi (che poi, volò
con Umberto Nobile sul Polo Nord), Mario Cingolani, Mario
Mazza, Cesare Ossicini, Paolo Cassinis, Salvatore Salvatori,
Salvatore Parisi.
Nel 1919 Luigi Beltrame, colpito dalla situazione di abbandono
dei ragazzi di strada del rione popolare della Suburra,
fondò e diresse alla basilica di S. Pudenziana, un
oratorio festivo che in breve si popolò di ragazzi
da evangelizzare. In seguito, Luigi decise di fondare tra
quei ragazzi un nuovo Reparto di scouts, convinto che il
metodo scout potesse essere un valido strumento per attirare
alla Chiesa tanti ragazzi, sbandati e a rischio.
Nel 1919 nacque il Reparto Roma 20, che Luigi diresse fino
al 1923.
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Venerabile Egidio Bollesi (1905-1929)
UN OPERAIO CHE HA POSTO LA SUA
COMPETENZA A SERVIZIO DEL PROSSIMO
Apostolo tra i ragazzi di Azione Cattolica e Scout, giovane
laico del Terz’Ordine francescano scrive: “Posso
esclamare: ecco, la mia vita segue una stella; tutto il
mondo, così, mi pare più bello”. Egidio
Bullesi
Nasce a Pola nel 1905, terzo di nove fratelli in una famiglia
di modeste condizioni e allo scoppio della guerra è
già profugo con la famiglia. Torna nel 1918 a Pola,
dove fa l’apprendista in un cantiere navale, impegnandosi
in un opera di apostolato nel difficile ambiente di lavoro.
In occasione di uno sciopero, nel 1920, innalza il tricolore
sulle gru più alte. Con due fratelli, dà vita
all’Associazione Cattolica della Parrocchia, e diventa
animatore dei giovani Aspiranti di Azione Cattolica, ma
dopo aver partecipato a Roma nel 1921 al Congresso Nazionale
per il 50° di fondazione dell’Azione Cattolica
torna carico di entusiasmo per lo Scautismo ed è
tra i promotori del Reparto Scout di Pola.
A pochi giorni dalla festa del Corpus Domini, Egidio freme
desiderando che, in quella grande solennità, i Giovani
Esploratori cattolici possano prender parte anch’essi
alla processione, e in uniforme, anche per poter essere
conosciuti dalla cittadinanza. Sotto le mani volenterose
di signore e ragazze, con l’aiuto dello stesso Egidio
in un paio di giorni le uniformi scout sono pronte. Purtroppo,
dopo cinque anni, il Decreto di scioglimento dello scautismo
distrusse presto quella gioia, e di fronte alla prepotenza
del governo fascista gli Esploratori dovettero riporre le
loro uniformi.
Così il 9 febbraio 1927 Egidio scrive al fratello
Giovanni (da La Spezia): “Puoi immaginare quale impressione
mi fece la notizia dello scioglimento degli Esploratori.
Ammirabile la vostra fortezza d’animo e la devozione
al Vicario di Cristo, con la quale accoglieste sì
dolorosa deliberazione. Ora, Giovanni, conservando uniti
gli Esploratori, sarà bene costituire un Circolo
e federarlo alla Gioventù Cattolica, poi mantenere
intatto lo spirito scoutistico, evitando solo quello che
può essere contrario alle intenzioni del Papa. E
del resto continuare l’identica attività. Cercare
quindi di tradurre in fatto il proverbio: l’abito
non fa il monaco. ”.
Pur soffrendo profondamente per la chiusura del Reparto
scout, Egidio continua a tenere “istruzioni”,
ad animare giochi, a svolgere attività educativa…
I ragazzi si sentivano felici con lui, e a lui ricorrevano
per un consiglio, per un aiuto.
Presta il servizio militare dal ‘25 al ‘27,
come marinaio, svolgendo una vivace opera di apostolato
tra i commilitoni. Dopo il congedo, lavora come disegnatore
nel cantiere navale di Monfalcone, ma presto la malattia
lo obbliga a continue cure. Per tubercolosi, il 29 Agosto
1928 si ricovera all’ospedale di Pola, dando, durante
la lunga malattia, esempio di forza d’animo e serenità
francescana, arrivando anche ad offrire la sua vita per
i missionari. A 23 anni Egidio Bullesi “torna alla
Casa del Padre” il 25 Aprile 1929.
Nel 1997 la Chiesa lo riconosce come Venerabile. La Causa
di Beatificazione è ora all’esame a Roma.
Piace pensare che, forse, nella sua adesione allo Scautismo
vi è anche l’intuizione di una “strada”
provvidenziale, capace di portare gioiosamente i giovani
al Padre...Sembrano infatti rivolte anche ai Capi dello
Scautismo queste parole di Egidio: “Si tratta di salvare
molte anime di fanciulli: si tratta di orientarle per tutta
la vita verso Nostro Signore, verso il suo Cuore. Si tratta
di dare all’Italia nostra la giovinezza di domani,
forte e pura, colta e pia, si tratta di popolare il Cielo
di Santi”
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Don Giovanni Minzioni (1885-1923)
UN EROICO MARTIRE DEL FASCISMO
Don Giovanni Minzoni, insieme ad altre opere sociali e giovanili,
aveva lanciato nella parrocchia di Argenta (Ravenna) tre
mesi prima della morte, gli Esploratori: una grande novità
nell’Italia di allora. Fu uno dei primi Assistenti
Scout. A qualcuno dispiaceva l’operato di don Giovanni.
Non mancarono le minacce, più o meno violente: tentarono
perfino d’incendiargli il circolo cattolico. Di notte,
a più riprese, i fascisti argentani andarono a cantargli
il “Requiem” e il “De profundis”
sotto le finestre della canonica, ma egli continuò
deciso il suo lavoro apostolico.
Nel luglio 1923, un mese prima della morte, l’Assistente
Regionale degli Scout fu chiamato ad Argenta per tenere
una conferenza pubblica nel teatro del circolo cattolico.
Monsignor Emilio Faggioli era stato chiamato apposta da
Bologna da Don Minzoni, per parlare degli Esploratori. Don
Giovanni lo presentò al pubblico che gremiva la sala
e gli diede la parola. Monsignor Faggioli spiegò
le finalità dello scautismo: “Attraverso questo
tirocinio e disciplina della volontà e del corpo
- disse fra l’altro l’oratore - noi intendiamo
formare degli uomini di carattere...”.
Dalla galleria una voce interruppe per dire: “C’è
già Mussolini!”.
L’interruzione minacciosa creò subito una fenditura
nell’ambien-te mentre don Minzoni, alzatosi da mezzo
il pubblico, si sentì istintivamente portato dalla
sua irruenza romagnola verso il luogo donde era uscita la
voce. Mons.Faggioli intanto rispondeva che lo scautismo
agisce al di sopra e all’infuori della fazione politica
e continuava la relazione tra la compatta unanimità
degli ascoltatori, specie giovani, che reagivano battendogli
calorosamente le mani.
“Vedrete da oggi - terminò l’oratore
- lungo le vostre strade i giovani esploratori col largo
cappello in testa ed il giglio sul cuore.
Guardate con simpatia questi ragazzi che percorreranno cantando
la larga piazza d’Argenta...”. “In piazza
non verranno” - interruppe di nuovo la voce del segretario
del fascio locale dalla galleria. Ma questa volta rispose
d. Minzoni stesso: “Finché c’è
don Giovanni, verranno anche in piazza!”. L’applauso
immenso dei suoi giovani troncò il dialogo.
Poco più di un mese dopo, il 23 agosto 1923, due
sicari lo sorpresero per le vie di Argenta di sera, insieme
ad un giovane del suo gruppo. Gli fracassarono il cranio
a randellate.
