MOSTRE DI SANTINI
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L’A.I.C.I.S., con la collaborazione della Venerabile Arciconfraternita romana di S. Maria dell’Orto, per l’annuale Festa Titolare di Maria SS. dell’Orto, il 14 ottobre ha inaugurato una mostra di Immaginette Sacre sul tema: “La Madonna dell’Orto in Trastevere e la devozione della Madre di Dio in Roma”.
Sono stati esposti oltre 27 quadri e molti pannelli sui tavoli centrali della sala della Confraternita con immaginette dei periodi 1700 ai giorni nostri. I santino provenivano dalle collezioni dei soci romani Bruno FORASTIERI, Ugo AMICI (ex-consigliere defunto), Renzo MANFE’, Giovanni COSTANZO, Massimiliano PERUGIA e soprattutto da Giancarlo GUALTIERI. L’esposizione, allestita al 1° piano della Venerabile Arciconfraternita di Santa Maria dell’Orto, Via Anicia 10, è stata esposta al pubblico fino al 30 ottobre 2010.
Nella prima foto: da sinistra: Dr.ssa G.Licordari, Giancarlo Gualtieri, Giovanni Costanzo, Bruno Forastieri e Renzo Manfè. Nella seconda foto: in primo piano la Prof.sa M.G.Alessandroni ed il prof.Giovanni Costanzo.
Il prossimo 2 ottobre verrà inaugurata a Cesena, presso la Galleria d'Arte: Palazzo Ghini, una mostra curata da Marisa Zattini sul tema: "ANGHELOS, L'Angelo Custode". In tale circostanza, accanto alle opere pittoriche e scultoree di diciotto artisti, i soci Alberto BOCCALI, Attilio GARDINI e Lino GUALTIERI esporranno immaginette sacre che illustrano l'opera del nostro Angelo Custode. L’orario di visita della mostra, che rimarrà aperta al pubblico fino al 28 novembre, è: nei giorni prefestivi, festivi e martedì: 10-12.30, 16.30-19.30; feriali: 17-19.30; lunedì: chiuso.
Gli amatori dei cataloghi potranno rivolgersi a Il Vicolo - Sez.Arte: Tel.0547-21386; e mail: arte@ilvicolo.com.
L'AICIS in collaborazione con l'Arciconfraternita di Santa Maria dell'Orazione e Morte e dell'Accademia Culturale Europea presenterà dal 31 ottobre al 9 dicembre una esposizione di santini sul tema "Santi Patroni e Santi Protettori". Ha affermato il Rev.Prof.Carlo Chenis: “I santi patroni sono frammenti di paradiso nel cuore e nell’arte. Dimorano in cielo e intercedono per la terra, così che gli artisti - usati a varcare il finito - ne ripropongono le sembianze per evocare simbolicamente la loro vicinanza. Man mano che il culto dei santi veniva disciplinato dalla Chiesa, i singoli e le collettività trovarono in essi una fonte prodigiosa e ordinaria di aiuto per percorrere ‘questa valle di lacrime’”.Gli espositori sono Giancarlo GUALTIERI, Luigi ZANOT, Agostino CERINI e Renzo MANFE'. La mostra, allestita in Roma, Via Giulia 262, nella Chiesa di Santa Maria dell'Orazione e Morte è visitabile tutti i giorni nell'orario 8-11 e 16-18.30
Dal 23 al 28 novembre 2010 la mostra itinerante "I Santi protettori contro i terremoti” organizzata da ANTONIO MENNONNA, sarà presente a MURO LUCANO (PZ) (foto). Dal 5 al 9 dicembre sarà allestita a AVIGLIANO (foto), antico centro lucano distante pochi chilometri dal capoluogo di regione e dal 17 al 19 dicembre sarà a RAPONE (PZ). Questa esposizione itinerante comprenderà circa 200 immaginette sacre che abbracciano un periodo di duecento anni e cioè dalla fine del 1700 alla fine del 1900, suddivise in sette quadri grandi ed uno più piccolo dal titolo “Madonna del terremoto” contenente Madonne venerate a Mantova ed a Potenza. I soci espositori saranno FRANCESCA CAMPOGALLIANI di Mantova, GIORGIO LOMBARDI di Aulla (MS) e ANTONIO MENNONNA di Muro Lucano(PZ).
Il socio di Ravenna, FILIPPO BRICCOLI, con la collaborazione della Cassa di Risparmio di Ravenna SpA, allestirà dall’inizio di novembre al 6 dicembre una miniesposizione di immaginette sacre in due grandi vetrine storiche (proprietà della Cassa di Risparmio di Ravenna) che si affacciano su Piazza del Popolo, al centro di Ravenna, visibili giorno e notte. Sono manufatti insoliti e rari, molti dei quali unici, di grande impatto visivo e di profondi significati spirituali e teologici.
Nella chiesa del Suffragio a Sogliano al Rubicone verrà inaugurata il giorno 20 novembre una mostra di santini e immaginette devozionali. Infatti, dal 20 novembre al 5 dicembre p.v. Lino Gualtieri esporrà alcuni pezzi (circa 800) della sua collezione privata. La visita a questa esposizione sarà possibile il sabato e la domenica dalle 9 alle 18 e il giovedì dalle 9 alle 12.