Morì un’ora dopo. Aveva scritto nel suo diario:
“A cuore aperto, con la preghiera che spero non si
spegnerà sul mio labbro per i miei persecutori, attendo
la bufera, la persecuzione, forse la morte per il trionfo
della causa di Cristo… la religione non ammette servilismi,
ma il martirio”.
Un articolista [nel 1973] è riuscito a rintracciare
anche Enrico Bondanelli, il giovane che venne aggredito
insieme a don Minzoni e si salvò la vita solo perché
le legnate furono attutite dalla paglietta che portava in
testa. Interrogato sulle cause dell’aggressione a
Don Minzoni ha dato queste spiegazioni: “...Per me
l’arciprete era solo un uomo che detestava la violenza
da qualunque parte venisse e che non tollerava le imposizioni
nemmeno dai fascisti. La causa della sua tragica morte è
stata il contrasto insanabile sorto con i fascisti sulla
educazione della gioventù d’Argenta.
Il partito fascista aveva fondato in quegli anni l’Opera
Balilla ma i ragazzi ed i giovani d’Argenta preferivano
iscriversi all’associazione degli Esploratori e al
Circolo cattolico istituiti da don Minzoni.
Lo smacco provocò il risentimento dei fascisti argentani
e poiché l’arciprete non intendeva cedere,
decisero di impartirgli una lezione, secondo il loro costume.
La lezione fu tale che lo mandarono all’altro mondo”.
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Beato MARCEL CALLO (1921-1945)
UN MARTIRE VINCITORE DELLA FOLLIA NAZISTA
Il 4.X.1987 molti giornali in tutto il mondo portano la
fotografia di un giovane in divisa scout. Quel giorno infatti
Giovanni Paolo II lo colloca nell’elenco dei Beati.
Da quel giorno nelle chiese si possono fare altari dedicati
a lui, come si fanno a S.Francesco o a S. Antonio.
Chi era questo capo squadriglia? Si chiamava Marcel Callo
ed era francese: fece la sua promessa nel 1934 ed era molto
fiero di essere scout. Nello stesso anno Marcel cominciò
a lavorare come apprendista tipografo e nel 1936 diventò
capo della squadriglia Pantere, che era composta di ragazzi
lavoratori come lui.
Marcel è un ragazzo che mantiene la sua Promessa
scout e cerca di lasciare il mondo un po’ migliore
di come lo ha trovato, impegnandosi anche nella Gioventù
operaia cattolica (JOC), in cui passò allo scoppio
della seconda guerra mondiale.
Nel 1943 Marcel riceve l’ordine di andare a lavorare
in Germania, lui ci va seguendo le indicazioni del suo vescovo,
perché bisognava tenere alto il morale di tanti ragazzi
lavoratori.
Per lui si tratta di aiutare il prossimo in una circostanza
precisa. Ma i Tedeschi prendono di mira i gruppi di giovani
cristiani che aiutano gli altri.
Marcel viene arrestato per propaganda antinazista e perché
è “troppo cattolico”; viene condannato
ed inviato nel lager di Mauthausen, dove muore il 19 marzo
1945.
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Beato don Stefan Wincenty Frelichowski (1913-1945)
MARTIRE DELLA FOLLIA NAZISTA
Giovanni Paolo II ha affidato gli Scouts ad un ulteriore
Patrono. Si tratta del beato don Stefan Wincenty Frelichowski,
beatificato il 7 giugno 1999 a Torun (P). Don Stefan, nato
il 22 gennaio 1913 a Chelmza, entrò negli scout nel
1927 e dello Scautismo fece suoi i principi fondamentali
che applicò alla sua vita quotidiana e sacerdotale,
mettendosi al servizio degli altri, di Dio e della sua Patria.
Sullo Scautismo disse: “Io credo fortemente che il
paese di cui tutti i cittadini fossero scout, sarebbe il
più potente di tutti, perché lo scautismo
forma, attraverso la sua scuola, un tipo di uomo di cui
la nostra società ha bisogno”.
Entrò in seminario, con il proposito di seguire Cristo,
sviluppando una devozione speciale per il Sacro Cuore di
Gesù, a cui sì affidava nei momenti di debolezza,
cosciente di dover lavorare sulle sue mancanze, combattendo
contro le tentazioni del mondo. Venne ordinato sacerdote
nel marzo del 1937 e nel 1938 venne destinato, come vicario,
nella parrocchia di Torun, applicandosi subito all’attività
pastorale, come assistente spirituale degli scouts. Quando
i tedeschi occuparono la città, venne arrestato insieme
agli altri sacerdoti della parrocchia e lui solo verrà
deportato in vari campi di concentramento, di cui l’ultimo
sarà Dachau.
Tuttavia, la gran fede lo accompagnerà e lo sosterrà
durante la prigionia, dandogli la forza di resistere, non
solo, ma di portare una parola di speranza, di forza e di
fede in quei luoghi dove dominava la morte e la sopraffazione,
cercando, pur tra i pericoli, di svolgere la sua attività
sacerdotale ed assistendo gli ammalati di tifo che, a causa
delle condizioni disperate in cui vivevano, avevano poche
possibilità di sopravvivenza. Egli non ebbe paura
del contagio e non esitò a prendersi cura di loro,
cosicché si ammalò e morì, il 23 febbraio
del 1945, a due mesi dall’arrivo dei primi americani.
Dopo la sua morte accadde qualcosa di straordinario, che
non era mai accaduto prima. Le autorità naziste del
campo, prima che il corpo fosse cremato, diedero il permesso
che a don Stefan fosse dato l’estremo saluto da tutti
i suoi compagni di prigionia. Un testimone oculare ricorda:
“In silenzio e in solenne concentrazione di preghiera
la folla dei prigionieri si muoveva nell’ossario.
Passavano giovani e vecchi, Polacchi e stranieri. Lo conoscevano
tutti. In quel momento tante intense preghiere erano rivolte
al Creatore per lui, tante lacrime si versavano sulle guance.
Se ne è andato da sacerdote amato e santo. Era morto
un uomo che aveva depositato la sua vita sull’altare
dell’amore e della misericordia verso il prossimo”.
Fu allora che uno studente di medicina compagno di don Stefan,
riuscì a tagliare un pezzetto di dito dal corpo del
sacerdote prima dell’ingresso nel forno crematorio.
Aveva intuito che di don Stefan si sarebbe continuato a
parlare a lungo. Questo stesso studente sopravvissuto all’olocausto,
oggi anziano e infermo, ha consegnato personalmente al Papa
nel giorno della beatificazione di don Stefan, in un momento
di grande commozione, l’unica reliquia del sacerdote
di Torun.
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Venerabile Joël Anglès d’Auriac (1922-1944)
MARTIRE DELLA FOLLIA NAZISTA
Joël Anglès d’Auriac, 22 anni, scout di
Tolone, cristiano militante, inviato al Servizio di Lavoro
Obbligatorio in Germania, decapitato a Dresda il 6.XII,1944.
La sua causa di beatificazione è stata introdotta
a Roma. “Ecco l’ultimo messaggio del vostro
amico Joël. Io muoio sorridendo perchè il Signore
è con me, e non dimentico che un rover che non è
capace di morire non è buono a nulla… Addio,
fratelli rover; la mia ultima parola: non lasciate lo scautismo.
Addio”.
Joël Yves Marie Angles d’Auriac pronunciò
la sua Promessa Scout il 23 marzo 1941 nel Clan Saint Martin
di Toulon. Lo scautismo, a cui era arrivato da grande, fu
per lui una magnifica scoperta che affrontò con l’ardore
del neofita e con spirito di servizio. Prese la Partenza
il 16 maggio 1943.
Scrisse in quell’occasione: “Raramente, potrei
forse dire mai, ho conosciuto tanta felicità e tanta
gioia quasi soprannaturale”.
Nel luglio del 1943 fu costretto dai tedeschi a partire
per lavorare in Germania. Qui, subito riunì altri
Routiers (così si chiamavano i rover francesi) e
formò una equipe che intitolò a Nostra Signora
della Speranza.
Era di una dirittura esigente e rigorosa e si dedicò
sempre a fare opera di servizio tra i suoi compatrioti.
Fu arrestato il 10 marzo 1944 con l’accusa di attività
antitedesca, resistenza al lavoro e riunioni clandestine.
Il 20 ottobre fu giudicato per alto tradimento e condannato
a morte. L’esecuzione avvenne a Dresda il 9.XII.1944.
Joël visse a fondo e con grande entusiasmo i suoi ideali
scout che gli avevano permesso di scoprire lo splendore
del cristianesimo, la carità e la fraternità.
Prima della deportazione, desideroso di partecipare agli
altri la propria scoperta, egli andava frequentemente nei
giardini pubblici della città a far giocare i ragazzi
e a indirizzarli nello scautismo.
In Germania, noncurante dei rischi, giocò a fondo
per i suoi ideali cristiani e francesi; la sua morte era
prevista e accettata. La vigilia della sua esecuzione egli
scrisse il suo ultimo messaggio: “Io muoio sorridendo
perché il Signore è con me e non dimentico
che un Routier se non sa affrontare anche la morte non è
buono a nulla. Fratelli Routiers, siate ricompensati della
gioia che mi avete donato. Grazie a voi io vado a morire
con gioia: il Signore mi è vicino.
Non siate tristi e abbiate la certezza che accetto la prova
con gioia e la offro per tutti voi. Perdono i responsabili
della mia morte”. Joël fu per tutti un esempio
di lealtà, di abnegazione e di spirito scout, cristiano
e francese.
Nel suo Carnet de Route fu ritrovato: “È duro
qualche volta rimanere fedele agli ideali della Partenza
ma per il momento è il Signore che lotta per me…
L’ideale del servizio è male applicato se si
brontola durante l’impegno col pretesto che gli altri
non fanno nulla”.Joël ci ha lasciato un grande
esempio, tanto più valido oggi in cui è difficile
parlare di educazione allo spirito di sacrificio. D’altra
parte Joël conferma quanto è stato più
volte ripetuto da Baden-Powell: la felicità è
frutto di una buona coscienza e di un impegno di servizio
al prossimo.
ATTILIO GARDINI
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NOTIZIE DAL VATICANO
LE FIGURE DEI SANTI PRESENTATE DA BENEDETTO XVI
San Giovanni Crisostomo
Nell’udienza in Piazza San Pietro del 26 settembre
u.s. il Papa si è soffermato ancora su San Giovanni
Crisostomo.
"Cari fratelli e sorelle! Continuiamo oggi la nostra
riflessione su san Giovanni Crisostomo. Dopo il periodo
passato ad Antiochia, nel 397 egli fu nominato Vescovo di
Costantinopoli, la capitale dell'Impero romano d'Oriente.
Fin dall’inizio, Giovanni progettò la riforma
della sua Chiesa: l'austerità del palazzo episcopale
doveva essere di esempio per tutti - clero, vedove, monaci,
persone della corte e ricchi. Purtroppo, non pochi di essi,
toccati dai suoi giudizi, si allontanarono da lui. Sollecito
per i poveri, Giovanni fu chiamato anche "l'Elemosiniere".
Da attento amministratore, infatti, era riuscito a creare
istituzioni caritative molto apprezzate. La sua intraprendenza
nei vari campi ne fece per alcuni un pericoloso rivale.
Egli, tuttavia, come vero Pastore, trattava tutti in modo
cordiale e paterno. In particolare, riservava accenti sempre
teneri per la donna e cure speciali per il matrimonio e
la famiglia. Invitava i fedeli a partecipare alla vita liturgica,
da lui resa splendida e attraente con geniale creatività.
Nonostante il cuore buono, non ebbe una vita tranquilla.
Pastore della capitale dell’Impero, si trovò
coinvolto spesso in questioni e intrighi politici, a motivo
dei suoi continui rapporti con le autorità e le istituzioni
civili. Sul piano ecclesiastico, poi, avendo deposto in
Asia nel 401 sei Vescovi indegnamente eletti, fu accusato
di aver varcato i confini della propria giurisdizione, e
diventò così bersaglio di facili accuse. Un
altro pretesto contro di lui fu la presenza di alcuni monaci
egiziani, scomunicati dal patriarca Teofilo di Alessandria
e rifugiatisi a Costantinopoli. Una vivace polemica fu poi
originata dalle critiche mosse dal Crisostomo all'imperatrice
Eudossia e alle sue cortigiane, che reagirono gettando su
di lui discredito e insulti. Si giunse così alla
sua deposizione, nel sinodo organizzato dallo stesso patriarca
Teofilo nel 403, con la conseguente condanna al primo breve
esilio.
Dopo il suo rientro, l’ostilità suscitata contro
di lui dalla protesta contro le feste in onore dell’imperatrice
– che il Ve-scovo considerava come feste pagane, lussuose
–, e la cacciata dei presbiteri incaricati dei Battesimi
nella Veglia pasquale del 404 segnarono l'inizio della persecuzione
di Crisostomo e dei suoi seguaci, i cosiddetti "Giovanniti".
Allora Giovanni denunciò per lettera i fatti al Vescovo
di Roma, Innocenzo I. Ma era ormai troppo tardi.
Nell’anno 406 dovette di nuovo recarsi in esilio,
questa volta a Cucusa, in Armenia. Il Papa era convinto
della sua innocenza, ma non aveva il potere di aiutarlo.
Un Concilio, voluto da Roma per una pacificazione tra le
due parti dell'Impero e tra le loro Chiese, non poté
avere luogo. Lo spostamento logorante da Cucusa verso Pytius,
mèta mai raggiunta, doveva impedire le visite dei
fedeli e spezzare la resistenza dell'esule sfinito: la condanna
all'esilio fu una vera condanna a morte! Sono commoventi
le numerose lettere dall'esilio, in cui Giovanni manifesta
le sue preoccupazioni pastorali con accenti di partecipazione
e di dolore per le persecuzioni contro i suoi. La marcia
verso la morte si arrestò a Comana nel Ponto. Qui
Giovanni moribondo fu portato nella cappella del martire
san Basilisco, dove esalò lo spirito a Dio e fu sepolto,
martire accanto al martire (Palladio, Vita 119). Era il
14 settembre 407, festa dell’Esaltazione della santa
Croce.
La riabilitazione ebbe luogo nel 438 con Teodosio II. Le
reliquie del santo Vescovo, deposte nella chiesa degli Apostoli
a Costantinopoli, furono poi trasportate nel 1204 a Roma,
nella primitiva Basilica costantiniana, e giacciono ora
nella cappella del Coro dei Canonici della Basilica di San
Pietro. Il 24 agosto 2004 una parte cospicua di esse fu
donata dal Papa Giovanni Paolo II al Patriarca Bartolomeo
I di Costantinopoli. La memoria liturgica del santo si celebra
il 13 settembre. Il beato Giovanni XXIII lo proclamò
patrono del Concilio Vaticano II.
Di Giovanni Crisostomo si disse che, quando fu assiso sul
trono della Nuova Roma, cioè di Costantinopoli, Dio
fece vedere in lui un secondo Paolo, un dottore dell'Universo.