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Nell’anno dell’ostensione delle sacre Spoglie mortali del santo di Padova e nell’ambito della manifestazione di Follina “Colori d’inverno” a Via Pallade 7 (di fianco all’Abbazia) il socio MARIO TASCA allestirà una mostra sul tema: “Sant’Antonio di Padova” esponendo immaginette sacre della sua collezione.
Parteciperanno all’esposizione anche le nostre associate: PAOLA GALANZI di Sassari e PATRIZIA FONTANA di Roma. L’esposizione, che richiama ogni anno nuovi visitatori, verterà sul grande Santoe Taumaturgo di Padova e verrà ospitata in un locale molto più ampio rispetto gli anni precedenti e, soprattutto, con ogni probabilità la mostra rimarrà aperta al pubblico fino al Santo Natale del 2011.
Coloro che desidereranno visitare la mostra dopo il 5 dicembre potranno contattare Mario Tasca al cellulare (338-146.7630) oppure, per e-mail, al suo nuovo indirizzo mariotasca2@alice.it
Il 16 dicembre 2010 verrà inaugurata a Torino, nella Cripta della Basilica di Maria Ausiliatrice, la mostra “Il Natale nell’Arte”. Sarà allestita dal Centro Salesiano di Documentazione Storica e Popolare Mariana e timarrà aperta al pubblico fino al 9 gennaio 2011, nell’ambito della 12^ Mostra dei Presepi. Oltre le immaginette sacre, sono esposte stampe, incisioni, oleografie, stampe antiche.
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NOTIZIE DALL'ITALIA E DAL MONDO
L’Amministrazione Comunale di Villapiana (CS) e la Parrocchia “S. Maria del Piano”, con il patrocinio d ell’A.I.C.I.S. (Associazione italiana cultori immaginette sacre) con sede a Roma, presenta in anteprima nazionale, la prima serie di santini: “Gli attributi iconografici dei santi”.
La serie, dedicata agli “animali”, è composta da trenta riproduzioni di santini “fine ottocento” che hanno come attributo iconografico un animale diverso per ciascun santo. L’originale e singolare pubblicazione di santini è stata realizzata dal Prof. Vincenzo Diodati, appassionato cultore di immaginette sacre di ogni epoca.
Molti santi li troviamo raffigurati con un attributo iconografico, per essere riconosciuti meglio dai devoti. La loro vita è spesso collegata con diverse tipologie di attributi: animali, vegetali, oggetti, persone, che, nei secoli, sono diventati parte integrante della loro iconografia. La rassegna, presieduta da S. E. Mons. Vincenzo Bertolone, Vescovo della Diocesi di Cassano Jonio, si terrà Venerdì 14 Gennaio 2011 alle ore 18,30 nella splendida cornice della Chiesa Madre dedicata alla Madonna del Piano.
I lavori inizieranno con i saluti del Vicario Parrocchiale della Parrocchia “S. Maria del Piano” P. Romain Ntumba Tshimbawu e del Sindaco di Villapiana Roberto Rizzuto, subito dopo si entrerà nel vivo della manifestazione con la relazione: “La simbologia iconografica degli animali negli attributi dei santi” tenuta dal Prof. Vincenzo Diodati, fautore di questa iniziativa. Un tema più specifico: “Il leone, il bue, l’aquila: i simboli del tetramorfo nell’arte raffigurativa dei santi”, sarà sviluppato da Mons. Don Carmine Scaravaglione, mentre il Dott. Demetrio Guzzardi (Pres. Dell’ Universitas Vivariensis di Cosenza) argomenterà sul tema: “Il simbolo del cane nell’ iconografia dei santi”. La manifestazione culturale sarà ingentilita dall’ ascolto musicale del Duetto Concertante N. 1 op. 46 di G. Kummer, per flauto e clarinetto che sarà eseguito dal Maestro Vincenzo Diodati (flauto) e dal Maestro Gianmaria Avantaggiato (clarinetto). Infine, l’intervento di S. E. Mons. Vincenzo Bertolone, Vescovo di Cassano Jonio, concluderà la rassegna.
Un modello per i giovani: così il cardinale Joachim Meisner, arcivescovo di Colonia, ha definito il nuovo Beato Gerhard Hirschfelder, il sacerdote tedesco morto per essersi opposto al nazismo.