In realtà, nel Crisostomo c'è un'unità
sostanziale di pensiero e di azione ad Antiochia come a
Costantinopoli. Cambiano solo il ruolo e le situazioni.
Meditando sulle otto opere compiute da Dio nella sequenza
dei sei giorni nel commento della Genesi, il Crisostomo
vuole riportare i fedeli dalla creazione al Creatore: "È
un gran bene", dice, "conoscere ciò che
è la creatura e ciò che è il Creatore".
Ci mostra la bellezza della creazione e la trasparenza di
Dio nella sua creazione, la quale diventa così quasi
una "scala" per salire a Dio, per conoscerlo.
Ma a questo primo passo se ne aggiunge un secondo: questo
Dio creatore è anche il Dio della condiscendenza
(synkatabasis). Noi siamo deboli nel "salire",
i nostri occhi sono deboli. E così Dio diventa il
Dio della condiscendenza, che invia all'uomo caduto e straniero
una lettera, la Sacra Scrittura, cosicché creazione
e Scrittura si completano. Nella luce della Scrittura, della
lettera che Dio ci ha dato, possiamo decifrare la creazione.
Dio è chiamato "padre tenero" (philostorgios)
(ibid.), medico delle anime (Omelia 40,3 sulla Genesi),
madre (ibid.) e amico affettuoso (Sulla provvidenza 8,11-12).
Ma a questo secondo passo — prima la creazione come
"scala" verso Dio e poi la condiscendenza di Dio
tramite una lettera che ci ha dato, la Sacra Scrittura —
si aggiunge un terzo passo.
Dio non solo ci trasmette una lettera: in definitiva, scende
Lui stesso, si incarna, diventa realmente "Dio con
noi", nostro fratello fino alla morte sulla Croce.
E a questi tre passi — Dio è visibile nella
creazione, Dio ci dà una sua lettera, Dio scende
e diventa uno di noi — si aggiunge alla fine un quarto
passo. All'interno della vita e dell'azione del cristiano,
il principio vitale e dinamico è lo Spirito Santo
(Pneuma), che trasforma le realtà del mondo. Dio
entra nella nostra stessa esistenza tramite lo Spirito Santo
e ci trasforma dall'interno del nostro cuore.
Su questo sfondo, proprio a Costantinopoli Giovanni, nel
commento continuato degli Atti degli Apostoli, propone il
modello della Chiesa primitiva (At 4,32-37) come modello
per la società, sviluppando un’ "utopia"
sociale (quasi una "città ideale"). Si
trattava infatti di dare un'anima e un volto cristiano alla
città. In altre parole,
Crisostomo ha capito che non è sufficiente fare elemosina,
aiutare i poveri di volta in volta, ma è necessario
creare una nuova struttura, un nuovo modello di società;
un modello basato sulla prospettiva del Nuovo Testamento.
È la nuova società che si rivela nella Chiesa
nascente. Quindi Giovanni Crisostomo diventa realmente così
uno dei grandi Padri della Dottrina Sociale della Chiesa:
la vecchia idea della "polis" greca va sostituita
da una nuova idea di città ispirata alla fede cristiana.
Crisostomo sosteneva con Paolo (cfr 1 Cor 8, 11) il primato
del singolo cristiano, della persona in quanto tale, anche
dello schiavo e del povero. Il suo progetto corregge così
la tradizionale visione greca della "polis", della
città, in cui larghi strati della popolazione erano
esclusi dai diritti di cittadinanza, mentre nella città
cristiana tutti sono fratelli e sorelle con uguali diritti.
Il primato della persona è anche la conseguenza del
fatto che realmente partendo da essa si costruisce la città,
mentre nella "polis" greca la patria era al di
sopra del singolo, il quale era totalmente subordinato alla
città nel suo insieme. Così con Crisostomo
comincia la visione di una società costruita dalla
coscienza cristiana. Ed egli ci dice che la nostra "polis"
è un'altra, "la nostra patria è nei cieli"
(Fil 3, 20) e questa nostra patria anche in questa terra
ci rende tutti uguali, fratelli e sorelle, e ci obbliga
alla solidarietà.
Al termine della sua vita, dall'esilio ai confini dell'Armenia,
"il luogo più remoto del mondo",
Giovanni, ricongiungendosi alla sua prima predicazione del
386, riprese il tema a lui caro del piano che Dio persegue
nei confronti dell'umanità: è un piano "indicibile
e incomprensibile", ma sicuramente guidato da Lui con
amore (cfr Sulla provvidenza 2,6). Questa è la nostra
certezza. Anche se non possiamo decifrare i dettagli della
storia personale e collettiva, sappiamo che il piano di
Dio è sempre ispirato dal suo amore. Così,
nonostante le sue sofferenze, il Crisostomo riaffermava
la scoperta che Dio ama ognuno di noi con un amore infinito,
e perciò vuole la salvezza di tutti.
Da parte sua, il santo Vescovo cooperò a questa salvezza
generosamente, senza risparmiarsi, lungo tutta la sua vita.
Considerava infatti ultimo fine della sua esistenza quella
gloria di Dio, che – ormai morente – lasciò
come estremo testamento: "Gloria a Dio per tutto!"
(Palladio, Vita 11).
BENEDETTO XVI
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Sant'Ilario di Poitiers
Il Santo Padre Benedetto XVI ha dedicato a Sant'Ilario di
Poitiers, Dottore della Chiesa, la catechesi per l'Udienza
Generale del 10 ottobre u.s., tenutasi in Piazza San Pietro,
con la partecipazione di 23.000 persone.
Città del Vaticano (Agenzia Fides) - “Nel confronto
con gli ariani, che consideravano il Figlio di Dio Gesù
una creatura, sia pure eccellente, ma solo creatura, Ilario
ha consacrato tutta la sua vita alla difesa della fede nella
divinità di Gesù Cristo, Figlio di Dio e Dio
come il Padre, che lo ha generato fin dall'eternità”.
Lo ha affermato il Santo Padre Benedetto XVI durante l’udienza
generale di mercoledì 10 ottobre: la catechesi è
stata infatti dedicata a presentare uno dei grandi Padri
della Chiesa di Occidente, Sant'Ilario di Poitiers, vissuto
nel IV secolo.
Pur non disponendo di dati sicuri per la maggior parte della
sua vita, dalle fonti antiche si apprende che Ilario nacque
a Poitiers verso l'anno 310, in una famiglia agiata, che
gli fece impartire una solida formazione letteraria. Probabilmente
non crebbe in un ambiente cristiano.
Battezzato verso il 345, fu eletto Vescovo della sua città
natale intorno al 353-354.
Negli anni successivi Ilario scrisse la sua prima opera,
il “Commento al Vangelo di Matteo”, il più
antico commento in lingua latina che ci sia pervenuto di
questo Vangelo.
Nel 356 Ilario assiste come Vescovo al sinodo di Béziers,
nel sud della Francia, dominato dai vescovi filoariani che
negavano la divinità di Gesù Cristo. Questi
"falsi apostoli" chiesero all'imperatore Costanzo
la condanna all'esilio del Vescovo di Poitiers. Così
Ilario fu costretto a lasciare la Gallia durante l'estate
del 356. Esiliato in Frigia, l'attuale Turchia, Ilario si
trovò in un contesto religioso totalmente dominato
dall'arianesimo. “Anche lì la sua sollecitudine
di Pastore lo spinse a lavorare strenuamente per il ristabilimento
dell'unità della Chiesa - ha sottolineato Papa Benedetto
XVI -, sulla base della retta fede formulata dal Concilio
di Nicea.