Il 20 settembre u.s. nel Duomo di Münster, in Germania, si è svolta la cerimonia di Beatificazione che ha raccolto pellegrini da tutta la Germania, dalla Polonia e dalla Repubblica Ceca, dove il ricordo del sacerdote tedesco è molto vivo. Gerhard Hirschfelder è morto a 35 anni a Dachau. E’ stato proclamato Be ato come “martire e testimone della fede”. Il cardinale Meisner ha sottolineato che si è rifiutato di abbracciare le disumane logiche naziste. Ha ricordato il suo impegno in particolare nella pastorale giovanile e dunque lo ha indicato come un modello per i giovani. Il nuovo Beato nacque nella contea boema di Glatz il 17 febbraio 1907. Si trasferì a Breslavia per gli studi di Teologia e proprio nella Cattedrale di Breslavia fu ordinato sacerdote il 31 gennaio 1932. Negli anni seguenti fu cappellano a Tscherbeney (1932-1939) e a Habelschwerdt (1939-1941. Con l’avvento al potere di Adolf Hitler, il 30 gennaio 1933, il giovane sacerdote non tardò a rendersi conto della natura e degli effetti della propaganda nazionalsocialista; mediante la sua vicinanza e la direzione spirituale cercò di tenere lontano i suoi giovani dai gruppi della “Gioventù Hitleriana”, suscitando la reazione della polizia del regime. Nelle sue omelie denunciò coraggiosamente gli eccessi e le violenze di quel periodo: fu arrestato il primo agosto 1941; durante la prigionia a Glatz scrisse una Via Crucis e alcune riflessioni sul sacerdozio, il matrimonio e la famiglia. Trasportato nel campo di concentramento di Dachau il 15 dicembre 1941, morì per fame e malattia il primo agosto 1942.
Resta da dire che alla Beatificazione di Gerhard Hirschfelder faranno seguito altre analoghe cerimonie nel prossimo anno per figure altrettanto significative di sacerdoti martiri del regime nazista: Georg Häfner, a Würzburg; Johannes Prassek, Hermann Lange e Eduard Müller, a Lübeck. Con i Cappellani di Lübeck si commemorerà anche il Pastore evangelico Karl Friedrich Stellbrink.
Il Papa ha parlato di loro, nel recente discorso (13 settembre) al nuovo ambasciatore tedesco ricevuto per le credenziali, come di “luminose indicazioni” per il cammino ecumenico. “Sono uomini – ha aggiunto - che insegnano a dare la propria vita per la fede, per il diritto ad esercitare liberamente il proprio credo e per la libertà di parola, per la pace e la dignità umana”. “L’attestata amicizia dei quattro ecclesiastici – ha affermato il Papa - è una testimonianza impressionante dell’ecumenismo della preghiera e della sofferenza, fiorito in vari luoghi durante l’oscuro periodo del terrore nazista”.
Il Martirologio tedesco Zeugen für Christus (Testimoni di Cristo) è stato pubblicato nel settembre u.s. nella sua quinta edizione. L'opera in due volumi, editi a nome della Conferenza Episcopale Tedesca, è stata composta dopo l'appello di Papa Giovanni Paolo II a mantenere viva la memoria dei martiri del XX secolo.
La quinta edizione del martirologio contiene 76 nuovi nomi di martiri del secolo scorso. Il rappresentante della Conferenza Episcopale Tedesca del martirologio, il presule Helmut Moll, offre un'indagine dettagliata su dodici ministri e 14 laici dell'epoca del nazionalsocialismo, di otto sacerdoti e 14 laici sotto il comunismo e delle religiose vittime della violenza nella regione dei Sudeti. Il progetto globale, avviato nel 1994, è una collaborazione di 160 esperti con le Diocesi e le comunità religiose, che ha portato a riunire circa 900 profili di martiri cattolici.
Durante la presentazione del libro, l'Arcivescovo di Colonia, il Cardinale Joachim Meisner, presidente della Commissione di Liturgia della Conferenza Episcopale Tedesca, ha affermato che continua ad essere sorprendente come molti cristiani abbiano mantenuto la propria fedeltà al Vangelo in Germania sotto il sistema del nazionalsocialismo e del comunismo. “La generazione attuale dovrebbe conservare la memoria dei nostri testimoni della fede prima di imporre una dittatura sulla fede dimenticata alla presenza della Chiesa. La venerazione di questi grandi modelli di fede ribadisce la priorità spirituale della Chiesa”, ha detto il porporato.
Michaela Koller
Quel versetto del Vangelo di Matteo, «ero in carcere e siete venuti a trovarmi», lo ha preso alla lettera. E lo ha posto come sigillo della sua «Pia unione delle dame visitatrici delle carceri» che sarebbe stata una sorta di preludio della famiglia religiosa che dopo qualche anno avrebbe fondato, le Ancelle dell’Immacolata. Anna Maria Adorni ha abbracciato con tutta se stessa il monito di Cristo ai (presunti) giusti che ignoravano il servizio ai «fratelli più piccoli». O, secondo l’interpretazione che ne aveva dato la Adorni nella Parma dell’Ottocento, alle «sorelle intoccabili»: dalle detenute senza nome alle bambine che si vendevano «per pochi baiocchi». Donne ai margini che sono state il riferimento di una madre di famiglia che ha dato vita a un’opera di assistenza e apostolato dalla forza profetica e che ancora oggi è chiamata «l’angelo della carità». Una via porta già il suo nome; e presto anche il nuovo centro socio-sanitario sarà intitolato a lei. È l’omaggio di Parma alla «dama » degli ultimi che è stata proclamata beata proprio nella città emiliana. Il rito è stato presieduto in Cattedrale dal prefetto della Congregazione delle cause dei santi, l’arcivescovo Angelo Amato.