A questo scopo egli avviò la stesura della sua opera
dogmatica più importante e conosciuta: il “De
Trinitate” (Sulla Trinità). In essa Ilario
espone il suo personale cammino verso la conoscenza di Dio
e si preoccupa di mostrare che la Scrittura attesta chiaramente
la divinità del Figlio e la sua uguaglianza con il
Padre non soltanto nel Nuovo Testamento, ma anche in molte
pagine dell'Antico, in cui già appare il mistero
di Cristo. Di fronte agli ariani egli insiste sulla verità
dei nomi di Padre e di Figlio e sviluppa tutta la sua teologia
trinitaria partendo dalla formula del Battesimo donataci
dal Signore stesso". Negli anni del suo esilio Ilario
scrisse anche il “Libro dei Sinodi”, nel quale
commenta per i suoi confratelli Vescovi della Gallia le
confessioni di fede e altri documenti dei sinodi riuniti
in Oriente intorno alla metà del IV secolo. “Sempre
fermo nell'opposizione agli ariani radicali, sant'Ilario
mostra uno spirito conciliante - ha messo in luce il Papa
-, che cerca di comprendere quelli che ancora non sono arrivati
e li aiuta, con grande intelligenza teologica, a giungere
alla piena fede nella divinità vera del Signore Gesù
Cristo.”
Tornato in patria nel 360 o nel 361, Ilario riprese l'attività
pastorale nella sua Chiesa, mostrando sempre “fortezza
nella fede e mansuetudine nel rapporto interpersonale”.
Negli ultimi anni di vita egli compose i Trattati sui Salmi,
un commento a cinquantotto Salmi in cui vede “la trasparenza
del mistero di Cristo e del suo Corpo che è la Chiesa”.
Ilario morì nel 367 e nel 1851 il beato Pio IX lo
proclamò Dottore della Chiesa.
Riassumendo l’elemento fondamentale della sua dottrina,
il Santo Padre ha sottolineato che “Ilario trova il
punto di partenza della sua riflessione teologica nella
fede battesimale”.
Alla fine del suo trattato sulla Trinità, chiede
a Dio di potersi mantenere sempre fedele alla fede del battesimo:
“E’ una caratteristica di questo libro: la riflessione
si trasforma in preghiera e la preghiera ritorna riflessione.
Tutto il libro è un dialogo con Dio”. (S.L.)
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CERIMONIE DI BEATIFICAZIONE
LA BEATIFICAZIONE PIU’ NUMEROSA DELLA STORIA A PIAZZA
S.PIETRO
28 OTTOBRE 2007:
DI 498 MARTIRI DELLA PERSECUZIONE RELIGIOSA IN SPAGNA (1934-1939)
Domenica 28 ottobre u.s. la Chiesa ha celebrato in piazza
San Pietro la beatificazione più numerosa della storia,
elevando alla gloria degli altari quasi 500 martiri della
persecuzione religiosa che ebbe luogo in Spagna negli anni
trenta del secolo scorso. Ha presieduto la cerimonia il
card. Jose Saraiva Martins, prefetto della S.Congregazione
dei Santi.
Secondo quanto ha spiegato P. Juan Antonio Martínez
Camino, portavoce della Conferenza Episcopale spagnola,
durante un atto accademico celebrato lo scorso 5 ottobre
a Roma presso il Pontificio Istituto Agustinianum, promosso
dalla Conferenza Episcopale Spagnola con il titolo "Il
secolo dei martiri e la persecuzione religiosa in Spagna
(1934-1939)", questa beaificazione costituisce un "avvenimento
straordinario che contribuirà a non far dimenticare
il grande segno di speranza che costituisce la testimonianza
dei martiri”. P. Martínez Camino ha sottolineato
i tre motivi che fanno di questa celebrazione un avvenimento
straordinario: il numero dei beati, dato che “non
sono stati mai beatificati tanti servi di Dio in una sola
volta: è la beatificazione più numerosa della
storia"; l'organizzazione, poiché è la
prima esperienza di lavoro fatto insieme da varie postulazioni,
tra loro e con l'Ufficio per le Cause dei Santi; dal punto
di vista pastorale, perché "sono praticamente
tutte le diocesi spagnole che, per motivo di nascita, di
vita apostolica o di martirio dei nuovi beati, sono protagoniste
di questa grande festa della fede e della santità".
Pur essendo la beatificazione più numerosa della
storia della Chiesa, ogni caso è stato comunque studiato
singolarmente e con tutta la cura dovuta.
Con questi nuovi beati sono 977 i martiri spagnoli riconosciuti
dalla Chiesa, dei quali 11 sono già Santi. "Ed
è prevedibile che si continui proponendo molti altri
casi" ha affermato il portavoce della Conferenza Episcopale,
perché furono circa 10.000 i martiri della Spagna
in quell'epoca.
Di circa 2 mila sono già cominciati i processi di
beatificazione.
All'atto accademico hanno partecipato anche il prof. Andrea
Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio,
e Vicente Cárcel Ortí, studioso della Storia
della Chiesa in Spagna, che ha affermato che la persecuzione
religiosa di quell'epoca "è stata la maggiore
conosciuta nella storia della Spagna e forse in tutta la
storia della Chiesa cattolica". Ha ricordato inoltre
che "Papa Pio XI, nell'enciclica Dilectissima nobis
del 3 giugno 1933, denunciò davanti al mondo la situazione
di autentica persecuzione religiosa che viveva la Chiesa
in Spagna". (Fonte: Agenzia Fides).
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BEATI MARTIRI SPAGNOLI
Il 28 ottobre, in Piazza San Pietro sono
stati beatificati 498 martiri della persecuzione religiosa
in Spagna.
Polemiche, interrogativi e malintesi hanno accompagnato
il processo di beatificazione dei cosiddetti “martiri
della guerra spagnola”.
È necessario perciò chiarire bene le idee,
per evitare equivoci, solo così si potrà capire
con esattezza quello che è capitato nella Spagna
durante gli anni dal 1931 al 1939.
Primo equivoco: legare i nuovi martiri alla vicenda della
guerra spagnola è una manipolazione che falsa la
realtà, perché già molto prima della
guerra, scoppiata il 18 luglio 1936, ci furono dei martiri.
Nell’ottobre del ’34, ad esempio, furono uccisi
a Turón 9 religiosi, Fratelli delle Scuole Cristiane,
e un Passionista, tutti canonizzati il 21 novembre 1999;
prima ancora, nel 1933, Pio XI con l’enciclica “Dilectissima
nobis”, denunciava e condannava la persecuzione religiosa
in Spagna. E’ da notare che mancavano tre anni all’inizio
della guerra civile.
Inoltre, se è vero che per molti dei martiri fu la
guerra civile il contesto in cui avvenne la loro morte,
è altrettanto sacrosanto che nessuno di loro aveva
niente a che vedere con la guerra.
Erano persone pacifiche che stavano nei loro conventi, case,
parrocchie o comunità, e che furono ammazzati gratuitamente,
solo per il fatto di esser sacerdoti, religiosi, o gente
di fede.
Quelli invece che morirono in guerra sono stati vittime
della violenza bellica, ma la loro morte ha poco a che vedere
con il martirio.
Persecuzione ci fu.
Innegabile è inoltre il fatto che in Spagna c’è
stata una vera e propria persecuzione religiosa.
Per provarlo bastano alcuni dati: l’11 maggio 1931,
a un mese scarso dall’inizio della II Repubblica,
proclamata il 14 aprile, furono bruciate chiese (anche dei
salesiani) a Madrid, Valencia, Sevilla, Malaga, Alicante,
ecc.; il 24 gennaio 1932 fu decretato lo scioglimento dei
gesuiti; il 17 maggio del ’33 fu pubblicata la cosiddetta
“Legge delle Confessioni e Congregazioni religiose”
che proibiva ai membri di praticare l’insegnamento
e ogni attività commerciale e consentiva la nazionalizzazione
dei loro beni. Vennero fondate Editrici specializzate nella
produzione e diffusione di pubblicazioni popolari contro
Dio e la Chiesa. Le pressioni contro Chiesa e religione
non rimasero a livello ideologico, ma dal ’31 al ’36
furono incarcerati e ammazzati numerosi preti e religiosi.