«La vita di Anna Maria Adorni è la testimonianza di come il messaggio cristiano sia integralmente unito alla crescita della persona», spiega il vescovo di Parma, Enrico Solmi, che ha concelebrato la Messa solenne. La sua è stata una vita segnata dal dolore che, però, la donna ha riscattato, come del resto avrebbe aiutato a riscattare con il suo carisma le ragazze dietro le sbarre o quelle di strada. Toscana d’origine, nasce a Fivizzano in provincia di Massa Carrara il 19 giugno 1805. Accanto ai nomi di Anna e Maria, c’è anche quello di Carolina che l’accompagnerà a Parma dove arriva con la madre dopo il primo lutto che la colpisce ad appena quindici anni: quello per la morte del padre. Nel cuore dell’adolescenza avverte la chiamata alla vita consacrata. Ma il confessore le indica di restare in famiglia. Accetta il consiglio anche perché una voce le svela quello che sarebbe stato il suo futuro: «Ti sposerai, avrai molti figli; poi ti morrà il marito, ti morranno i figli e tu diverrai monaca ». E così avviene. Nel 1826 si unisce in matrimonio con Antonio Domenico Botti, addetto alla casa ducale di Parma. I figli saranno sei che, però, perderà da piccoli ad eccezione di Leopoldo che diventa monaco benedettino. Quando il marito muore nel 1844, la sofferenza le risveglia la vocazione percepita da giovane. Non entra in nessun istituto religioso. Ma sceglie comunque di allargare la sua maternità: oltre a dedicarsi ai figli che le restano, la vedova Carolina Botti (come viene chiamata a Parma) comincia un cammino di accompagnamento delle detenute. È il suggerimento che le giunge dal suo direttore spirituale, l’abate benedettino Attilano Oliveros, che ha presente l’impegno di un gruppo di sacerdoti per i detenuti del penitenziario maschile mentre sa altrettanto bene che per le carcerate della casa circondariale femminile non esiste niente. Il primo impatto con le donne in cella è traumatizzante. Però in quei volti Anna Maria Adorni vede «belle creature, fatte a immagine del Creatore », spiega. E da qui comincia la sua sfida. Prima da sola. Poi assieme alle donne della Parma 'bene' con cui fa nascere la «Pia unione». Le visite si estendono presto anche alle pazienti in ospedale e nel sifilocomio. Sono le donne di una «classe infelice», si legge in una nota della Prefettura di Parma del 1868. Per accogliere le ragazze appena uscite dal carcere e le bambine abbandonate, affitta un appartamento. L’opera prende il nome di «Buon Pastore», appellativo che le resterà anche dopo aver trovato sede in un ex convento delle agostiniane intitolato a san Cristoforo. La sua «parabola di amore e di misericordia» (così viene definita dal postulatore, il saveriano Guglielmo Camera) trova il suo compimento il 1° maggio 1857 quando la Adorni fonda con otto compagne la sua famiglia religiosa. Un istituto che sarà approvato definitivamente nel 1893, anno in cui la donna muore. La spiritualità della «madre delle carcerate» è oggi il fulcro di una Congregazione che conta poco meno di cento religiose e che ha cinque case in Italia e tre in Romania. Un’eredità che Solmi considera di una «lungimirante attualità». Perché, spiega il presule, «ancora oggi i carcerati vivono in situazioni disumane». E perché «fra i vincoli che nel nostro tempo imprigionano l’uomo ci sono l’individualismo e l’egoismo, freni di una società che non si interessa dei più deboli e che bada al proprio tornaconto». Così, avverte Solmi, «in questo scorcio di inizio millennio lo spirito della madre Adorni ci chiede di liberarci da queste nuove catene».
(Giacomo Gambassi, fonte: Avvenire)
Romedio nasce tra il IV e il V secolo in una famiglia cristiana nell'area di una stazione militare ai confini dell'Italia, ad una decina di chilometri dall'odierna Innsbruck. Suo padre è signore di un castello nei pressi di Innsbruck e proprietario di saline nella valle dell’Inn. |
Il Santuario di San Romedio (732 m.) è uno dei più caratteristici eremi e testimoni della fede cristiana d’Europa. Sorge sulla vetta di uno sperone di roccia alto più di 70 metri. Una ripida scalinata di 131 scalini conduce il visitatore fino alla sommità dello scoglio roccioso attraverso un complesso di sette piccolissime chiesette sovrapposte. Infatti, per oltre 500 anni la roccia che ospita il santuario antico era rimasta nuda, con una scalinata scoperta e qualche edicola ora scomparsa. In basso si trovano le stalle, i rifugi per i pellegrini e l'abitazione del custode. Poi, attorno al 1000 , inizia a sorgere la chiesa originaria intitolata a San Romedio proprio sulla tomba del Santo, con le pietre portate fin lassù dagli antichi pellegrini. Il culto a san Romedio è riconosciuto ufficialmente dalla Chiesa nel 1300 e la devozione al Santo si incrementa molto nel XV secolo, quando il santuario viene affollato da molti pellegrini che portano ex voto.
Nel 1489 inizia la costruzione della seconda chiesa dedicata a San Giorgio, poi nel 1514 viene costruita la chiesa di San Michele e nel 1536 la chiesa maggiore di San Romedio. Per ultima fu eretta, nel 1918, la chiesa dell’Addolorata, in segno di ringraziamento alla Vergine per la quiete ritrovata dopo la tragedia della Prima Guerra mondiale. Della stessa epoca (XVI secolo) è anche il campanile, sempre in stile.
Storicamente il culto si manifesta nel VIII secolo, con la costruzione di una cappella più grande della precedente sulla tomba. Verso la fine del I millennio una confraternita provvede alla efficienza del santuario ospizio, che viene via via ingrandendosi fino ad occupare l'intero sperone.
Seguono donazioni dei principi vescovi di Trento, Adalperone (XI secolo) e Ghebardo (XII secolo). Il calendario diocesano in questo secolo contiene la festa liturgica di san Romedio e suggerisce delle preghiere particolari. L'officiatura risale al XV secolo, la messa propria al XVIII secolo e il culto pubblico è ammesso da Pio X, il 24 luglio 1907.
Oggi il santuario di S. Romedio, che viene festeggiato il 15 gennaio, è visitato annualmente da oltre 200.000 pellegrini ed è custodito da due frati dell’Ordine di San Francesco d’Assisi. Inoltre il santuario è collegato tramite una Via Crucis alla basilica dei martiri anauniensi a Sanzeno. Durante l’estate nel Santuario si svolgono una serie di manifestazioni culturali e musicali nell’ambito dell’”Estate Romediana”.
Per informazioni: Santuario di San Romedio tel.0463 536198 .
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I REMONDINI DI BASSANO (1660-1860)
di Renzo Manfè
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I REMONDINI furono una famiglia di stampatori che ha operato nella cittadina di Bassano del Grappa per due secoli ed, inoltre, è stata anche “leader” in Europa nella stampa di santini.
1 - GIOVANNI ANTONIO REMONDINI (Padova 1634 - Bassano 1711).
Giovanni Antonio, mercante, nel 1657 si trasferisce a Bassano e acquista “una casa di muro in tre solari, coperta con coppi, con diverse camere, botteghe..... posta in Bassano sopra la Piazza", di fronte la Chiesa di S.Giov.Battista. Sposa nel 1659 Corona Nosadini, appartenente ad una nota e agiata famiglia.
Intorno al 1660, fonda una stamperia, creando le premesse di un'azienda innovativa di grande successo, che nel giro di qualche decennio farà divenire Bassano del Grappa la capitale dell’incisione popolare italiana e darà lavoro ad oltre 250 famiglie del luogo.
Parlando dei Remondini, Dolores Sella in “Santini e immagini devozionali in Europa” (Maria Pacini Fazzi Editore), scrive: “Questa feconda casa editrice ha prodotto una grande varietà di soggetti profani e religiosi: dai giochi popolari, alle carte da gioco, dai soldatini ai calendari, alle carte da parati, ma soprattutto si è specializzata nelle stampe di soggetto religioso usando le tecniche proprie del tempo e cioè la xilografia, il bulino, l’acquaforte. Per lo più non si tratta di opere d’arte in senso stretto, ma certamente di creazioni originali che conservano ancor oggi un fascino particolare e alle quali collaborarono vari intagliatori e incisori spesso di buona mano anonimi e non. Sono fogli di grande o medio formato che venivano esportati in tutta Europa, dalle regioni orientali a quelle iberiche e nel Sudamerica con la mediazione di venditori ambulanti e di corrispondenti. Nel campo del santino vero e proprio avrebbe prodotto fogli con più immagini da ritagliare. Quali? Quanti? L’interrogativo è d’obbligo perché l’argomento specifico, salvo qualche accenno, per quanto ne sappiamo, non è stato ancora trattato a fondo, forse per la difficoltà di reperire un materiale così largamente disperso e spesso privo dell’indicazione dell’editore…I Remondini, come del resto quasi tutti gli editori di immagini religiose, nelle loro creazioni si rifecero talvolta a opere di altri autori. Troviamo infatti analogie tra alcune stampe remondiniane e quelle di Klauber e di Engelbrecht”.
2 - GIUSEPPE REMONDINI (1677-1750)
Giuseppe, figlio di Antonio, (morto nel 1711 lasciando un cospicuo patrimonio), trasforma il laboratorio in un'attività di tipo pre-industriale di livello e portata europea. Il figlio del fondatore, divenuto unico proprietario della stamperia, dà un forte impulso sia al settore tradizionale, il tipografico, sia al settore calcografico, che utilizza stampi incavi. Infatti fonda la celebre scuola di calcografia che, dal 1758 sotto la direzione di Giovanni Volpato (1733-1822), diviene uno dei maggiori centri europei di quest'arte, curando e ampliando la produzione di libri illustrati. Nel 1738, poi, inizia la produzione di carte lavorate, da parati o da legatura, che divengono le famose "carte di Varese", usate anche dagli artigiani mobilieri per rivestire gli interni dei mobili.