La situazione peggiorò ancora nel febbraio 1936,
quando il “Fronte Popolare”, formato da socialisti,
comunisti e altri gruppi radicali, vinse le elezioni.
Scoppiò allora un’ondata di fobia anticlericale
e anticristiana che ebbe conseguenze disastrose: incendio
di chiese, assalti e saccheggi a monasteri e conventi, distruzioni
di croci e crocefissi, proscrizione di parroci, proibizione
di cerimonie pubbliche e un odio feroce verso le persone
e le cose sacre: la statua del Sacro Cuore di Gesù,
sita nel centro geografico della Spagna, fu letteralmente
“fucilata” il 7 agosto 1936; furono profanate
reliquie, esumate mummie dalle chiese e oltraggiate per
le vie, ecc. Stampa e radio lanciavano continuamente messaggi
di odio incitando a ciò che chiamavano “depurazione
religiosa”.
L’intento dichiarato era quello di annientare la Chiesa
e la religione cristiana. I risultati? Così riferiva
al suo governo il ministro repubblicano, Manuel de Irujo:
“Tutti gli altari, immagini e oggetti di culto, salvo
contate eccezioni sono stati distrutti; tutte le chiese
chiuse al culto… nelle chiese sono stati installati
depositi di ogni sorta, mercati, garage, stalle, rifugi…
sacerdoti e religiosi sono stati imprigionati e fucilati
a migliaia… senz’altro motivo conosciuto che
il loro carattere di sacerdoti e religiosi…”.
Davanti a questa situazione, lo storico A. Montero scrive:
“Chi distrugge immagini della Madonna, brucia altari
o calpesta corporali, non può portare come pretesto
del suo operato rivendicazioni classiste o imperativi di
guerra…. Nelle migliaia di templi distrutti, cristi
mutilati e parodie sacrileghe si mostra plasticamente più
che con la morte delle persone, ciò che abbiamo chiamato
persecuzione religiosa. Certo, perché nella feroce
devastazione di oggetti sacri risalta allo stato puro l’odio
contro ciò che queste cose rappresentano, cioè
Dio, la Chiesa, la fede. Il bilancio è tragico: 13
vescovi, 4184 sacerdoti e seminaristi, 2648 tra religiosi
e religiose, alcune migliaia di laici. In tutto quasi diecimila
martiri”.
Martiri e non martiri
Spesso si sente dire che anche “dall’altra parte”
ci furono odio, fanatismo, vendette e numerose persone innocenti
uccise, come anche grandi atti di eroismo. Bisogna riconoscere
che è vero. Ma allora, perché beatificare
solo gli uccisi dai “rossi”? La risposta è
semplice: perché gli uni furono martiri e gli altri
no, cioè alcuni morirono per odio alla fede e altri
per motivi umani.
Seguendo questo criterio, risulta chiaro il perché
non tutti gli uccisi sono stati beatificati, ma solo quelli
di cui è assolutamente provato che morirono in ragione
della loro fede cristiana.
Molti altri sacerdoti e religiosi (anche salesiani) morirono
difendendo come soldati la Repubblica o prestando il servizio
negli ospedali o nelle istituzioni assistenziali della zona
“rossa”, ma furono, come tanti altri, innocenti
vittime della assurda violenza della guerra e non si può
provare che morissero per la fede. E questo è decisivo.
Un caso su tutti.
A Malaga furono ammazzati 9 salesiani.
Uno di essi è stato depennato. Il motivo?
Un’ombra di dubbio sul motivo della morte. Era in
prigione con gli altri salesiani; quella notte l’aviazione
franchista bombardò la città. Come rappresaglia,
i repubblicani ammazzarono alcuni carcerati tra cui don
Vicente Reyes. Il motivo della sua morte fu l’odio
alla fede o solo una rappresaglia bellica? È bastato
questo dubbio per bloccarne la causa.
È indubbio che non pochi di quelli che finirono assassinati
tra i repubblicani furono veri eroi e come tali meritano
di essere riconosciuti (a non pochi di essi sono stati dedicati
statue, monumenti, piazze, vie, parchi…) ma non sono
martiri.
La Chiesa beatifica o canonizza solo i martiri cattolici,
anche se ammira alcuni non cattolici e rispetta tutti i
morti di quella immensa tragedia.
J. GRACILIANO GONZALEZ
(Fonte: www.sdb.org)
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CAUSE DI BEATIFICAZIONE E CANONIZZAZIONE IN CORSO
José Álvarez Fernández. O.P.
A Lima il 6 settembre u.s., con una cerimonia presieduta
dall’Arcivescovo di Lima, Card. Juan Luis Cipriani
Thorne, ha avuto inizio il processo di canonizzazione del
sacerdote domenicano, P. José Álvarez Fernández
giunto dalla Spagna ad inizi del secolo scorso per lavorare
come missionario nella selva peruviana. "In un tempo
in cui si parla poco di santità, ci riempie di speranza
e ci entusiasma molto vedere questo sogno di tutti, di come
un fratello domenicano goda della presenza di Dio",
ha detto il Porporato durante l'installazione del Tribunale
che discuterà la causa prima di essere inviata alla
Santa Sede.
Anche il Cardinale Cipriani ha sottolineato l'amore e sacrificio
del missionario spagnolo, che si è guadagnato tra
i nativi della selva il soprannome di Apaktone (Papá
anziano). "per questo motivo bisogna verificare tutto
quello che ha fatto e come abbia risposto al Signore",
ha detto.
Il P. José Álvarez Fernández nacque
a Grotte, Belmonte di Miranda (Asturie), il 16 maggio di
1890. Venne oprdinato sacerdote il 26.7.1916, il 24 dicembre
successivo partì per il Perù, dove giunse
il 21 di gennaio 1917. Visse nella selva peruviana per 53
anni, realizzando centinaia di spedizioni lungo i fiumi
e moltissime comunità del dipartimento della Madre
di Dio. Un vero padre per tutti, vero sacerdote e missionario,
apprezzato ed amato dagli abitanti del luogo che lo piansero
quando morì a Lima il 19 di ottobre di 1970. I suoi
resti riposano nella cripta della Basilica di Santa Rosa.
La sua causa era stata introdotta il 1 agosto 2000.
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François-Xavier Nguyên Van Thuân
CITTA' DEL VATICANO, 17 SET. 2007 (VIS). Questa mattina
il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto gli ufficiali e
collaboratori del Pontificio Consiglio della Giustizia e
della Pace in occasione del 5° anniversario della morte
del Cardinale François-Xavier Nguyên Van Thuân,
del quale prende avvio in questi giorni la Causa di beatificazione.
All'udienza erano presenti i membri della Fondazione San
Matteo e dell'Osservatorio Internazionale Cardinale Van
Thuân creato per la diffusione della dottrina sociale
della Chiesa.
Del Cardinale vietnamita Van Thuân, che fu Presidente
del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e
che avviò la pubblicazione del "Compendio della
dottrina sociale della Chiesa" - pubblicato nell'ottobre
2004 - il Papa ha sottolineato la "immediata cordialità",
"la capacità (...) di dialogare e di farsi prossimo
di tutti; (...) il suo fervoroso impegno per la diffusione
della dottrina sociale della Chiesa tra i poveri del mondo,
l'anelito per l'evangelizzazione nel suo Continente, l'Asia,
la capacità che aveva di coordinare le attività
di carità e di promozione umana che promuoveva e
sosteneva nei posti più reconditi della terra".