3 - GIOVANNI BATTISTA REMONDINI (1713-1773)
Nel 1750 Giovanni Battista succede al padre Giuseppe nella conduzione di quella che è ormai una grande azienda. La calcografia dei Remondini, inoltre, è un vero vivaio per i maggiori incisori e bulinisti del tempo. Con Giovanni Battista l’azienda conosce le sue maggiori fortune. Nella seconda metà del Settecento la consistenza tecnica della Casa Remondini è eccezionale: 18 torchi a caratteri, 24 torchi a rame per la calcografia, una ricca attrezzatura per la carta dorata, per le carte fiorate, indiane, persiane francesi, marmorate, tartarugate; completano gli impianti quattro cartiere e una getteria di caratteri! Imponente anche la mano d'opera: alla Remondini lavorano infatti più di mille operai, tra i quali quindici incisori a bulino e ad acquaforte, oltre agli allievi e agli addetti alla xilografia; sono cento infine gli addetti a miniare a vari colori santini, stampe e carte geografiche. E’ da sottolineare che la produzione di immaginette sacre, detta "i santi dei Remondini", si diffonde in tutta Europa, compresa la Russia, e in America con didascalie in latino e italiano, francese, spagnolo, tedesco, slavo, greco, russo e così via a seconda dei vari paesi in cui viene diffusa. La popolarità è tale che desta i timori dei due principali centri di produzione dello stesso genere, Augusta e Parigi, al punto che l'Accademia delle Arti Liberali di Augusta querela i Remondini per plagio, ma con scarsi risultati.
La diffusione, oggi sarebbe “il marketing”, era affidata ai “tesini”, venditori ambulanti originari di Castel Tesino, che in numero di 1000 giravano l’Europa e le Americhe per vendere immaginette sacre, cavalleresche, le ”quattro stagioni”, le “sette meraviglie del mondo”, le carte da gioco, i soldatini da ritagliare e incollare, i ritratti, i calendari, la carta da parati o per legatoria della ditta Remondini.
Alba Zaini in “Guziranje - dalla Schiavonia veneta all’Ongheria con le stampe dei Remondini” - Comune di Stregna (UD) - 2009, scrive: “I Tesini vantano una lunga tradizione di vendita ambulante dagli inizi del XVII secolo, quando girano l’Europa con le loro pietre focaie. Almeno dal 1685 trovano nelle stampe del padovano Giovanni Antonio Remondini, trasferitosi a Bassano, un’efficace alternativa al crollo del mercato abituale. Diventano così gli anelli di una straordinaria catena commerciale che li porta prima in Germania meridionale, quindi, attorno al 1730 in Spagna, in America latina e, a nord-est, in Polonia e in Russia (Infelise, 1985-106). Remondini, produttore di carta e stampatore, intravvede in questa modalità di smercio l’unica alternativa al monopolio editoriale di Venezia, le cui leggi favoriscono le ditte con sede nella città lagunare e lasciano margini ridotti di attività in terraferma. Quindi avvia, su scala sempre più ampia, la stampa di incisioni di soggetti religiosi e popolari, e ne affida la distribuzione capillare ai Tesini. Fornisce loro le merci e un finanziamento per il viaggio, ma pretende beni immobili di terzi a garanzia del credito. […] Per ricavare buoni margini di guadagno da merce di poco prezzo è necessario venderne in quantità significative e disporre di un vasto assortimento. Il ricco catalogo del 1772 comprende una vasta gamma di stampe di soggetti religiosi che si venerano in America, Spagna, Italia, Ungheria, Polonia, “Moscovia”, Transilvania, Bosnia, Carinzia, Grecia. […] L’intero processo di produzione, dalla fabbricazione della carta alla stampa, con ben 32 torchi tipografici, e alla vendita su larga scala, viene accelerato dall’erede di Giovanni Antonio, Giuseppe, e quindi dai figli di costui, Giovanni Antonio e Giambattista”. (Pagg.51-52)
4 - GIUSEPPE REMONDINI
Giuseppe, figlio di Giovanni Battista, succede al padre dal 1773 al 1811, continuando con ottimo successo l’attività di famiglia.
5 - FRANCESCO REMONDINI (1773-1820)
Francesco, figlio di Giuseppe, sposata Gaetana Baseggio che lo coadiuva nella multiforme attività di famiglia, mantiene il prestigio editoriale dei Remondini. Francesco muore a 47 anni, nel 1820, a soli nove anni dal decesso di suo papà.
6 - GAETANA BASEGGIO
Gaetana, moglie di Francesco, continua la gestione. I Remondini utilizzarono sempre i più moderni ritrovati della tecnica della stampa del momento: nell'800 adoperarono la litografia, diffu sero stampe dipinte a mano, usarono la policromia per impressione, la colorazione a spugna.