Benedetto XVI ha detto ancora: "Il Cardinale Van Thuân
era un uomo di speranza, viveva di speranza e la diffondeva
tra tutti coloro che incontrava. Fu grazie a quest'energia
spirituale che resistette a tutte le difficoltà fisiche
e morali.
La speranza lo sostenne come Vescovo isolato per 13 anni
dalla sua comunità diocesana; la speranza lo aiutò
a intravedere nell'assurdità degli eventi capitatigli
- non fu mai processato durante la sua lunga detenzione
- un disegno provvidenziale di Dio".
"Amava ripetere il Cardinale Van Thuân che il
cristiano è l'uomo dell'ora, dell'adesso, del momento
presente da accogliere e vivere con l'amore di Cristo.
In questa capacità di vivere l'ora presente traspare
l'intimo suo abbandono nelle mani di Dio e la semplicità
evangelica che tutti abbiamo ammirato in lui".
"Cari fratelli e sorelle" - ha concluso il Pontefice
- "ho accolto con intima gioia la notizia che prende
avvio la Causa di beatificazione di questo singolare profeta
della speranza cristiana".
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Monsignor ORESTE MARENGO (1906-1998)
25/9/2007 - Vaticano - Un nuovo Servo di Dio nella Famiglia
Salesiana
(ANS - Città del Vaticano) – È giunta
la notizia ufficiale che in data 9 luglio 2007 la Congregazione
delle Cause dei Santi ha inviato al Vescovo di Tura (India),
mons. George Mamalassery, il decreto di “Nihil obstat”
per l`introduzione dell`Inchiesta diocesana, in vista della
beatificazione e della canonizzazione di mons. Oreste Marengo,
sdb (Diano d`Alba, 1906 – Tura, 1998). Nel frattempo,
il 12 aprile scorso, il Vescovo di Tura aveva insediato
il Tribunale diocesano e introdotto ufficialmente la Causa.
Il nuovo Servo di Dio, il novantunesimo nella lista ufficiale
della nostra Famiglia, frequentò il ginnasio a Valdocco,
e nel 1923 iniziò a Foglizzo l`anno di noviziato.
Ma già nel mese di dicembre partiva missionario per
l’Assam, dove terminò il suo noviziato a Shillong
sotto la guida del Servo di Dio Stefano Ferrando.
Nel 1951, a Torino, fu ordinato vescovo della nuova Diocesi
di Dibrugarh. Da qui nel 1964 venne trasferito a Tezpur,
e finalmente concluse il suo ministero episcopale a Tura,
dove fu Amministratore Apostolico dal 1972 al 1979.
Fino alla conclusione della sua lunga vita mons. Marengo
fu un missionario eroico, icona vivente del buon Pastore
che dà la vita per le sue pecore.
Appartiene a quella schiera gloriosa di missionari salesiani,
come don Francesco Convertini, mons. Stefano Ferrando, don
Costantino Vendrame, tutti Servi di Dio, come ora mons.
Marengo, che hanno impiantato la Chiesa e il carisma di
Don Bosco nel Nord-Est dell`India. Vice-postulatore della
Causa è stato nominato don Joseph Puthenpurakal.
(Fonte: ANS 25/09/2007)
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Manuel Lozano Garrido (1920-1971)
Lolo, giornalista paralitico e cieco, verso gli altari
Passo decisivo per la causa di beatificazione di Manuel
Lozano Garrido
Il 3 ottobre u.s. la Congregazione dei Cardinali e Vescovi
membri della Congregazione per le Cause dei Santi ha dato
parere favorevole, in modo unanime, allo studio sulla “vita
e virtù eroiche” di Manuel Lozano Garrido (Lolo),
giornalista paralitico e cieco.
Secondo quanto ha reso noto il postulatore della causa,
Rafael Higueras, i Cardinali e i Vescovi hano analizzato
lo studio previo favorevole realizzato dalla Commissione
di teologi, formata da nove membri, che nei mesi scorsi
ha redatto la cosiddetta “Relatio et vota”.
Dopo l’approvazione, manca solo la conferma da parte
del Santo Padre con la firma del Decreto di Virtù
Eroiche, che permetterebbe di proclamare “Lolo”
“Venerabile”.
Per la beatificazione è necessaria l’approvazione
di un miracolo dovuto alla sua intercessione.
In alcune dichiarazioni a ZENIT, Rafael Higueras sottolinea
l’opportunità della beatificazione del giornalista,
rimarcando la sua “integrità professionale”
e il suo desiderio che i giornalisti conoscano questa figura
e “sentano Lolo”.
In un momento in cui regna la minaccia dell’eutanasia,
Higueras ha dato particolare importanza all’esperienza
di sofferenza di Lolo, testimone in prima persona del “valore
della vita” (rimase paralizzato a 23 anni e cieco
a 42).
Higueras ha anche sottolineato che “senza le basi
dell’Azione Cattolica” – alla quale Lolo
apparteneva fin da giovane – la sua “vita eroica”
non sarebbe stata possibile.
Della vita spirituale di Lolo, Higueras ha messo in rilievo
la sua “devozione eucaristica e il suo amore per la
Madonna”.
I Gruppi Sinai di preghiera per la Stampa, fondati da Lolo,
sono costituiti attualmente da venti Monasteri di religiose
in Spagna e due all’estero.
Ciascuno dei gruppi ha affidato il compito di pregare per
il mezzo di comunicazione assegnato, tra i quali il Pontificio
Consiglio per le Comunicazioni Sociali, la “Radio
Vaticana”, le Agenzie ZENIT e Veritas, Popular TV,
Alfa y Omega, Vida Nueva, la UCIPE o la Commissione Episcopale
di Mezzi di Comunicazione Sociale, in base alle informazioni
fornite dall’Associazione Amici di Lolo.
Manuel Lozano Garrido, detto “Lolo”, nacque
a Linares (Jaén) il 9 agosto 1920 e morì nella
stessa città il 3 novembre 1971. Entrò tra
gli aspiranti membri dell’Azione Cattolica a undici
anni, acquisendo al suo interno una profonda formazione
spirituale che gli fece vivere con serenità la sua
malattia. Nei lunghi anni in cui fu malato, ricevette quotidianamente
l’Eucaristia, al quale era profondamente devoto. Durante
la Guerra Civile Spagnola, quando era ancora adolescente,
distribuiva la Comunione a persone incarcerate. Fu arrestato
anche lui per i suoi ideali cristiani. Accentuò la
sua devozione alla Madonna, per la quale recitava quotidianamente
il Rosario e a cui dedicò alcuni dei suoi scritti.
Iniziò a svolgere il suo lavoro come giornalista
nei mezzi di comunicazione come il quotidiano “Ya”,
“Telva”, “Vida Nueva”, l’agenzia
“Prensa Asociada”, “Signo”. Si ammalò
nel 1942 e appena un anno dopo era già completamente
invalido. Nel 1962 perse la vista. Nonostante la sua malattia,
ricevette importanti riconoscimento professionali in Spagna,
come il “Premio Bravo”.
Nel 1956 fondò la rivista “Sinai” per
malati. Alcune delle sue opere, come “El sillón
de ruedas” (primo libro scritto nel 1961), “Las
estrellas se ven de noche” (opera postuma) o “Cuentos
en ‘la’ sostenido”, sono stati pubblicati
da Edibesa.
Dal 1994 al 1996 ha avuto luogo la fase diocesana del suo
processo di beatificazione. E’ quindi iniziata la
fase romana.