7-1861: CHIUSURA DELL’ATTIVITA’. Dopo la metà del 1800, criteri del tutto superati di gestione accelerarono il sopraggiungere di quei fattori che decretarono la fine della prestigiosa azienda Remondini. E così, purtroppo, tra il 1859 e il 1860, con il tramontare della gloriosa Repubblica di Venezia, dopo ben 200 anni di attività, le diverse produzioni vengono separate e cedute a Bassano, Venezia e Varese.
E a far luogo dall’anno 1861, la tipografia Remondini di Bassano del Grappa viene definitivamente chiusa.
La raccolta Remondini, è stata donata al Museo Civico di Bassano del Grappa. E’ costituita da 8.522 incisioni "nobili" e 20.000 stampe, fra cui incisioni rarissime o uniche, come la "Fontana d'amore", che illustrano tutta la storia dell'incisione, dal fiorentino Maso Finiguerra (1426-1464) al secolo XIX.
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Nel Martirologio Romano l'unico riferimento attendibile relativo alla Vergine Martire S.Fortunata è quello che narra di una giovane fanciulla convertita al cristianesimo vissuta a Palestrina vicino Roma intorno al 200 d.C. catturata dalle milizie romane mentre si recava a Roma. La piccola Fortunata veniva martirizzata a Roma, dopo aver affrontato molti dei supplizi annoverati tra i carnefici "Boia" romani, nel mese di ottobre del 200 d.C. In seguito il Suo Corpo ed una garza imbevuta nel Suo sangue venivano riposti nelle catacombe di S.Ciriaca in Roma, ove rimasero, presumibilmente, fino al 29 Gennaio 1790 quando il Card. Saverio Cristiani assistente al Soglio Pontificio, inviava, le Sacre Reliquie a Baucina, piccolo paese della Sicilia. Il primo Miracolo per intercessione di Santa Fortunata avvenne il 14 febbraio 1790 durante la solenne processione di arrivo del Sacro Corpo della Santa a Baucina; e a beneficiarne fu mastro Nicasio Zingari di anni 90 circa.
Per ciò che concerne la ricomposizione delle reliquie ossee nell'attuale urna, a Baucina si tramanda la testimonianza orale raccontata dall'ultra novantenne maestro Francesco Genovese, uomo dotto e locale Amministratore Comunale, il quale narrava che il Corpo di Santa Fortunata sarebbe stato ric omposto così come attualmente si trova, intorno al 1840 dal Dottor Nicolò Greco cui è intestata una via della nostra piccola Baucina.
Per quanto riguarda la processione di Santa Fortunata per le via principali di Baucina, non si sa se fin dall'arrivo delle sue reliquie essa fosse stata effettuata. In merito facciamo riferimento ad una delibera del Consiglio Comunale di Baucina del 9 aprile 1870. In essa Santa Fortunata venne proclamata compatrona di Baucina , essendo già patrono San Marco. Nella proposta della suddetta delibera così si legge: "ritenuto che la festa di Santa Fortunata che si celebra in settembre con tanta solennità e concorso di popolo numeroso anche dei paesi vicini, e con fiera del bestiame e con corse dei cavalli, con giochi artificiali ed altro, richiamo un gran concorso dei devoti dai paesi di tutta la Sicilia; Visto il deliberato della Giunta Municipale, si stabilisce di proclamare come compatrona Santa Fortunata”.
Riferendosi ai dati bibliografici contenuti nel Martirologio Romano, i Baucinesi ogni II domenica di settembre cercano di raffigurare durante la processione, quanto più fedelmente possibile, sia i martìri che le persecuzioni della vergine di Palestrina. E così, per due sere, domenica e lunedì , l'urna con il Sacro Corpo di S.Fortunata, costituita da un telaio in bronzo dorato con pareti laterali il vetro, dal peso totale di circa 300 Kg, posta su una vara, attraversa le strade del paese. La Vara sostenuta da due "castagnoli " porta raffigurati lateralmente, scolpite in legno, in sei pannelli, le fasi più importanti del martirio e dell'arrivo della Santa a Baucina. Essa, donata nel 1959 da alcuni Baucinesi emigrati in America, è stata progettata, scolpita e costruita dal Cav. Antonino La Barbera. Il peso complessivo, cioè completo di urna e “castognoli”, è di circa 1500 Kg. E’ portata in processione a spalla da circa ottanta persone che indossano pantaloni e camicia bianca con una fascia rossa alla vita. Fra i portatori, tutti devoti della Santa, o graziati, figura di grande prestigio nonché di grande rilevanza strategica per la conduzione della Vara, è quella dell'addetto ai "manigghi". Sono queste due maniglie in ferro avvitate all'estremità, anteriormente e posteriormente, di "castagnoli" e impugnate da colui che deve fare da guidatore.
I costumi, alla fine del 1800 furono allestiti dalle donne del paese. Successivamente, dietro consiglio del Direttore del Teatro Massimo di Palermo, si cercò di rimodernarli rendendoli più somiglianti a quelli dell'epoca Romana.