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CERIMONIE DI BEATIFICAZIONE
NOVEMBRE 2007 - 1-Domenica, 11 novembre
BEATIFICAZIONE DEL SERVO DI DIO: Zeffirino Namuncurá
Circa 38 mila fedeli hanno partecipato domenica 26 agosto
al pellegrinaggio in onore di Zeffirino Namuncurá,
il giovane mapuche che sarà beatificato nel prossimo
mese di novembre.
Nonostante l’inclemenza del tempo, i pellegrini hanno
percorso il cammino che conduce a V, paese nella provincia
argentina di Río Negro dove nacque il futuro beato.
Il pellegrinaggio, che si rinnova ogni anno in occasione
dell’anniversario della nascita del giovane, è
stato caratterizzato da un clima di festa per la prossima
tanto attesa beatificazione di Zeffirino. Vissuto come espressione
della devozione popolare, il pellegrinaggio è culminato
con la celebrazione dell’Eucaristia presieduta da
mons. Esteban Laxague, salesiano, vescovo di Viedma, che
nel corso della sua omelia ha indicato Zeffirino come “esempio
di ciò che dice il Vangelo: i più svantaggiati
e discriminati, gli ultimi in ordine sociale, saranno i
primi nel regno dei cieli”.
La celebrazione della beatificazione, che avrà luogo
a Chimpay (Viedma – Argentina) il prossimo 11 novembre
alle ore 10.00, è stata quindi preceduta dal pellegrinaggio
annuale al luogo di nascita del futuro beato, sul tema “Con
Zeffirino, onesti sulla terra per giungere al cielo”.
Prevista anche una campagna nazionale in preparazione all’avvenimento
di novembre, caratterizzata dallo slogan “Zeffirino,
figlio di Dio e fratello di tutti”, che prevede una
serie di iniziative a carattere religioso e culturale.
L’avvenimento sta suscitando un vivo interesse da
parte degli argentini, a motivo del fatto che Zeffirino
Namuncurà, giovane mapuche, è il primo rappresentante
dei popoli dell’America del Sud ad essere beatificato.
A questo si aggiunge che la sua sarà anche la prima
beatificazione ad essere celebrata in Argentina.
La celebrazione, che sarà presieduta dal card.Tarcisio
Bertone, Segretario dello Stato del Vaticano, avrà
luogo all’aperto presso il santuario “Zeferino
Namuncurá”, evidenziando il legame con la terra,
tratto caratteristico del popolo mapuche.
Per informazioni: www.ceferino.dbp.org.ar.
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2 – Domenica, 18 novembre:
BEATIFICAZIONE DEL SERVO DI DIO: Antonio Rosmini.
Alle ore 15.00, nel Palazzetto dello Sport di Novara , il
card. Josè Saraiva Martins, quale rappresentante
del Santo Padre, presiederà il rito di Beatificazione
del Servo di Dio Antonio Rosmini.
Secondogenito di Pier Modesto e di Giovanna dei Conti Formenti
di Biacesa del Garda, della sua nascita, avvenuta il 24
marzo, Rosmini renderà sempre grazie a Dio poiché
«Egli la fece coincidere con la vigilia della Beata
Maria Vergine Annunziata».
Viveva con sua sorella maggiore Margherita, entrata nelle
Suore di Canossa, e con suo fratello più piccolo,
Giuseppe.
Rosmini compì gli studi giuridici e teologici presso
l'Università di Padova dove ricevette, il 21.IV.1821
l'ordinazione sacerdotale. Iniziò a mostrare una
profonda inclinazione per gli studi filosofici, incoraggiato
in tal senso dal Papa Pio VII.
Dal 1826 si trasferì a Milano dove strinse un profondo
rapporto d'amicizia con Alessandro Manzoni che di lui ebbe
a dire: «è una delle sei o sette intelligenze
che più onorano l'umanità».
Manzoni assistì Rosmini sul letto di morte, da cui
trasse il testamento spirituale "Adorare, Tacere, Gioire".
Gli scritti di Antonio Rosmini destarono l'ammirazione,
tra gli altri, anche di Niccolò Tommaseo e Vincenzo
Gioberti dei quali pure divenne amico.
Nel 1830 fondò al Sacro Monte Calvario di Domodossola
la congregazione religiosa dell'Istituto della Carità,
detta dei "rosminiani".
Le Costituzioni della nuova famiglia religiosa, contenute
in un libro che curò per tutta la vita, furono approvate
da Gregorio XVI nel 1839.
Il 1° giugno 2007 il Santo Padre Benedetto XVI aveva
autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare
il Decreto sul miracolo della guarigione di Suor Ludovica
Noè attribuito all'intercessione del Venerabile Servo
di Dio Antonio Rosmini, Sacerdote Fondatore dell'Istituto
della Carità e delle Suore della Provvidenza.
E’ giunto così a termine il lungo percorso
di alterne, complesse e spesso dolorose vicende che dalla
morte nel 1855 lo hanno portato alla soglia della beatificazione.
Egli ha lasciato un esempio luminosissimo di perfezione
morale, sacerdotale, pubblica e privata sul quale vale la
pena di riflettere e pregare, in attesa della celebrazione
solenne del Rito di Beatificazione.
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DICEMBRE 2007
2 DICEMBRE: BEATIFICAZIONE DELLA SERVA DI DIO
Lindalva Justo de Oliveira
Il 2 dicembre, 1^ domenica di Avvento, alle ore 16.00, nello
Stadio do Barradão, São Salvador da Bahia
(Brasile), il card.Josè Saraiva Martins, quale rappresentante
del Santo Padre, presiederà il rito di Beatificazione
della Serva di Dio Lindalva Justo de Oliveira.
Lindalva nacque il 20 ottobre 1953 nel piccolo centro di
Sítio Malhada da Areia, nel municipio di Açu,
nel Rio Grande do Norte. Sesta figlia della coppia formata
da João Justo da Fé e Maria Lúcia da
Fé, fin da piccola dimostrava una grande attitudine
per i compiti religiosi.
Era molto sensibile con i poveri. Quando si trasferì
nella città di Natal, studiava e lavorava per mantenersi
e aiutare la famiglia.
Dopo aver concluso il secondo ciclo, si prese cura del padre,
anziano e malato, con affetto e pazienza. Quando questi
morì, Lindalva, di 33 anni, entrò nella Società
delle Figlie della Carità di San Vincenzo de Pauli.
Voleva servire Cristo nei poveri. Terminato il periodo di
noviziato, venne inviata all’internato Dom Pedro II,
a Salvador, Bahia, ricevendo il compito di coordinare un’infermeria
con 40 anziani, essendo responsabile dell’ala del
padiglione maschile.
La mattina del 9 aprile 1993, Venerdì Santo, partecipò
alla Via Crucis con i fedeli della parrocchia di Boa Viagem,
in compagnia delle sorelle della Comunità dell’internato.
Di ritorno, servì la colazione agli anziani.
Non aveva neanche iniziato il servizio che venne brutalmente
assassinata con 44 coltellate da Augusto Peixoto, di 46
anni, uno dei pazienti.
Basandosi sul racconto delle persone che avevano convissuto
con la suora, monsignor Lucas Moreira Neves ha scritto:
“Era convinta di aver indovinato la sua vocazione;
era nata per dedicarsi a Dio nella persona dei poveri e
degli anziani, e non desiderava altro se non vivere questa
dedizione in modo totale e con un grande amore”.
Il processo di beatificazione e il riconoscimento del martirio
della Serva di Dio Lindalva Justo de Oliveira è iniziato
il 17 gennaio 2000.
E’ stato chiuso solennemente il 3 marzo 2001 nella
Cattedrale di Salvador dal Cardinale-Arcivescovo Geraldo
Majella Agnelo. (Fonte: Zenit)
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