La processione procede percorrendo quattro strade del paese, due per sera.
Durante la processione, seguita da moltissimi fedeli, al suono di un campanello fa eco la voce dei portatori che gridano: "Chiffà nu scurdamu a chiamare sta Santa Avvucata; viva Santa Fortunata!” (Traduzione: “Che fa ce lo siamo dimenticati di chiamare di chiamare questa santa avvocata; viva Santa Fortunata!”).
La Vara viene sollevata ed ondulando percorre le strade facendo delle soste non prestabilite, durante le quali i fedeli od i miracoli offrono denaro e gioielli. Un tempo i doni erano rappresentati quasi esclusivamente da frumento, animali ed altri prodotti naturali. Tra la folla se qualcuno ha fatto delle promesse alla Martire, vede misteriosamente "fermarsi" la Vara proprio nel posto in cui egli si trova e solo dopo aver donato quanto promesso, questa viene risollevata e può riprendere il cammino, a volte correndo per tratti di strada abbastanza irti, mentre altre volte procede e rilento su un tratto pianeggiante. Così avviene, ad esempio, a pochi passi dall'arrivo nella chiesa del Collegio, in un punto dove an-nualmente si ferma e da dove viene rimossa con particolare difficoltà e dopo molti tentativi, durante i quali spesso invece di procedere retrocede. Altre soste, ma prestabilite, sono due per sera e precisamente in Via Roma ed in via Umberto I in cui c'è la "Vulata di l’ancili”, consistente nella recita di una poesia, da parte di due bambine vestite di bianco, con una coroncina in testa, sospese ad una corda tesa tra due balconi, al di sopra della Vara. Alla fine della recita le bambine lasciano volare sull' urna una pioggia di volantini con la scritta "W. S.Fortunata" e dei colombi.
(Fonte: www.santafortunata.org)
Michele Rua nasce a Torino il 9 Giugno 1837. Ultimo di 9 figli, perde il padre all’età di otto anni. Studia dai Fratelli delle Scuole Cristiane fino alla terza elementare. Avrebbe dovuto iniziare a lavorare nella Regia Fabbrica d’Armi di Torino, dove il padre era operaio, ma don Bosco - che la domenica confessava nella sua scuola - gli propone di continuare gli studi da lui, assicurandogli che alle spese ci avrebbe pensato la Provvidenza.
Un giorno don Bosco distribuisce ai suoi ragazzi delle medagliette. Michele è l’ultimo della fila e arriva tardi, ma si sente dire: “Prendi Michelino!”. Il prete però non gli sta dando niente, ma soggiunge:“Noi due faremo tutto a metà”, e così realmente è stato.
Collaboratore della Compagnia dell’Immacolata con Domenico Savio, è un allievo modello, apostolo tra i compagni. Don Bosco gli dice: “Ho bisogno di aiuto. Ti farò indossare la veste dei chierici, sei d’accordo?”. “D’accordo!”, risponde. Il 25 marzo 1855 nella cameretta di don Bosco fa, nelle mani del fondatore, i voti di povertà, castità e obbedienza.
E’ il primo salesiano. Inizia a lavorare sodo: insegna matematica e religione; assiste in refettorio, nel cortile, nella cappella; a tarda sera copia in bella calligrafia le lettere e le pubblicazioni di don Bosco, e infine studia per diventare sacerdote. Ha solo 17 anni! Gli viene affidata anche la direzione dell’oratorio festivo San Luigi.
Nel novembre del 1856 muore mamma Margherita. Michele si reca a trovare sua madre: “Mamma vuoi venirci tu?”. La signora Giovanna Maria viene, e anche in questo la famiglia Rua fa a metà con la famiglia Bosco. Rimane a Valdocco 20 anni. Nel 1858 accompagna don Bosco dal Papa Pio IX per l’approvazione delle regole, e al ritorno gli viene affidata la direzione del primo oratorio a Valdocco. Il 29 Luglio del 1860 fu ordinato sacerdote. Don Bosco gli scrive un biglietto: “Tu vedrai meglio di me l’Opera salesiana valicare i confini ’Italia e stabilirsi nel mondo”. Don Rua apre la prima casa salesiana fuori da Torino a Mirabello. Pochi anni dopo torna a Valdocco e sostituisce e assiste don Bosco in tutto. Nel novembre del 1884 papa Leone XIII nomina don Rua vicario e successore di don Bosco, che morirà nelle sue braccia quattro anni dopo. Don Rua, già considerato la regola vivente, diventa paterno e amorevole come don Bosco. Affronta e supera numerose difficoltà nel governo della congregazione. Consolida le missioni e lo spirito salesiano.
Muore il 6 aprile 1910, a 73 anni. Con lui la Società passa da 773 a 4000 salesiani, da 57 a 345 Case, da 6 a 34 Ispettorie in 33 paesi. Paolo VI lo beatifica nel 1972, dicendo: “Ha fatto della sorgente un fiume”.
Venerabile il 26 giugno 1953, viene beatificato il 29 ottobre 1972 da Paolo VI. (Fonte: www.sdb.org)
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